venerdì 10 settembre 2010

Roberto Bolognesi: basta, getto la spugna

di Roberto Bolognesi (*)

Francamente del premio a Michela Murgia non me ne frega niente.
E non sono per niente sorpreso della reazione entusiastica dell’iRS.
Questa è perfettamente in linea con la loro visione romantico-statalista dell’indipendenza.
Critico questa loro visione da sempre, quindi anche la mia reazione non è una novità.
Insomma, a partire da questo episodio, in sé poco importante, sono costretto a constatare che tutti gli anni di lavoro che ho sprecato per sviluppare una visione nuova della questione lingua-cultura in Sardegna sono stati appunto sprecati.
L’iRS vale per me come cartina di tornasole, perché -in teoria e forse anche nella pratica-i suoi iscritti costituiscono la maggior parte del mio “pubblico”.
C’è ancora gente - come un tale Pio Bruno - che confonde LSC con RSU (sic!) e parla di artificialità di qualsiasi proposta unitaria…
Insomma, qui a dar retta a voi, bisognerebbe far ripartire la discussione da zero ogni volta che un ignorante e poltrone, che non si è mai preso la briga di guardare quello che dico e -in parte-diciamo da anni, si sveglia e pretende di partecipare al dibattito.
Già, perché altrimenti non saresti democratico!
Ma la scienza non è affatto democratica!
Chi mai si sognerebbe di organizzare un referendum sull’esistenza dei buchi neri?
Insomma-belli be’-a tutto c’è un limite.
Io da oggi mi ritiro a vita privata e mi dichiaro disponibile a lavorare per il sardo e per i Sardi solo previo congruo anticipo.

Robertu istimadu, torro a pònnere inoge puru su chi apo iscritu in su blog cosa tua, cumbidande·ti, gasi comente at fatu Nanni Falconi, a ti la torrare a pensare.
In unu arresonu chi amus tentu in Facebook – su chi mentovas – aia iscritu chi sa literatura italiana est traessende dae carchi annu una “fase esotica”. Est capitadu a meda literaturas europeas in Istados chi tenent colonias, internas e esternas chi siant. Sa Sardigna no est petzi sa colònia interna se s’Istadu italianu prus colonia, si non finas sa chi produit prus literatura e la produit in duas limbas, sa de s’Istadu e sa natzionale.

Non totu sos iscritores sardos in italianu produint literatura esòtica (penso pro nàrrere a Paola Alcioni e, si parva licet, a mie puru), ma su prus eja. Contant a sos de foras una Sardigna comente la connoschent sos de foras, e s’istereòtipu bendet ca ponet a pensare: “Si finas unu sardu contat sa Sardigna comente mi l’imàzino deo, cheret nàrrere chi ‘sono nel giusto’”. Non so in sa conca de sos giurados de su Campiello, ma cantu at giogadu su tìtulu, majargiu e misteriosu, “Accabadora”?

Est literadura italiana, pro esòtica e galana chi siat, fata dae una chi atrogat (Corriere della Sera) chi su disizu suo est sa Sardigna indipendente: esotismu chi si annanghet a s’esotismu e chi in prus acunortat: est fatu in italianu.
Chie, comente unos dirigentes de iRS, contat chi s’indipendèntzia insoro e sa limba sarda podent andare cada unu in caminos diferentes, est craru chi mancu si nd’abizant e leant sa “percezione” de s’esotismu comente “percezione” chi “sa Sardigna no est Itàlia”, a su nàrrere insoro.
Est normale, duncas, chi iRS bantet sa militante indipendentista sua pro su prèmiu italianu integradu a una epìgona de sa literatura sarda.
Custu cheret nàrrere, Robe’, chi sa gherra pro sa limba sarda e pro sa literadura sua est prus punta in susu de su chi podiamus pensare, chi custa gherra tenet tropeas noas, chi mancu si podiant bisare.
Bi cheret àlenu e ànimu prus fortes, duncas. E arguai a tie si nos lassas a sa sola.

