mercoledì 31 marzo 2010

Toh chi si rivede: l'astio comunista contro le lingue minoritarie

Dove, come nella Padania, la politica si gioca quasi esclusivamente in termini economicisti, le questioni dell'identità o non hanno spazio o sono delegate alla Lega che, naturalmente, cerca – a volte con successo – di metterle a profitto. Gli avversari con prosopopea, gli alleati con imbarazzo non capiscono e stanno lì ad interrogarsi sul perché il partito di Bossi miete successi. Gli uni la buttano in razzismo (vince perché solletica istinti xenofobi in chi ha paura dello straniero), gli altri ne invidiano il “radicamento popolare”, immaginando che questo sia una sorta di capacità di vender meglio un prodotto. Ma né gli uni né gli altri attribuiscono alcun peso alle questioni identitarie che la Lega solleva e loro no.
Capita allora che il Pdl candidi a sindaco di Venezia un bravo economista ma con gravi lacune di cultura storica, il ministro Brunetta, che non fa mistero della sua avversione per le autonomie identitarie. E lo fa pur sapendo che anche a Venezia si sarebbe votato in un clima di attesa per uno straordinario risultato per la Lega. Il meno che poteva capitargli è che gli elettori leghisti lo punissero per la sua scarsa considerazione nei confronti di uno dei motivi fondanti la politica della Lega. E infatti lo hanno sonoramente punito.
E capita, nell'altra sponda politica, che in Piemonte il candidato della Lega abbia agitato il problema del “più lingua piemontese nelle scuole”, come si sa con notevole successo elettorale forse anche per questo. L'ex sindaco di Torino, Diego Novelli, allora del Pci non si è lasciata scappare l'occasione di bacchettare il leghista Roberto Cota, candidato alla Presidenza del Piemonte. Nel periodico da lui fondato, “Nuova società”, Novelli ha scritto una settimana prima del voto uno sprezzante articolo contro il piemontese nelle scuole (che fra l'altro già c'è).
Qualche tempo fa su istigazione del suo collega Luca Zaia (candidato nel Veneto) Cota aveva presentato una singolare proposta di legge per imporre agli insegnanti, vincitori di cattedre in regioni diverse dalla loro provenienza, la conoscenza del dialetto locale, spacciato come seconda lingua.
Oggi, il novello Alighieri della Padania, ci fa sapere che se (malauguratamente diciamo noi), dovesse vincere le elezioni, imporrebbe nelle scuole della regione la "lingua" piemontese.
Peccato che tale lingua non esista. Infatti in Piemonte esistono tanti dialetti, molto diversi l'uno dall'altro, non assimilabili in un solo idioma.
Il giovanotto, nato in provincia di Novara, ignora ad esempio che il dialetto in uso nel capoluogo piemontese è diverso da quello che si pratica a 19 chilometri di distanza”.
Non so a voi, ma a me queste parole ricordano singolarmente quelle che trent'anni fa i Diego Novelli di casa nostra dicevano contro la lingua sarda. Oggi le cose sono cambiate fra i vecchi compagni dell'ex sindaco di Torino, moltissimi dei quali si sono ravveduti in materia di lingua sarda. Altri, invece, potrebbero essere gli ispiratori di questa altra sciocchezza del Nostro, il quale rimproverando Cota di essersi “inventata la lingua piemontese” dice: “E non vale per inventare una lingua piemontese citare l'esempio della Sardegna. Nell'isola è stata scelta come base della lingua sarda il modo di parlare nel nuorese, considerato la matrice, per estenderlo in tutta la regione, anche se esistono tutt'ora differenze tra il cagliaritano, il sassarese e le altre province”.
Se questa è stata la linea di politica linguistica sposata dalla povera Bresso, si capisce la batosta che ha preso.

