venerdì 31 agosto 2012

La Signora in giallo

di Stella del Mattino e della Sera

Dove arriva lei spunta il mistero. Una navicella fantasma a Teti, uno scarabeo nel ripostiglio di S’Arcu e is Forros che è lì in modo “inconsueto e inspiegabile” (1). Scritte indecifrabili al nuraghe Nurdole (1). Una Tanit più vecchia dell’epoca Cartaginese (1) (aiuto! vuoi vedere che quel simbolo è più antico??!! noooooo).
A un certo punto non ce la fa più e chiede aiuto ad un epigrafista di fama universale. Che invece di dipanare la nebbia la infittisce (gli epigrafisti son fatti così). Allora ecco che a S’Arcu e is Forros spunta un’anfora Cananea, in mezzo a un po’ di pentolini Nuragici, con una bella scritta di quelle lunghe lunghe. L’Epigrafista la decifra così:
1. segni incisi dopo la cottura (dove e quando? non si sa) su un’anfora Cananea dell’ VIII sec. a.C.
2. I segni sono Filistei e Fenici
3. Un segno (e dico ben un segno signori!) uguale ad un segno presente su un ostrakon di Ascalona, una città Filistea
4. Scrittura indecifrabile
5. Indica forse la matrice linguistica del protosardo (ma perché, se è Filistea, Fenicia e indecifrata?)
Certo che quella scritta è incasinata forte! altro che i mix di Sanna, le fanno un baffo.
Tanto che c’è, il duo vuota il sacco e confessa anche che a S’Arcu e is Forros c’è una lima Nuragica con un paio di letterine incise e sul muro esterno del nuraghe Nurdole ci sarebbero 4 segni di scrittura in fila, che l’Epigrafista non è in grado di leggere. Però, udite, udite, vuole dire che i Filistei erano presenti quando il nuraghe fu costruito! Ma che….? A Nurdole poi c’è un’altra bazzeccola di uno scarabeo Egizio col nome di Amenhotep III e la crittografia di Amun, con un amuletino con segni di scrittura senza significato (sarà Filistea?).  Signora in Giallo: tanto che c’era gliel’ha fatta vedere al professore la navicella scritta?
P.S.: per me in quella scritta sul caraffone Cananeo ci hanno infilato un pugnaletto Nuragico, per fare casino e senza significato (freccia rossa)

(1) M.A. Fadda, S'arcu 'e is Forros, Nuragici, Filistei e Fenici fra i monti della Sardegna (con scheda di Giovanni Garbini), Archeologia viva, n.155 settembre-ottobre 2012, pp.46 -57

giovedì 30 agosto 2012

Rayaniar faeddat in sardu puru


Su Comitadu pro sa limba sarda l'at torradu gràtzias oe a su Cumandante de Rayanair chi bolende sas dies coladas cara a Casteddu at impreadu sa limba sarda, in prus de àteras limbas, pro lis dare informos a sos passigeris chi ant agradèssidu meda. Su videu, giradu dae unu de sos biagiadores, at fatu su giru de s'Internet e a chie no l'at galu bidu l'agatat inoghe e totu. Cumbidende a Rayanair a la sighire gasi in totu sos bolos chi interessant sa Sardigna, su Comitadu pro sa limba sarda proponet a su Consìgiu regionale de faghere a manera de imperare s'impreu finas de sa limba sarda a totu sas cumpangias, aèreas, maritimas chi siant, ponende·bi in mesu, craru, sa regionale e sa privadas de postales chi biàgiant in Sardigna.
Su comunicadu de su Comitadu est inoghe.