PS – Pro su cumpensu, giai nos ponimus de acordu. Unu porchezone de Supramonte e binu de Sorasi podent bastare, pro su cuminzu?


A annànghere: bidu as su programma de sa summer school de iRS? De totu si faeddat fancu de limba sarda. Sa de sa Festa manna de custa istade no est, duncas, una ocurrèntzia malefadada o una ismenticàntzia. In custu blog, un'àteru iscritore sardu, Francu Pilloni at iscritu: “che sia stupido il figlio del vicino, certo dispiace, ma chi se ne frega; che sia stupido tuo figlio o tuo fratello, questo non si riesce a sopportarlo”. E deo no l'agguanto, antzis mi pesat arrajolu.[zfp]

* Dal suo sito

giovedì 9 settembre 2010

Atlantide e Tartesso tra mito e realtà

di Giorgio Valdès

Nel 1905, un gruppo di studiosi tedeschi annunciò di essere sulle tracce di un’antica civiltà, Tartesso, sulla costa atlantica della Spagna, nei pressi della foce del fiume Guadalquivir, conquistata dai Cartaginesi intorno al 553 a.C. Ebbene, secondo loro, Tartesso sarebbe Atlantide (tratto da Il Portale del Tempo – Internet - )
Atlantide era l’isola leggendaria che Platone (427–347 a.c.), nei suoi Timeo e Crizia, raccontava ubicata oltre le altrettanto mitiche Colonne d’Ercole (o Colonne d’Eracle), il limite oltre il quale si apriva il grande fiume Oceano, che si credeva circondasse le terre allora conosciute.
Tartesso era la favolosa e mai trovata terra dei metalli, anch’essa posta oltre le Colonne d’Ercole, descritta da svariati geografi e storici greci e latini e citata per ben 21 volte nella Bibbia. Atlantide e Tartesso erano accomunate da una situazione ambientale particolarmente felice, dalla grande disponibilità di prodotti naturali e dalla profusione dei metalli che caratterizzava i rispettivi territori.
Per diverso tempo, la convinzione che le Colonne fossero posizionate ai lati dello stretto di Gibilterra, ha fatto sì che le ricerche si siano sopratutto rivolte alla costa Andalusa (a Settentrione di Gibilterra) ed al territorio di Cadice in particolare, estendendosi successivamente a quasi tutti i continenti, dalle rive occidentali dell’Africa, sino alle Americhe ed al Giappone.
Da qualche tempo a questa parte, un’interessante teoria proposta dal giornalista Sergio Frau nel suo libro Le Colonne d’Ercole, un’ inchiesta ne ha rimesso in discussione la reale ubicazione.
Numerosi studiosi e ricercatori, tra i quali anche il nostro più famoso archeologo Giovanni Lilliu, hanno ritenuto verosimile tale ipotesi, convenendo sulla possibilità di un realistico posizionamento delle Colonne sulle sponde del Canale di Sicilia, tra l’attuale Tunisia e la Sicilia.

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mercoledì 8 settembre 2010

Da Stato industriale a Stato casaro?

