Gira ancora in questo blog la asserita certezza che i cosiddetti “ciottoli di Allai” siano falsi. Di questa certezza si fa portavoce il 27 gennaio Mirko Zaru che oggi insiste: “come mai non ne parla più da quando c'è un processo di mezzo?”. Si potrebbe rispondere: proprio perché c'è un processo in corso. Ma, siccome c'è di mezzo il destino di una persona, è meglio essere più drastici e precisi. Al momento, la falsità dei reperti è un parere di un capitano dei carabinieri che riporta una perizia di parte.
Se per decidere della colpevolezza di un individuo bastassero la parola e le indagini di un carabiniere, povera giustizia. Se bastasse una perizia di parte per decretare la congruità o incongruità di un “corpo del reato”, le galere sarebbero ben più affollate di quanto lo siano. Per fortuna esistono i giudici che devono essere terzi rispetto all'accusa e rispetto alla difesa, la quale, fra l'altro, a quel che se ne sa, non ha ancora prodotto le sue carte né una o più controperizie. Magari di un epigrafista esperto di lingua etrusca e non di un pur apprezzato etruscologo, come è nel nostro caso.
Ho creduto mio dovere precisare i termini della questione per vedere se, in futuro, sia possibile anche in questo blog tener conto che la condanna per falso – e quindi la dichiarazione di falso – è al massimo nelle speranze della Soprintendenza che ha denunciato una persona fino a prova contraria innocente.
martedì 2 febbraio 2010
Decorazioni quelle di Tzricotu? Ma scherziamo?

Nel Primo Convegno Internazionale interdisciplinare (2005) della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Sassari, incentrato sulla linguistica, l’epigrafia, la medicina e l’architettura, ho trattato, tra l’altro, anche del tema riguardante la problematica pitica (sia linguistica che epigrafica), dei reperti, ormai ritenuti da tempo autenticissimi, rinvenuti in Glozel (Vichy, Francia).
Ho cercato in quella sede, approfittando della presenza di un grande esperto orientalista come Remo Mugnaioni (semitista ed assiriologo di fama internazionale), docente della Facoltà di Aix en Provence e di Lyon, di far vedere come nelle iscrizioni di Glozel (con supporto in pietra, in osso e in ceramica), gli scribi greci di Pito (poi Delfi) si fossero serviti, al fine di dare senso alla loro particolare scrittura ‘obliqua’ o ambigua, di tecniche di scritture molto particolari; le quali però, per quanto complesse, non costituivano una novità nel panorama, quello ormai abbastanza noto, della storia della scrittura.
Ho affermato in quella sede, con numerosi esempi formali, che anche il codice nuragico si serviva di identici procedimenti di scrittura; quel nuragico che, tra l’altro, condivide con il codice di Glozel l’uso di chiarissimi identici grafemi di natura alfabetica consonantica (Sanna 2007, I, pp. 31-48).
Intendo oggi, data la discussione e l’assurda polemica in corso sulle tavolette-sigillo di Tzricotu, riprendere (sommariamente) l’argomento, mostrando come nella tavoletta di bronzo A1 di Tzricotu di Cabras (in custodia presso i locali della Sovrintendenza di Cagliari) le dette ‘tecniche’ sono tutte e tre presenti; riportate, direi, con perizia insuperabile e ‘magistrale’.
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lunedì 1 febbraio 2010
La mancanza di confronto non fa bene all'archeologia
di Giandaniele Castangia (*)
L’Archeologia in Sardegna, e in generale un pò tutto quello che le ruota intorno dal punto di vista culturale, costituiscono un fenomeno curiosamente dinamico e ricco di contenuti emotivi, ben rispecchiato dalle discussioni di questo blog.
Una passione che sinceramente non è riscontrabile spesso nel mondo - credo - contrappone archeologi di professione (con tutte le sfumature del caso ovviamente) ad amanti di questa materia, le cui conoscenze in molti casi - ne sono stato in prima persona testimone varie volte - vanno anche molto al di là di quelle che dovrebbero essere proprie di un professionista del settore.
