martedì 29 aprile 2008

Stampa sarda malata di sardofobia

Una bella ballata di Enzo Jannacci sfotte coloro che "pur essendo testimoni di fatti importantissimi e determinanti dell'avvenire della civiltà, neanche se ne accorgono". Fra costoro, a leggere i giornali di oggi e ascoltado i telegiornali di ieri che riferivano della celebrazione di Sa die de sa Sardigna nel nostro Parlamento, sono certamente arruolati i responsabili della stampa sarda. Penso agli striminziti servizi televisivi di ieri che si sono occupati dello straordinario avvenimento (riportato integralmente nel sito della Regione) con lo stesso tempo dedicato a una notizia di cronaca nera; penso alla vergogna della "L'Unione sarda" che oggi gli dedica una decina di righe e una foto, ma penso anche a "La Nuova Sardegna" che, pur segnalando in prima pagina l'avvenimento a cui dedica un servizio più esteso, non resiste alla tentazione di segnalare un'avversione di fondo: "Soru in aula celebra Sa Die in campidanese". Non in sardo come è giustamente scritto nel sito della Regione e come lo stesso Soru ha detto: no, in campidanese.
Resta, spero, la svolta che il giornale vicino a Soru ha dato alla sua politica linguistica, che domenica qui ho segnalato. Ma resta intatta la fronda dei fans del re di Prussia, pervicacemente sardofobici. E insensibili all'emozione che ha preso me, e credo gran parte dei sardi correttamente informati (non molti purtroppo), nel vedere i deputati al Parlamento sardo in piedi e tutti insieme cantare l'inno nazionale sardo.

domenica 27 aprile 2008

Lingua sarda: la svolta della "Nuova Sardegna"

C'è stata oggi una inattesa e importante svolta nell'atteggiamento di "La Nuova Sardegna" nei confronti della lingua sarda. Importante per ciò che dice un lungo articolo nella pagina della cultura, ma soprattutto perché esso non è firmato ed è, dunque, del giornale nel suo insieme. (Vero è che una fronda interna sardofoba tenta di sminuire l'importanza della svolta con un paio di trucchi nella titolazione: Remundu Piras è degradato a "poeta dialettale" e quello da salvaguardare è "un patrimonio orale in via di estinzione", espressioni di cui non c'è traccia nell'articolo. C'è sempre qualcuno che sta col re di Prussia, soprattutto se fino al giorno prima era guida spirituale e politica).
L'articolo è, per la prima volta, totalmente schierato al fianco di una politica linguistica della Regione. Ed è molto severo con la Chiesa "che in questi ultimi anni non ha fatto nient'altro se non tacere sul delicato argomento dell'uso della lingua sarda nella liturgia". Nè meno duro è nei confronti delle Università sarde: "Sarebbe interessante conoscere nel dettaglio l'entità dei fonti erogati in questi anni dalla Regione a finanziare - in teoria - corsi di lingua sarda che inevitabilmente finivano per diventare tutt'altra cosa".
Diventa sarcastico nei confronti della "ostilità pregiudiziale di molti accademici" che dovevano fare e non hanno fatto: del resto "non si può dare alle volpi l'incarico di vegliare sugli agnelli né ai topi il compito di garantire l'integrità del formaggio". Importante, infine, il consiglio dato all'assessora della cultura, Maria Antonietta Mongiu: "Non sarebbe male se d'ora in avanti si allenasse a distinguere meglio l'oro dall'argento o, peggio, l'ottone".
Non so, naturalmente, a che cosa si riferisca il giornale nell'articolo autorevolmente non firmato. Ma come molti altri, io so del finanziamento, con soldi della Legge sulla lingua, di ricerche scolastiche rigorosamente in italiano in cui il sardo era un semplice oggetto di curiosità folcloristica. O anche di finanziamenti per spettacoli teatrali di bambini con i sardo la parte del bimbo, poverino, un po' arretrato.
Questa svolta della "Nuova" è un bel passo in avanti e sarà ancora più importante se, in questa opera di riconoscimento delle buone ragioni della lingua sarda, si accorgerà che esiste un sardo non solo orale ma anche scritto, con i circa duecento romanzi e racconti lunghi che la sua politica culturale ha finora totalmente ignorato, facendo credere che la letteratura in Sardegna era rappresentata solo ed esclusivamente da una sedicente "nouvelle vague letteraria" popolata solo di italofoni e, a volte, di sardofobi.

