domenica 13 marzo 2011

La mia vendetta di Carnevale

di Efisio Loi

Perché l’ho fatto? Oltreché tentare di strappare l’ “Oscar della Chiarezza” a Paolo Valente Poddighe? A proposito, nessuno mi ha ancora detto se ci sono riuscito. Dovrò aspettare la notte degli Oscar. L'ho fatto per vendetta, che diamine! Sì, vendetta, tremenda vendetta! E non mi importa se ha letto dei miei grissini anche chi non c’entra con i miei risentimenti. Quel povero Giuseppe Mura (grazie Giuseppe), ad esempio, che ha letto le mie pirolate fino in fondo. Mah!? Che volete, quando piove, piove sul giusto e sull’ingiusto. Intanto, uno l’ho “cassato” (dal sardo campidanese: cassau = preso), almeno un altro, finora, latita. È una vecchia volpe, quello, ma non dispero.
Vi dirò, col cuore in mano: io non sono di mal animo ma, ogni volta che leggo, e mi capita ogni volta che scrivono, Atropa belladonna e Gigi Sanna, mi vengono i travasi atrobiliari e il mio cuore si rivolge alle Erinni. Quelli lì, sì, quei due, mi hanno stregato e mi tengono avvinto al loro presemitico, proto cananeo, prefenicio, protougaritico e chi sa quali altri pre e pro, che il diavolo se li porti.
Io non ci capisco una mazza e meno ci capisco, più m’incacchio. Ogni volta devo correre a prendere le tabelline con tutti i segni, i simboli, le lettere messe in giro da quando gli uomini hanno avuto la bella idea, non soltanto di pensare e parlare, ma anche di far sapere a tutti, dico tutti, presenti e futuri, i loro pensieri e le loro parole.
Così non può andare avanti, mi son detto, è necessario “de dhis torrari su pratu” (restituirgli il servizio. Trad. per Atropa). Pensa e ripensa, mi capita sott’occhio la pintadera di Nuraxinieddu e quelle cagne di Erinni “m’intzullint”, mi istigano. “Immoi si dhus cuncurdu ‘eu su cundiulu” (Ora glielo preparo io il bocconcino. Sempre per Atropa). Proviamo a vedere se riesco a incasinarli almeno un pochino. Intanto mi son dovuto incasinare io nel modo che si è visto e aspetto con terrore la prossima visita di Norace. Atropa mi ha liquidato a modo suo (Grazie Aba): “che tipo”. E attende giustificazioni. Quell’altro non mi ha manco degnato, e dire che siamo stati colleghi.
Ora vi prego di guardare le date e allora capirete perché “m’inci scapàt s’arrisu”. Ho scritto quel che ho scritto già dentro la quaresima ma subito dopo, domenica, oggi, è “su ‘ominigu de segapingiadas”, la pentolaccia, un supplemento di carnevale e “a carnevale ogni scherzo vale”. Per farmi perdonare, mi cospargerò il capo di cenere, ancora una volta.

Quello slogan privo di contenuti chiamato 'abbalibera/acqua pubblica'

di Adriano Bomboi e Marco Corda (*)

Se vi dicessero che l’acqua, bene comune, un giorno verrà privatizzata, mercificata e che sarà disponibile solo ai costi di chi potrà permettersela mentre “il resto del mondo torna alla gestione pubblica”, che rispondereste?
Probabilmente la cosa più ovvia: saremmo tutti contrari.
Perché tutti vogliamo che l’acqua sia un bene libero ed accessibile a chiunque.
Ma l’Italia non è “il resto del mondo”, è un Paese dai forti ritardi culturali nella gestione della macchina pubblica. Una macchina che dello spoil system ne ha fatto una impietosa parodia, elevata al rango del più tetro clientelismo politico.
Dall’Italia Giolittiana, passando per il fascismo e la Prima Repubblica, fino ad arrivare ai giorni nostri, scorgiamo tutte quelle strutture che consentono nel territorio ai potentati politici di governare: Sanità, gestione dell’acqua, telecomunicazioni (ormai svendute, non a favore del mercato, ma a beneficio di nuovi oligopoli), scuola, ecc.
Il resto del mondo si è avviato da anni verso vere liberalizzazioni: si è aperto al mercato migliorando la qualità dei servizi offerti ed abbassandone così anche i costi di accesso. L’Italia invece invecchia, con le sue inadeguate strutture. Perché? Perché il progresso spaventa i furfanti della politica. In esso c’è efficienza e nell’efficienza non è la politica che decide chi o come deve lavorare in un ente più o meno pubblico (alimentando un suo giro di voti), ma sono i manager, sono il mercato, sono la domanda che incrocia l’offerta in un sistema di pesi e contrappesi in cui la legge stabilisce quali sono i confini che la politica non può superare e stabilisce quali sono le sanzioni per l’ente pubblico o privato che non compie il suo dovere.