Questa curiosa e passionale contrapposizione, che talvolta raggiunge clamorosi eccessi anche in occasione di pubblici eventi (convegni, conferenze, etc..), è forse generata da un tipo di polemica che culturalmente molto appartiene a noi Sardi e alla nostra cultura così piena di spigoli rocciosi, ed è un fenomeno estremamente interessante e che potrebbe dar vita ad una felice spinta costruttiva capace di ridare all’archeologia della nostra terra nuove energie vitali, che ha ormai perso da molto tempo con poche eccezioni.
Tuttavia questo non accade, e si è venuto nel corso degli ultimi anni a determinare un rapporto a dir poco conflittuale e in alcuni casi cieco e ricco di incomprensioni da ambo le parti, in cui un’archeologia troppo chiusa ascolta poco il mondo che la circonda, e in cui chi per amore della conoscenza del passato dedica anni della sua vita allo studio di problematiche di natura archeologica pretende di vendere volumi su volumi su studi sui quail spesso non si confronta minimamente con il mondo scientifico. E non intendo il confronto come invito a qualcuno a scrivere in un blog, intendo con questa parola la meditazione profonda sulle critiche che da ogni parte possono venire fatte allo studioso in questione.
La mancanza di confronto non fa bene all’Archeologia e alla storia della Sardegna, anzi quello che sta nascendo ultimamente, e di cui penso la querelle sulla scrittura nuragica sia il più eloquente esempio, è una stortura, una deviazione che dal binario della conoscenza sul passato finisce per cadere in un baratro di polemiche “da bar dello sport” - per usare delle parole abbastanza in voga negli ultimi giorni. Si è finiti per giungere ad un punto in cui qualunque cosa si dica non porterà alcunché di costruttivo, perché si fonda ormai su presupposti dogmatici.
L’Archeologia, e soprattutto quella Preistorica, da un secolo e passa cerca di definirsi come Scienza, cerca di criticarsi al suo interno per raggiungere una certa “scientificità”, che poi coincide con l’uso da parte di una comunità di scienziati di metodologie e strumenti comuni, ai quail si DEVE associare la continua discussione e ridiscussione. Questa ricerca intellettuale all’interno del mondo dell’Archeologia è maturata sino ad oggi e possiede dei suoi strumenti e delle metodologie di indagine ben precisi e condivisi dalla maggior parte degli studiosi.
Uno dei concetti cardine di tutto è il concetto di contesto, e l’importanza che esso riveste all’interno dell’indagine di un archeologo è fondamentale: l’interpretazione di qualsiasi oggetto appartenente al record archeologico di un certo sito o area non può prescindere da TUTTI gli elementi che costituiscono il contesto a cui appartiene - stratigrafia, associazioni, datazioni, etc..
Credo che questo concetto sia la chiave per comprendere la fondamentale distanza che separa oggi la maggior parte degli archeologi sardi dal lavoro di Gigi Sanna. Proprio in virtù del fatto che l’archeologia vuole essere una Scienza - umana e non esatta, ma pur sempre tale - essa non può considerare prioritari dei manufatti di per sé anomali se non addirittura straordinari, questo non avrebbe senso: l’archeologia cerca associazioni, che in quanto riscontrabili in più di una occasione ci permettono di provare che determinati legami esistevano.
Detto ciò, mi sembra che il problema non sia qui stabilire se nella Sardegna del II e del I millennio a.C. esistessero forme di scrittura, ma è la modalità con cui questo viene affermato e discusso, che ha poco in comune con l’Archeologia o con altre scienze che comunque da essa non possono prescindere (es epigrafia): non si valutano debitamente i contesti archeologici di provenienza dei reperti che testimonierebbero una scrittura di tipo nuragico, e si da molto peso a oggetti di provenienza dubbia - che in quanto tale non è propriamente falsa ma perlomeno sospetta.
