mercoledì 9 giugno 2010

Aiuto, ci ha fregato il saluto nuragico

di Gigi Sanna

Caro Gianfranco,
che 'dirigi' se non vedi la pagina di Tiscali? E tu Franco Spilloni, sbadatone, che fai? O dormi? O sorvoli? E tu Franco Laner che parli di profonfa spiritualità comunicativa nuragica? Tutelala, se è così 'profonda' come dici! E voi del Partidu sardu? Non bastano i moretti ad Arcore? E voi dell'IRS sempre vispi vispi e furbetti? Sbronzetti ancora per il successo? Solo l'alberello vi vivifica? E i 'Manifestini sardi' che proprio quand'è il caso non si 'manifestano' proprio? E la Sardegna tutta superorgogliosa dei super-simboli degli antenati in berrita fallica?
E come no! Porca miseria! da non credere proprio. Ce l'hanno fregato: il saluto nuragico! Bello bello, con tutta la scrittura nuragica 'criptata' (dico sul serio: sulla scrittura, naturalmente). Così impara qualcuno ad allertare, a chiamarci razzisti e fascisti, sia pur con quattro dita e il 'dittone nuraggico' (andrebbero bene anche tre TI e tre Erre : e non chiedetemi perché) bello staccato . L'invidia è vizietto, anche se non sembra, dei potenti. E ci hanno visto e copiato. Prima che sia tardi. Ohi, ohi! Il mio post, poi, che ingenuità! Con tutti i servizi segreti internazionali sparpagliati e imboscati anche tra 'tzippiri e modditzi'! Ed eccola la scontata replica dell'informato imbonitore: un saluto sardo-romano -piemontese (nonché lombardo), per far un po' contento Casula e a dispetto di Sabatini. Così impara a restare in tema . E Bersani ora che inventa, per rincuorare al secondo turno i suoi, 'totus timi timi'? Col pugno non può. Neanche con quello del Gramsci pretorinese, quello del 'a mare sos continentales!'. Vuoi vedere che ci sfodera un saluto alla Barrakibu. Saluto nuragico sì, ma con il dorso. 'Sardisti sì, ma con distacco. Sì e no. Chè sull'egemonia culturale non ci fotte nessuno!'

Ebbene sì, sono imperdonabile. Il Cavaliere ci frega sotto il naso il saluto nostro epicentro etnico e manco me ne sono accorto. Come tutti l'ho visto nel notissimo bronzetto, l'ho visto alla festa di Santu Efis il primo maggio, e non l'ho visto durante la parlata di Berlusconi agli albergatori. Mea culpa. Ma sai che cosa mi consola? Che il sito di Tiscali (il quale non si scorda di essere dell'oppositore locale del Cavaliere) ha scelto quella immagine fra le tante di un lungo filmato fatto nell'occasione. Dubito che avessero in mente il saluto nuragico; forse pensavano piuttosto al saluto romano-fascista. Non disperare, caro Gigi, vedrai che qualcuno si accorgerà della mano alzata e la userà opportunamente in questo ultimo scorcio di campagna elettorale. E non per dire che Silvio fa il verso agli antichi nuragici. Un caffè? [zfp]

