Leggi: “Un secco no alla balentìa” (con l'accento sulla i e con “balentia” fra virgolette come si confà alle parole straniere) e subito pensi ad un qualche gruppo umano che si è gettato dalla parte della titulia, della vigliaccheria. E invece no, naturalmente. Succede che a Buddusò, i cittadini, stanchi degli atti di teppismo e di vandalismo accaduti in paese, abbia gridato no a “malinteso senso di balentìa”. E cioè, come insegnano Antonio Pigliaru e Michelangelo Pira, all'esatto contrario della balentia, che è un modello morale dell'uomo sardo.
Non è la prima volta, né sarà l'ultima, che la stampa sarda e la cultura politica desardizzata parlano di balentes per significare il contrario. Balentes che compio atti da vigliacchi, ma quando mai? Mi sono sempre chiesto se in questo travisamento delle parole, invertendone il significato, ci sia un progetto originario di cancellazione di modelli morali non compatibili con la colonizzazione degli animi. O se ci sia, semplicemente, una profonda e coltivata ignoranza della lingua sarda e del suo gusto per l'antifrasi.
Quando si sente dire di un atto: “Balentia, mi'”, solo uno di quei marziani può pensare che si stia affermando che quell'atto o quel gesto è un atto di balentia: vuol dire esattamente il contrario. Ricordo un prezioso racconto, in merito, di Michele Columbu che immagina un dialogo – non troppo surreale dato l'esempio che riporto – fra un sardoparlante che cortesemente si trasforma in italoparlante. Per rispetto dell'ospite, va da sé. E di un terzo che si gira a veder passare una bella donna, dice: “Umh, l'occhio punto ha”.
“Oh, poverino.”
“Poverino perché?”
“Ma mi ha detto che ha l'occhio punto.”
“Al contrario, ho detto che ci vede benissimo.”
E su questo tono, il raccontino di Michele Columbu continua un bel pezzo, in uno spassoso elenco di antifrasi.
Temo, comunque, che per capire questo gioco a dire una cosa per significarne il contrario bisogna avere almeno una infarinatura di sardo o, anche, la modestia di imparare. Ma forse è meglio così: le antifrasi funzionano se si è partecipi della stessa concezione del mondo. Altrimenti si prendono fischi per fiaschi o, per stare in tema, balentia per titulia.
1 commento:
Un analogo discorso - prese le debite e grandi distanze - si può fare per quello che la stampa chiama oggi Mafia. Usando un'espressione "stenografica" per intendere attività illecite sottobanco oppure la vera e propria criminalità organizzata. Mafia giapponese, mafia russa, mafia cinese etc...
Ci si rifà - naturalmente - alla Maffia siciliana.
Esiste la concreta possibilità, però, che la "vecchia, cara Mafia", di cui parlavano Falcone e Borsellino con discreta cognizione di causa, fosse proprio atti di persone che in sardo si descriverebbero come balentes. Atti coraggiosi ( e doverosamente tenuti segreti gli autori) in difesa dei più deboli, da parte di ricchi arroganti.
Poi, tutto si corruppe: i "minnittusi" (e forse anche i Beati Paoli), smisero di agire e di riunirsi. Furono poco a poco sostituiti da altri, molto meno idealisti e molto più interessati.
I tempi cambiano, gli uomini cambiano: e con essi, il significato di parole un tempo belle...
Un saluto
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