Nella lettera a un giornale, un gruppo di familiari di pastori di Ittiri ha scritto: “pensiamo che lo Stato debba intervenire con il tassativo impedimento della chiusura delle fabbriche, e per quanto ci riguarda non deve permettere che siano gli industriali a fare il buono ed il cattivo tempo delle produzioni e della commercializzazione del formaggio”. Questa accorata difesa del posto di lavoro e di produzione è, nella sua linearità, lo specchio riflettente della cultura assistenziale che ha dominato la Sardegna, quale che ne sia stato il governo. Una Sardegna sognata, ma anche promessa, come fuori del mercato, indipendentemente dalle regole di cui esso ha bisogno per non trasformare una società in una giungla.
L'industria di Stato in cui il posto di lavoro fosse indipendente dalla produzione, una agricoltura e una pastorizia fatta di stipendiati di stato che interviene sul mercato non per regolarlo, ma per impedire agli industriali di produrre quel che il mercato richiede. Se una produzione non rende o, come per la chimica, è in crisi forse irreversibile, pazienza: ci pensa lo stato. È con questo paracadute (fatto di premi e di ammassi e di poltrona mancanza di innovazione), che gli industriali privati o cooperatori si sono abbandonati al pecorino romano che – cifre di stamattina – ad ottobre giacerà invenduto per 60 milioni di quintali: 35 quintali per sardo residente. Tanto c'è lo Stato o la Regione.
Se i comuni e le asl sarde prescrivono nelle diete alimentari delle mense per bambini e anziani che “il formaggio da condimento deve essere parmigiano reggiano” (Comune di Orotelli) e che (Comune di Orosei) nella scuola primaria si consumi “mozzarella, ricotta, cacciocavallo, fontina, parmigiano reggiano, grana padano”, che importa: ci penserà lo Stato a pagare il formaggio sardo non consumato dai futuri cittadini sardi. Avendo tempo e voglia di sfogliare le prescrizioni di asl e comuni, temo che questi due casi non risulteranno unici. E che la denuncia fatta dall'assessore dell'agricoltura Prato (in torto in gran parte delle sue iniziative, ma non in quella di consigliare il consumo dei prodotti sardi) sia più fondata di quanto si pensi.
C'è stata una dura polemica fra Prato e il sindaco di Orotelli, il primo denunciando come in un paese di pastori e contadini fin dalle scuole si abituino i bambini a non consumare quanto producono i padri, il secondo togliendo la scusa che si era trattato di una svista e di una vecchia tabella. Che infatti ora è cambiata, prevedendo mozzarella di provenienza sarda, provolette sarde, dolce di Macomer. Ma anche gruviera, fontina e che il condimento debba essere rigorosamente “parmigiano reggiano”. Un po' di solidarietà con i casari emiliani, che diamine.
C'è sempre in agguato il rischio di un sogno autarchico, da scongiurare come la peste. Ma in una terra che importa prezzemolo, limoni, acqua minerale (e non solo, come è ovvio, camembert e papaia) l'autoconsumo e l'autoproduzione sono precondizioni per un minimo di sviluppo con speranza di sviluppo. Ci vuole, certo, una politica agricola e pastorale come mai l'abbiamo avuta, affascinati dalle sirene dell'industrializzazione e del turismo portatori di occupazione purché sia. Ma ci vuole anche, e forse soprattutto, una ribellione corale all'assistenzialismo (nella pastorizia come nell'industria) che ha corrotto talmente le nostre coscienze da farci pensare che “tanto c'è lo Stato”. O la Regione, che poco cambia. Se poi, dato che siamo in ribellione, ci occupassimo anche della cultura alimentare nostra e dei nostri figli, mica faremmo male.

martedì 7 settembre 2010

Atlandide un mito? E perché, Ercole che cos'è?

di Giorgio Valdes

L’on.le Vargiu mi ha recentemente indirizzato su questo sito, dove ho avuto modo di leggere diversi ed interessanti commenti sulla recente proposta di “Nurat” presentata dai Riformatori ed alla cui stesura ho fattivamente collaborato.
Analogamente ho letto i commenti riportati sul sito di Michela Murgia e le sue feroci critiche allo stesso disegno di legge, che certamente non mi sorprendono perché il mito, di cui la storia è infarcita, ha la prerogativa di scaldare gli animi ed alimentare polemiche.
Ma anche a voler momentaneamente accantonare la mitologia, considerato che la legge si rivolge anche alla valorizzazione del nostro patrimonio prenuragico e nuragico, ben vengano le polemiche se sono in grado di risvegliare l’interesse verso questo fondamentale periodo della nostra storia.
Tra i vari commenti ho letto qua e là termini come banalità, fiabe mediatiche e soprattutto mercificazione, una brutta parola riferita allo scopo di attrattore turistico palesemente assunto da questo disegno di legge.
Come se la diffusione della nostra cultura e la sua ampia condivisione fosse una iattura da esorcizzare.
Certamente, se la nostra fosse un’economia prospera, potremmo anche pensare di distrarci, magari dimenticando per trent’anni in uno scantinato le statue di Monti Prama; ma purtroppo questo è un lusso che non possiamo permetterci e pur consapevoli del primato della scienza non è pensabile che le testimonianze del periodo più rappresentativo ed identitario della nostra protostoria rimangano chiuse in una teca quasi fossero oggetti a disposizione di un collezionista che di tanto in tanto si diletta a dargli uno sguardo.