La scrittura, all’interno di un “sistema” culturale, ha un peso rilevantissimo, come peraltro sa benissimo il professor Sanna. Però questo peso non è sempre il medesimo, e la funzione stessa della scrittura cambia anche all’interno di sistemi culturali molto simili tra loro dal punto di vista sociale, o è la medesima tra sistemi diversi. La scrittura può essere espressione di esigenze soprattutto cultuali, o può essere strumento delle elite di un ciclo di redistribuzione per gestire le eccedenze, o può essere ancora strumento di propaganda di uno stato primitivo. E’ per questo che tenere presente il contesto è fondamentale se si vuole proporre una sintesi di grande portata storica come quella che propone il Dottor Sanna. E il contesto della Sardegna tra II e I millennio è di una tale complessità archeologica che solamente uno studio preciso delle interazioni al suo interno e verso il mondo Mediterraneo può districare, e non basta un esame di singoli reperti - svariati dei quali senza un reale contesto di provenienza - per dar vita ad una sintesi convincente per il mondo archeologico.
Io non sono certo un “archeologo reazionario”, credo che alcuni dei manufatti indagati e pubblicati dal Dr Sanna presentino effettivamente delle lettere, ma la valenza di uno studio che potesse andare più a fondo nella questione viene inevitabilmente a scontrarsi contro l’ostinazione a voler condannare un grande lavoro di ricerca personale ad affondare a causa della zavorra costituita dalle Tavolette di Tzricotu. In proposito volevo fare una ultima annotazione, ricollegandomi al discorso sul metodo archeologico che facevo sopra: chiunque può scrivere pagine e pagine sulle differenze tra i manufatti di epoca altomedioevale e quelli di Tzricotu, ma alla fine dei conti qualunque archeologo sarebbe costretto ad ammettere che c’è una palese - se non disarmante - coincidenza nella stessa sintassi della decorazione! (Intendo ad esempio sul lato dritto all’interno abbiamo _ . _ e sul lato curvo la stessa cosa con le linee però che seguono la curvatura). Non dico che questo automaticamente significhi che quello che il Sanna finora ha studiato fosse una pura invenzione, ma perlomeno credo che chi si definisce studioso/scienziato abbia un dovere di onestà intellettuale nei confronti del mondo scientifico e del suo stesso pubblico, e quindi quello di escludere nel modo più obbiettivo e condivisibile possibile l’ipotesi di avere completamente sbagliato. E se capisse di aver sbagliato ha il dovere di ammetterlo. Questa è Scienza, e per essere un suo “ministro” bisogna assumersi una responsabilità morale fondamentale, senza la quale essa non avrebbe senso in quanto strumento al servizio degli uomini.
Spero che queste parole serviranno - o contribuiranno - a una discussione costruttiva, e spero di non avere offeso nessuno poiché non ne avevo intenzione.
* L'autore è un archeologo di 26 anni che lavora in Sardegna mentre finisce i suoi studi a Roma
L’Archeologia in Sardegna, e in generale un pò tutto quello che le ruota intorno dal punto di vista culturale, costituiscono un fenomeno curiosamente dinamico e ricco di contenuti emotivi, ben rispecchiato dalle discussioni di questo blog.
Una passione che sinceramente non è riscontrabile spesso nel mondo - credo - contrappone archeologi di professione (con tutte le sfumature del caso ovviamente) ad amanti di questa materia, le cui conoscenze in molti casi - ne sono stato in prima persona testimone varie volte - vanno anche molto al di là di quelle che dovrebbero essere proprie di un professionista del settore.
Questa curiosa e passionale contrapposizione, che talvolta raggiunge clamorosi eccessi anche in occasione di pubblici eventi (convegni, conferenze, etc..), è forse generata da un tipo di polemica che culturalmente molto appartiene a noi Sardi e alla nostra cultura così piena di spigoli rocciosi, ed è un fenomeno estremamente interessante e che potrebbe dar vita ad una felice spinta costruttiva capace di ridare all’archeologia della nostra terra nuove energie vitali, che ha ormai perso da molto tempo con poche eccezioni.