Miniere, Alcoa e altri segni di coma


L’agonia della industrializzazione in Sardegna ha ripreso le prime pagine dei quotidiani e le aperture dei telegiornali. Ora tocca alla miniera di Nuraxi Figus, ieri all’Alcoa, prima alla Vinyls e prima ancora alla petrolchimica di Ottana. Fra l’uno e l’altro dramma, una miriade di fallimenti nell’industria tessile, in quella estrattiva (qualcuno ricorderà pure l’infamia della miniera d’oro di Furtei) e in quella edilizia. Figli della mala sorte, questi fallimenti? No, ma neppure figli solo della politica che di questi e di futuri disastri è responsabile insieme ai sindacati, ad una imprenditoria compradora e di una intellettualità impastoiata nella retorica industrialista  e incapace di esercitare la critica. O meglio, critica sì, ma nei confronti delle poche voci avverse, accusate di essere nemiche della classe operaia e delle sue magnifiche sorti e progressive.
I partiti italiani, tutti senza eccezione e con a volte la complicità del Partito sardo, hanno nel passato condiviso e fatto digerire ai sardi la monocultura petrolchimica e, quando questa cominciò ad agonizzare, stanziarono una quantità enorme di denaro per prolungare questo coma irreversibile invece di elaborare un progetto per la fuoriuscita non traumatica dalla crisi. Se la politica ebbe gravi responsabilità, non minori furono quelle degli altri segmenti della classe dirigente sarda. La incapacità di avere visioni autonome da quelle proprie delle rispettive centrali statali, fece sì che le imprese più truffaldine in circolazione potessero far nido in Sardegna con il finanziamento della mano pubblica. Colpa di partiti incolti e etero-diretti, certo, ma non si è mai sentita una voce critica da parte dei sindacati, degli imprenditori. Solo a truffa avvenuta e solo per l’intervento della magistratura si è “scoperta” una faccenda lampante.
L’Alcoa, una delle industrie più affamate di energia in una terra dall’energia carissima, è a rischio chiusura da almeno tre anni. Tre anni perduti nella irresponsabile corsa ad illudere i lavoratori che ne fosse possibile salvezza e rilancio. Persi, dico, perché in tre anni si sarebbe dovuto e potuto trovare una via di uscita non per conservazione di quel “posto di lavoro” ma per la sicurezza del lavoro. Fra qualche giorno, a Roma la questione dell’Acoa sarà al centro di un incontro che dovrebbe affrontare anche quella, davvero disperata, della miniera di Nuraxi Figus (Nuracsi, come pronunciano irritanti annunciatori televisivi, tanto pieni di sé da neppure informarsi). Se per la fabbrica d’alluminio, qualche speranza di prolungamento d’agonia c’è, per la miniera del Sulcis pare proprio di no.
D’accordo con l’amico Vito Biolchini: Io sto con i minatori, ma non con la miniera. La Sardegna chiuda definitivamente con il carbone: perché il vero sviluppo sta altrove. Meno con il suo j’accuse unilaterale contro la politica. Che, ripeto, ha enormi responsabilità, soprattutto di subalternità e di dipendenza. Ma che ha buona compagnia nei sindacati impegnati quasi esclusivamente a scaricare sulla politica responsabilità sue proprie. E ottima compagnia in quel ceto intellettuale che si è cullato nella mistica industrialista e operaista e che oggi sogna il giorno in cui potrà dare spallate.

mercoledì 29 agosto 2012

L’evento della luce dei fori apicali del nuraghe Ruju di Torralba

Nuraghe Ruju di Torralba
del Gruppo Ricerche Sardegna 

Come sappiamo i nuraghi sono considerati, dalla maggior parte degli archeologi, delle strutture di carattere militare; eppure in questi ultimi anni la loro unica funzione di fortezza è venuta meno, sostituita gradualmente da altri ruoli, come quello di magazzini o residenze reali.
Pochissimi cattedratici hanno ipotizzato che fossero templi, il più noto fra questi è sicuramente il Prof. Massimo Pittau. Sono ormai storici gli studi di Carlo Maxia e Lello Fadda, tra i primi ad aver portato come prova della funzione del Nuraghe-Tempio, i singolari eventi che accadono periodicamente all’interno di questi monumenti. Furono proprio questi due studiosi ad aver messo in evidenza il singolare evento da noi chiamato “fenomeno della luce dal foro apicale”. Gli eventi all’interno del nuraghe Aiga di Abbasanta, e del nuraghe Biriola di Dualchi furono da loro scoperti. A questi due casi si sommarono quello del nuraghe Is Paras di Isili (Zedda 1992) e altri due casi, l’Ola di Oniferi e il Nani di Tresnuraghes. Quest’ultimo da noi studiato e reso noto, assieme ad un accurato studio su altri eventi analoghi, nel libro “La luce del toro” (G.R.S Gruppo Ricerche Sardegna, PTM 2011). 
L’evento in questione si verifica quando il sole, nei giorni del solstizio d’estate, raggiunge una determinata altezza. In questo giorno così particolare è possibile ammirare uno degli eventi più sbalorditivi che animano queste antiche torri. Un sottile raggio di luce penetra attraverso il foro ricavato dagli antichi costruttori all’apice della cupola costruita all’interno del nuraghe. Tale raggio attraversa tutta l’ampia volta e va ad illuminare (se presente) la nicchia in sala, oppure la base della camera (Is Paras di Isili). [sighi a lèghere]