Quel disagio per una storia mai raccontata

di Franco Pilloni

Dico prima che non sono dell'idea del poeta per il quale nascere è di per sé una sventura. Aggiungo subito che essere nato sardo per me è stata fonte di disagio. Preciso che sono contento di essere nato sardo; ringrazio e sono grato per questo al buon Dio, alla sorte e al caso. Confesso che non sono capace di immaginarmi diverso, ossia non sardo, vale a dire privo delle peculiarità positive e negative che mi caratterizzano talmente da rendermi riconoscibile, spesso al primo impatto, da chi incontro o frequento. Non mi preoccupa il fatto che, non soltanto sono nato sardo, ma lo divento ogni giorno di più.
E allora, giustamente mi si può chiedere, che c’entra il disagio?
C’entra sì, come una sorta di malessere, di sottilissima sofferenza intima che ti coglie, anzi che mi ha colto più e più volte durante la mia vita nelle più svariate occasioni, ma soprattutto a scuola. Ecco, credo che lì sia cominciato, forse con le sbrigative parole della maestra, quel “dimentica tutto e parla in italiano”, con i riferimenti a fatti, racconti, storie, poesie che mai sfioravano, mai avevano sfiorato il sardo e la Sardegna, neppure quella lontana del Capo di Sopra o della Maurreddina che nella mia infanzia, nella mia fantasia, non erano più vicine delle Americhe di Cristoforo Colombo.
A scuola, al massimo, sono diventato italiano, perché sardo lo sono diventato per strada, seduto a ridosso dei portali per prendere il fresco nelle notti d’estate, a sentire is contus dei vecchi. Lo sono diventato ancor più da giovane, chiamato alla leva militare, dove ho confrontato la mia identità, ormai acquisita, di italiano di Sardegna con quelle degli altri italiani d’altrove. Sempre con quel sottile malessere di cui ho parlato, ma del quale ancora non avevo ben inteso l'origine.
Poi sono tornato a scuola, questa volta come insegnante. Dico che non c’è scienza psicologica o pedagogica che valga se il maestro non trova la collocazione appropriata per se stesso di fronte ai suoi alunni che, a mio avviso (più che modesto), è il rispetto: rispetto per quello che sono i bambini, rispetto per le aspettative delle famiglie, rispetto per la collettività che ti ha assegnato un ruolo così importante per il suo stesso futuro.
Non dico che questi concetti li abbia avuti chiari sin dal primo giorno, li ho maturati nel tempo quando, ricordando il mio disagio di bambino, ho pensato che in qualche modo bisognava saldare una frattura identitaria fra quello che significa nascere sardo e quello che comporta diventare italiano. Ma cosa può fare un povero maestro di scuola di fronte a un problema così grosso?
Può farci nulla, o poco, o tanto. O forse tutto.
Io m’inventai delle storie insieme a loro, i miei alunni, dove i protagonisti si chiamavano Braxa, Antoneddu, Lionora o anche in altri modi strani; il loro territorio era Barumini, la Giara, il golfo degli Angeli (ci avranno invaso pure questi, come i Fenici?); gli antagonisti si chiamavano Romulus, Mustafà e via inventando. C’è sempre un processo di identificazione con qualche personaggio delle storie o dei film, chi tifa per il Settimo Cavalleggeri chi per Nuvola Rossa: per chi pensate che facevano il tifo i miei alunni? Credete che si sia verificata una saldatura fra l'essere nato sardo e il sentirsi sardo? Che si sia affievolito un sottile malessere, se pure l'avessero inconsciamente avvertito?
Ecco perché non mi sento sardo-italiano né sardo-spagnolo e tanto meno sardo-romano e ancor di meno sardo-fenicio. Nella mia ingenuità mi sono sempre figurato i fenici come degli antichi vucumprà, molto più furbi, molto più rapaci. Lo so che sbaglio, ma l'ansia, il disagio mi viene dal vuoto di storia che non mi fu raccontata, che non viene raccontata ancora oggi, che volutamente viene ignorata, non ricercata, nascosta se viene a galla, trafugata, manipolata. Questo deficit di conoscenza è il virus che crea il mio disagio ancora oggi. Vorrei sapere da dove vengo, per sapere dove vado.
In fondo non mi pare di chiedere molto, per uno che intende vivere una volta sola.

