lunedì 30 luglio 2012

Cannonate mediatiche contro lingue e autonomie


Sarà durissima da ingoiare, ma adulti e vecchi dovremmo rassegnarci a restituire ai nostri figli e nipoti quel che lo Stato (e noi per la parte che ci tocca) ha sperperato in diversi lustri. Dovremo rassegnarci, indipendentemente dal fatto che individualmente o come gruppi familiari abbiamo partecipato ad aumentare il debito pubblico. Molti dei tagli alla spesa annunciati saranno duri, altri ingiusti, altri malamente sopportabili. Ma ce ne sono di intollerabili per il loro carico ideologico, come quelli minacciati contro gli elementi di democrazia linguistica di cui più volte anche su questo blog si è scritto. Con quei tagli non si risparmia se non qualche briciola, ma si rischia di distruggere un clima di tolleranza e di pacifica convivenza fra lingue e nazionalità diverse della Repubblica, clima che si è costruito in decenni di battaglie culturali e politiche.
Il “risparmio”, la “lotta agli sprechi” sono categorie in sé affatto condivisibili. Ma spesso nascondono, sia nella politica sia nei media che le agitano, un odio ottusamente giacobino nei confronti delle autonomie territoriali, linguistiche, culturali. I professionisti dell’anti-casta, cui pure va il merito di aver fatto i conti in tasca ai ceti politici, alla fine non riescono più neppure a velare quale sia il loro sogno: il ritorno ad un centralismo napoleonico, quello del Risorgimento e del suo figliolo il Fascismo, che mai del tutto vinto, con la Costituzione era stato almeno scalfitto. Le pulci fatte alle autonomie regionali, quelle speciali soprattutto, e a quelle locali, ai loro costi, hanno poco a che fare con l’economia e molto con la statolatria e la diffidenza per l’autogoverno.
Uno dei padri fondatori dell’anti-casta, Sergio Rizzo, scrivendo del riordino delle Province afferma che esso “non verrà deciso dall’esecutivo, ma dalle autonomie locali, cioè dalle stesse Province. Un po’ come dare al cappone il potere di scegliere come e in quale modo celebrare il Natale”. Del “risparmio” a gente così non può fregargliene di meno: quel che vogliono è che sia l’esecutivo centralizzato a decidere quando e come immolare i capponi, cioè i cittadini nell’idea che se ne è fatta. Del resto, sono i professionisti dell’anti-casta che hanno pompato, fino a far fare una magra figura a Mario Monti, la campagna per il commissariamento della Regione siciliana con la falsa previsione di un suo prossimo fallimento per via degli sprechi perpetrati.
La lotta agli sprechi nella pubblica amministrazione, giusta per l’amor del cielo, è arrivata a tale punto di paranoia che, come mi è capitato di leggere qualche giorno fa, un altro giornalista dello stesso stampo e cordata ha indicato fra i motivi della crisi economica in Catalogna il fatto che lì si spendono soldi per tradurre in catalano libri scritti i altre lingue e che molti altri euro vengono dilapidati per fare radio e televisione in catalano. Tempo fa, nell’agosto del 2009, L’Espresso scrisse cose simili contro il “dialetto friulano” e un mese dopo fu la volta del Corriere della sera, seguiti poi da La Repubblica e da La Stampa. In tutti gli articoli, lo scandalo è che per tutelare e promuovere il friulano si spendevano soldi.
Sono passati due anni e i burocrati che allignano nel governo Monti sottraggono la politica all’imbarazzo di ridurre ai minimi termini quella democrazia linguistica che i giornali avevano appena intaccato, con pressapochismo e fornendo notizie false e tendenziose.
Nel decreto di Revisione della spesa e nel disegno di legge di ratifica della Carta europea delle lingue sardo, friulano e occitano sono ridotti a dialetti. Ed ecco che su questa trovata si sdraia una giornalista di Libero, Cristina Lodi. Si spendono soldi per il “dialetto friulano”, persino per tradurre il Vangelo nella “parlata locale” e poi si vede che per treni e strade “siamo alla Preistoria”.
Il sardo, in questa kermesse dell’ignoranza finalizzata, è trattato sul Corriere della sera del 28 scorso con meno arroganza, ma con una approssimazione impressionante. Mi ritrovo in quanto scrive Roberto Bolognesi, I bugiardi della sera.

