martedì 8 luglio 2008

Lingua sarda e Università. Numeri da spavento

C’è da sempre la sensazione che tra la lingua sarda e le università di Cagliari e Sassari non corra buon sangue. Come per l’inflazione, un conto è, però, la realtà e altro conto è la percezione: questa è normalmente più alta della prima. Con questo di diverso: in quanto ad astio accademico nei confronti della lingua sarda, la percezione è assai più blanda dei numeri, della realtà, insomma. Sono numeri spaventosi, quelli che risultano alla Regione sarda.
Li snocciolo come li conosco. Per i corsi di formazione di insegnanti e funzionari, l’Università di Sassari ha ricevuto dallo Stato (legge 482 di tutela delle lingue delle minoranze) 723.100 euro: ne ha impiegato solo il 25 per cento. Dalla legge per la lingua e la cultura sarde, l’Università di Cagliari ha ricevuto dalla Regione 3.564.000 di euro: ne ha utilizzato solo il 39 per cento.
E come ha speso i soldi? Appena il 10 per cento per l’area linguistica e ben il 90 per le aree non linguistiche. Percentuali che valgono più di qualsiasi commento circa l’interesse dell’Università di Cagliari per la lingua sarda. Ma c’è di peggio: lo 0 per cento è stato utilizzato per insegnare in sardo le materie di studio. Lo zero per cento, avete letto bene.
Un po’ meglio va a Sassari, la cui Università ha impiegato il 26 per cento nelle attività legate alla linguistica. Ma anche qui, proprio nulla, lo zero per cento, è impiegato nell’uso veicolare della lingua sarda, nell’uso, cioè, del sardo per insegnare non solo altre materie ma persino la linguistica sarda.
Mi immagino che cosa direbbe il governo catalano, sapendo che, nelle università catalane, quella lingua ha un trattamento simile a quello riservato al sardo dalle università di Cagliari e Sassari. Credo che la Generalitat non spenderebbe un euro per finanziare atenei siffatti. Bisogna, però, dar atto alla Regione sarda che, già nell’idea di verificare dove vanno a finire i suoi/nostri denari, comprende una possibile svolta futura. E avverte che così non si può andare avanti.
Dicevo del rapporto esistente fra realtà e percezione di essa. La percezione era che l’avversione della gran parte del mondo accademico cagliaritano ad un tentativo di standardizzazione della lingua sarda nascondesse retro-pensieri. La realtà dei numeri (e delle percentuali) contribuisce a svelare questa arrière pensée. Vorrei sbagliarmi (perché fra gli ostili alla Limba sarda comuna, ci sono fior di galantuomini), ma vi intravedo due pulsioni principali.
La prima è che la mancanza di uno standard linguistico (quello esistente o un altro poco conta, ai fini del ragionamento) è utilissimo alla conservazione dello status quo accademico. Non si insegna in sardo (la lingua non è usata, cioè, veicolarmente) perché gli studenti provengono da realtà linguistiche talmente diverse che l’unica lingua franca, compresa da tutti, è l’italiano. Naturalmente questo non è vero. Il professor Giovanni Ugas insegna archeologia nella varietà imparata da bambino a Monastir e la cosa non sconvolge alcuno. Però va riconosciuto che la scusa dei sardofobi è ben studiata.
La seconda è più politica. Nasce dalla finzione che in Sardegna non esiste la lingua sarda, ma due lingue distinte (la “campidanese” e la “logudorese”). Si badi, non due varietà linguistiche ma due lingue e, a volte si dice, due nazioni distinte, una delle quali con mire egemoniche sull’altra. Una posizione politica, questa, che mira a rendere impossibile e comunque impraticabile un disegno di unità nazionale del popolo sardo che, così, è diviso artificialmente fra “campidanesi”, “logudoresi”, “galluresi”, “nuoresi”, “baroniesi”, “sarrabesi”, “ogliastini del nord”, “ogliastrini del sud”, le cui aree sono più evanescenti delle frontiere create in Africa dai colonialismi europei, oltre a sassaresi, tabarchini e algheresi i quali, almeno, hanno confini riconosciuti.
Quest’ultimo artificio, con tutta evidenza, ha una caratura diversa da quella data alla questione da chi osteggia lo standard realizzato (Limba sarda comuna), ma non l’idea di uno standard linguistico. Il meglio è nemico del bene, si sa, e così penso che questa ostilità alla Lsc sia sbagliata. Ma è l’artificio dei frantumatori della nazione sarda ad essere pericoloso: va combattuto con tutte le forze e da tutte le forze (politiche, sociali, culturali) che non si rassegnano a un destino di dipendenza. Vitale per i compradores, esiziale per i sardi.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Sono d'accordo con lei, lo status quo generato da quell'artificio (tutto POLITICO, non linguistico) che è la guerra tra le varianti produrrà esattamente l'effetto contrario a cui molti campanilisti non guardano: Il consolidamento nel nostro tessuto sociale dell'unico idioma imposto da Roma e la progressiva rimozione della lingua sarda dalla nostra terra. La consapevolezza di questa problematica comporta anche simboliche prese di posizione verso controverse soluzioni linguistiche tra cui spicca la LSC: Che dobbiamo difendere ed integrare. Grazie. www.urn-indipendentzia.com

nani5779 ha detto...

Facciamo un'altra Università. A Orosei siamo fieri della nostra lingua! E potremmo essere i felici del mondo se finalmente anche noi non dobbiamo spendere una barca di soldi in affitto per mandare i nostri figli all' università. Sarebbe un miracolo, una cosa meravigliosa. Si stava pensando addiritura di creare un centro linguistico privato con un nome in sardo e limba nostra in primo piano.