Tuttavia questo non accade, e si è venuto nel corso degli ultimi anni a determinare un rapporto a dir poco conflittuale e in alcuni casi cieco e ricco di incomprensioni da ambo le parti, in cui un’archeologia troppo chiusa ascolta poco il mondo che la circonda, e in cui chi per amore della conoscenza del passato dedica anni della sua vita allo studio di problematiche di natura archeologica pretende di vendere volumi su volumi su studi sui quail spesso non si confronta minimamente con il mondo scientifico. E non intendo il confronto come invito a qualcuno a scrivere in un blog, intendo con questa parola la meditazione profonda sulle critiche che da ogni parte possono venire fatte allo studioso in questione.
La mancanza di confronto non fa bene all’Archeologia e alla storia della Sardegna, anzi quello che sta nascendo ultimamente, e di cui penso la querelle sulla scrittura nuragica sia il più eloquente esempio, è una stortura, una deviazione che dal binario della conoscenza sul passato finisce per cadere in un baratro di polemiche “da bar dello sport” - per usare delle parole abbastanza in voga negli ultimi giorni. Si è finiti per giungere ad un punto in cui qualunque cosa si dica non porterà alcunché di costruttivo, perché si fonda ormai su presupposti dogmatici.
L’Archeologia, e soprattutto quella Preistorica, da un secolo e passa cerca di definirsi come Scienza, cerca di criticarsi al suo interno per raggiungere una certa “scientificità”, che poi coincide con l’uso da parte di una comunità di scienziati di metodologie e strumenti comuni, ai quail si DEVE associare la continua discussione e ridiscussione. Questa ricerca intellettuale all’interno del mondo dell’Archeologia è maturata sino ad oggi e possiede dei suoi strumenti e delle metodologie di indagine ben precisi e condivisi dalla maggior parte degli studiosi.
Uno dei concetti cardine di tutto è il concetto di contesto, e l’importanza che esso riveste all’interno dell’indagine di un archeologo è fondamentale: l’interpretazione di qualsiasi oggetto appartenente al record archeologico di un certo sito o area non può prescindere da TUTTI gli elementi che costituiscono il contesto a cui appartiene - stratigrafia, associazioni, datazioni, etc..
Credo che questo concetto sia la chiave per comprendere la fondamentale distanza che separa oggi la maggior parte degli archeologi sardi dal lavoro di Gigi Sanna. Proprio in virtù del fatto che l’archeologia vuole essere una Scienza - umana e non esatta, ma pur sempre tale - essa non può considerare prioritari dei manufatti di per sé anomali se non addirittura straordinari, questo non avrebbe senso: l’archeologia cerca associazioni, che in quanto riscontrabili in più di una occasione ci permettono di provare che determinati legami esistevano.
Detto ciò, mi sembra che il problema non sia qui stabilire se nella Sardegna del II e del I millennio a.C. esistessero forme di scrittura, ma è la modalità con cui questo viene affermato e discusso, che ha poco in comune con l’Archeologia o con altre scienze che comunque da essa non possono prescindere (es epigrafia): non si valutano debitamente i contesti archeologici di provenienza dei reperti che testimonierebbero una scrittura di tipo nuragico, e si da molto peso a oggetti di provenienza dubbia - che in quanto tale non è propriamente falsa ma perlomeno sospetta.
La scrittura, all’interno di un “sistema” culturale, ha un peso rilevantissimo, come peraltro sa benissimo il professor Sanna. Però questo peso non è sempre il medesimo, e la funzione stessa della scrittura cambia anche all’interno di sistemi culturali molto simili tra loro dal punto di vista sociale, o è la medesima tra sistemi diversi. La scrittura può essere espressione di esigenze soprattutto cultuali, o può essere strumento delle elite di un ciclo di redistribuzione per gestire le eccedenze, o può essere ancora strumento di propaganda di uno stato primitivo. E’ per questo che tenere presente il contesto è fondamentale se si vuole proporre una sintesi di grande portata storica come quella che propone il Dottor Sanna. E il contesto della Sardegna tra II e I millennio è di una tale complessità archeologica che solamente uno studio preciso delle interazioni al suo interno e verso il mondo Mediterraneo può districare, e non basta un esame di singoli reperti - svariati dei quali senza un reale contesto di provenienza - per dar vita ad una sintesi convincente per il mondo archeologico.