martedì 8 giugno 2010

Caro Sabattini, Casula parla d'altro

di Efisio Loi

È la terza volta che mi imbatto in Gianfranco Sabattini che polemizza sulla ‘Dottrina della statualità’ di Francesco Cesare Casula: due volte sull’Unione Sarda e una su questo blog. La sequenza è stata la seguente: Unione, blog, Unione. Tutto in meno di un mese. Devo confessare che la parte più ostica è stata la seconda. Non ho mai ringraziato un giornale per i limiti imposti dallo spazio tiranno ed ineludibile, ma questa volta devo farlo. Se, in meno di un mese come ho detto, mi fossero capitati altri due mattoni come quello del 24 maggio sul blog, giuro che non avrei più letto una virgola di Gianfranco Sabattini.
È interessante invece continuare a leggerlo per vedere come evolve il suo pensiero. Ho notato un ammorbidimento nella sua verve polemica, sull’Unione di ieri, domenica 6 giugno. La domenica precedente c’era stato un articolo, sempre sull’Unione, di Gianfranco Pintore che ristabiliva un minimo di ‘par condicio’ (mamma mia cosa mi tocca dire) sulla pagina ‘Commenti e Opinioni’. Stranamente neanche un rigo, sul maggiore quotidiano sardo, del prof. Casula. Sarà il professore che non ‘cura’? O sarà il professore a non essere ‘curato’? Mah! Bisognerà venirne a capo perché potrebbero essere i primi effetti del bavaglio sulla stampa contro cui si battono con sprezzo del pericolo i giornalisti, non solo dell’Unione Sarda, ma dell’Italia intera.
Un’altra cosa ho notato: nei virgolettati di Sabatini, riportanti gli scritti di Casula, in tutti gli articoli citati, compare sempre il seguente: “l’epopea risorgimentale come l’atto procreativo di una nuova entità statuale unitaria, falsando il dato acquisito di uno stato preesistente da cinquecento trentasette anni, originato in Sardegna nel 1324 con attributo di regno, e, per fortuna, ampliatosi fino a fagocitare col tempo quasi tutte le statualità isolane e continentali, dandosi, alla fine, la forma costituzionale repubblicana”.
Questo è un concetto preso e ripreso continuamente dall’esponente dell’Università di Cagliari, per rimarcare la protervia dello ‘Storico di Sardegna’ nello sminuire il valore dell’epopea risorgimentale nella costruzione dello stato italiano che, evidentemente, nel 1324 non avrebbe potuto beneficiarne. Ma è a quel per fortuna che si vuole impiccare Francesco Cesare Casula, come se avesse voluto dire: “che culo abbiamo avuto ad ampliarci e a fagocitare tutto quanto per formare l’Italia unita perché, solo da questo e per il fatto di essere noi Sardi gli antesignani dello stato odierno, possiamo ricavarne, dallo stato italiano, prebende e benefizi tali da garantirci per il futuro.”
Solo che quel fortuna non ha il significato espresso in quel modo volgare, di cui mi scuso, ma ha il significato che gli attribuiva Machiavelli, di sorte, alea, destino, divina provvidenza o dite voi come meglio vi pare.
A parte queste sottigliezze accademiche, il tasto su cui continua battere Sabattini, nonostante Gianfranco Pintore abbia cercato di fargli capire che non è il caso, è che la Storia, la maiuscola la si evince dal suo dire, si fa con lo studio delle dinamiche sociali che, ça va sans dire, solo marxiste possono essere. E perché non con lo studio delle tradizioni locali? Dell’andamento climatico che influenza la produzione e l’economia più in generale? Del fatto che il clero sardo, a differenza di quello veneto e lombardo, non ha preso parte attiva alla formazione di uno spirito identitario della comunità? Ma si rende conto Sabattini che Casula parla d’altro? E le cose di cui parla possono essere sottoposte a verifica da chiunque, tanto è vero che i suoi accademici colleghi che lo avversano si guardano bene dall’intervenire? Pseudo scienze le chiamava Croce, le pezze d’appoggio che l’economista Sabattini utilizza nel suo argomentare.