martedì 22 aprile 2008

"W Soru", purché non rompa con questa Lsc

C'è chi stravede per Renato Soru e ne difende parossisticamente le politiche in materia economica, urbanistica, sociale. Ma quando si mette in testa di fare qualcosa per la lingua sarda, sono guai. L'opposizione allora si fa dileggio e, spesso, mistificazione. Uno di questi supporter a corrente alternata è il direttore di L'Altra voce, quotidiano web, feroce critico dell'idea che la Sardegna abbia una lingua comune, sia pure solo per uso amministrativo.
Un'idea che obnubila chi, per altri versi, ha osannato il presidente della Regione. La cronaca dell'assemblea degli addetti agli sportelli linguistici, durante la quale Soru ha annunciato una prossima legge di politica linguistica, è stato titolata così: “Seus cirkendi de fai radio Kabul…”. Nell'articolo è scritto: "Una radio tutta in sardo: «No ia bolli ki mi nerinti ki seu cirkendi de fai Radio Kabul», scherza".
Ma dove il nostro dà il meglio è nello sfottere il comunicato stampa in Limba sarda comuna (il primo uscito dalla Regione in 60 anni di autonomia). Per "par condicio", sfotte, lo pubblica anche in casteddaiu (lo si può leggere cliccando qui). Ottima iniziativa, verrebbe da dire. E lo sarebbe se il casteddaiu non fosse bistrattato, ridotto a un linguaggio sgrammaticato, incoerente, scritto alla carlona come si confà non a una lingua nobile, ma a un dialetaccio senza arte ne parte.
Così, ma chi legge si potrà spassiai guardando il testo completo, il verbo "è" viene scritto una volta "esti" e altre volte, all'italiana, "è"; il plurale una volta è scritto con la "s" finale, "sportellus" e un'altra volta con una inedita "u", "kussusu"; una volta si scrive "sarda" e un'altra "srada" come se si trattasse di cose diverse.
Insomma, il nostro sale in cattedra e sbaglia anche la grammatica.

La "casta dei migliori" e una certa idea di Sardegna

Al termine di un editoriale dal titolo "La Sardegna dei luoghi comuni", Fabio Pruneri, docente di Storia dell'educazione all'Università di Sassari scrive: "Da spettatore lombardo e da principiante di cose isolane ritengo che tra il banditismo e la Costa Smeralda, i due volti più noti ed esportati della Sardegna, c'è molto altro: è troppo chiedere ai sardi di raccontarcelo?".
Il professore, "continentale trapiantato", scrive ancora che "leggere - cito a caso ciò che "in continente" si è potuto conoscere della Sardegna in questi ultimi trent'anni - ... significa in fondo vedere una parte sola dell'isola: quella dei violenti, dei banditi, dei delinquenti più o meno romanticamente o sociologicamente raccontati".
Fabio Pruneri sintetizza con efficacia quanto da tempo, alcuni intellettuali sardi non allocati, vanno sostenendo: la disinformatzia attuata dalla "casta dei migliori" va dando della Sardegna un'immagine non solo falsa - sarebbe il meno - ma rispondente all'idea che della Sardegna (arcaica, folcloristica, chiusa su rituali ancestrali) si ha fuori di essa. Non perché, naturalmente, i continentali vivono nel pregiudizio (o non prevalentemente per questo), ma perché ad informarli sono o giornalisti poltroni o una congrega di scrittori sardi che traggono successo e diritti d'autore proprio da questa rappresentazione dell'isola.
Il professore lombardo è, insomma, vittima di quella corporazione che, usando abilmente la disinformatzia, nega l'esistenza di tutto ciò che non appartiene alla "casta dei migliori". Le decine e decine di romanzieri in italiano (molti dei quali di buon livello), i duecento romanzi il lingua sarda (moltissimi di ottima scrittura) non esistono poiché la "casta dei migliori" e i suoi alleati nei mass media e nelle università applica su di loro la consolidata tecnica stalinista della disinformatzia: esiste solo ciò che noi diciamo che esiste. Se ciò produce effetti di rimozione in Sardegna (dove questi scrittori operano), figurarsi che cosa succede oltre mare, dove si è legittimati a pensare quel che ha pensato Pruneri: non c'è chi racconta una Sardegna diversa da quella dei banditi e della Costa Smeralda.
Qualche giorno fa, parlandodi una lodevole iniziativa che coinvolge una ventina di intellettuali fra giornalisti, scrittori e editor, Giorgio Todde, un romanziere sardo ben inserito nella "casta dei migliori" ha lapidariamente decretato che nell'iniziativa "gli scrittori sardi ci sono tutti". In un eccesso di magnanimità, Todde concede che oltre al Sommo Sestesso la categoria "scrittori sardi" comprenda qualche altro. Non ne fa il nome, ma non credo di sbagliare pensando che "tutti gli scrittori sardi" coincidano con quella "casta dei migliori" che, spesso per solo merito di partito, è titolata a dare quell'idea di Sardegna che al professore lombardo sta giustamente stretta.

