mercoledì 30 settembre 2009

I telamoni di Monte Prama

di Franco Laner

Dichiaro subito, nel titolo, che le statue di Monte Prama sono telamoni.
La questione, in sé, potrebbe essere di poco conto. Invece investe il nocciolo della questione archeologica in Sardegna. E’ paradigma della fuorviante concezione militaristica, che non si riesce ad arginare e che sciaguratamente permea ogni ricerca e studio sulla civiltà nuragica.
Investe però anche temi di stretta attualità del dibattito culturale e politico sardo che ancora fa perno sull’archeologia per legittimare rivendicazioni di un passato epico (Atlantide, Shardana, statuaria che anticipa la Grecia…).
Non è bastata la batosta che Taramelli, archeologo, ma anche senatore, inferse con l’ideologia del sardo fiero ed austero, valoroso e guerresco, nuragico. Archeologia come strumento di persuasione subdola e retorica, in sintesi: carne da macello. A volte visito l’Ossario dei caduti della prima guerra a Cortina, paese in cui sono nato. Elenchi interminabili di 9707 ragazzi con cognome che troppo spesso termina con u.
Monte Prama è anche la cifra di come una disciplina non sia più in grado di uno scatto di orgoglio che la tolga dalla palude in cui è sprofondata.

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martedì 29 settembre 2009

Unas propostas pro sa limba a sa Regione

Su Comitadu pro sa limba sarda at addoviadu eris in Casteddu unos giornalistas e lis at faeddadu de sas initziativas suas pro chi sa limba sarda, paris cun sas àteras limbas de Sardigna, siant cunsideradas unu motore pro s'isvilupu econòmicu e sotziale de sa Terra nostra. Mario Carboni, Frantziscu Casula, Diegu Corraine, Micheli Pinna e eo amus amaniadu unos emendamentos a su Pranu regionale de isvilupu, pro fàghere a manera chi sa limba sarda bi siet numenada.
Pro nàrrere, in uve su documentu de sa Regione narat chi “Le risorse reali della Sardegna sono le imprese, la cultura e il territorio” diat dèpere èssere iscritu: Le risorse reali della Sardegna sono le imprese, la lingua e la cultura e il territorio”. Si tratat, est craru, de unu reconnoschimentu simbòlicu chi, però, iscòbiat s'intentu de sa maioria de pònnere mente a s'impinnu leadu dae su presidente de sa Regione. “Il momento identitario, quale momento di riflessione su se stessi e sul "comune sentire" del popolo sardo” est iscritu in su programma de Ugo Cappellacci “costituisce la fonte dalla quale far derivare i successivi” mamentos de s'istrategia de isvilupu.
Su Comitadu, chi at a pedire un'addòviu cun su presidente de sa Regione, at finas disinnadu de pedire a su guvernu sardu de cunsiderare s'imparonzu de su sardu e in sardu in su mamentu chi est a puntu de torrare a cuntratare cun su governu italianu s'acordu fatu dae Baire e da Gelmini pro gastare 20 miliones de euros pro agiudare sos precàrios sardos. Cuncordande cun sos dirigentes iscolàsticos, si podent pesare càtedras pro su sardu (e in ue sunt faeddadas su gadduresu, su tataresu, s'aligheresu e su tabarchinu) pro duos annos.
Si, in prus, a custos 20 miliones si prendet su dinare chi s'Istadu est prontu a ispèndere bastante chi sas iscolas si ponzant de acordu, sos precàrios ant a pòdere imparare su sardu e in sardu totu sas matèrias, comente previdit sa leze, non pro unu o duos annos ma pro semper. Si sunt fatos sos contos: una polìtica linguìstica de gasi pesat belle 1500 postos de traballu noos e istàbiles, in prus de segurare a sos pitzinnos de non s'intèndere istranzos in terra insoro. Sos mèdios e su dinare b'est. A dolu mannu no est semper chi b'at sa boluntade de colare dae s'assistentzialismu a su fràigu de unu traballu beru.

