martedì 7 dicembre 2010

Secondo corso di epigrafia nuragica

Il logo del corso
Il giorno 29 (sabato) Gennaio 2011 alle ore 17 nella Sala Conferenze dell'Istituto di Scienze Religiose di Oristano (Via Cagliari 179) si terrà l'inaugurazione del secondo Corso di Epigrafia e di scrittura nuragica.
Il ciclo delle lezioni verrà presentato dal Direttore del Corso, prof. Antonio Pinna, docente di Sacra Scrittura presso la Facoltà Teologica della Sardegna.
Seguiranno le relazioni introduttive del prof. Gigi Sanna, docente di Storia della Chiesa Antica presso l'Istituto di Scienze Religiose di Oristano e di Gianfranco Pintore, giornalista e scrittore.

Il Corso di epigrafia e scrittura nuragica dell'amico Gigi Sanna è arrivato al secondo anno di vita e ha dovuto trovarsi uno spazio più ampio per poter ospitare, almeno in parte, coloro che vi vogliono prender parte. Quando Gigi mi ha chiesto di dire qualcosa ai partecipanti al corso, da osservatore non neutrale dello straordinario interesse che circonda la scoperta della scrittura nuragica mi è venuta in mente l'immagine, ricostruita in decine di film, di un gruppo umano rinchiuso di notte in una spelonca, per il terrore di quanto fuori capitava. Con l'arrivo della luce, il gruppo umano usciva al sole e si rendeva conto di quanto "infantili" fossero state le paure notturne.
Non è quel che succede nel fortino in cui sono asserragliati funzionari e dirigenti delle Soprintendenze sarde e nelle università in cui pur bravissimi archeologi stentano ad accorgersi che un reperto scritto può essere un caso, settanta e più no. E continuano gli uni e gli altri a ripetere, come un brano del catechismo, "la scrittura nuragica non esiste perché non può esistere". Soprattutto i primi, soprintendenti e funzionari, si sentono assediati da orde barbare che ce l'hanno con loro perché non appoggiano le "fantasiose elucubrazioni sulla scrittura nuragica". In una società minimamente normale, che non abbia più bisogno di spelonche in cui coltivare infantili paure e in cui rifugiarsi per ripetere esorcismi, archeologi delle soprintendenze e delle università prenderebbero di petto la questione e, che so?, del bel reperto che fa da logo del corso direbbero che non si tratta di scrittura protocananaica, ma di graffiti indecifrabili; che il coccio di Pozzomaggiore è un dono dei Fenici, etc etc. Direbbero, insomma, qualcosa. Giustificherebbero in qualche modo gli stipendi (non lauti, d'accordo) che i contribuenti passano loro.
Scelgono invece di chiudersi nelle loro spelonche, aspettando che finisca la nottata e che con la luce scompaia l'incubo. [zfp]

Cunferèntzia de sa limba sarda dae giòbia in Fonne

Bisogna dare alla lingua una collocazione normale e non occasionale. Per questo abbiamo deciso di intitolare in questo modo la Conferenza: ‘Una Limba Normale’”. Lo ha detto l’assessore regionale della Pubblica Istruzione Sergio Milia, nel corso della presentazione della Conferenza Regionale della Lingua sarda, in programma a Fonni dal 9 all’11 dicembre. Nel corso dell’appuntamento in programma a partire da giovedì, ha aggiunto Milia verranno presentate le linee guida del Piano triennale per la lingua e la cultura sarda che convergeranno verso progetti che diano solidità alle nostre radici, alla nostra tradizione ed alla nostra lingua. 
"Non vogliamo che la nostra lingua - ha aggiunto l’assessore Milia - rimanga confinata in alcune zone, sempre più ristrette, della Sardegna dove, circa il 70% della popolazione dichiara di conoscere la variante della lingua sarda parlata nella zona in cui risiede, ma solo il 13% dei bambini fa conversazione in limba con i propri familiari. Anche per questo abbiamo deciso di puntare sull'istruzione e sull'insegnamento, a cominciare dalle scuole. Nel corso di un prossimo incontro a Roma, con i funzionari del Ministero della Pubblica Istruzione per il progetto di “Scuola digitale” verrà chiesto di inserire,  tra gli argomenti scientifici, anche la lingua sarda”.
La scelta di Fonni come sede della Conferenza Regionale non è casuale - ha concluso Milia – ma è stata dettata dal fatto che proprio qui passa una sorta di linea di demarcazione della trasmissione della lingua ai bambini. Non si insegna praticamente più la lingua sarda ai bambini perché in molte zone proprio del nuorese le famiglie non parlano più in limba. Parlare più lingue in famiglia aiuta i bambini e non li danneggia. Non è assolutamente una vergogna sentirsi europei e allo stesso tempo sardi, con la nostra identità linguistica. Per questo è necessario che la Regione reperisca altre fonti di finanziamento per lo sviluppo della politica culturale e linguistica”.