domenica 29 luglio 2012

La scomparsa dei paesaggi primigeni e le ferite insanabili nel litorale sardo

di Vittorio Sella
 
La mina esplode e salta in aria quel gigantesco masso di granito che qualche attimo prima ha fatto da cornice alla scogliera. Sono le mani esperte del fochista che ha individuato il punto esatto dove aprire una nicchia in grado di accogliere quell'ordigno. La forza esplosiva spacca la resistenza della roccia, la frantuma e poi appare chi la rimuove per consentire all'acqua del mare di estendersi in quello spazio  lasciato vuoto dal taglio della barriera naturale. Non è l'azione solitaria di un operaio, ma l'intervento studiato, programmato, realizzato da un grande impresa con la regia degli studi tecnici che in quel tratto di litorale hanno voluto realizzare, sicuramente con tutte le autorizzazioni, un porto artificiale. La recisione della roccia è proseguita e al posto di quella barriera rocciosa è nata una sorta di passerella in cemento per consentire l'attracco dei natanti di varia natura e pescaggio. E a pochi metri dal mare sono state edificate decine di case, persino una chiesetta che dovrebbe dare il segno di una sorta di luogo dell'anima a chi trascorre le vacane nelle poche settimane d'estate.
Quelle villette con le porte chiuse
Quell'edificio di culto per buona parte dei mesi dell'anno rimane con il portone sprangato, come chiuse rimangono quelle decine di villette intorno a quell'angolo di litorale super edificato. Non so quando tutto questo ha avuto origine, ma ho potuto notare che in uno spazio ristretto, libero fino a poco tempo, campeggia una costruzione a più piani. Che si tratti di un cantiere aperto, lo si nota dalla presenza delle macchine impastatrici e da una gigantesca gru che allunga il suo braccio meccanico per tirare in alto materiali da impiegare nel costruire quel palazzo ancora incompiuto. A me è capitato di fare tappa con alcuni amici in quel tratto di costa sarda in una passeggiata nella tarda primavera a nord di Golfo Aranci, prima dell'arrivo della calura estiva e dell'arrivo dei turisti.
Una metamorfosi selvaggia
Ora che c'è chi fa il processo alle regole del Piano Paesaggistico e chi lo difende, mi è venuta in mente la metamorfosi selvaggia di quel tratto primigenio di litorale, una ferita aperta per consentire di accumulare profitti con un modo di urbanizzare, di edificare che nulla ha a che vedere con il turismo ed il bisogno di trascorre le vacanze nel mare sardo. E non vorrei che quel modello di sviluppo edilizio, che non è narrativa di risentimento, venga replicato all'infinito fino al punto da trasformare le coste sarde in una muraglia con il cartello vendesi o affittasi. Un messaggio, abbastanza visibile in questi anni, che la dice lunga sulla logica insaziabile che impera nelle città-mercato tempestate con gli slogan "di tutto di più". Tutto è pensato per spingere a comprare ciò che è superfluo e secondario rispetto ai bisogni primari.
Lo spreco di territorio e la lezione di madre natura
La voglia di spreco, alimentata dalla voracità del consumismo senza limiti, trionfa, si dilata dentro una visione liberista, che si trasferisce dal banco delle merci in vetrina al bene territorio, concepito come una torta da spartire, da sezionare e tagliare a fette, secondo le carte degli ingegneri e degli urbanisti incaricati di pianificare la morte di un paesaggio primigenio. Per loro non c'è limite, non c'è confine che non può essere superato. Anche il linguaggio subirà forzature: nel vocabolario, in linea con gli appetiti immobiliari, verrà nominato paesaggio costruito. Quasi  sempre la voglia di edificare viene alimentata dalla  presunta crescita demografica, una favola che sempre fa a pugni con i numeri reali, cioè con gli abitanti che di fatto abiteranno e vivranno in quel determinato luogo. Insomma numeri virtuali, pretesti per rendere credibile e giustificabile una pioggia di volumi e di case da immettere  nel mercato immobiliare,ma che troppo spesso, come  i tempi della crisi insegnano, resteranno vuote. Ed è per questa assenza del limite, per la corsa ad una crescita senza fine, per la moltiplicazione esasperata delle geometrie, anche in aree depresse e di salvaguardia, che a lungo andare il territorio sarà svilito  e penalizzato chi lo abita. Una lezione che ci ha dato madre natura più volte con le piogge abbondanti cadute nella costa orientale a partire dall'autunno del 2008. Cronache allarmanti, utili da rileggere, per riflettere sul futuro dei comuni costieri e sui disastri. Che non sono calamità naturali.