In sas fotos: su sìmbolu de su Comitadu, sa presidèntzia de s'addòviu (in una foto de Giorgio Winklers)

Attenti: c'è chi vuol cancellare il sardo dalle lingue tutelate

di Luca Campanotto

Vi propongo un gemellaggio tra minoranze linguistiche deboli e regioni a Statuto speciale messe in second'ordine. Mi spiego meglio, inviandoLe un link.
Si tratta di un articolo di Libero preso da un link del blog www.com482.org (pubblicato relativamente ai dialetti, col sospetto che diatro a certe proposte di legge sui dialetti veneti del F-VG si nascondano subdoli tentativi di annacquamento della posizione della lingua friulana).
Nell'articolo si sostiene che la lingua sarda e ladino-friulano sarebbero dialetti italiani (evidentemente perché, attualmente, è politicamente scorretto che risultino riconosciute minoranze senza Stato così numerose e con un territorio di insediamento così esteso).
Si manifesta grande ostilità nei confronti della L. 482/99. Si cita la recente sentenza della Consulta come se avesse messo in discussione la dignità linguistica del friulano. Personalmente mi preoccupo per il sardo: contrariamente all'ordinamento speciale sovralegislativo del Friuli-Venezia Giulia (implicitamente art. 3 L. Cost. 1/63 ed espressamente D. Lgs. att. Stat. Spec. 223/02), non mi consta che l'ordinamento speciale della Regione sarda rechi un riconoscimento sovralegislativo della lingua sarda, che di conseguenza risulta limitato all'art. 2 della L. 482/99, la stessa dalla quale qualche giornale, nemmeno tanto implicitamente, vorrebbe venisse espunto.
Non ho parole. Siamo ai livelli della Turchia. Loro i Curdi li chiamavano "Turchi delle montagne". Ma questa gente ha una vaga idea di che cosa sia la glottologia? Non è possibile fare classificazioni linguistiche sulla base di convenienze politiche.

Caro Campanotto, grazie della segnalazione. La stupidità e l'ignoranza non ha confini politici. Prima sono stati L'Espresso e il Corriere della Sera a sparare a palle incatenate contro la sua lingua, il friulano. E già in molti ci chiedevamo: possibile che l'idiozia alberghi solo dalle parti del centrosinistra? No evidentemente. Ed eccone la prova. Lei si chiede se certi giornalisti sanno dove sta di casa la glottologia. Per saperlo, bisognerebbe saper leggere e purtroppo non è detto che chi sa mettere frasi in fila sappia anche leggere. E ragionare. Anche io, come moltissimi sardofoni, sono preoccupato per l'imbastardimento dell'italiano. Ma pensare che il friulano o il sardo siano responsabili di quel degrado è una semplice idiozia da glottofagi. Mai mi sarei immaginato di essere un giorno colto dal raptus di gridare ai quatto venti: "Bossi, salvaci tu dagli imbecilli".
[zfp]

venerdì 25 settembre 2009

Un pugilatore o un raccoglitore di sughero? Chiedo aiuto

di Franco Laner

Sono in difficoltà e come la scorsa volta sulla pintadera chiedo un parere, perché sono sicuro che si vede meglio con più occhi, soprattutto se gli occhi sono quelli della mente e dell’esperienza, specie in questo caso. Si tratta di un bronzetto, abbastanza famoso, definito “Pugilatore”. Ci sono altri due pugilatori, trovati o esposti a Vulci, o forse esposti a Roma, ma non cambia. Di uno di questi mostro il disegno che l’Angela De Montis ha fatto nel suo bel libro “Il popolo di bronzo”
Ora la mia perplessità. Non riesco a vedere un pugilatore con lo scudo, per di più sopra la testa. L’indizio invece che possa essere un pugilatore è deducibile dal fatto che il pugno della mano destra è protetto, ma protetto è anche l’avambraccio, fino al gomito.
E’ molto importante definire questo bronzetto, perché è in relazione strettissima con le statue di Monte Prama. Massimo Pittau a questo proposito, ne “Il Sardus Pater”, critica la definizione e vede più che uno scudo un panno di un fedele, in segno di deferenza di fronte alla divinità. Lo stesso Tronchetti (!) ammette l’incertezza della definizione.
Vi assicuro che per me sta diventando una ossessione. Rigetto con forza che sia un pugilatore con uno scudo in testa! Ma chi raffigura? Il braccio fasciato mi ha dapprima indotto a pensare ad un falconiere. Ma il braccio è alzato e i falconieri non credo abbiano uno scudo o un panno per richiamare o proteggersi… Resta un’altra idea, che mi piace molto.
Il bronzetto, anzi i bronzetti, sono degli estrattori di sughero!
Nessuno degli “scudi” ha una forma di scudo. La forma si avvicina di più ad una corteccia. E il braccio fasciato? Per togliere la corteccia è necessaria una scure, ma mi si dice che si può entrare con l’avambraccio nello spacco e far leva con pugno e gomito, con forza distribuita per non danneggiare la corteccia. La pressione viene cioè distribuita anziché concentrata dal manico della scure. Ho cercato conferma, presso i musei etnologici, che non escludono tale possibilità. Ma mi piacerebbe avere o qualche conferma o una motivata smentita!
Chi mi dà una mano??? (Mi basta la mano, non un pugno in testa!)