Io non sono certo un “archeologo reazionario”, credo che alcuni dei manufatti indagati e pubblicati dal Dr Sanna presentino effettivamente delle lettere, ma la valenza di uno studio che potesse andare più a fondo nella questione viene inevitabilmente a scontrarsi contro l’ostinazione a voler condannare un grande lavoro di ricerca personale ad affondare a causa della zavorra costituita dalle Tavolette di Tzricotu. In proposito volevo fare una ultima annotazione, ricollegandomi al discorso sul metodo archeologico che facevo sopra: chiunque può scrivere pagine e pagine sulle differenze tra i manufatti di epoca altomedioevale e quelli di Tzricotu, ma alla fine dei conti qualunque archeologo sarebbe costretto ad ammettere che c’è una palese - se non disarmante - coincidenza nella stessa sintassi della decorazione! (Intendo ad esempio sul lato dritto all’interno abbiamo _ . _ e sul lato curvo la stessa cosa con le linee però che seguono la curvatura). Non dico che questo automaticamente significhi che quello che il Sanna finora ha studiato fosse una pura invenzione, ma perlomeno credo che chi si definisce studioso/scienziato abbia un dovere di onestà intellettuale nei confronti del mondo scientifico e del suo stesso pubblico, e quindi quello di escludere nel modo più obbiettivo e condivisibile possibile l’ipotesi di avere completamente sbagliato. E se capisse di aver sbagliato ha il dovere di ammetterlo. Questa è Scienza, e per essere un suo “ministro” bisogna assumersi una responsabilità morale fondamentale, senza la quale essa non avrebbe senso in quanto strumento al servizio degli uomini.
Spero che queste parole serviranno - o contribuiranno - a una discussione costruttiva, e spero di non avere offeso nessuno poiché non ne avevo intenzione.
* L'autore è un archeologo di 26 anni che lavora in Sardegna mentre finisce i suoi studi a Roma
sabato 30 gennaio 2010
Sorry, devo moderare i commenti
Cari amici di questo blog,
sono costretto a moderare da questo momento i commenti per via di un tentativo neppure maldestro di dirottare le discussioni in questo blog. Lo avevo paventato e il momento è arrivato. Spero davvero che si tratti di un provvedimento temporaneo, perché vivo questo come un brutto colpo alla libertà che ha sempre contraddistinto questo spazio. Chiedo scusa a tutti, a chi apprezza il blog e a chi lo contesta, ma non è giusto, né per gli uni né per gli altri, essere trascinati in una suburra. Gli e gli altri hanno la mia assicurazione che i loro post saranno immediatamente pubblicati
sono costretto a moderare da questo momento i commenti per via di un tentativo neppure maldestro di dirottare le discussioni in questo blog. Lo avevo paventato e il momento è arrivato. Spero davvero che si tratti di un provvedimento temporaneo, perché vivo questo come un brutto colpo alla libertà che ha sempre contraddistinto questo spazio. Chiedo scusa a tutti, a chi apprezza il blog e a chi lo contesta, ma non è giusto, né per gli uni né per gli altri, essere trascinati in una suburra. Gli e gli altri hanno la mia assicurazione che i loro post saranno immediatamente pubblicati
venerdì 29 gennaio 2010
Macché Regno di Savoia d'Egitto, era Regno di Sardegna

Ho letto con interesse e rispetto tutto ciò che è stato scritto (33 interventi!) sul mio ultimo lavoro che, in fondo, è il mio testamento storico a futura memoria. In esso, cerco di sostituire la storia regionale dell’isola, che non ha forza proponente al di là del mare (a nessuno, al fuori di noi, interessano i nostri nuraghi, la nostra lingua, le nostre tradizioni, la nostra società, la nostra antropologia, ecc. ecc.), con la storia degli Stati che in Sardegna si formarono dal periodo antico a quello contemporaneo, perché questi hanno valore universale, uguali in tutto il mondo.