martedì 28 agosto 2012

Notizie false e fascismi veritieri

Circola da più di un mese nella Rete una notizia (IL COMUNE DI ORGOSOLO INTITOLA UNA STRADA AL DUCE) del tutto inventata dal gestore di un blog, Er blog der gatto col sombrero. Benché totalmente falsa, la notizia ha suscitato indignate reazioni di condanna, altre di incredulità e altre ancora di entusiastico sostegno alla dedica a Mussolini di una via orgolese, intitolazione che, naturalmente, non c’è mai stata. È una vicenda, questa, che dà da pensare a quanto possa la comunicazione attraverso l’Internet: un bufala, costruita attorno ad una falsa notizia e condita con una falsa intervista con il sindaco del paese e con una altrettanto falsa dichiarazione di un giovane militante dell’Anpi, continua a fare opinione e a suscitare dibattito fra “fascisti” e “antifascisti” di varie località. Quel blog imbroglione ha a suo modo mostrato come, sia pure in scala ridotta, si possa indirizzare e dirigere un dibattito sul nulla.
Ma è proprio il nulla? Da qualche giorno il termine “fascista” è tornato a circolare sui media come categoria dell’insulto, per via dell’epiteto regalato dal segretario del Pd a un altro uomo politico, Grillo. Si ricorderà che anche negli anni scorsi, l’anatema “fascista” fu largamente usato insieme allo speculare “comunista”. Il primo lanciato dalla sinistra contro Berlusconi, il secondo dall’ex premer contro il Pd. Allora l’intellettualità progressista e gran parte dei media – pochissime le eccezioni – strizzarono l’occhio.  Dall’altra parte della barricata, altrettanto fecero i non molti intellettuali e media di destra ammiccando agli strali lanciati da Berlusconi.
Sembrava, allora, normale dialettica politica, nell’edizione becera che della dialettica si andava affermando. E, infatti, le reciproche enfasi non suscitarono grandi discussioni. Diversamente da quanto avviene ora, quando gli insulti (fascista, zombi e altre piacevolezze) sono scambiati all’interno di quello schieramento che fu definito anti-berlusconiano e che con una approssimazione molto lasca è oggi definito di sinistra.
Che Grillo e Di Pietro utilizzino (oggi contro il Pd, ma ieri contro il berlusconismo) gran parte dell’armamentario tipico dei partiti totalitari è fuor di dubbio. Ho dubbi sul fatto che questo armamentario sia solo fascista e non, come mi sembra, anche comunista. L’evocazione dei morti viventi è tipica della cultura fascista, ma il bollare di fascista chi è dall’altra parte è parte integrante di quella comunista, quella che inventò l’epiteto di “pidocchi” a favore di intellettuali dissidenti. Se da quella parte dell’orizzonte politico italiano il marasma è completo, la parte opposta certo non sta meglio se, alla fine dei conti, dovrà ricorrere a Berlusconi per presentarsi al voto, l’anno venturo.
Quel che mi domando è che ci stiamo a fare da sardi in quella piazza politica. Non ho certo intenzione di dare a quel blog più importanza di quel che ha. Ma se una notizia falsa come il demonio, nata a tavolino in qualche parte della penisola, riesce a scatenare anche da noi una discussione infuriata su Mussolini e il fascismo, vuol dire sì che ormai la Rete non ha frontiere, ma anche che la dipendenza culturale fa più danni di quanto si possa pensare.