Nella foto: Il pugilatore da Vulci nel disegno di Angela De Montis. Nel mio sito il disegno con le scritte leggibili, la foto del bronzetto di Vulci, la foto di quello cosiddetto del pugilatore di Dorgali. [zfp]

giovedì 24 settembre 2009

Losa e Su Nuraxi: scritte diverse, anzi praticamente uguali

Nell’articolo precedente sulla scritta (la cosiddetta ‘sigla’) del nuraghe Su Nuraxi di Barumini abbiamo visto che la seconda lettera, a partire con lettura regressiva (da destra verso sinistra, non andava intesa come ‘beth’, cioè un segno alfabetico greco arcaico (VIII –VII sec. A.C.) ma come un grafema che, in virtù del ricorso alla ‘legatura’, di segni ne conteneva due: un ‘gimel (‘g’ consonante velare sonora) e un ‘lamed’ (‘l’ consonante liquida).
Abbiamo potuto osservare inoltre che la ‘epsilon’, grazie alla documentazione di noti testi in protocananeo (vedi la figura affianco: Iscrizione di Izbet Sartah. D a Naveh 1982, p.37) era da intendersi come un chiaro ‘hē’ dell’alfabeto semitico. Di conseguenza la lettura della scritta risultava non più BE ma ‘hagal' הגל, esito che ci ha indotto a prendere in considerazione, per poter ben capire l’espressione graffita, un notissimo passo della Genesi (quello del patto di amicizia tra Labano e Giacobbe ed il ‘mucchio di pietre della testimonianza’ o GALED גלאד, chiamato anche MISPA מצפה ovvero ‘vedetta’, ‘osservatorio’.
Ciò per comoda sintesi per chi ci segue.
Come accade spesso però nell’esame delle originali e talvolta straordinarie scritte elaborate dagli scribi nuragici, la lettura di esse non si esaurisce così presto e così facilmente. Bisogna in molti casi procedere con un ulteriore sforzo di riflessione per risolvere il ‘rebus’ (questo tipo di scrittura si chiama proprio ‘a rebus’) che si ha davanti, per vedere se nella forma o nell’aspetto delle lettere, nella particolare disposizione o nella quantità di esse, si trovi ulteriore contenuto o senso.
E’ Massimo Pittau che, ancora, intuisce e in qualche modo ci indirizza sulla strada giusta affermando che la prima lettera graffita sulla pietra di Su Nuraxi di Barumini (ritenuta però erroneamente del greco arcaico, è in forma di ‘serpentina’. E’ proprio così e nessuno potrebbe negarlo. Ma perché il serpente? Che ci sta a fare? Cosa vuol dire un serpente disegnato preceduto da un ‘he’ e dalla voce ‘GAL’?
La spiegazione del non piccolo particolare del ‘curioso’ documento credo che vada trovata sulla base di due considerazioni abbastanza semplici: la prima riguarda la documentazione scritta ‘nuragica’ in genere, la seconda il nostro testo (HAGAL) con la sua sintassi.
Si è visto infatti che i documenti nuragici registrano spesso la figura del ‘serpente’, riportata questa persino attraverso l’allusione alla disposizione particolare dei significanti (cioè le lettere alfabetiche tracciate in modo da rendere delle ‘figure’) come accade nelle raffinate tavolette di Tzricotu di Cabras (lettura bustrofedica a serpente). E si è visto ancora, sempre per via documentaria, che il serpente allude, ormai senza ombra di dubbio alcuno, alla divinità con nome/nomi EL–YHWH.
Si è visto però anche che la sequenza HGL, una volta tradotta dal semitico, ci offre come significato ‘il mucchio di pietre’.