(*) di U.R.N. Sardinnya

sabato 12 marzo 2011

Le ciambelle e i grissini della pintadera goniometro

di Efisio Loi


Se mi permettete chiamerò gli unici elementi strutturali che riesco a vedere nella pintadera, pìroli, grissini e ciambelle; queste ultime, una a forma di semicerchio e le altre quattro circolari.  Perdonate il poco rispetto per gli arcani segni, è frutto dell’ignoranza. Provo un’invidia che non vi dico a non poter usare termini come Chevron che, se ho ben capito, ha qualcosa a che vedere con angolo. Sto parlando della copia, per qualche tempo in mostra nell’Antiquarium di Oristano, oggetto del bel post, 20 febbraio 2011 di Atropa belladonna, dove i miei piroli sono in rilievo così come i miei grissini e ciambelle. Se non ho capito male, nello “stampo” originale (autentico o falso?) i punti sono piccole coppelle, incavi insomma e la stessa cosa vale per i grissini e le ciambelle. 
Copia della pintadera di Nuraxinieddu
Figuratevi se riesco a leggere qualcosa nell’originale, ampiamente sbocconcellato, annerito e consunto e, per di più, in fotografia. Nella copia, di piroli sul bordo circolare ne ha contati una quarantina, sicuramente sono di più ma, nella parte bassa della foto non è facile individuarli. Ce n’è altri quattro al centro delle ciambelle circolari, uno, in quella centrale, fa da centro alla pintadera. Ancora sette se ne possono contare allineati, dal bordo esterno verso il cerchio posto al centro, a ore 4,30 o, se preferite a 300° circa, rispetto agli assi cartesiani con origine al centro della pintadera, per com'è l’orientamento nella foto a corredo dell’articolo di Atropa belladonna. 
Di grissini ce n’è di diversa forma: rettilinei, curvilinei e fatti a triangolo (non mi azzardo a dire Chevron e non capisco perché quando digito questa parola, il mio computer, in automatico, mi cambia l’iniziale in maiuscola; la cosa mi fa una certa impressione. Saranno le frequentazioni con Norace). Di rettilinei ne ho contato tredici fra ore 3 e ore 10 circa (orientamento foto Atropa), in senso antiorario, nella parte alta, cioè, della foto; se preferite, come prima, da 00° a 180°. Il settore circolare di 30°, da 160° a 190° o giù di lì, che rimane per coprire tutta la mezza pintadera superiore, per come è fotografata, è occupata da un Chevron (dovrei dire, nella mia pochezza, due grissini messi a formare un angolo acuto) e da due grissini lineari ad andamento subparallelo. 