martedì 30 marzo 2010

Unità d'Italia: la Sardegna non è fra i convitati

di Piero Capra

Un interessante lavoro di Francesco Cesare Casula - uscito recentemente (Italia. Il Grande Inganno 1861-2011, Delfino- 2010) - illustra, descrive e spiega come e perché il nostro attuale Stato, oggi chiamato Repubblica Italiana, ieri Regno d’Italia e avantieri Regno di Sardegna sia nato non nella Penisola ma a Cagliari-Bonaria il 19 giugno 1324, pregnato per 537 anni dal sudore e dal sangue dei sardi insulari e peninsulari.
Eppure non risulta che, nelle numerose manifestazioni e celebrazioni programmate per il 150° anniversario dell’Unità d’Italia, la Sardegna abbia un ruolo di particolare rilievo.
Qualche giorno fa la seguente nota di Agenzia ha diffuso il programma regionale previsto per l’occasione: 
“Cagliari, 25 mar. - La Giunta regionale della Sardegna ha approvato due iniziative che si svolgeranno nell'isola nell'ambito delle manifestazioni per i 150 anni dell'Unita' d'Italia. Si tratta di due iniziative promosse dall'Istituto storico "Giuseppe Siotto" che prevedono complessivamente un contributo di 85 mila euro.
La prima e' una mostra su Giuseppe Garibaldi, "Un rivoluzionario romantico: ideali, utopie e avventura'', che avra' carattere itinerante e sara' inaugurata in concomitanza con la Louis Vuitton Trophy, in programma alla Maddalena dal 22 maggio al 6 giugno.
La seconda iniziativa riguarda l’organizzazione di un convegno nazionale della Società degli storici italiani dell’età contemporanea che si terrà a Cagliari dal 7 al 9 ottobre prossimi. A questo evento potrebbe partecipare il Presidente della Repubblica, Giorgio Napoletano.”
Per quanto riguarda Garibaldi, non si capisce bene il collegamento con la (tuttora problematica) regata velica Louis Vuitton Cup, se non per l’impiego delle barca anche all’epoca dell’Eroe dei Due mondi. Il che – comunque la si veda - è un po’ poco sotto il profilo storico-politico. Tale tema sarà però “coperto” dal Convegno programmato a Cagliari dove presumibilmente affluiranno studiosi e cultori nazionali della materia in questione.
Non accadrà, e non è accaduto, il contrario. E cioè che la Sardegna sia invitata e partecipi alle manifestazioni nazionali.
Non è accaduto a Roma nello scorso novembre, in occasione di una anticipazione sulle manifestazioni (patrocinata dall’Associazione “Italia Protagonista” presieduta da Maurizio Gasparri) che, da febbraio a ottobre, prevede incontri e dibattiti su arte, sport, cultura ed economia.
Il ministro per i Beni e le attività culturali Sandro Bondi, nel corso del suo intervento, aveva sottolineato che l’iniziativa “non intende ricordare un semplice anniversario. Ma vuole leggere, attraverso la storia, la politica e la cultura che viene classificata erroneamente in cultura di destra e di sinistra. La cultura – ha spiegato il ministro - deve essere senza bandiere. L’Unità d’Italia mette insieme le diversità del nostro Paese con i suoi tanti dialetti, culture e realtà”. Ma tra questi “dialetti, culture e realtà” quella sarda non c’era.
Non è accaduto al momento della cerimonia ufficiale di costituzione del “Comitato Italia 150” che si è svolta nel 2007 a Torino.
Non è accaduto, nel marzo 2008, al momento della presentazione ufficiale del Comitato Interministeriale cui sono state affidate tutte le attività di pianificazione, preparazione ed organizzazione di eventi e iniziative per le celebrazioni.
All’epoca il Commissario straordinario addetto era il vice presidente del Consiglio Francesco Rutelli. Invece la presentazione del Centro Espositivo-Informativo, allestito nella sala Unità d’Italia del Vittoriano, era affidata all’Ing. Angelo Balducci in quanto Capo del Dipartimento per lo Sviluppo e la Competitività del Turismo, struttura ad hoc per le celebrazioni 2011. E non c’è dubbio che l’ing. Balducci fosse la persona più adatta considerato che dal 2006 era già Commissario straordinario per le opere e gli interventi per i mondiali di nuoto “Roma 2009” .
La Sardegna non è presente a fine marzo 2010 in occasione dell’Incontro Risorgimento – Europa, che si terrà a Torino. Nella città piemontese infatti,  da marzo a novembre 2011, si svolgeranno tutte le manifestazioni previste dal programma Esperienza Italia – 150 anni di Storia, 9 mesi di Festa.
Per tutto il 2011 alcune grandi città hanno scelto di utilizzare Torino e Esperienza Italia per promuovere e presentare le proprie eccellenze: ogni città sceglierà uno spazio in cui essere presente e un momento in cui realizzare un proprio evento. Hanno aderito Napoli, Venezia, Milano e Firenze. Cagliari, che pure è stata la capitale del Regno di Sardegna fino al 17 marzo 1861, non c’è.
D’altra parte è pur vero che Torino, come residenza preferita dei sovrani di Casa Savoia e sede del Parlamento Subalpino, ha tutti i titoli per essere al centro delle manifestazioni ufficiali. E lo ha fatto con proprie iniziative, se non con fondi propri, di carattere culturale, artistico, turistico, commerciale, gastronomico.
Ma, come sostiene Francesco Cesare Casula, qualche titolo non marginale, in fondo lo ha anche la Sardegna, e il suo straordinario Regno. Eppure è fuori dalla Festa.