Comunicato dell'Assessorato della cultura

lunedì 6 dicembre 2010

Segni alieni a Cagliari

di Stella del mattino e della sera

Deve essere che è contento di aver qualcuno che lo ascolta. Altrimenti non si spiegherebbe, perché mai l’Antico dovrebbe impiegare due notti a parlare con me? Capirei fossi una Belladonna, ma sono bassotto, anzianotto e quasi calvo, non certo il suo tipo. Che sia un lemure o un vampiro? Per essere strano è strano. Stanotte si è ripresentato con un copricapo a due corni più uno centrale: certa gente ha un terzo occhio, altri, come lui, un terzo corno.
Si è seduto in poltrona e si beve un caffè, che a voler sottilizzare sarebbe quello che mi tengo nel thermos per il mattino. Mi guarda con quel suo sorrisetto ironico e d'un tratto mi fa: ”Ci hai riflettuto sui Šardiš, o rifletti solo davanti allo specchio?”.
A dire il vero non ci ho riflettuto, sono stato a New York. Ma simulo: ”Ho capito, ma che successe, dopo la Mesopotamia?”.
Corri troppo, portatore di Luce, ma io corro di più. Leggiti questo scritto”. Si butta sul divano, col piano evidente di osservarmi mentre leggo, ma io non gli bado più. Paolino Mingazzini descrive e mostra nel suo scritto dei cocci trovati tra i resti di un tempio punico di Cagliari. Nel 1939 il soprintendente Mingazzini iniziò, con un fondo straordinario di 5000+5000 lire, gli scavi di un tempio (vd. mappa) definito punico, costruito a secco, già individuato dal suo predecessore Doro Levi. Nel giardino del tempio vi era un pozzo (lettera F della mappa) “in parte coevo ed in parte anteriore” (nel sentire queste parole l'Antico mi guarda con occhi fiammeggianti), che attingeva da una sorgente di acqua viva e ripieno di frammenti fittili votivi. Il tempio, secondo il Mingazzini, appartiene “all'epoca ellenistica ma resta pur sempre fenicio” (vattelappesca che voleva dire).
La parte più interessante del lavoro riguarda i frammenti fittili votivi trovati nel pozzo, più di tutto quelli graffiti che mostra nelle sua figure 24 e 30, con tanto di tentativo di lettura ed interpretazione. Solo che tale lettura lo spiazza, tanto per fare alcuni esempi, cito le sue parole (l'enfasi è dell'Antico):
1) “[..] il graffito riprodotto in fig. 24 f. Non può trattarsi della lettera latina E, in quanto essa giammai fu scritta con la sola zampa superiore più lunga delle altre. Proporrei perciò di vedervi la lettera fenicia He. Confesso però che un parallelo assolutamente esatto non sono riuscito a trovarlo[..]”;
2) […] per alcuni dei quali ho esitato se riprodurli o no, sembrandomi piuttosto degli scarabocchi da ragazzi, anziché lettere sia pure fenicie; ma alla fine mi sono deciso a pubblicarli, pensando che a rifiutarli c’è sempre tempo […]; (lo sguardo dell'Antico si fa vieppiù truce)
3) “[..] il graffito è riprodotto in fig. 30 f. Ho lungamente esitato se far eseguire il lucido di questo graffito, che a prima vista può sembrare un semplice segno senza senso; e forse lo è. Ma mi sembra assai più verosimile vedervi due HETH riuniti in sigla. HETH a 4 sbarre sono assai rari, ma tuttavia esistono [..]”;
L'Antico si alza, adesso è veramente incavolato, mi pare: “Ti rendi conto? A noi, non ci nomina neppure: ma dimmi, quanto antica ti pare quella HETH?”.
A me non pare niente, che diavolo ne so? Ho visto un segno simile solo su una guida turistica, ma lì era un disegno neolitico. Azzardo timidamente, (ho un sonno della malora, sono le 5 del mattino ed il Viaggiatore del Tempo si è scolato il mio caffè): “Per caso le ha fatte la tua gente, quelle scritte? Per caso, giusto per togliersi ogni dubbio, anche voi Nuragici (si potrà dire la parola “Nuragico”?) sapevate scrivere e frequentavate i pozzi sacri?”
Tutto mi aspettavo tranne che quel che segue. Pensavo si arrabbiasse o mi dicesse: “E perché non avremmo dovuto scrivere? All'epoca lo facevano tutti, era la gran moda: come oggi il vostro internet e l’ MP3”
Invece inizia a ridere, una risata cristallina ma sarcastica, amara ma canterina: il riso sardonico portato alle sue estreme conseguenze. Sale di tono, divenendo quasi un ululato di gioia, finché si confonde con il canto del gallo. L'Antico scompare, chissà dove e come, e io devo andare a lavorare. Senza caffè e senza aver dormito. Cosa c'era poi da ridere?