Il ‘mucchio di pietre’ di ‘chi’ o di ‘che cosa’? Qualcuno potrebbe pensare che questo ‘chi’ o questo ‘che cosa’ siano stati lasciati (volutamente) in sospeso e che spetti alla nostra intelligenza il comprenderlo. In realtà le cose non stanno proprio così perché la scritta ‘il mucchio di pietre’ si completa, con vero (perché esauriente) significato solo con la lettura del logogramma ‘serpentello, che dobbiamo aggiungere alle prime due parole. Infatti possiamo intendere il tutto, senza impedimenti od obbiezioni di sorta dal punto di vista sintattico, ‘il (= Lui) mucchio di pietre del serpente’, dato che il semitico, come si sa, fa a meno delle preposizioni per rendere il complemento di specificazione. IL GALED biblico (il mucchio di pietre della testimonianza), che ci riguarda così da vicino, è l’esempio più pronto a portata di mano. E possiamo intendere così, ovvero aggiungendo ‘serpente’ (in semitico NAHAS) anche perché, per la prima considerazione suesposta possediamo il dato sicuro che il serpente è simbolo forte della divinità del pantheon cananeo e poi del Dio del monoteismo ebraico storico; ma anche della divinità della ‘religio’ dei sardi dell’età del bronzo e del ferro (e non solo, a mio parere).
Ma c’è un altro modo per essere ancora più convincenti nell’esposizione (‘matematici’, in qualche modo, come direbbe Murru): se non si lascia il dato di Barumini isolato e lo si osserva e confronta invece, con molta attenzione (direi acribia) con il modus scribendi consueto dei ‘nuragici’, all’interno cioè del loro particolare ‘sistema’ o ‘codice’. Infatti sulla base abbastanza rassicurante di circa 50 (cinquanta) documenti epigrafici ora a nostra disposizione, si riesce a comprendere che le ‘edubbe’ sarde educano gli scribi–sacerdoti al rispetto (pressoché rigoroso) di alcune ‘regole’ nella composizione e nella realizzazione dei testi ‘sacri’ scritti. Regole o norme che rendono tipicamente ‘sardo’ o ‘sardiano’  il codice di scrittura, per quanto esso, come tante volte ho sottolineato, tragga la linfa dai sistemi convenzionali esterni semitici di natura ‘consonantica’ . Per queste ‘regole’di scuola (o scribali) chi componeva un testo scritto doveva badare in particolare (dico in particolare):
1) Al ‘decus’: alla compostezza, all’armonia, alla pregnanza, all’efficacia nella sintesi, cioè, in un parola, alla ‘bellezza’ della composizione.
2) Al ‘mix’ dei significanti ( scrittura logo-pittografica, lineare, ecc.) e alle cosiddette ‘legature’
3) Alla quantità dei significanti (segni che danno i ‘significati’, i numeri ‘sacri’: in genere il 3, il 5, il 7, il 9 ed il 12)
Nessuno di detti procedimenti ha significato ‘laico’ – per così dire – perché tutti rientrano nella sfera del ‘sacro’ in quanto tutti e tre tendono a realizzare delle scritte che sono sempre (dico sempre, stando alla documentazione) religiose; mirano ad offrire un omaggio devozionale alla divinità, un attestato di assoluto rispetto per la sua particolare essenza o natura e per le sue qualità straordinarie o ‘mostruose’. Non è certo necessario impegnarsi con la spiegazione della prima norma. Con la seconda, attraverso la forza della scrittura ‘magica’, non subito intelligibile e chiara (per dirla brevemente in questa sede) si vuol alludere, in tutta evidenza, alla ‘manifestazione’ della divinità o al modo assai complesso di rapportarsi di essa con l’intelligenza degli uomini. Con la terza lo scriba ci fa capire che la divinità è pura astrazione e di conseguenza il modo migliore di rendere in qualche modo la sua essenza perfetta (santa) è quello di ricorrere alla matematica (ai numeri e alle figure geometriche).
Tutto ciò potrà apparire un po’ difficile da capire, poco credibile per la concezione ‘barbarica’, ancora assai diffusa, che si ha della cultura e della civiltà nuragica.
Chi legge allora potrà comprendere meglio, crediamo, osservando la tabella - clicca sul link - che mette a confronto i due ‘documenti’ lapidei (solo questi, ma l’operazione si può estendere tranquillamente a tutti gli altri) del Nuraghe Losa di Abbasanta e del nuraghe Su Nuraxi di Barumini. Quelli che (per chi ha avuto la pazienza di seguirci) abbiamo esaminato proprio in questi giorni.