sabato 28 luglio 2012

Batista Columbu puru si nch'est andadu


Giuanne Batista Columbu si nch’est andadu, eris in Bosa a 92 annos. Un’àteru de sos babos mannos de su sardismu e de s’indipendentismu nos at lassadu. Apo tentu su mandu raru de li èssere istadu amigu e no apo nen sa gana oe nen su talentu de annànghere àteru: chi sa terra chi gasi meda as istimadu, ti siat lèpia, Bati’.

venerdì 27 luglio 2012

Onorevoli indifferenze verso il sardo. E onorevoli interessamenti

Non è dato sapere che fine abbia fatto l’emendamento che il deputato sardo Federico Palomba ha con successo proposto ai suoi  colleghi senatori perché si eviti la strampalata discriminazione della lingua sarda. Nel decreto sulla Revisione della spesa, un burocrate ministeriale (pare funzionario specializzato in bilanci) ha distinto le lingue di minoranza fra quelle tutelate perché “di madre lingua straniera” e quelle non tutelate perché dialetti. Tutto, in merito, tace. Sorte diversa sembra esser stata riservata alla lingua friulana: la Commissione cultura del Senato, su proposte del Leghista Mario Pittoni ha approvato alla unanimità il parere poi consegnato al Governo.
I commissari (nessun sardo, visto che i senatori della Sardegna di tutto si occupano tranne che di cultura) ricordano che la legge statale 482 di tutela delle lingue di minoranza non fa distinzione fra di esse, come invece ha stabilito prima il burocrate e poi il ministro che ha presentato quella norma psichedelica. C’è da sperare che il richiamo al buon senso e alla lettera della L 482 prevalga sulla tentazione di far passare, attraverso una incolta e antiscientifica affermazione, il tentativo di ridurre la democrazia linguistica a questione di rapporti fra stati. Altrimenti, è ovvio che toccherà alla Corte costituzione decidere se burocrati e tecnici al governo hanno la facoltà di mettersi sotto i piedi una legge dello Stato e la Costituzione.
In tutta questa vicenda, a fare la figura degli indifferenti se non peggio sono i deputati e i senatori sardi, con la lodevole eccezione di Palomba che pur non essendo senatore, non ci ha pensato due volte a chiedere al suo collega siciliano, senatore Giambrone, di farsi difensore del sardo. Del resto, non migliore sorte era stata riservata dai parlamentari che ci rappresentano in Italia al sollecito fatto loro dall’assessore regionale della Cultura affinché vigilassero per evitare lo scempio che della Carta europea delle lingue vogliono fare il Governo e, in particolare, il ministro degli Esteri. (Vedi il testo della lettera di Milia, riportato nel blog di Paolo Maninchedda).
La seconda e l’ottava commissioni del Consiglio regionale (si occupano fra l’altro delle politiche comunitarie e di diritto allo studio) hanno approvato alla unanimità la richiesta al Governo sardo e ai parlamentari “a proporre in sede di conversione del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95 “Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini” gli opportuni correttivi all’articolo 14, comma 16, affinchè vada necessariamente eliminato il riferimento alla “minoranza di lingua madre straniera” ripristinando l’interpretazione originaria di tale disposizione che consentiva, anche alla Regione Sardegna, l’applicazione della deroga prevista dal comma 5 anche alle altre minoranze linguistiche storiche tutelate dalla legge n. 482/99, tra le quali sono ricomprese il catalano e il sardo”.
E sempre all’unanimità hanno dato una sveglia sia al presidente della Regione sia ai parlamentari sardi a Roma con l’invito “a vigilare e a porre in essere tutte le opportune iniziative, in sede di approvazione in Parlamento del disegno di legge n. 5118/XVI, affinché la lingua sarda possa vedere garantiti i massimi livelli di salvaguardia e promozione in ogni settore della vita economica e sociale, con particolare riguardo all’ambito dell’istruzione e dell’informazione, in modo tale da consentire una sua piena ed effettiva tutela in considerazione del valore storico, identitario e culturale della stessa”.
In un momento in cui la lingua sarda, e insieme ad essa la stessa identità nazionale, sono prese di mira credo valga la pena segnalare quanto scrive il sardista Paolo Maninchedda nel suo sito: “[…] una cosa mi è chiara: oggi abbiamo importanti intellettuali impegnati nella studio, nella tutela, nella promozione e nella diffusione della lingua sarda, ma abbiamo un basso tasso di resa politica della “questione lingua” ai fini dell’indipendenza. Il difetto è evidentemente di chi fa politica e quindi anche mio.”