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Tres libbrus po s'istadi sardaresa

de G. Paulu Pisu

Est acabbada sa rassigna "tres libbrus po s'istadi sardaresa" promòvia de sa Pro Loco de Sàrdara in su coru de su centru stòricu nodiu.
Is presentadas de is tres libbrus in sardu: Tres cummèdias sardas, Crònaca de una morti annuntziada, Sa losa de Osana, sa genti ddas at agradèssias, in medas si ddoi funt acostaus, tentu contu puru ca custas manifestatzionis no faint pinnicai apari mai sa genti a cambarada manna.
Est stètia s’ocasioni po poni nosu etotu in su centru de su mundu nostu po mèdiu de literadura e lìngua tropu bortas scarèscia, a su puntu de essi oramai arrischendi de si sperdi.
Eus ammostau ca is sardus no scint produsi sceti binu, pani, casu e sartitzu bonus ma cultura chi no est sceti strocidura de sa cultura allena; bortas medas de calidadi puru, ma strocidura abarrat, bastat a cumpudai sa lista de is rassignas chi ànimant festas e acontèssius de is biddas anca su prus de is bortas no si circat nemancu de donai unu sinnu de originalidadi o de sardidadi: pigadas in pesu e copiadas pofintzas in is pinnicas prus piticas.
S’est nau puru ca chi oi is sardus funt ancora “pocos locos e malunidos" dipendit meda de unu sistema scolàsticu e de pesadoria allena chi a totus is livellus dennegat sa specificidadi culturali fata asubetotu de lìngua e stòria. Funt custus is elementus che podint portai a sa formatzioni de una cuscièntzia chi furrit cussu dìciu lègiu, ma a dolu mannu, beru. Mancai is leis, no si bint ancora crarus e èrridus cambiamentus de parti de un’istitutzioni chi unu tempus proibbiat a fortza de corpus e machìtzias sa lìngua nosta, ocasionendi faci a issa unu sentidu de bregùngia e grisu chi at acabbau po si ndi fai teni bregùngia de nosu etotu cumenti de sardus. Su sentidu de bascesa culturali chi nd’est bessiu a campu e chi in parti s’at acogomau politicamenti puru, incapas podit fai cumprendi meda de su malistai econòmicu nostu.
Sa cosa no est de pagu contu ca chena de cuscièntzia de apartenèntzia eus a sighiri a essi apetigaus culturalmente e duncas economicamenti de unu mundu sempri prus globalizau e chi s’at a ingurti che unu bentruxu chena de speru perunu de apellu, a nosu ma asubetotu a fillus nostu chi, mancai a làurea in busciaca, ant a sighiri a disterrai faci a logus sempri prus atesu lassendi sa buidesa in sa terra e me is corus de babbus e mamas.
Naturalmenti seus abetendi chi sa polìtiga si ndi scidit.

Is presentadas ddas eus registradas e postas in YouTube, in su giassu de sa Bibblioteca comunali de Santuèngiu