Ma, chi mi vuol seguire su questa strada, non può usare le sue categorie tradizionali, non può far ricorso all’antropologia (= è sardo il fonnese o il cabrarese e non il piemontese o il ligure), non può richiamarsi alla politica (= siamo stati sempre dominati, non abbiamo fatto noi l’Italia ma i savoiardi). Se mi vuol seguire in questa nuova strada deve rifare il mio percorso istituzionale, con pazienza e intelligenza (mi ci son voluti quarant’anni per liberarmi dall’italianità della storia). Deve prima tornare all’analisi grammaticale delle scuole elementari, e riabituarsi a distinguere fra il nome (concreto) e la cosa nominata (per esempio, se si dice: Regno di Sardegna si deve scrivere a fianco: titolo e nome di uno Stato; così pure per il Ducato di Savoia che, ugualmente, è il titolo e il nome di uno Stato. E dietro la parola Stato c’è un popolo stanziato in un determinato territorio che ubbidisce alle stesse leggi. Per cui, non si può uscire fuori dai binari e dire che, in sostanza, il Regno di Sardegna non era altro che il Regno di Savoia. Sarebbe come dire che i miei antenati non sono mai esistiti, perché a vivere nel Regno di Sardegna nel Trecento, nel Quattrocento, nel Cinquecento ecc. erano i francesi della Savoia).
Stabilito il rapporto fra il nome e la sostanza, si torni al nome: Repubblica Italiana. Esso qualifica indubitabilmente uno Stato, il nostro Stato. Ebbene, mi dicano i detrattori quando è nato, dove è nato, e qual è la storia di questo Stato, del nostro Stato… A questo punto, sono disposto a dialogare...
mercoledì 27 gennaio 2010
Parco dei fenici: rieccoli

I giornali ancora non parlano dell'incontro e siamo, quindi, i primi a sapere della testarda insistenza di chi ha ormai deciso di cambiare il nome del golfo di Oristano in quello di golfo dei fenici. Il tutto, ci mancherebbe altro, per “riproporre con forza, in chiave moderna e di fruizione, la nostra identità”. Il progetto del professor Raimondo Zucca, presente all'incontro con il dott. Alessandro Usai e la dott.ssa Emerenziana Usai della Soprintendenza archeologica, va dunque avanti e conquista nuovi adepti: i sindaci di Arbus e di Guspini.
“Il cuore del progetto” informa il comunicato “è imperniato sui siti archeologici delle tre città fenicie, che resero il territorio che si affaccia al golfo di Oristano florido di risorse e di commercio: Neapolis per le risorse minerarie (piombo argentifero), Othoca per le risorse agricole e Tharros per le risorse minerarie (sale e ferro)”. Come si può leggere nelle “Proposte per la predisposizione del Piano regionale per i beni culturali” della Provincia dei fenici (pardon, ancora di Oristano), il progetto di Zucca interessa “le aree archeologiche di Tharros, San Salvatore, Monti Prama-Cabras; Othoca. Santa Giusta, Terralba (Lagune utilizzate come Porto di Neapolis) - Guspini (MC): area urbana di Neapolis. Le aree saranno correlate dalla via dei Fenici estesa nella ZONA B che comprenderà i paesaggi tipicamente fenici dei fiumi, delle lagune, delle paludi, delle saline, delle pianure, delle colline e delle coste (Aree gravitanti attorno al golfo di Oristano dei comuni di Guspini - Arbus (MC), Terralba, S. Nicolò d’ Arcidano, Arborea, S. Giusta, Oristano, Cabras, Riola, Nurachi, San Vero Milis)".
Prego notare quel “paesaggi tipicamente fenici” per il quale suggerirei di attribuire l'onorificenza di “Feniciomane di bronzo” all'autore della pregevole definizione di un paesaggio tipicamente sardo.
Nella foto: la riunione per il Parco del golfo dei fenici
martedì 26 gennaio 2010
Una colletta per far esaminare la tavoletta di Tzricotu?


