venerdì 30 maggio 2008

A proposito di prevenzioni: e voi giornalisti?

di Alessandro Usai

Egregio dott. Pintore,
sono un archeologo della ex-Soprintendenza di Cagliari e Oristano, ora della Sardegna. Le confesso di essere rimasto duramente colpito, e dunque non propenso a rispondere, da quella che l'amico e collega Alfonso Stiglitz ha chiamato invettiva e che invece, a mio parere, è una vera e propria offesa personale, sgangherata nei toni e nei contenuti, come purtroppo ormai se ne leggono e se ne sentono dappertutto.
Solo leggere il commento dell'amico Alfonso mi ha rincuorato e incoraggiato a tentare un approccio positivo con Lei, perché da sempre io e Alfonso siamo impegnati per far sì che non si ripeta più questa brutta storia della "torre d'avorio". E se me lo consente, ribalto il titolo del Suo ultimo scritto: "Giornalisti non prevenuti: date segni di vita".
La gente comune non può farlo, ma voi dovete farlo per deontologia professionale: dovete venire ai convegni, alle conferenze, alle presentazioni, alle visite guidate; dovete leggere i libri e le riviste, dovete almeno sfogliarli; dovete sapere e far sapere a tutti quanto si scrive e si parla, quanti archeologi scrivono e parlano, quante importanti novità archeologiche vengono divulgate da noi in Sardegna, in Italia e all'estero. Se veniste a trovarci nei nostri uffici e nei nostri cantieri potreste rendervi conto della massa di lavoro ordinario che ci opprime, e capire che gli scavi, i restauri e le pubblicazioni (queste ultime scritte rigorosamente a casa la sera, il sabato e la domenica) sono ormai un lusso che possono permettersi solo quelli tra noi che reggono fisicamente e mentalmente alla pressione.
Solo allora potreste capire che quello che riusciamo a fare è semplicemente miracoloso.
Dunque, La aspetto. Nel frattempo, perché non aspetti molto, do qualche risposta alle Sue domande. In primo luogo, io e i miei colleghi delle Soprintendenze lavoriamo nello Stato, ma non per lo Stato o almeno non solo per lo Stato; in effetti, lo Stato ci obbliga semplicemente a lavorare per la Repubblica, e quindi soprattutto per la Regione (la nostra Regione Sarda), per le Province, per i Comuni, per i privati cittadini comunque interessati. Noi siamo buoni patrioti, d'Italia e di Sardegna nello stesso tempo.
In secondo luogo, riguardo al fatto che non si sa quando i lavori archeologici finiscano, è importante che i giornalisti sappiano e facciano sapere che i lavori archeologici non finiscono mai, anzi non devono finire mai, ma possono interrompersi in qualsiasi momento. Anzi, dobbiamo sempre tenere la maggior parte per chi verrà dopo di noi. Uno scavo non è come una strada, che si percorre solo quando è finita; uno scavo produce sempre e comunque, e non solo pietre visitabili ma soprattutto conoscenza che, nell'interesse di tutti, deve essere elaborata con un po' di tempo. E in un tempo ragionevole la conoscenza arriva a tutti, ma è importante che i giornalisti facciano il loro dovere di intermediari.
In terzo luogo, le presunte iscrizioni nuragiche. Le notizie non trapelano perchè siamo tenuti alla riservatezza. Lei sa che un falso è un reato, e alcune "tavolette" sono falsi clamorosi anche senza perizie. Altri oggetti sono originali ma non nuragici e nemmeno scritti; infine le pietre in campagna sono cose strane e interessanti, da approfondire col tempo e senza pregiudizi ma anche senza infondata partigianeria. Però la risposta l'ha già data Lei: tavolette, pietre e compagnia bella non sono mai venute fuori negli scavi nuragici! o anche Lei pensa che noi nascondiamo le cose?

Così come qualche giorno fa ho ringraziato del suo intervento Alfonso Stiglitz (Una invettiva disinformata), altrettanto faccio calorosamente con lei, dottor Usai. Tengo a dirle che sono d'accordo con lei su una cosa: la sua critica ai giornalisti è la mia. Di una cosa, però, non può rimproverarmi: che io abbia fatto a qualcuno "una vera e propria offesa personale, sgangherata nei toni e nei contenuti". Ho posto problemi generali agli "archeologi non prevenuti", di politica culturale e di uso della comunicazione. A questi lei non ha risposto, come chi ci legge può vedere.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Non si può dire che l'archeologo dott. pof. Usai abbia dimenticato da qualche parte il proprio ego e si senta inadeguato al ruolo che svolge.
Io prendo per buone tutte le sue ragioni e, in qualità di prossimo Ministro ai Beni Culturali, le invierò, appena sarò venuto in possesso del suo indirizzo personale, il catalogo delle Onorificenze della Repubblica, perché Ella possa scegliere quella che più le si addice. Sarà il mio primo atto da ministro.
Il secondo sarà quello di licenzarla.
Converrà con me che non può Ella ignorare che in Italia lo Stato e la Repubblica sono la stessa cosa, poiché appunto la forma dello Stato, in Italia, è "Una Repubblica fondata sul lavoro". Conseguendo da ciò che le Regioni (anche quella sarda), le Province, i Comuni, sono esattamente le articolazioni dello Stato, cioè della Repubblica Italiana, nel proprio territorio.
Ella, dott. prof. Usai, ha parlato anche a nome dei suoi colleghi: spero che essi si dissocino, pubblicamente o in privato, da quanto Ella ha inopinatamente affermato, almeno riguardo a questi concetti.
In alternativa, procederò di conseguena.
Nel significarle i sensi della mia profonda disistima, la prego di tener presente che non la perderò di vista.

zuannefrantziscu ha detto...

Puro divertimento, come capita con il buon sarcasmo. Sa, però, da che cosa ho capito che Ella non sarà mai ministro? Dalla sua affermazione che regioni, province, comuni sono articolazioni dello Stato. Sbagliato: regioni, comuni, province e stato sono articolazioni della Repubblica (Titolo V della Costituzione)

Anonimo ha detto...

Ops, ho sentito tirare la catena del cesso, forse qualcuno ha fatto una figura di m****

Anonimo ha detto...

Certo che non farò mai il mministro e neppure l'assessore!
Ma non per la mia ignoranza, zuannefrantziscu. Anzi!

Anonimo ha detto...

Non ne avevo alcun dubbio. Che non fosse per ragioni di ignoranza, intendo. Ma consenta anche a me di usare un po' di ironia