lunedì 29 marzo 2010

Sardi, sardiani, shardana, tirreni e fenici

di Massimo Pittau

Con questo mio intervento intendo rispondere ad alcuni impegnativi quesiti che mi ha posto l’amico Mauro Zedda.
1) In due miei recenti libri ritengo di avere dimostrato che è molto più verosimile che gli Shardana (SHRDN) ripetutamente citati da documenti egizi non erano i Sardi o Sardiani della Sardegna, ma erano gli abitanti della Lidia, i quali prendevano nome di Sardianói dalla loro capitale Sardis. Infatti la Lidia, posta sulla costa centro-occidentale dell’Asia Minore (odierna Turchia) era molto più vicina all’Egitto che non la Sardegna e inoltre abbiamo numerose testimonianze storiche degli stretti rapporti che correvano fra quella regione e l’Egitto. (Dalla Lidia nel secolo XIII a. C., secondo il famosissimo racconto di Erodoto, sono partiti per l’Occidente, sia, prima, i Sardi arrivati in Sardegna, sia, dopo, gli Etruschi arrivati in Italia).
Comunque, anche a mio giudizio i Sardi hanno partecipato alle imprese dei “Popoli del Mare”, ma col nome di Tirseni o Tirreni (TRSH), che significava “costruttori di torri” (tyrseis), di torri nuragiche (questi non potevano essere gli Etruschi, che non esistevano ancora in quanto tali). Si consideri il nome del villaggio sardo di Tertenia -che prima era sul mare - il quale significava “città dei Tirseni”.
2) Anche per effetto di un proficuo scambio di idee che ho avuto nel dicembre scorso con Mauro Zedda, dandogli piena ragione, ho deciso di evitare la esatta corrispondenza dei nomi di Sardi, Sardiani, Protosardi e Paleosardi da una parte e di Nuragici dall’altra. Alla domanda poi che egli mi ha fatto sul nome da dare al popolo o ai popoli che hanno preceduto i Sardi/Sardiani nell’Isola, rispondo che non mi sento di creare ulteriori confusioni sull’argomento: io continuerò a chiamarli – come fanno anche gli archeologi più avveduti - Prenuragici.
3) Mauro Zedda deve guardarsi con grande cura dall’accettare la madornale confusione che fanno non pochi archeologi sardi: la confusuione tra i Fenici ed i Punici o Cartaginesi. Questi ultimi abitavano a Cartagine, nell’odierna Tunisia, proprio di fronte e a poche miglia dalla Sardegna, e la loro presenza nell’Isola è indubitabile, anche in virtù di “tonnellate di reperti punici o cartaginesi” lasciati nell’Isola.
Invece i Fenici abitavano nel lontanissimo Libano, a 2.500 miglia dalla Sardegna e questa enorme distanza esclude una loro consistente presenza nella nostra Isola. Certamente sono stati trovati anche reperti fenici in Sardegna (quasi tutti vasi o cocci di vasi), ma da un lato questi reperti sono scarsissimi, dall’altro sono spesso di interpretazione molto dubbia. Infatti è anche possibile che quei vasi siano stati portati in Sardegna non dai Fenici, ma dai Sardi stessi al ritorno dai loro viaggi che facevano anche nel Mediterraneo orientale.