lunedì 6 settembre 2010

Ricerca archeologica e statolatria

Fra affermazioni completamente false (dieci milioni di euro per contare nuraghi) e polemiche contro chi neppure cita, finalmente l'archeologo del manifestosardo Marcello Madau fa battere la sua lingua dove il dente fa più male. Lo fa oggi sulla prima pagina della Nuova Sardegna che dà due titoli al suo articolo: “False identità / Soldi, nuraghi e Atlantide” e “Milioni per i nuraghi e per le false identità / A cosa serve un istituto regionale che si occupi solo di quell’epoca?”.
Ce l'ha, come già aveva fatto sul sito del manifesto sardo, con la proposta dei Riformatori sardi di cui già ci siamo occupati e che non prevede affatto quel finanziamento monomaniaco. Afferma, infati falsamente, che la proposta prevede “Dieci milioni di euro il primo anno per l’ennesimo censimento di tutti i nuraghi”- Ma poi, ecco il nucleo del suo pensiero: “È stato scritto che questa legge darà finalmente alla Sardegna il controllo dei suoi beni archeologici (naturalmente quelli veramente identitari...), e le critiche dipendono da una visione statalista. Trovo giusto che la Sardegna debba gestire direttamente tutto il patrimonio, anche con potestà concorrente di vincolo. Ma all’interno di leggi di tutela nazionali - come per l’ambiente - valide per tutti: sospettiamo di chi vuole gestire autonomamente ambiente e cultura al di fuori di regole certe.
Poiché è costume di quella sua particolare cultura politica (che sia cultura tout court è da dimostrare) non citare mai gli individui contro cui si polemizza, e poiché della sua “visione statalista” io l'ho accusato, con nome e cognome naturalmente, mi va di rispondere a “è stato scritto che...”.
La “visione statalista” sta proprio in quel pensare alla gestione dei beni culturali “all’interno di leggi di tutela nazionali” e nell'ancor più sospettoso pregiudizio verso “chi vuole gestire autonomamente ambiente e cultura al di fuori di regole certe”. Capisco che Marcello Madau nutra ostilità nei confronti della maggioranza di centrodestra, vocata come egli da sempre sostiene, alle peggiori nefandezze. E sarei anche dell'idea di soprassedere per altri tre anni, coltivando con lui la speranza, che nel 2013 la Regione e lo Stato siano guidati da gente che apra alla Sardegna magnifiche sorti e progressive. Come ai tempi gloriosi di Soru e di Prodi.
Ma temo che non sia sufficiente: il sospetto è che la Sardegna, senza tutela statale, non sia in grado di darsi regole certe. Quelle che solo lo Stato, non importa se “progressista” o “conservatore”, è in grado di dare. E qui, la visione statalista si trasforma in visione statolatra, roba da Hobbes e Hegel e del loro discendente Engels.
Solo il Leviatano può evitare che l'uomo sia lupo per l'uomo; senza di esso la Regione autonoma della Sardegna, come il Comune di Calatafimi, la Provincia di Trento sarebbero preda degli appetiti individuali o, al massimo, comunitari. Un arraffa arraffa che solo il Leviatano può contenere. Un presidente di provincia, di regione, un sindaco sono lupi per natura, si trasformano solo se e quando diventano legislatori dello Stato, naturalmente non per loro qualità intrinseche, ché pur sempre lupi restano, ma per benefico contagio dello Stato.
Ma c'è un altro nervo scoperto. “La storia romano (e greco)-centrica insegnata in Italia” scrive Madau “ha negato con visione centralista le altre, e non solo quella nuragica. La risposta è un Istituto regionale che si muova sulle epoche negate, trascurando le altre?”. Rode evidentemente che la Sardegna (nelle cui università si insegna archeologia dell'età romana, delle province romane, cristiana, medioevale, fenicio-punica e solo di una vaga “preistoria e protostoria sarda”) si occupi prevalentemente di civiltà nuragica, lasciando al Leviatano di occuparsi delle civiltà che hanno interessato anche il resto della penisola italica, oggi Stato italiano. Forse che la legge impedisce allo Stato di occuparsi di Fenici, di Etruschi, di Romani, di Greci, etc, e di insegnare nelle sue università delle relative discipline?
No, evidentemente. Per ora, la Sardegna non ha competenza legislativa assoluta in materia di istruzione. Quando l'avrà, certo sarebbe idiota se mettesse in un angolo le civiltà che nell'isola hanno dominato o sono state presenti. Il problema, caro “è stato scritto”, è un altro e comincia anche dal sapere quanti sono i nuraghi e dal farne una mappa precisa. O lei sa quanti sono realmente e quale è la loro mappatura? E, soprattutto, che cosa toglierebbe alla conoscenza di noi tutti il saperlo? Lei teme “una visione monca ed etnocentrica (quindi razzista) nel passato”. Si riferisce alla feniciomania imperante o a cosa?