venerdì 11 marzo 2011

Alè, il Consiglio regionale impallina se stesso

di Torchitorio


I consiglieri regionali sono riusciti nell'impossibile: presentare due ordini del giorno sull'inquietante questione del poligono di Quirra senza approvarne alcuno. Roba non da politologi ma da puericultrici e psichiatri infantili. Gli uni, sulla destra per chi guarda, rinunciano a cercare un accordo con gli altri, sulla sinistra di chi guarda, perché da Roma arriva un paterno invito a non accettare caramelle dai cattivi. Il nulla che si indovina al centro? È la metà del Partito della Nazione. Dell'altra metà, una parte sta con la destra – sempre per chi guarda – e l'altra con la sinistra.
Quelli a destra non riescono a far approvare il loro ordine del giorno: mancano i voti necessari. Quelli sulla sinistra (con chiazze centrodestre e indipendentiste) lo stesso: dalla loro ammucchiata variopinta si sganciano alcuni e va a finire che hanno lo stesso 50% della ammucchiata contraria (quel che resta della maggioranza di governo più elementi dell'opposizione). Naturalmente, chi avesse interesse ad entrare in mezzo a questi machiavellismi (per rispetto a Niccolò, Mitterrand li definì fiorentinismi) troverebbe delle spiegazioni. Ma che senso ha? Il risultato è che i nostri consiglieri regionali si hanno giocato alla mariglia della politichetta una questione seria come il costringere chi di dovere a dare risposte vere, né allarmistiche né reticenti, ad una domanda: “Che cavolo succede nel Poligono di Quirra?”
Un giornale definisce oggi “vergognoso” quel che è successo nel Consiglio regionale della Sardegna. Esagerato, bastava scrivere che non bisogna mai dare – mi si perdoni la trivialità - “a fessa in mano a creature”. Anche perché, mentre in via Roma si dava spettacolo, vogliamo dire?, di approssimativa gestione dell'autonomia, a Roma il ministro niente po' po' di meno che per gli affari regionali, cassava e rinviava alla Corte costituzionale alcune norme della Finanziaria e una leggina sulla caccia. Questo governo, amico della maggioranza di centrodestra replica quel che un altro governo amico della maggioranza – allora di centrosinistra – quello di Prodi, ha fatto contro la Giunta di Renato Soru. Secondo il governo Berlusconi, così come secondo quello Prodi, le norme sarde confliggono con le leggi italiane ed eccedono comunque rispetto ai poteri della Sardegna.
Dunque bisogna accrescere i poteri della Regione sarda, no? Magari con un nuovo Statuto. Per avviare la discussione su questa nuova Carta, la Commissione riforme doveva aver finito più di un mese fa alcuni adempimenti. Lo avrà fatto? Macché. In compenso, qualche giorno or sono, ha “recepito” la legge dello Stato che falcidia i consigli comunali. Fra le misere competenze regionali c'è per Statuto quella di legiferare, in maniera esclusiva, in materia di “ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni”. E che ti fa una delle commissioni più importanti del Consiglio della Regione autonoma? Recepisce. All'unanimità. Ingoia (e ci fa ingoiare) una pappa già pronta, senza neppure adattare gli ingredienti al nostro gusto.
E si capisce: vuoi che proprio nel 150° dell'Unità d'Italia, qualcuno avanzi timidamente l'idea che la Sardegna possa essere diversa e con una qualche sua peculiarità?

Col tuo permesso, do a questo tuo articolo non l'etichetta "Politica", come per l'altro, ma una più consona: "Psichiatria". [zfp]

Atlantide in Sardegna e a Cagliari? (I)

Una delle dislocazioni di Atlandide

di Giuseppe Mura

Chi affronta il tema su Atlantide affidandosi esclusivamente alle datazioni, alle cifre, alle dimensioni e alle ricchezze proposte da Platone nel Timeo e nel Crizia va incontro, inevitabilmente, a due alternative:
la rinuncia immediata a qualsiasi tentativo di identificazione o, se proprio intende insistere, giustifica il tutto accettando l’esistenza di una qualsiasi forma primordiale di civiltà di alto livello, magari di provenienza extraterrestre.
Come giustificare in altro modo le evidenti esagerazioni contenute nel racconto di Platone su Atlantide? Mi riferisco agli oltre novemila anni di antichità a partire da Solone, il “saggio” che, nel 600 a.C. riceve le informazioni sulla misteriosa isola da un sacerdote egiziano, all’esistenza di un esercito di oltre un milione di uomini, alle dimensioni di un’isola e di una pianura che non hanno uguali nel pianeta terra, all’esistenza di una città “cerchiata” dalle strutture incredibilmente complesse, all’utilizzo di metalli rari come oro, bronzo, stagno, rame e oricalco per “intonacare” le pareti dei templi e delle mura che racchiudono le cinte.
Una gran moltitudine di studiosi ha affrontato il problema di Atlantide partendo da presupposti diversi e arrivando a molteplici conclusioni, alcune delle quali davvero difficili da accettare. La conoscenza di questa vasta letteratura consente di cogliere gli aspetti positivi e negativi delle singole ipotesi e, perché no?, di formularne una propria capace di spiegare, per quanto possibile, il mistero che si nasconde dietro quello che è considerato “il mito dei miti” per eccellenza.
A mio parere il tema Atlantide non può essere affrontato senza conoscere il pensiero globale di Platone, desumibile dalla sua vastissima produzione letteraria. In merito al tema in discussione, il grande filosofo considerava i grandi del passato, specie Omero ed Esiodo, veri e propri “Maestri” anche nelle materie storiche e geografiche e riferisce che le loro principali opere contenevano un alto grado di veridicità, seppure velato da alcuni aspetti mitologici.