Sono questi,come si può vedere, due documenti con scritte assai differenti perché, stando all’apparenza, non si assomigliano per nulla riguardo all’organizzazione del testo, alla forma e alla tipologia delle ‘lettere’. Eppure, se li osserviamo per benino e li studiamo con tutto il rigore necessario, si rivelano molto simili nella loro concezione. Anzi, quasi identici. Chi mai lo direbbe!

martedì 22 settembre 2009

Venti mesi di silenzio sugli "etruschi di Allai"

Venti mesi a oggi, i carabinieri inviati dalla Sovrintendeza al Comune di Allai sequestrano una notevole quantità di reperti archeologici fra i quali il bel dischetto scritto a caratteri etruschi che si vede qui accanto. Furono trovati, come i lettori di questo blog ricorderanno, nei dintorni del Nuraghe Crocores, sepolto dalle acque della diga sul Tirso e quell'anno restituito alla vista dalla siccità. Il professor Gigi Sanna, che li vide, riconobbe la scrittura incisa sui reperti, sassi di fiume, come etrusca. Una funzionaria della Sovrintendeza, senza per altro averli visti, non ebbe dubbi e disse ad un giornalista che si trattava di falsi.
In questi venti mesi, benché della vicenda si siano occupati oltre a questo blog, forum e quotidiani, dalla torre eburnea sovrintendenziale, è venuto solo il silenzio. Insieme ad una ventina di persone, il 12 gennaio di quest'anno scrissi una lettera al ministro Bondi, sollecitando il suo interessamento alla vicenda. La sua segreteria rispose il 16 marzo con questa lettera:
Mi riferisco alla questione da Lei evidenziata all’On.le Ministro riguardante i ciottoli del lago
Omodeo nel Comune di Allai.
Desidero comunicarLe al riguardo che la vicenda è all’attenzione della Procura della Repubblica di
Oristano e non mi è possibile, al momento, fornirLe chiarimenti in proposito.
Tuttavia Lei ed i firmatari della mail potrete richiedere notizie direttamente alla suddetta Procura.
Con i più cordiali saluti.
F.to FrancescaTemperini - Segretario Particolare Ministro
.”
Sono trascorsi ancora sette mesi e più e dal magistrato che si occupa delle vincenda, il dottor De Falco, a quel che si sa, nessuna nuova. Non si sa – del resto il Ministero non poteva certo dirlo in una lettera – che cosa Bondi abbia chiesto alla Procura: se indagare sul silenzio della Sovrintendenza o se verificare l'autenticità dei reperti. E non si sa quali convincimenti, e su quali fondamenti, la magistratura si stia facendo o si sia fatta.
Chi sa se qualche etruscologo – che penso il magistrato abbia consultato o si appresti a consultare – se la sentirà di turbare la quiete, introducendo nella storia codificata una turbativa di tanta portata? Che ci facevano nel cuore della Sardegna quelle scritte etrusche, non in lapidi funerarie ma in sassolini come quelli che i bambini usano per giocare? E, soprattutto, che vi faveva quel dischetto di Crocores, così mirabilmente inciso con lettere etrusche che sembra una copia indigena del Disco di Magliano? Che etruschi e sardi si conoscessero e si frequentassero intono al IX secolo, è testimoniato anche dal bronzetto sardo trovato in una tomba a Vulci (quello della foto), ma non esageriamo. La vulgata dice che il guerriero o la donna siano stati comprati da un ricco aristocratico etrusco. Ma il fatto che addirittura etruschi fossero con i loro sassolini scritti lungo il fiume Tirso non va proprio: forse bisognerebbe rivedere qualche pagina di storia. Meglio convincere un magistrato, che di archeologi si deve fidare, che quelle iscrizioni sono false. O no?