lunedì 21 aprile 2008

Soru annonsat una lege nova pro sa limba sarda

"Una lege regionale noa subra sa limba, una televisione digitale in sardu in Internet e un'apellu a sos giòvanos pro faeddare sa limba semper e in totue. Sunt custas sas propostas chi su Presidente de sa Regione at fatu ischire in die de oe in Casteddu sende presente finas s'Assessora de s'Istrutzione Pùblica Maria Antonietta Mòngiu." Cumintzat gasi su primu comunicadu pro s'istampa essidu dae su Guvernu sardu dae cando b'at sa Regione autonoma de Sardigna.
In su situ meu, podides lèghere su papiru e b'agatare su link a un'àteru documentu de importu: sa reunione de sos Ufìtzios pro sa limba sarda in uve belle totus, dae sos responsabiles de sos ufìtzios a su presidente Soru, ant faveddadu in sardu.

Identità e statalismo divide gli elettori sardi

Tra le semplificazioni introdotte in Sardegna dalle ultime elezioni, ce n'è una che non mi pare sia stata esaminata dai commentatori nei giornali né nei documenti, che ho potuto leggere, dei partiti. Parlo della divisione netta fra chi ha proposto un futuro della Sardegna fondato sulla promozione della Nazione sarda a soggetto istituzionale e chi, al contrario, ha proposto una maggiore integrazione della Sardegna nello Stato italiano.
Nessuno, al momento, può dire se gli elettori abbiano avuto piena consapevolezza che la loro scelta era anche fra questi due corni della questione sarda. Ma è molto chiaro che il risultato è questo: ha vinto chi ai sardi ha proposto un percorso fortemente autonomista. Ha vinto, insomma, chi ha annunciato un futuro partito autonomista fondato sul riconoscimento dell'identità sarda, ha proposto un percorso di formazione di una Costituzione sarda radicalmente federalista (Sa Carta de Logu nova de sa Natzione sarda), ha battuto il tasto dell'autogoverno dei comuni.
E ha perso chi ha riproposto una visione unitarista (e anti federale) del rapporto Sardegna/Italia (la conclusione dei comizi sardi di Veltroni al canto dell'inno di Mameli ne è un sintomo); ha insistito sull'accentramento in capo alla Regione della pianificazione territoriale (Piani territoriali, ma anche Siti di interesse comunitario, Zone a protezione speciale, politica dei Parchi); è andato proponendo una modifica dello Statuto con visione economicista (con le questioni "immateriali" come identità e diritti del popolo sardo in sottofondo); ha negato l'autonomia del Pd in Sardegna (così come, in questi giorni, del resto Veltroni e Prodi hanno respinto l'idea di loro dirigenti del Nord Italia di costituire nella macroregione padana un partito autonomo e federato).
Non è una novità, del resto, la vocazione napoleonica del nucleo dirigente del centro-sinistra italiano. Si deve ad esso la bocciatura di due leggi sarde (che personalmente ritengo sbagliate nel merito, ma legittimamente approvate dal Parlamento sardo) che incidono profondamente sull'essere la Sardegna una autonomia speciale: la cosiddetta tassa sul lusso che rivendica alla Regione la potestà di avere una fiscalità autonoma; la dizione "sovranità del popolo sardo" compresa in un'altra legge sbagliata ma legittima, quella sulla Consulta per lo Statuto.
Che questa visione nazionalista italiana, o più correttamente statalista, non sia solo una sovrapposizione romana sul centrosinistra sardo, lo si capisce viaggiando fra i blog e i forum degli sconfitti del Pd sardo. C'è persino chi vorrebbe cancellarsi da italiano e chiedere asilo politico in Spagna o in Bulgaria. E non tanto perché ha vinto Berlusconi, come si potrebbe credere, ma perché hanno vinto Bossi e la sua idea di federalismo. Il che, detto in una terra in cui il federalismo è proposta politico-istituzionale da ormai 87 anni, è un segno incontrovertibile di quanto all'inizio proponevo alla riflessione: in Sardegna si sta producendo una divisione finalmente fuori delle categorie ottocentesche fra sinistra, destra, centro variamente combinate.
Le nuove categorie sono quelle del nazionalismo sardo (o nazionalitarismo per chi preferisce gli eufemismi) e dello statalismo: entrambe legittime e degne di rispetto. Bisogna solo prenderne atto e uscire dalle fumisterie.

