Mauro
Pili, deputato del Pdl, rispondendo ieri ad un
mio articolo mi rimprovera di aver voluto sollevare “una polemica pretestuosa”. Io ne
criticavo il disinteresse
mostrato nei confronti della discriminazione del sardo contenuta in una norma
del decreto di Revisione della spesa in discussione alla Camera, decreto contro
il quale era intervenuto duramente, annunciando il suo voto contrario. Intanto
sono grato a Pili per la sua decisione di dissentire pubblicamente; se questo
del deputato sardo fosse non un’eccezione, ma una consuetudine dei
rappresentanti del popolo sardo di interloquire con i rappresentati, credo che
la politica ne godrebbe in reputazione, oggi decisamente bassa.
Una
cosa, Pili ha ragione di rimproverarmi: aver liquidato troppo spicciamente il
suo intervento: rimedio pubblicandone
gran parte e riconoscendo che in esso si rintraccia una forte passione
autonomista, non rarissima nei discorsi dei nostri parlamentari ma certo non
consueta. E però non cambia la mia convinzione che non basti la professione di
autonomismo per difendere la nostra specialità, se questa passione è il frutto
dell’economicismo, del ritenere, cioè, che essa ci spetti solo perché più
poveri e isolani. “La specialità della
Sardegna” afferma Pili “si può
misurare: se è cento la base di calcolo delle infrastrutture dell'Italia, sulle
strade la Sardegna ha quarantacinque, sulle ferrovie ha quindici, sull'energia
trentacinque, cioè esiste un divario sostanziale che non può essere richiamato
da nessuno come una richiesta di favore, di solidarietà o di cortesia”.
Tutto vero e tutto misurabile, ma
questo non spiega perché la Sardegna sia regione a Statuto speciale e la
Calabria, per dire, no. E perché sia speciale così come lo è il Sud Tirolo che
certo non soffre dello stesso gap di sviluppo. Un collega e amico di partito di
Pili, l’ex ministro Renato
Brunetta, ha spesso pontificato sulla necessità di abolire le regioni
speciali con un argomento improntato all’economicismo: la specialità fu
“concessa” per ragioni di emergenze economiche e fiscali, terminate le quali
addio alla necessità di autonomie differenziate. Questa logica, che mi pare la
stessa di Pili (e di moltissimi dei suoi 17 colleghi), porta inevitabilmente a
considerare che la nostra specialità non avrà ragione di essere, il giorno –
può capitare anche questo – il benessere economico dovesse investire la
Sardegna. O avrà motivi meno validi o più fondati in ragione della sua decrescita o crescita
economica.
Non so se coscientemente o se solo
per vaghe intuizioni nazionaliste granditaliane, il mondo neo-giacobino
mediatico e i burocrati nostalgici del napoleonismo si stanno da tempo muovendo
per abbattere le vere ragioni delle specialità: l’essere esse il luogo di
minoranze linguistiche e, dunque, di culture e concezioni del mondo diverse da
quelle della Nazione dominante. L’essere, cioè, nazioni a parte. Per ora,
bersagli dell’aggressione sono le lingue più deboli in quanto non protette da
eserciti e diplomazie statali: il sardo, il friulano e l’occitano, lingua questa
– che volete gliene freghi al Corriere
della sera, a La Repubblica, a Libero, a La Stampa, a L’Espresso?
– che per gran parte della storia dell’Esagono francese fu antagonista della
vincente langue d’oil.
Altre volte ho scritto su questo
blog che il Governo Monti tende a far passare come misure di contenimento della
spesa pubblica l’abrogazione delle garanzie costituzionali per le lingue di
minoranza che non siano tutelate da trattati internazionali. C’è qualcuno che
può seriamente credere che ridurre sardo, friulano e occitano a dialetti privi
di tutela sia una misura economicamente valutabile? L’urgenza di rimodulare la
spesa pubblica è indubitabile e su questa necessità si può ragionare, con la
disposizione a tagliare tutto ciò che è spreco, foraggiamento di privilegi,
clientelismo; ma nessuno può pensare di pagare tali riduzioni con il taglio
netto della democrazia. Pena la confessione da parte dello statalismo che
questo Stato nazionale ha fallito, non regge più e che al più presto va almeno
smontato. Cosa di cui, per il poco che conta, sono profondamente convinto. L’attacco
alle Regioni speciali, salvo la Sicilia (la cui autonomia è frutto del timore
del separatismo e delle sue ragioni) tutte sedi di minoranze linguistiche, è
“motivato” dalla necessità di contenerne le spese. Che sono, comunque, affari
interni e soggette al controllo e alle eventuali censure dei loro cittadini,
non dei professionisti dell’anti-casta e di incolti giornalisti che definiscono
spreco l’impiego di denaro per tutelare lingue che, fosse per loro e per lo
Stato, potrebbero utilmente estinguersi. Forse sarà difficile persino ai
tecnici di Monti violentare la Costituzione fino all’abrogazione delle Regioni
speciali, anche se con la Sicilia i tentativi sono arrivati a buon punto. Non
sarà molto difficile, minare il nucleo della specialità della Sardegna e del
Friuli abrogando la tutela delle loro lingue, se non entrerà in testa ai
parlamentari espressi da queste due nazionalità che quello della
discriminazione linguistica è solo un grimaldello.
1 commento:
Come mai si ha paura che l’Europa dell’Euro o l’Euro dell’Europa (simul stabunt simul cadent, ca funti sa mantessi cosa)) venga giù rovinosamente? A uno, ignorante come me, in questi frangenti di debiti impossibili da onorare e, quindi, di tassi e di spread impazziti, sembrerebbe più onesto si dicesse: “Non ci pensiamo più, pensiamo ad altro.” o, perlomeno, “Forse abbiamo sbagliato, ricominciamo da capo” Il non farlo, porta a pensare che, su quella bella pensata, qualcuno ci abbia guadagnato e ancora ci guadagni.
Detto in due parole: come si può pensare di mettere su una costruzione tanto mastodontica e artificiale, tutta fatta da teste d’uovo negli ambulacri (come ambulacri non sono niente male: pensate a Bruxelles, a Strasburgo o, per rimanere più vicino, alla Bocconi) delle università e delle grandi burocrazie, senza tenere minimamente in conto la carne e il sangue? Solo mettendo a tacere la voce e della carne e del sangue si può pensare di farcela.
Non ce la facciamo? Come no? Basta fare un po’ di sacrifici. Taglia qua, taglia là, visto che ci siamo vediamo di tagliare un pochino di voci. Non solo di bilancio ma voci, come quelle dal sen fuggite, nel senso di parlate. Se i suoni sono troppi, è facile che siano discordanti e nella cacofonia gli ottimati non possono lavorare. Iniziamo da quelle lingue che non contano niente, dicendo magari che non esistono, e in fretta in fretta faremo in Europa un solo popolo e un solo altare.
Sarà per questo mio modo di vedere le cose, che rimango perplesso a sentire tutti quei nostri autonomisti, se non separatisti, che vedono in questa Europa un porto sicuro in cui riporre le speranze di libertà.
Nell’Italia di cavalieri, nani e ballerine, potremmo sempre pensare di sfangarcela ma, nell’Europa del marco, pardon, dell’euro, la cosa sarebbe impossibile. Sempre che non pensino di venderci a qualche sceicco arabo, magari al sultano che passò per Cagliari, qualche tempo fa, per shopping.
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