Diversi lettori, nei loro commenti all'articolo firmato Su Componidori, sollevano giustamente un problema: perché non sottoporre la tavoletta di Tzicotu alle analisi opportune, in modo di stabilire definitivamente la loro datazione? Più che opportuno, io credo che sia urgente. Lo credo, e ne ho scritto, più di due anni fa, quando questo blog era letto da non moltissime persone. L'occasione fu data dalla notizia che l'ex soprintendente Giovanni Azzena aveva scritto al Comune di Cabras per annunciargli che la tavoletta di Tzricotu sarebbe stata di lì a poco restituita a quell'amministrazione.
Azzena prospettava l'idea di un esame da parte di “un esperto nel campo alto medioevale”, proponeva una manifestazione pubblica ben preparata e al riparo da “polemiche e rivendicazioni controproducenti”, prospettava l’esigenza di un’analisi chimico-fisica del reperto. Azzena non è più soprintendente, non so se la tavoletta sia stata restituita a Cabras, nessuna manifestazione di riconsegna è stata fatta e, soprattutto, quel bronzo non è stato sottoposti ad alcuna analisi chimico-fisica. Di qui, un dibattito a volte estenuante nel corso del quale alle cose dette a sostegno della tesi di Gigi Sanna si oppongono quasi sempre commenti di incredulità o negazioni supportate da una tesi secondo cui le tavolette di Tzricotu sarebbero non nuragiche ma medioevali.
Cosa che, del resto, lascia supporre l'ex soprintendente Azzena. Sottoporre l'unica tavoletta in carne e bronzo (delle altre si hanno solo fotografie) all'analisi chimico-fisica prospettata da Azzena sarebbe l'unica cosa saggia da fare. E solo la Soprintendenza la può decidere, se solo volesse. E, a quanto pare, non lo vuole. In prima persona non parla, con un atteggiamento di supponenza difficile da digerire. Da anni a questa parte tiene in non cale quanto vien fuori da quanto in materia di archeologia scrivono i non chierici; a che mi ricordi ha risposto solo a un quotidiano che riportava l'interrogazione di un parlamentare sardo. La figura, a quel che risulta dalla risposta del ministro Bondi al senatore Massidda, non è eccelsa. Ma non è questo che importa: importa che in quelle stanze si sente il dovere di rispondere solo a chi ha potere, non ai contribuenti.
Se non parla in prima persona, manda a dire. Manda a dire che non può star dietro a ogni stormir di fronde. Eccolo il punto: accertare che, intorno al XIV secolo, e comunque prima dell'arrivo dei fenici, i sardi scrivessero, avessero fatto ingresso nella storia, non è uno stormir di fronde: è una bufera di vento. Credo che ognuno di noi abbia consapevolezza di che significato abbia avere la prova provata che la vulgata finora raccontataci è infondata. C'è una certezza, a quel che si sa, in quelle stanze: la tavoletta di Tzricotu in possesso della Soprintendenza è un manufatto tardo-medioevale, come dire qualcosa fatto ventiquattro-ventisei secoli più tardi di quanto dica Gigi Sanna.
Ma se ci fosse una certezza tanto grande, cosa costerebbe fare le analisi chimico-fisiche annunciate dal professor Azzena e mettere a tacere per sempre la storia della tavoletta nuragica? Non ci sono soldi? Proporrei una sottoscrizione fra i lettori del blog, se non suonasse offensivo per la Soprintendenza e per il governo cui deve rispondere. Intanto ci si propone, in questo spazio, di confrontare matrici di fusione sicuramente medioevali con le tavolette di Tzricotu. Raccogliendo l'invito di un assiduo lettore e collezionando le foto pubblicate su Sardoa Grammata delle quattro tavolette, propongo un confronto fa esse e quattro delle immagini inviate da Mirko Zaru che, secondo un altro lettore, non sarebbero poi così incompatibili con quelle delle tavolette.
Nelle foto: l'assemblaggio delle quattro tavoletta da Sardoa Grammata e quattro delle immagini di matrici che sarebbero più compatibili con le prime. Le ho rovesciate per rendere più facile il confronto
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