Al fondo di questa colossale e quasi incredibile confusione tra i Fenici e i Cartaginesi ci sono due fatti storico-linguistici indubitabili, ma i quali vanno interpretati con la massima attenzione: I) I Fenici erano i lontani progenitori dei Cartaginesi, ma questi avevano finito col distaccarsi politicamente dalla loro originaria madrepatria, la Fenicia; II) I Cartaginesi parlavano la lingua fenicia e la scrivevano in alfabeto fenicio, ma questo non implica affatto che una iscrizione in alfabeto fenicio trovata in Sardegna sia “fenicia”, essa invece è molto più verosimilmente punica o “cartaginese”.
E concludo: nessun dubbio circa la massiccia – ma non totale in senso geografico – presenza dei Cartaginesi in Sardegna; fortissimi dubbi invece circa una consistente presenza dei Fenici propriamente detti nella nostra Isola, e solo riconoscimento di loro approdi costieri per motivi di commercio coi Sardi e nient’altro. Su questo argomento così oscuro e dubbioso della Sardegna antica l’apporto della linguistica storica gioca un ruolo determinante: ho già segnalato che nell'intero patrimonio lessicale della odierna lingua sarda sono stati trovati appena 7 (sette) appellativi e 3 (tre) toponimi che derivano dalla lingua fenicia, ma questi sono pochissimi ed inoltre più verosimilmente sono da attribuirsi ai Cartaginesi che non ai Fenici. E anche per questa ragione brucia in maniera particolare la nuova intitolazione del “Golfo di Oristano” in quello di “Golfo dei Fenici”….
Massimo Pittau

domenica 28 marzo 2010

L'inutile 35% dei nazionalisti corsi

Le vittoria della sinistra domenica scorsa in Francia (“anche in Corsica” si è stupita essa stessa) ha naturalmente entusiasmato la sinitra e depresso la destra. La contentezza dell'una parte e lo sconcerto dell'altra hanno fatto passare in secondo piano l'avanzata (senza conseguenze data la loro divisione interna) dei nazionalisti corsi nelle elezioni regionali. “Femu a Corsica”, il cui leader è Gilles Simeoni, figlio del rappresentante storico del nazionalismo, Edmond Simeoni, ha ottenuto il 25,9 per cento e 11 seggi; “Corsica Libera”, guidata da Jean-Guy Talamoni, ha ottenuto il 9,8 per cento e 4 seggi.
Complessivamente, i nazionalisti sono arrivati al 35,7 per cento, lo 0,9 per cento in meno della lista della sinistra “L'alternance” (36,6 per cento) e il 7,9% in più della destra del “Rensamblement pour la Corse (27,6%). Già nel corso della campagna elettorale, la sinistra aveva rifiutato un accordo con i nazionalisti di Simeoni che glielo aveva offerto, e da sola ha eletto, giovedì scorso, un presidente di minoranza (24 voti su 51), alla terza votazione. Si tratta del comunista Dominique Bucchini. I due gruppi nazionalisti hanno dato i loro 15 voti a Edmond Simeoni e la destra, pur di non far prevalere un autonomista, ha dato i suoi 12 voti al proprio candidato, Camille de Rocca Serra. Capo dell'esecutivo è stato eletto il socialista Paul Giacobbi.
“Bene, riassumiano contando sulle dita, Cuba, Corea del nord, Corsica” ha commentato un tal Roderic nel sito del settimanale Le Point.