sabato 5 giugno 2010

Forse avere due progetti non è male. Anzi

di Gigi Sanna

Ho riflettuto molto sul risultato elettorale. Un dato per certi versi interessantissimo, per dei motivi sui quali più avanti farò qualche breve considerazione. Una prima preliminare però. Anche qui in Sardegna, mi sembra, pur se non appare chiaramente, c'è un principio di Lega; una 'lega' solo in potenza, che non ha trovato il giusto 'storico' collante. E credo, dal panorama politico, che non incontrerà presto né il momento né il motivo per apparire tale. Anche perché fondarla ad ogni costo, con operazioni verticistiche e/o da tavolino, si intuisce che potrebbe essere sbagliato, con risultati effimeri. Le storie sono diverse, le mentalità diverse, diverse la società e le economie. Il 'qui' in termini di pronto e massiccio consenso 'popolare' non è affatto paragonabile al 'lì'. Basti solo pensare al ruolo importante della chiesa e del clero rurale nel Veneto e nel Friuli ed al ruolo insignificante che invece ha sempre svolto (e che ancora svolge) in Sardegna dal punto di vista dell'orientamento elettorale (ma anche culturale: indipendentistico o autonomistico che sia) 'verso' e 'nel' sardismo .
Ma, ci domandiamo, c'è proprio bisogno di questo stretto e in qualche modo vincolante patto d'azione per la semplice (e forse banale) considerazione che uniti si ottiene di più e si conta di più? C'è bisogno ancora del 'classico' 'fortza paris'? Certo, un giudizio immediato ma superficiale (di 'superficie', non vorrei essere frainteso) ci dice e consiglia: quanto conterebbe l'area sardista ed indipendentista se non si procedesse in ordine sparso! Io stesso in questo Blog (e non solo in esso) ho più volte invitato con calore (e colore), ma celando per il disagio una punta di fastidio, all'unione stretta delle penne variopinte delle tribù! Ma l'appello (e non solo il mio, che conta pochissimo) è caduto miseramente nel vuoto; anzi i colori e le penne hanno fatto di tutto per andare all'appuntamento elettorale in disordine e per differenziarsi.
Quasi tutti però (stando almeno alle parole), a bocce ferme, non sembrano porre veti assoluti ad una possibile unione; tranne l'IRS che ha fatto capire a chiare lettere (anche di suoi aderenti in questo Blog) che non intende mescolarsi con nessuno. Almeno per ora. Perché il progetto indipendentista, sarebbe lungo, problematico e serio, tanto da richiedere molto tempo. Sembrerebbe questa, a prima vista, una posizione irragionevole. Tanto irragionevole che viene duramente contestata dagli unionisti anche con accuse di posizioni senza sbocco alcuno: perché politicamente egoistiche, settarie ed elitarie. Proprio quelle che nuocerebbero, già in partenza, alla causa indipendentistica in generale.
Forse mi sbaglierò, ma a me pare però che con questa posizione rigida l'IRS abbia, inconsapevolmente (?), suggerito la via di una nuova stagione politica in Sardegna a base sardista (uso questo termine per comodità, ovviamente); quella cioè di una 'gara', chiamiamola così, a due soggetti; l'uno con un progetto unionista, immediato, dove contino molto le capacità di mediazione delle differenze e del 'contare' possibilmente subito (ovvero già dalle prossime elezioni), l'altro, scettico 'storicamente' su unioni più o meno omogenee, con un progetto che confida, con tempi più lunghi, forse molto lunghi, nel raggiungimento di un obiettivo che non si vede perseguibile se non con una politica 'pedagogica' (rivolta soprattutto ai giovani) e di ramificazione consapevole ('realisticamente' consapevole) nel territorio.
Quale dei due progetti possa avere la meglio è difficile dire. Ma il fatto che in 'una nuova stagione della politica' in Sardegna (mirata alla frantumazione degli 'altri', se non altro per una certa rendita di posizione 'locale') coesistano due progettualità 'sane', interessanti e credibili (anche perché in gara tra di loro per il meglio dell'Isola ) a me sembra del tutto accettabile. Due strategie politiche in competizione per il rilancio del superamento della storica subalternità non guastano. Anche in considerazione del fatto che i sardi stavolta (ma anche nelle elezioni precedenti) non hanno storto il naso riguardo alla frantumazione e alla presenza di numerose tribù scese in campo per conquistarsi i voti in libera uscita di un sistema bipolare incapace da decenni di rinnovarsi e di gestire la politica senza interessi di bottega (per non parlare di corruzione).
Il 'trend' della sconfessione della sterile politica dei cosiddetti partiti 'italiani' io credo che continuerà, data anche la violenta crisi economica che non consente e non consentirà più l'uso dell'espediente collaudato delle 'promesse' e quindi del clientelismo. Spetterà però ai due contendenti per la realizzazione delle istanze sardiste ed indipendentiste 'studiare', usare l'intelligenza, farsi sentire e capire, trovare il modo per essere credibili di fronte ad un elettorato da sempre difficilissimo (non si diventa sardisti solo perché si è sardi: ci vuole ben altro) che non sembra affatto disposto a fare sconti per nessuno, anche ribellandosi (come è accaduto) per nausea con il non andare a dare il voto nell'appuntamento elettorale.
L'IRS movimentista mi pare che stia incalzando il P.S.d'Az troppo lento nel cogliere le occasioni, 'istituzionalizzato' e pragmatico, che sa però di contare sul tradizionale zoccolo duro e sulla forza personale elettorale di non pochi dei suoi dirigenti. Incalzando, dico, non tanto sul piano della originalità della 'dottrina' (che mi ricorda non poco quella dei 'giovani' sardisti del Congresso di Portotorres) quanto perché essa viene diffusa 'criticamente', a vasto raggio, in termini di presa di coscienza storica e culturale e non solo economica. Certo anche certi (pochissimi) intellettuali sardisti lo fanno ma, a mio parere, senza quella determinazione di un movimento concorrente guidato con fermezza da una elite che sa il fatto suo e che non considero certamente così sciocca da voler impuntarsi e puntare solo sull'immagine di una bandiera.
Ma quel simbolo (come non vederlo?), con la novità della stessa immagine e con le novità del fare 'diversamente' politica (ci sia o non ci sia questo diverso) lancia la sfida ai 'vecchi' anche se resistenti Quattro mori. E la sfida, per ora, mi sembra non solo interessante ma anche abbastanza leale. Molti indicatori segnalano che l'IRS alle prossime elezioni continuerà vistosamente a crescere tanto da approdare nel parlamento sardo. Sarebbe sciocco non augurarselo. Ma sarebbe davvero deleterio se ciò avvenisse a scapito di un P.S.d'Az e dell'area sardista uniti. Con un travaso del tutto inutile di voti. Se ci sarà l'impegno e un serio e duro lavoro politico tra i contendenti io credo che i due progetti possano, per un tempo relativamente breve, restare in competizione e crescere sempre di più, per poi spingere l'elettorato a schierarsi con vigore a vantaggio dell'uno o dell'altro. E solo allora si capirà, forse, con visione dal basso e non dall'alto, chi strategicamente aveva ragione.