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giovedì 10 marzo 2011

Trasporti sempre più cari e intorno il silenzio

di Augusto Secchi

Stamattina ho preso il mio solito caffè con i soliti amici e con un simpatico rappresentante di commercio di Mirandola, provincia di Modena, che ci chiedeva come mai in Sardegna non c’è ancora un movimento di forte indignazione sul caro traghetti che, a suo modesto parere di uomo pratico che lavora con numeri e percentuali, metterà in mutande l’economia dell’isola. Poi ci ha mostrato due biglietti dove veniva evidenziato, senza tema di smentita, il raddoppio della tratta: dai cento e otto euro dell’anno scorso, ai duecento e passa euro di alcuni giorni fa. Siccome era in vena di confidenze ci ha confessato che, in quella costosa traversata, aveva discusso della questione con alcuni autotrasportatori che, anche loro in vena di confidenze, gli avevano confessato che da qualche mese erano stati costretti ad aumentare il costo delle merci trasportate. Merci che, una volta giunte sugli scaffali della piccola e grossa distribuzione, sarebbero aumentate ancora. Fra queste, ci disse sorridendo, c’è anche il caffè che stiamo sorseggiando in questo momento.
Nonostante fosse in vena di confidenze ha avuto il pudore di non dircelo ma, da alcune espressioni, ho capito che allo sbarco nel porto di Olbia si aspettava un mare di figli di guerrieri nuragici che sventolavano bandiere e cartelli, politici che si stracciavano le vesti, altri che protestavano intorno ad un fuoco ravvivato dalle loro tessere di partito che si facevano fiamma e cenere. Mentre gli dicevo che anche noi siamo un po’ abbagliati dall’Isola dei famosi, da Facebook e dalle vicissitudini del Cavaliere che sono diventate più intriganti di un giallo di Fois, sono stato sopraffatto da una serie di domande: “perché questo silenzio non viene infranto da una voce potente e autorevole che senta la necessità di urlare ai quattro venti quest’embargo che a breve ci metterà se non in mutande almeno in ginocchio?
Abbiamo bisogno di un rappresentante di commercio di Mirandola che ci ricordi la gravità di quanto sta succedendo? Perché, a parte qualche voce a scoppio ritardato, tacciono i nostri eletti che siedono su scranni dove noi li abbiamo messi per controllare, verificare e, quando è necessario, urlare la loro indignazione? Perché un tale di Mirandola si indigna per questo scandalo e i nostri politici continuano a far finta che nulla ci sia sotto il sole?” Ma poi, mentre salutavamo il simpatico rappresentante che andava ad imbarcarsi, ho capito: i nostri politici vanno e vengono con agevolazioni e privilegi, il rappresentante di Mirandola, e i poveri cristi, possono solo pagare con denaro contante o sventolare bandiere. Quando ne hanno voglia.

mercoledì 9 marzo 2011

Ultime news sulla (non) scrittura nuragica

di Stella del Mattino e della Sera

Risale al gennaio 2011 la decisione ufficiale su 4 reperti archeologici sardi, di epoca, collocazione, circostanze di ritrovamento in varie fasi di definizione. La decisione finale, che presto diverrà decreto se non legge legge, la si trova in didascalia di Figura 1. Si noti che la conclusione, inopinata, non ha molto a che fare con le singole risposte date riguardo ai 4 reperti oggetto delle interrogazioni dei senatori Massidda e Sbarbati.

Figura 1: I reperti citati dai promotori non recano peraltro alcuna traccia
di scrittura di età nuragica anche perché, come ben esplicitato in tutti
i testi scientifici sulla civiltà nuragica, questa non ha mai conosciuto la scrittura
”.
Testi da: Legislatura 16º - Aula - Resoconto stenografico della seduta n. 491 del 20/01/2011

Dalle risposte al reperto 1 e 2 potrebbe sì seguire “I reperti citati dai promotori non recano peraltro alcuna traccia di scrittura di età nuragica”, ma non certo dalle risposte al reperto 3 (reperto non esistente, quindi non valutabile), né da quella al reperto 4 per il quale sono “in corso ricerche in proposito”. Ricerche del reperto, della fotografia o della fotocopiatrice? Non si sa.
Quanto alla frase “I reperti citati dai promotori non recano peraltro alcuna traccia di scrittura di età nuragica anche perché, come ben esplicitato in tutti i testi scientifici sulla civiltà nuragica, questa non ha mai conosciuto la scrittura”, quel ”anche perché” non ha nulla a che fare con la prima parte : è logica elementare.
La decisione ufficiale stride un pochetto con le ultime novità, pur essendo posteriore ad esse. Il prof. Bernardini dovrà però interrompere, pena pesanti sanzioni pecuniarie o peggio, le sue ricerche su spilloni e segni potenti vari. D'ora in poi anche la banale scimmiottatura di segni è vietata ai Nuragici: se non conoscevano la scrittura, non la conoscevano e basta, scopiazzata o meno. Finalmente un po' di chiarezza porrà fine allo smarrimento (Figura 2).
Figura 2: indici di smarrimento davanti a reperti nuragici con segni vari.