Nella foto: una tee-shirt nazionalista

sabato 27 marzo 2010

Ecco i miei romanzi. Sono vostri con un clic

di Franco Pilloni

“In sardo mi piacciono più le poesie che i romanzi, – mi ha detto mio zio novantenne – in italiano il contrario”. “Perché sono brutti?” gli ho chiesto. “No, perché sono difficili da leggere”.
E ha ragione. Perché leggere il sardo, se non c’è la pratica, non è agevole. Come le altre lingue.
Se poi gli diamo regole ortografiche diverse da quelle italiane (a scuola quelle s’insegnano, a volte in modo esclusivo), il problema si amplia. Non lo dico per polemica, lo constato.
Ma perché uno, o qualcuno, scrive romanzi in sardo? Per motivi che esulano il tornaconto economico (anche se l’editore deve pareggiare i conti, in qualche modo), per motivazioni sentimentali, di cuore o di pancia, politiche a volte. La prima è comunque la speranza di condividere con altri gli esiti della sua fatica, che vengano apprezzati se del caso, comunque presi sul serio.
Cosa fare? Mi è venuto in mente di finanziare l’acquisto dei miei romanzi, a tasso zero e a fondo perduto. Voglio dire che li propongo gratis e senza restrizioni che non siano quelle di legge (ci sono i diritti dell’autore e dell’editore, oltre che quelli etici) in uno spazio che Google mette a disposizione di tutti: un sito.
Per la verità, io un sito a mio nome lo possiedo da anni, ma non riesco più a controllarlo.
Qui, invece, è tutto molto facile: si cerca, si vede si visualizza e, volendo, si scarica per tenerlo o, volendo, si stampa. Ripeto, tutto gratis e senza frode.
Oggi sono disponibili alcuni racconti inediti, alcune poesie, un romanzo sia in sardo che in italiano: L’ISOLA DEI CANI – S’ISLULA DE IS CANIS, editi mi pare nel 2001. Prossimamente, spero entro la prossima settimana, metterò in rete AREGA PON.PON, inedita e in italiano. La versione in sardo è edita nel 2007, ancora sta in libreria.
Cosa chiedo in cambio? Nulla, salvo commentare se volete, fare il passaparola se potete, con i metodi consueti: link, email degli amici, parole, ecc.
Grazie, ZFP, per lo spazio.
Dimenticavo, ecco l’indirizzo: http://sites.google.com/site/sardusempri

Vogliamo vedere quale scelta politica c'è dietro le "Arrègulas"?

di Roberto Bolognesi

La proposta di norme linguistiche contenute nel libretto “Arrègulas po ortografia, fonètica, morfologia e fueddàriu de sa Norma Campidanesa de sa Lìngua Sarda” sta vivendo quello che forse è soltanto un quarto d'ora di celebrità o forse qualcosa di più. 
Vedremo.
 Il destino di questa proposta è strettamente legato al destino elettorale del suo sponsor e lunedì sapremo se la scommessa di chi la propone e di chi la sostiene avrà pagato, almeno in termini elettorali.
 Ora di parlarne seriamente, allora.
Pu cussu puru scriu in italianu, ca candu scriu in sardu mi benit prus mali a non brullai.
 Cosa penso della proposta in se? Tutto il bene possibile, e so di non essere l'unico a dare un giudizio positivo sulla natura intrinseca della proposta.

Questa è gente diversa: li definirei avversari dell'unificazione del sardo, ma assolutamente da non confondere con i nemici della nostra lingua: po prexeri!
 Ora, dato che tutti conosciamo le regole della retorica, dopo questa introduzione positiva tutti si aspetteranno bordate di critiche, e visto che vengono da uno dei propositori della LSC, critiche pesanti. E infatti le mie critiche a “Arrègulas po ortografia, fonètica, morfologia e fueddàriu de sa Norma Campidanesa de sa Lìngua Sarda” sono pesanti.

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