venerdì 24 agosto 2012

Macchè lotta allo spreco: la guerra è alle regioni speciali


Sostengo da tempo che le vestali dell’anti-casta utilizzano la sacrosanta battaglia contro gli sprechi nella amministrazione pubblica per scopi assai meno nobili. Del resto non hanno mai nascosto quale fosse il loro obbiettivo: riaccentrare nello Stato competenze e funzioni che persino una Costituzione unitarista ha dovuto delegare verso il basso: regioni, province, comuni. Non lo hanno nascosto, ma gran parte di noi ha fatto finta di non accorgersene. Persino chi non fa mistero delle proprie simpatie indipendentiste, sovraniste o solo federaliste ha creduto che, per fare un esempio, la guerra contro le province fosse davvero uno strumento per razionalizzare la spesa pubblica e, addirittura, per cominciare a debellare la casta politica.
L’abolizione delle province – misura sacrosanta se avesse comportato la contemporanea abolizione delle prefetture e, dunque, del dominio del Governo centrale sugli enti locali – è solo un grimaldello per riaccentrare poteri. Il risparmio c’entra assai poco ed è comunque un effetto collaterale. Quel che i neo bonapartisti  vogliono è un processo di concentrazione di tutti i poteri in capo allo Stato, ripercorrendo il cammino di “piemontizzazione” iniziato nel 1861, continuato durante il fascismo e interrotto nel secondo dopoguerra. Non è un caso che gli stessi vati anti-casta si scaglino contro le lingue delle minoranze non protette da trattati internazionali. Il preteso è che si spendono denari per tutelarle, spese inutili, sprechi. Una emerita stronzata, quasi che la lingua del Governo italiano non utilizzasse una marea di denaro per autotutelarsi e autoriprodursi. Il passo successivo era nelle cose e nelle cose infatti è: l’assalto alle regioni e, soprattutto, alle regioni speciali. Hanno ragione Adriano Bomboi scrivendo che questi attacchi sono il segno di una profonda incultura politica e Roberto Bolognesi, invitandoci a prepararsi al peggio.
Fino a qualche tempo fa, gli assalti alle autonomie, comunali, provinciali e regionali, sono stati, per così dire, impliciti, detti sotto voce. La politica del Governo Monti contro le autonomie e, ultimamente, contro le lingue ha dato animo a questi neo giacobini e soprattutto ai due loro portavoce che hanno fatto nido nel più importante quotidiano italiano: Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo. Il primo un tantino più eufemista del secondo che ieri ha finalmente rovesciato sul Corriere della Sera tutto il suo carico di ideologie vetero-stataliste. Un vera summa di stereotipi giacobini, che, se diventassero davvero linea di governo, aprirebbero alla Sardegna (e alle altre nazionalità della Repubblica) un’unica strada: quella del distacco dallo Stato italiano.
Rizzo non solo se la prende con la sinistra per la riforma del Titolo V della Costituzione, a suo parere troppo autonomista, ma caldeggia “l'unica proposta sensata che può rimettere l'Italia in carreggiata, ovvero una revisione radicale del ruolo e delle funzioni delle Regioni. A cominciare dall'abolizione degli statuti speciali”. Se così fosse, se – voglio dire – questa non fosse solo una mattana agostana, ma fosse la raccolta di piani di palazzo, alla Sardegna non resterebbe altro che mettere in cantiere con urgenza un progetto non più di Statuto di sovranità ma di Costituzione di stato indipendente. Mentre i partiti italiani nell’Isola, anche quelli che sembrano più aperti a un processo sovranista, cincischiano, persino votando la fiducia a chi ci discrimina su base nazionale, la cultura italiana dominante sogna un ritorno ad un centralismo totalizzante. E poco male se lo sognasse solo: sta regalando ad una politica allo sbando una elaborata piattaforma ideale e culturale per una azione concreta.
È vero che, tutto sommato, con tutti i loro difetti e meschinità, i ceti politici sono meglio dei ceti intellettuali, ma non sarebbe male che in Sardegna riflettessimo con attenzione su quanto questi ultimi vanno partorendo. Non vorrei che ci trovassimo, del tutto impreparati e con disperazione, a dover reagire agli esiti di questa nuova ventata di depresso giacobinismo. 

mercoledì 22 agosto 2012

Calendari Nuragici LuniSolari

di Giancarlo Melis

A fine giugno di una decina d'anni fa, poco dopo le sei del mattino durante l'ora della mia corsa quotidiana, dopo aver terminato una salita, lo sguardo spaziava in direzione dei monti verso ovest. Una grande luna piena occupava l’orizzonte. Bellissima, quasi incredibile nella sua magnificenza - pensavo – mentre continuavo ad osservarla prima di affrontare un altro tornante alla mia destra. Svoltando, il mio stupore non venne a mancare perché di fronte a me vi era il grande disco solare da poco sorto che si stagliava enorme nel cielo. Volgevo lo sguardo alternativamente ad est e ad ovest per osservare i due astri fronteggiarsi per un fugace momento nel loro pieno splendore(1) e il mio pensiero fu: "Iside è riuscita a ritrovare tutti i pezzi del suo sposo e a ricomporre Osiride." 
Una domanda mi posi allora: I nuragici conoscevano la misura del fallo di Osiride? Conoscevano cioè quel segmento/numero che metteva in relazione i fenomeni solari e lunari e i rispettivi calendari per poter dare origine a un nuovo ciclo temporale più o meno lungo?
Una positiva ed esauriente risposta ci è stata data e documentata da Mauro Peppino Zedda con le sue illuminanti ricerche. La tenacia dell’autore nel perseguire le sue iniziali intuizioni, malgrado il disinteresse del mondo accademico tradizionalista, ha aperto una grossa breccia nell’oscurità del periodo nuragico. L’autore si pone giustamente anche un’altra domanda: quali stelle di prima grandezza avevano, in quel periodo, una declinazione compatibile con l’orientamento dei nuraghi? Perché il collocare/costruire nuraghi che incorporano le posizioni dei lunistizi e le direttrici dei solstizi faceva si che, oltre a soddisfare le necessità calendariali, gli stessi fungessero da gnomoni per l’osservazione del tempo del cielo e per annottare il grado/tempo di variazione del sorgere o tramontare eliaco/draconico delle costellazioni, delle stelle e dei pianeti, in particolare quelli che fungevano e tuttora fungono da segnatempo, singolarmente Venere, Giove e Saturno o in coppia in occasione delle periodiche congiunzioni (es. Giove Saturno ogni venti anni). [sighi a lèghere]