martedì 15 aprile 2008

La lezione dei sardi ai sardismi

Come tutti, o moltissimi di noi, ho viaggiato, sera e notte di ieri, fra un canale e l'altro della Tv e, nelle sarde, la cosa che più mi ha stupito è l'enorme quantità di spot pubblicitari che fanno riferimento alla Sardegna. Singoli prodotti e strutture generali come supermercati e altro pongono la Sardegna e la sua immagine al centro della "cosa" che si vuol vendere. La sarditudine è presa, cioè, come valore aggiunto ed è chiaro che quando l'economia fa proprio un dato immateriale, qual è l'identità, vuol dire che questo dato è ritenuto vendibile con successo.
Del resto, è piuttosto evidente che mai come in questi ultimi anni il sentimento di appartenenza alla Nazione sarda sia stato diffuso, per alcuni con i caratteri di vera coscienza per altri come sentore più o meno vago. Sentire l'espressione "Nazione sarda" in bocca di una platea così vasta da comprendere Renato Soru e Mariano Delogu (l'uno presidente di un governo di centrosinistra, l'altro senatore di An) sta a significare che il concetto è entrato con naturalezza anche nel lessico politico. Né francamente ha molto senso star lì a interrogarsi quanta sincerità ci sia in chi dice le parole.
Ha invece senso chiedersi perché, se così è, i partiti e i movimenti più titolati a interpretare questo sentimento (Partito sardo d'azione e Sardigna natzione) non siano da tempo capaci di trasformare in consensi per loro questo sentimento di identità e di identificazione che, comunque, è la base unica su cui si innestano le differenze, anche importanti, esistenti.
Il fatto è che il popolo sardo è cosciente, vuoi per via del sistema politico che si è consolidato in tutta l'Europa vuoi per il sistema elettorale esistente, che si va a votare per rendere possibile un governo o l'altro. E che si sceglie non sulla base di vecchie idee di schieramento precostituito (centrodestra, centrosinistra, destra, sinistra, centro), ma sulla base di maggiore aderenza di un programma ai propri bisogni economici, sociali, culturali, in una gerarchia che non per tutti è la stessa. Un mondo nazionalista (o nazionalitario, per chi ama gli eufemismi) frantumato dall'ideologia non dà prospettive.
L'idea lanciata un anno fa da Fortza paris di unificare (in forme tutte da vedere, se di unità, federazione o altro) tutte le forze che fanno della Nazione sarda il punto di coagulo, ha rovinosamente impattato sugli ideologismi di chi sarebbe stato d'accordo purché il nuovo soggetto si schierasse a sinistra, purché fosse dentro il centro destra, purché avesse il centro come punto di riferimento. E questo indipendentemente dal fatto che gli oggetti di desiderio si comportavano in maniera diversa dagli ideologismi precostituiti.
Il centrosinistra, nella sua grande maggioranza, si è schierato anche in Sardegna per la conservazione di una Costituzione italiana idolatrata (portò i suoi elettori a votare contro la timida riforma federalista della Repubblica), il centrodestra no. Questo si è fatto garante di un processo di trasformazione dello Statuto sardo in una Costituzione sarda secondo la quale tutti i poteri e le competenze sono della Sardegna all'infuori del potere di governare la moneta, la giustizia, la difesa della Repubblica, i rapporti diplomatici. Il centro sinistra ha tentato di affidare una miniriforma dello Statuto a un club di saggi.
E anche oggi, ad elezioni fatte, dal Pd non viene una sola parola sui futuri rapporti tra Sardegna, Italia e Europa (forse ancora condizionato dal programma di Veltroni, un brutto esempio di napoleonismo). Dal Pdl vengono assicurazioni che questo partito si trasformerà in partito autonomista sardo e che bisogna fare leva sull'identità sarda per avviare lo sviluppo della Sardegna. Insomma, nel futuro della Sardegna, si delineano due prospettive: una di neo-centralismo e una di rilancio dell'identità, entrambi, naturalmente, proposti come leva per la crescita dell'Isola. Fondarsi sull'identità non è certo fondarsi sull'indipendenza. Il problema, oggi, è, però, scegliere tra il neo-giacobinismo del Pd e la promessa, fatta dal Pdl, di un processo di autogoverno.
Non so quanto la scelta dei sardi sia fondata su questi fattori. Resta il fatto che la maggioranza dei sardi ha scelto chi promette loro possibilità di autogoverno. Qualcosa, insomma, che si avvicina ai temi agitati da Psd'az e Sardigna natzione più di quanto lo sia il programma del Pd.