Un aristoratto nella cloaca insieme ad asini e a petomani

Un aristoratto, che come molti nobili ama incanaglirsi in incognito, mi racconta di una recente sua visita a una cloaca in cui un bravo emulo di Fregoli intrattiene gli avventori con le sue trasformazioni repentine. Fa l'asino parlante e subito dopo il vecchio bilioso ciancicante, quindi la signora isterica e poi il pornografo assatanato e ancora il petomane. Insomma riesce a trasformare la sua fogna in un “Ambra Jovinelli” di tutto rispetto, dice l'aristoratto.
Avendo gusti raffinati, capisce che la plebaglia si diverta ma ha a che ridire sui testi. Sono giustamente volgari, ma monotoni. Non lo muovi da un chiodo fisso: è tanto ossessionato dalla scrittura nuragica e da chi ne parla da inventarsi dei calambour che, naturalmente, fanno sbellicare gli astanti ma non l'aristoratto che, per non farsi scoprire, scoppia in sonore risate senza capire dove stia l'umorismo. Lo preferisce quando fa l'asino parlante e quando modula inni patriottici con la parte più nobile del suo corpo.
“Ma la vera ossessione” dice “sei tu e il tuo blog. Non passa notte che non si produca nel suo numero preferito; si trasforma in un sorcio Catone e, tra le risate, lancia il suo grido: “Delendum est”. Dev'essere un bravo sorcio, afflitto da manie di persecuzione. Lamenta, per dire, che tu non lo calcoli, che non gli risponda. Ultimamente, certo per provocare una tua reazione, è arrivato a paragonarti a una SS, visto che hai ignorato le altre contumelie. E adesso?”
“Adesso che? caro il mio aristoratto. Vuoi che mi metta a sparare contro gli infermi?” gli ho risposto. “Piuttosto, se ti capita di parlargli, esaurito che abbia il travaso di bile, suggeriscigli di starsene buono nella sua tana e non affidi alla rete i suoi escrementi verbali. Io capisco che le psicosi hanno bisogno di rispetto. Ma mica tutti sono del mio avviso.”

venerdì 4 giugno 2010

Che ne vogliono fare i partiti sardi di quel loro 23 per cento?