giovedì 26 luglio 2012

Spunta il dossier scrittura nuragica: e va tutto a gambe all’aria

di Stella del Mattino e della Sera


[...] danno la misura di quanto velocemente nuovi documenti  entrino a far parte del dossier sulla “scrittura“ nuragica […] Boom!! 
[…] Io ho scoperto i primi segni di scrittura sui reperti nuragici nel lontano 1967 inseriti poi nella mia tesi di laurea[...] Boom al quadrato!!
Questa volta il famigerato Gigi Sanna non c’entra, né c’entra la candida Atropa - che si fa fregare da falsari di stato i quali mettono apposta reperti scritti in bacheche di musei. Chi pronuncia le parole impronunciabili sono due archeologi medagliati e tutto: Paolo Bernardini e Giovanni Ugas. Come spesso accade quando si infrange un tabù e complice la canicola, la frase proibita - scrittura nuragica – rischia di diventare il tormentone dell’estate. Il tutto mentre il principale indiziato si arrostisce al mare. Ci sono solo alcuni problemi di orientamento (vd. figura): grecizzante Ugas, in tunica con spacco laterale, ci propone il nome AISHA per lo spillone di Antas  (bello, lo suggerirò a mia nuora per la nascitura!); più sobrio, seppur elegante, Bernardini, nei rossi colori dei Fenici. Gira e rigira, l’odioso manufatto nuragico più che uno spillone è una vera e propria spina nel fianco degli  Ermeneuti.
Non conta: la pista greca ha qualche difficoltà, dice Bernardini, ma può andare uguale. L’importante è prescindere “dalle sconclusionate e deliranti affermazioni che impestano una certa pseudocultura locale” . Però mi sembra che si prescinda anche da ciò che il dr. Minoja ha fatto dire al dr. Giro: [..]come ben esplicitato in tutti i testi scientifici sulla civiltà nuragica, questa non ha mai conosciuto la scrittura[..]. E’ lecito quindi derivare che Bernardini e Ugas non scrivono testi scientifici? Un qualche dubbio ci assale, perché in quale testo scientifico si può mai scrivere certe frasi?
a. [..]La stele iscritta e il più piccolo frammento di iscrizione da Nora,  con la loro datazione fluttuante tra l’XI e il IX-VIII sec. a.C.[..]
b. [..]Non sarà lecito, in ogni caso, utilizzare la presenza o l’assenza dell’esperienza scrittoria come criterio ideologico di valutazione della complessità e maturità di una cultura; non sarà banale ricordarlo in un’epoca che ancora molto fatica a liberarsi dai ceppi atroci del colonialismo e del razzismo [..]

martedì 24 luglio 2012

Scola: Boleis chi imparint su sardu a is fillus?

de Giampàulu Pisu


Custu 28 de su mesi de Argiolas, a is 9:30 in s’ex Tzentru Agregatzioni Sotziali de Sàrdara, bia Aristanis n.59, s’adòbiant Sìndigus e Aministradoris comunalis Sardus cuscientis de s’arriscu de sperdimentu de sa lìngua insoru e chi no bolint essi còmplicis de cust’arrori polìtigu-antropològicu- culturali.
Issus ant delibberau in consillu comunali po pediri a sa RAS s’arrespetu de sa L 482/99 asuba de is minorias linguìsticas. Sa lei narat ca po s’imparu de sa lìngua nosta is mòdulus de preiscritzioni scolàstica depint cuntenni custa pregonta. Funt unus noranta is comunus chi ant pediu s’arrespetu de sa lei: de cuatru unu de totu is comunus sardus! At a bastai totu custu po fai aciungi una riga in d-un’arrogu de paperi? Poit’est chi si funt dèpius strobbai totu custus consillus comunali po s’arrespetu de unu deretu giai scritu in sa lei?
Ma cantu bortas tocat a dd’aprovai una lei? Cust’adòbiu est fintzas s’ocasioni po pediri una lei noba po s’amparu de sa lìngua. Si bolit fintzas chi sa lei previdat in manera orgànica sa presèntzia de is àteras spetzifitzidadis culturalis nostas, Stòria in primis. Un’atu chi si spetat po lompi a una scola no sceti de Sardìnnia ma Sarda puru. Una scola chi trasmitat a fillus nostus unu sentidu de apartenèntzia identidàriu chi ddus pesit e ddus fatzat cresci castiendi a su mundu cun sa cuscièntzia de apartenni a unu pòpulu chi at donau e bolit sighiri a donai, cun is spetzifitzidadis suas, su contributu a sa tziviltadi.

