di Vittorio Sella
Il dibattito
che si sta sviluppando attorno alla “morte e resurrezione” di Sardegna 24 non è da sottovalutare, come
hai rimarcato nel
secondo intervento. Lo ritengo proficuo poiché si tratta di ragionare sul
modo di rappresentare la Sardegna, i suoi drammi, i progetti politici orientati
al futuro, compresa la forma istituzionale che dovrebbe superare l'attuale
Regione Autonoma.
Di giornali e
del modo di 'cucinarli' non si discute abbastanza, si omette sempre di chiarire
il significato di “specialità” della Sardegna
e di come questa “specialità” viene recepita ogni giorno. Da anni la
Sardegna l'abbiamo definita terra “tra due lingue”, condividendo una profonda
analisi di Michelangelo Pira. Ma, mi sono sempre chiesto, i quotidiani sardi
hanno saputo e voluto cogliere questa condizione che speciale non è? Un
trentennio addietro è stato lo stesso Michelangelo Pira, che, esaminando il
ruolo di Antonio Pigliaru, la rivista Ichnusa,
e il modo di fare cultura in Sardegna, si soffermò sul ruolo dell'informazione.
In quel
contesto ebbe ad affermare, con il coraggio delle idee che lo caratterizzava,
che la stampa in Sardegna, sin da quando i torchi avevano cominciato a girare,
“ha negato cittadinanza al sardo, alla
lingua ancora parlata quotidianamente dalle classi subalterne”. Anche la
stampa di orientamento “di sinistra” non ha colto il valore della comunicazione
in sardo, nemmeno quella che veniva prodotta in quegli anni dall' “area
maoista” , che si riteneva detentrice del riscatto delle classi
subalterne. Il limite era insito nella
stampa stessa, ritenuta borghese, cioè in mano alla classe dominante.
Una
definizione questa in uso nelle scuole di antropologia di orientamento
gramsciano. E oggi, in questo tempo lontano da quegli anni, in questo tempo di
dominio della video scrittura e di un nuovo modo di comunicare le idee, di fare
i giornali, chi produce messaggi sul solco di quel patrimonio di pensiero (Antonio
Gramsci e Michelangelo Pira) tiene conto di questa condizione? Gli
intellettuali-giornalisti-sardi sono consapevoli che l'opinione pubblica non è
monolingue? Certo, un quotidiano è un'impresa che si misura ogni mattina con il
mercato.
Ma non credo
che sia l'abbondanza delle notizie sull'ombelico della Sardegna che
contribuisce a fare chiarezza sulle condizioni globali del corpo della nostra
Isola. Su questa scia si sono mossi da anni i due quotidiani sardi: il
risultato, secondo la mia opinione, è la frammentazione dell'opinione pubblica,
relegata in “gabbie territoriali”. Si è contribuito a separare i territori, per
cui ciò che accade a Cabras e Sedilo, non è noto a chi prende in mano il
giornale a Ottana, Orosei e Siniscola, e viceversa. Abbattere queste barriere
invisibili non è semplice, trattandosi di scelte editoriali consolidate e poco
note. Ma è auspicabile una inversione di rotta che metta da parte anche
l'ostracismo verso la creatività in lingua sarda, i suoi autori, che da anni
testimoniano un modo di interpretare la Sardegna con romanzi, racconti e poesie
di marca innovatrice.
Perché non
'aprire' alla realtà bilingue della nostra Isola? Se ci sarà, come è da
auspicare, una ripresa di Sardegna 24,
occorre che maturi la consapevolezza che il modello unico di comunicazione in
Sardegna è stato superato da tempo: alla lingua italiana si è affiancata anche
la lingua sarda. Perché non cogliere questo fermento culturale nel cammino
della “resurrezione” di Sardegna 24?
Se accadrà sarà un segno di specialità. Unu sinnu, per dirla con Michelangelo
Pira, di rivolta reale e pacifica dall'interno “dell'oggetto Sardegna” .
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