Un ipotetico partito nazionale sardo, fatto cioè da chi ha già scelto di votare un partito presente solo in Sardegna, potrebbe contare sul 23,3 per cento dei consensi, stando alle elezioni di domenica scorsa. Una percentuale che pur essendo più alta di qualsiasi partito italiano, sconta il fatto che dei sette partiti e movimenti nazionali, solo il Partito sardo d'azione e iRS si sono presentati in tutte le otto province. In quel conto non c'è 2,4% del Movimento per le autonomie né lo 0,6% della Lega nord, non per un giudizio sulla loro adesione ai temi dell'autonomia sarda, ma perché presenti anche in Italia.
Per dare il senso di che cosa è capitato nelle province in cui erano presenti tutti o la gran parte dei movimenti che si richiamano alla Sardegna, si consideri che essi hanno avuto il 31,4 per cento a Nuoro, il 31 per cento ad Oristano e il 25,1 a Cagliari. E poi, a seguire, il 21,6 nel Medio Campidano, il 19,3% a Sassari, il 17,8% in Gallura, il 16,8% nel Sulcis-Iglesiente, il 16,5% in Ogliastra. A questo va aggiunta l'area di riferimento di Sardigna natzione che, in questa occasione, ha messo da parte la tentazione di farsi movimento elettorale e ha preso la strada, credo più congeniale, di organizzatrice di cultura politica nazionalista e indipendentista.
È la prima volta – non vorrei sbagliare – che i partiti sardi si avvicinano a rappresentare un quarto dell'elettorato, raggiungendo quasi un terzo là dove si sono maggiormente impegnati. Il “dove vuoi andare a parare” ha da sùbito obiezioni fondate su reciproche diffidenze e purezze. Non si possono sommare capre e pecore, direbbero da una parte i Riformatori sardi e dall'altra iRS, i primi federalisti e l'altra indipendentista; da una parte Fortza Paris e dall'altra Rossomori, l'una di centrodestra gli altri di sinistra. Sarebbe vero se tutte, le pecore e le capre, non appartenessero al regno animale, mentre le zucchine e i pomodori appartengono a quello vegetale. La metafora è scoperta: ci sono più somiglianze fra caprini e ovini di quante ce ne siano fra il loro insieme e quello delle verdure.
Federalisti, nazionalisti, nazionalitari, indipendentisti hanno sentito il bisogno di organizzarsi in partiti e movimenti che, come si dice con espressione retorica sì ma efficace, abbiano non solo le gambe in Sardegna, ma anche la testa. Una ragione ci sarà pure. Ecco, io direi di sforzarsi a trovarla senza che gli uni definiscano velleitaria l'indipendenza e gli altri rinunciatario il federalismo. Parlo dei due capi della questione, che naturalmente è assai variegata. I Riformatori hanno firmato una proposta di Statuto che pone il problema della sovranità compartita con lo Stato, iRS è per la piena sovranità indipendente.
Non è possibile ragionare e trovare un accordo sulla massima quota di sovranità sarda possibile e la minima possibile per lo Stato? C'è chi si contenterebbe dell'obiettivo intermedio raggiunto – comunque status molto più avanzato dell'attuale – e chi lo riterrebbe sono un punto di passaggio per l'indipendenza. Tanto per cominciare c'è da stanare i grandi (ma oggi molto più piccoli) partiti italiani: signori, volete darvi una mossa con questo benedetto Statuto speciale nuovo di cui vi riempite la bocca?

