martedì 7 ottobre 2008

Sul casu martzu, invoco il segreto di Stato

di Franco Pilloni

Non ci dormo la notte da quando ho letto la notizia che su casu marzu è entrato nel Guiness dei primati come l'alimento più nocivo del mondo.
Confesso che nella prima notte l'impatto sul mio ego sardesco è stato terrificante, come veder cascare in polvere su nuraxi Arrubiu, come se avessero smontato e portato via alla chetichella Funtana Coberta di Ballao.
In effetti, ricordo di aver ragionato dal profondo della mia tristezza, tutti i torti non hanno, se hanno solo osservato e mai gustato il formaggio con i vermi.
Già, i vermi. Bigatti li chiamò un mio collega bolognese con cui divisi la camera da sottotenente di complemento in quel di Sacile, ahimé, quasi cinquant'anni fa. Che colpa ne ho se, quando rientrai dalla licenza ordinaria, mio zio pastore mi regalò una forma da quattro chili di formaggio marcio avvolta in carta oleata, a sua volta dentro una busta di carta straccia? Ma i vermi? I poveri vermi riuscirono a sopravvivere al caldo, allo stress del viaggio, al buio? Ah, quelli si facevano sentire, eccome! Tutta la notte chiacchieravano picchiettando sulla carta quei figli di mosca! Altro che pioggerellina di marzo nella poesia delle nostre elementari! S'inarcavano come mini arcobaleni quei vermiciattoli e poi scattavano in balzi prodigiosi che si frangevano inevitabilmente contro una barriera di carta oleata.
Una sera ebbi la temerarietà di aprire per vedere, di vedere per provare a odorare e a mettere in bocca. Il mio amico impallidì e non si mosse di un millimetro quando mi vide spalmare il pane con quella crema brulicante di bigatti. Si riebbe e ragionò cosi: se non muore lui, perché dovrei morire io? E fece il suo primo assaggio. Da quella sera, ogni sera per un mese intero fece il suo assaggio e ascoltò i bigatti che ticchettavano infaticabilmente sulla carta, diradando ogni giorno la loro presenza.
Attesto che il mio collega non è morto e io sono ancor qui: ecco il pensiero della svolta nel mio ragionamento di quella prima notte. Con esso presi sonno.
Nelle notti che si sono succedute ho ragionato molto di uomini e di vermi: mi sono chiesto, ad esempio, perché i vermi del casu marzu siano così dinamici e cosi prepotentemente vivaci, elastici e vigorosi.
Avete visto le larve dei mosconi, quelle che infettano la carne e, a volte, anche l'occhio, la gola o la mucosa nasale del cristiano pastore? Non sono così performanti, pur essendo molto più grossi.
E ancora: avete pensato a quale distanza dovrebbe saltare un cristiano atleta, se avesse le doti del bigatto da casu marzu? Se quello che misura 5 o 6 millimetri riesce a superare un ostacolo alto anche 15 centimetri, un cristiano atleta di un metro e settanta, quanto in alto dovrebbe saltare? Vero è che la tecnica del bigatti è davvero raffinata, ma il paragone non regge! E anche la seconda notte di veglia fu addolcita da considerazioni a modo loro consolanti.
La terza notte pensai ai pastori e ai messai che ho conosciuto nella mia vita, ai quali ultimi veniva pagato il pascolo estivo post- mietitura con una forma di casu marzu. A parte uno perito ancora giovane per pallettone, nessuno è crepato prima di aver compiuto gli ottanta, con punte di 85 per mio suocero, 96 per mio nonno, 112 per ziu Giuannicu che divideva il pozzo del cortile con mio suocero. Per essere un alimento così altamente nocivo, questo casu marzu ha effetti collaterali certamente interessanti: ti intossica e ti fa morire lentamente, ma così lentamente che sei costretto a “tirare” la pensioncina per trenta, quaranta, e cinquanta e più anni.
Il problema sta nel fatto che nessuno ti ha fatto edotto di tali e tante complicanze: si è mai visto un pastore che scrive bugiardini? E nessuno ha mai pensato a brevettare vermi, mosche degli ovili e casu marzu.
E queste considerazioni furono una ninna nanna per la notte di venerdì.
Al sabato, già facevo l'excursus delle materie prime usate nel tempo per tentare la sopravvivenza dei più deboli, dal latte di capra per nutrire figli di madri senza latte, a su casu axedu lasciato alla libera proliferazione di lieviti e batteri, alla miracolosa cura Di Bella basata su estratti di pipì caprina.
Ora che ci hanno sputtanato in tutto il mondo civile cosa faremo noi, popolo de su casu marzu? Ci vergogneremo e prometteremo di non consumarne più? Oppure ce ne fregheremo altamente e continueremo a spalmarlo sul pane caldo? Domenica, giorno del Signore e del referendum, ho pensato che c'è una via di mezzo: senza vergognarci, dichiareremo al mondo che è finita l'era de su casu marzu poi, tornati alle nostre case o ai nostri ovili, continueremo a mangiarlo rischiando di morire lentamente, ma così lentamente ...
E il Consiglio Regionale, in seduta riservata, dovrebbe decidere sull'argomento il segreto di stato per altri duemila anni. Altrimenti ci toccherà dividere l'alimento più nocivo del mondo non solo coi figli delle mosche, ma anche con tutti i figli di buona mamma che avranno superato il primo devastante impatto con i bigatti.
Riconosco che la mia proposta non è gran cosa, ma è sempre meglio di un referendum.

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