lunedì 21 settembre 2009

All'origine della nostra autodisistima

“Non che continuare a battere sulla questione che sia stata la “Sardegna istituzionale” a “conquistare tutta l’Italia” ci faccia apparire meno coglioni autocolonizzati e sottomessi...” è il commento di Pietro Murru all'articolo di Francesco Cesare Casula.
Come darli torto? C'è nel commento una visione cupa e pessimista dello stato delle cose e una sorta di contemplativa rassegnazione davanti a una autodisistima (ma non è una pandemia, caro Murru) che colpisce moltissimi sardi. Personalmente sono assai meno pessimista, ma non riesco a non essere preoccupato per questa disistima. Cerco così di rintracciane alcune ragioni. La prima e più ovvia, pensando che l'uomo è anche quel che sa, è che a battere sulla questione posta da Casula sono in pochissimi e inascoltati. Ciò significa una cosa: l'autostima non può essere alimentata dalla conoscenza del ruolo che storicamente ha avuto la Sardegna.
Per un romanzo che conto di infliggere ai miei 24 lettori (25 li aveva un collega famoso anche per la bizzarra abitudine di sciacquare i panni in Arno) sto rileggendo la vulgata risorgimentale e leggendo documenti autentici di cui ignoravo l'esistenza. Ho lasciato da parte i libri scolastici grondanti enfasi e retorica davvero insultanti e sto leggendo testi meno agiografici. Per esempio quella “Storia di Italia” di Montanelli che vendette centinaia di migliaia di copie insieme al giornale cui fu allegato. Il Regno di Sardegna vi compare di sghimbescio e al suo posto compare il Piemonte. “Il Piemonte si era impegnato...”, “Una richiesta di annessione al Piemonte...”, etc, quando nei documenti diplomatici si parla di Sardegna.
Parlando degli accordi di Plombières fra Cavour e Napoleone, scrive, per esempio: “Insieme al Piemonte, la Lombardia, il Veneto, le Legazioni e le Romagne avrebbero formato un unico Stato sotto la corona dei Savoia”. Nella lettera che Cavour scrisse al Re dopo aver sottoscritto quegli accordi, non si parla mai di Piemonte, ma solo ed unicamente di Sardegna, che era il nome dello Stato. “Incominciò (l'Imperatore, ndr) col dire che era deciso di aiutare la Sardegna con tutte le sue forze in una guerra contro l'Austria”, “... anche per reclamare l'annessione di quei Ducati alla Sardegna”, “La Francia fornirebbe 200.000 uomini; la Sardegna e le altre province d'Italia gli altri 100.000”, del Piemonte si parla solo come entità geografica non come Stato.
Se i nostri ragazzi a scuola, e i più grandi nelle letture più impegnative, non sanno alcunché del ruolo della Sardegna (dal 1324 secondo il professor Casula e il Diritto) nella costruzione dello Stato chiamato Italia da 148 anni, quale stima basata sulla conoscenza possono coltivare? Se persino un ex ministro colto come Padoa Schioppa cancella il Regno di Sardegna, facendo “nascere” lo Stato nel 1861 (quelle betise! hai ragione Cesare), dove può albergare la conoscenza della storia che in tutti i popoli è la condizione dell'autostima? Pensi, caro Murru, a quale potenza dirompente di cancellazione dell'identità ebbe la derisione dei nuraghi implicita nell'editto delle chiudende. “Quel mucchio di pietre” servì a costituire la propietà perfetta delle “tancas serradas a muru”.
L'operazione tesa a cancellare la memoria del nuragismo è riuscita solo molto parzialmente, grazie a importanti nuove conoscenze, fra cui quelle introdotte a partire dalle opere di Lilliu fino a quelle di Gigi Sanna. Anche la folclorizzazione della lingua sarda e della cultura sarda è riuscita non del tutto. Non è un caso, credo, che l'autostima cresca e si affermi in questi due domini. Nella conoscenza della storia moderna e contemporanea siamo messi male: da lì vengono solo impulsi alla disistima del nostro essere sardi e una sorta di rassegnazione al non contare un tubo, a essere cioè colonizzati senza rimedio.
Ma il rimedio c'è, io credo, anche se non di immediata attuazione. Non rassegnarsi e batterci con tutte le nostre forze perché la scuola formi cittadini e non coloni. Parte dei nostri contemporanei continueranno a sentirsi “coglioni autocolonizzati e sottomessi”, ma figli e nipoti no. È una lotta quasi disperata, visto che il complesso politico e culturale intende insistere con il “Grande inganno” su cui sta per uscire un libro di Francesco Cesare Casula. Ma è l'unica cosa che l'ottimismo della volontà ci spinge a fare.