giovedì 3 giugno 2010

Il 2 giugno e l'indipendenza come pacco dono

di Efisio Loi

Ieri, 2 Giugno, festa della Repubblica. Ne ricordo altri di 2 Giugno, lontani nel tempo, l’età, ahimè, me lo permette. Erano gli anni ’50 e, ragazzino di dieci anni o poco più, non potevo far altro che respirare l’atmosfera che allora aleggiava. La sensazione rimastami è quella di un mondo adulto, famiglia, scuola e poco d’altro, che avvertiva la ricorrenza con maggiore coinvolgimento e partecipazione di quanto possa accadere oggi.
Potrebbe essere, la mia, una prospettiva distorta dal rimpianto di un’età felice. Eppure non erano anni allegri quelli del dopoguerra. Mi vergognavo da morire di una borsa che mi tiravo dietro a scuola, Santa Caterina, Bastione di Saint Remy in Castedd’ ‘e Susu. Me l’aveva cucita mia zia dal telone di una brandina militare, brandello, chi sa, dell’Impero di Abissinia.
In fretta e furia in questi ultimi anni si è cercato di porre rimedio a un voluto declassamento della festa, spinti dall’urgenza di contrastare l’emergere di prepotenti spinte centrifughe che mettevano in dubbio l’Unità d’Italia. Si è voluto rimediare, dopo aver buttato il bambino con l’acqua sporca della retorica, chiudendo ‘sa corti’ una volta scappati i buoi.
Due considerazioni si possono fare in proposito. La prima: non doveva riscuotere gran credito, presso i vincitori antifascisti, l’idea, incarnata dal Tricolore, di un’Italia Una e Indivisibile. Per un verso o per l’altro, era considerata pericolosa retorica la permanenza dei vecchi simboli e delle vecchie idealità. Non potendoli abolire del tutto, bisognava mettere la sordina, tenerli in ombra il più possibile.

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Metti da parte i fallocefali, con ferma delicatezza

di Filigosa

Salute,
sono una lettrice del suo interessante blog, ne ho seguito le argomentazioni dotte, e anche quelle decisamente svantaggiate dal punto di vista intellettuale. Finché comunque c'è dialettica tutto è utile, se non altro per farci capire con chi ci relazioniamo.
Le idee, i concetti, possono essere ben articolati e definiti verbalmente con emozione e sensibilità, e ciò li impreziosisce. Nei diversi interventi ho notato che la naturalezza,la semplicità, i toni conversativi un po' alterati, non ignorano la complessità dell'argomento,ma rifuggono dalla complicazione, soprattutto da quella che sembra indispensabile alle persone colte per dare valore a qualsiasi manifestazione del pensiero e dell'arte.
Per dirla con Bergamín: "Fa' che il tuo pensiero sia profondamente superficiale."
Questo modo di procedere è stimolante, perchè c'è comunque, il senso comune che si muove tra tutto ciò che è direttamente intuibile, e "non si lascia stordire dalle parole".
Quello che non riesco a capire, è come lei possa dare spazio a questi fallocefali, fuggiti da chissà quali manicomi ideologici e che ogni tanto compaiono nel blog.
Mi permetto di chiederle di ignorarli, ma mi rendo conto che lei potrebbe chiedermi altrettanto.
Sa qual è il punto? Che mi prendono alla sprovvista... e quando li vedo, mi sciupo!
Capisco la democrazia, l'agorà; in ogni luogo c'è lo scemo del villaggio, ma pur con tutta la delicatezza possibile, dovrebbe essere messo da parte.
Faccia come Bobbio, lo metta a tacere con un bel "Con lei non parlo per incompatibiltà morale", e poi lo faccia sparire. Per sempre!

Lo so, il problema c'è e non è la prima a metterlo in evidenza. A volte, chi legge neppure si accorge del lavoro fatto per purgare il blog di inteventi assolutamente demenziali, fallocefali come lei dice. Tanto idioti da non capire che inondare un blog con un centinaio di scarti manicomiali costa loro un sacco di tempo e di applicazione. A me basta un click e un cestino della spazzatura per eliminarli, correndo anche il rischio di sentirmi dare del censore. Ma, finché si tratta di pochi casi di trollismo, perché, cara Filigosa, togliere a qualcuno l'ebbrezza di pensarsi utile al pensiero umano con le sue sconcezze? Ci saluti il suo sposo Abealzu e dal suo Hagakure ritrovato, continui a seguirci e, soprattutto, a scrivere. [zfp]