domenica 5 settembre 2010

Libertà di stampa purché tesa al pensiero unico

Ospite di Renato Soru, che da presidente della Regione sarda si comprò L'Unità diventandone l'editore, il capo del sindacato dei giornalisti italiani ha lanciato strali di fuoco contro il conflitto di interessi di un altro presidente, quello del Consiglio. Per carità, sappiamo tutti che questo conflitto esiste e produce frutti nefasti. Ma, forse per ragioni di cortesia, Flavio Siddi pare si sia dimenticato dell'altro conflitto, quello del suo ospite. Si dirà: quello di Soru è un piccolo conflitto e quello di Berlusconi è un grande conflitto. La giustizia non dovrebbe badare alla qualità del reato – ma questo conflitto non lo è, visto che non è sanzionato dalla legge – e non solo alla quantità?
O, come temo, il segretario del sindacato dei giornalisti, che dovrebbe rappresentare tutti i suoi colleghi indipendentemente dalle loro preferenze politiche, è abilitato a compilare una gerarchia di conflitti secondo le proprie simpatie? Pericoloso a destra, innocente a sinistra? Non so se Flavio Siddi, ieri a Villanova Monteleone, parlava come privato cittadino o come capo di un potente sindacato. Ma lo strabismo del conflitto pericoloso e del conflitto innocente, lo ha guidato in altri esempi tesi a dimostrare come il marcio sia solo dall'altra parte. Organizzatore, insieme ai partiti e ai movimenti di sinistra, delle manifestazioni contro la “legge bavaglio” e per la libertà di stampa, ha messo in piazza quale sia il suo concetto di libertà di stampa.
Tutti liberi di criticare e attaccare il Mostro e i suoi mostriciattoli, i suoi giornalisti ideali, quelli liberi. Esecrabili servi del padrone, tutti gli altri, artefici di distorsioni della libertà di informazione. “Non è normale che al Tg1, un punto di riferimento per persone di ogni schieramento, si facciano editoriali per difendere una parte o per accusarne un’altra. E non è normale che due giornali vengano utilizzati come bastoni contro il presidente Fini”. Si può essere, come mi capita spesso, in totale disaccordo con quel tipo di giornalismo e, contemporaneamente, essere convinti che quei giornalisti siano liberi di scrivere e dire? Pare di no. Ricordate Tele Kabul, il TG3, anch'esso servizio pubblico, cassa di risonanza dell'allora Pci? Io sì, lo trovavo molto ben fatto (grazie soprattutto a Sandro Curzi che ebbi il gran piacere di aver avuto come redattore capo), insopportabilmente fazioso, ma mai mi sarei sognato di definirlo “una clava”.
Così come non mi sogno di definire “una clava” i quotidiani-partito come quelli del gruppo Caracciolo, anch'essi spesso al limite della faziosità e di un machiavellico fine (l'abbattimento di Satana) che giustifica i mezzi (dalla formazione delle coscienze al gossip). Erano e sono fatti da giornalisti cui deve essere riconosciuto il diritto sacrosanto della libertà di stampa. Essi giornalisti liberi e gli altri no, solo servi del Mostro e utilizzatori di clave mediatiche? Più che un sindacato per la difesa della libertà di stampa, quello di Siddi a me sembra un sindacato per l'imposizione del pensiero unico. E se non mi va il pensiero unico al cui supporto c'è il grande conflitto di interessi, non mi va neppure il pensiero unico a supportare il quale c'è un sindacato come quello dei giornalisti.
Riuscite ad immaginare un sindacato dei lavoratori che difende solo i diritti di chi si schiera a sinistra (o a destra, che è lo stesso) e osteggia e combatte gli altri, negando loro persino dignità professionale?