PS - E b'at un'àtera noa bona, crompende dae s'Universidade de Tàtari e contada dae s'AGI ("Agenzia Italia): "Il Senato accademico dell’universita’ di Sassari chiede il rispetto della legge 482 del 1999 che include il sardo fra le lingue di minoranza ammesse a tutela, per evitare una discriminazione prevista dalla spending review del governo in materia di personale. Il decreto prevede che non possano essere piu’ assegnati dirigenti a tempo indeterminato alle scuole con meno di 600 iscritti, soglia ridotta a 400 per le aree caratterizzate da specificita’ linguistica, in cui la Sardegna non e’ compresa.
A segnalare la questione al Senato accademico e’ stata la commissione d’ateneo per la lingua sarda. Il danno per la Sardegna “e’ doppio”, fa sapere l’universita’, in quanto sara’ ridotto il numero dei dirigenti scolastici a tempo indeterminato e poi perche’ “si stabilisce in modo del tutto arbitrario che le aree geografiche caratterizzate dalla presenza di minoranze di lingua madre straniera (per esempio, tedesche, francesi e slovene) siano piu’ importanti di altre in cui si parla il sardo o il friulano. “Tra l’altro”, segnala l’ateneo sassarese, “il decreto legge produce anche un paradosso per la regione, perche’ la minoranza catalana di Alghero rientrerebbe tra quelle da tutelare, a differenza di quella sarda”.
In una delibera appena approvata, il Senato accademico auspica che per la Sardegna si riveda la normativa nazionale e che si riconoscano “come ugualmente meritevoli di tutela le minoranze di lingua sassarese, gallurese e tabarchina”, come previsto dalla legge regionale 26 del 1997"
. [zfp]

lunedì 23 luglio 2012

Supercercatoredicocci, un po' per celia, un po' per irritarsi


di Mikkelj Tzoroddu

Abbiamo trovato il Supercercatoredicocci e ve ne diamo conto, con qualche nostro commento:
17 lug 2009 – Intervista di “Antika notizie” a Rubens D’Oriano: “Lo abbiamo intervistato per voi e oggi vi presentiamo la prima parte del nostro interessante colloquio con: questo autentico luminare dell’archeologia sarda”.
D. Il progetto più importante su cui ha lavorato?
R. Lo scavo del tunnel sotto il porto di Olbia: 380 m di lunghezza, 20 di larghezza, 4 di prof. media […]
Ci si chiede: ma “questo autentico luminare dell’archeologia sarda” è, forse, alle dipendenze di un’impresa di lavori stradali?  Egli poi continua
[…] ove sono stati rinvenuti 24 relitti romani e medievali, e il loro restauro e esposizione nel Museo di Olbia, nonché l’allestimento complessivo dello stesso Museo.
E, per quanto riguarda i relitti casualmente presenti, è cosciente del fatto che egli (insieme a tutta la sottintendenza) in questo ritrovamento non ha avuto nessun ruolo, ma il merito deve essere riconosciuto alla casualità della messa a punto del progetto del tunnel?
D. Il suo sogno nel cassetto?
R. (dopo averne fornito uno, ndr)  Se posso esprimerne un altro: vorrei non vedere più in canali televisivi, almeno del cosiddetto servizio pubblico, trasmissioni che danno fiato a ridicole panzane (dalla Sfinge ai “segreti” dei Templari passando per Atlantide, le linee di Nazca, i “misteri” dell’Isola di Pasqua, ecc.) che fanno strazio di ogni metodo scientifico di ricerca storica e archeologica, trasmettendo allo spettatore come vere o verosimili assurde ridicolaggini e ponendo qualsiasi dilettante sul piano degli studiosi professionisti.
Osserviamo: capperi! E ci si chiede: ma “questo autentico luminare dell’archeologia sarda” (come ama farsi definire nell’intervista), come può esprimere un giudizio improntato a sì greve pressapochismo, su una così importante vastità di interessanti tematiche? Di professione fa il tuttologo? Vediamo come esso, trasportato da esagerata alterigia - certo rinvigorita dalla invereconda definizione attribuitasi -  ritenga che solo chi opera (o dovrebbe operare con successo) quale cercatore di cocci ad Olbia, sia da porre «sul piano degli studiosi professionisti».  Ove altri si occupino della Sfinge, dei Templari, ecc., trasmettono solo assurde ridicolaggini! Dalla compostezza, dal rispetto per l’altrui lavoro, dall’arguto discernimento, dalla profonda disamina, che traspaiono da tale dichiarazione (fuori tema tra l’altro), abbiamo finalmente compreso quale debba essere la modalità di offrirsi al mondo, di “un autentico luminare dell’archeologia sarda”.