domenica 5 dicembre 2010

Una comunità di lettori condannata alla clandestinità

Non c'è niente da fare: è più forte di loro:
anche quando si getta l'allarme per la
situazione della lingua sarda, per i giornali
isolani, essa è sinonimo di
un lontano passato oggi folclore [zfp]
di Vittorio Sella


Che la produzione letteraria in questi ultimi trent'anni si è arricchita con il narrare in sardo, mettendo a disposizione dei lettori racconti e romanzi, è un fatto impossibile da confutare. La novità che viene fuori con la forza di un fiume crescente è la scrittura in lingua sarda, che Diego Corraine puntualizza come "lingua propria, storica, dei Sardi, negli ultimi mille anni", mentre risultano "non proprie" il catalano e lo spagnolo. La via che si sta praticando non può essere che sperimentale, cioè di verifica delle possibilità creative e di superamento dei nodi da sciogliere. 
Ma non si tratta di un esame di ammissione, perché è già una realtà positiva l'essere consapevoli che il sardo orale è alla base di una letteratura in sardo. Questo risultato non è un appellativo con effetto provocatorio, ma è il frutto dell'impegno di quegli intellettuali, radicati nel territorio, che recuperano e valorizzano la lingua di appartenenza. Di fatto il raccontare in sardo costituisce il punto di incontro di due distanze, tenute separate nella nostra storia, tra intellettuali e lingua d'origine. E' da questa saldatura che è emersa una nuova letteratura, resistente alla omologazione, anche se la tendenza ad oscurare la creatività prevale sulla diffusione. 
Ma sono convinto che il principio della sedimentazione, che caratterizza altri campi del sapere, nella pratica dell'uso del sardo avrà effetti di crescita positiva. Non a caso il premio Grazia Deledda conserva una sezione aperta alla narrativa in sardo...

venerdì 3 dicembre 2010

ESCLUSIVO: il Regno di Sardegna vuole invadere l'Austria

Torino, giugno 1859

Le cancellerie europee sono in allarme, dopo che un sito prussiano ha minacciato di mettere nella Rete documenti riservati o solo parzialmente conosciuti in ristretti circoli. Sono dispacci diplomatici che, pur non cambiando il corso di una storia già decisa, gettano ombre pesanti su protagonisti di avvenimenti straordinari. Questo blog è entrato in possesso di due dispacci del primo ministro sardo, Camillo Benso di Cavour. Riguardano i pretesti addotti dal Cavour e dall'imperatore francese, Napoleone III, per poter scatenare la guerra contro l'Austria, senza correre il rischio di sollevare la comunità internazionale.
Ecco che cosa scrive, secondo i documenti in possesso del sito, il primo ministro sardo al suo re, di ritorno da un incontro segreto con Napoleone III.
L’Imperatore, appena fui introdotto nel suo gabinetto, entrò nell’argomento, che era stato cagione del mio viaggio. Incominciò col dire che era deciso di aiutare la Sardegna con tutte le sue forze in una guerra contro l’Austria, purché la guerra fosse intrapresa per una causa non rivoluzionaria, che potesse giustificarsi agli occhi della diplomazia, e più ancora dell’opinione pubblica in Francia e in Europa.


giovedì 2 dicembre 2010

Diego Asproni: il custode della Terra

di Luigi Natale (*)
Vedendo io non potere pigliare materia di grande utilità o diletto, perché gli omini, innanti a me nati, hanno preso per loro tutti l’utili e necessari temi, farò come colui il quale, per povertà, giugne l’ultimo alla fiera e, non potendo d’altro fornirvisi piglia tutte le cose già da altri viste, e non accettate, ma rifiutate per la loro poca valetudine. Leonardo da Vinci.

Diego Asproni con un suo dipinto
La luce dolce di settembre si posa su ogni cosa allungando il giorno. Le nuvole bianche comparse sulla collina paiono piccole culle, il mare parla di altre presenze. 
Come custodire nella vita tutta questa bellezza?
Conosco un pittore che vive a Bitti, in Sardegna, che ha il dono dei legami scintillanti tra il visibile e l’invisibile. È Diego Asproni. Nei volti che dipinge c’è il mare, la montagna, gli alberi, il canto del paesaggio, la voce, il coraggio, la dignità, l’onore, la leggenda delle genti. 
Senza seduzione, Diego Asproni toglie uomini, donne e bambini da un mondo immobile e rassegnato: tra storia e coscienza la vita ritrova così riscatto in un bagno di luce. 
Quando sale su una scala per dipingere gli affreschi murali, la sua figura si fa celeste, i campi incontrano il cielo, restano sospesi tra gli astri, e in un istante inizia duraturo il grande viaggio del risveglio.


(*) L'articolo è pubblicato anche sul numero 8, novembre 2010, di “Le simplegadi", rivista internazionale on line di lingue e lettereture moderne http://all.uniud.it/simplegadi