venerdì 31 luglio 2009

Dialetti, lingue e tentazioni eversive

Leggi su un quotidiano delle “ripugnanti proposte leghiste, come quella recentissima di imporre agli insegnanti un esame di cultura e lingua locali” e devi correre a vedere la data del giornale. Vero è che quell’aggettivo “leghiste” ti da il senso del tempo. Ma la frase di Ernesto Galli della Loggia sembra presa dal passato fascista. Quando, nel 1931, il gerarca responsabile dell’ufficio stampa di Mussolini, Gaetano Polverelli, imponeva ai giornali di “non pubblicare articoli, poesie, o titoli in dialetto. L’incoraggiamento alla letteratura dialettale è in contrasto con le direttive spirituali del regime, rigidamente unitarie. Il regionalismo, e i dialetti che ne costituiscono la principale espressione, sono residui dei secoli di divisione e di servitù della vecchia Italia”.
Curiosa somiglianza dei due con quanto diceva Friedrich Engels, amico e compagno di Marx, secondo il quale – cito a memoria – i “dialetti” sono rottami del passato che la storia provvederà a cancellare. L’odio per le diversità, il livore contro tutto ciò che l’invenzione degli Stati-nazione non riesce a controllare è una costante nel fascismo e nel comunismo. Evidentemente non solo lì. Non c’entra la Lega, o, al massimo, la Lega è il capro espiatorio di un nazionalismo granditaliano che non a caso rigurgita oggi che è aperta la polemica di questi nazionalisti contro la disattenzione con cui la politica guarderebbe alle celebrazioni del 150simo anniversario della cosiddetta “Unità d’Italia”.
La Repubblica italiana è unita e già la cosa, per come questa unità si è formata, cancellando il fatto per esempio che essa è erede del Regno di Sardegna, lascia perplessi. È comunque costituzionalmente garante delle autonomie e delle lingue diverse dall’italiano e, sotto questo aspetto, dà garanzie di quel pluralismo che gli epigono di Polverelli vorrebbero cancellato. Ma dire che unita è l’Italia, intesa come l’insieme di territori, lingue, culture, tradizioni, è una pericolosa sciocchezza che, questa sì, farebbe tornare lo Stato italiano all’Ottocento e al Ventennio. Solo nostalgici del vetero-nazionalismo passato possono pensare davvero a uno Stato, un Popolo, una Lingua.
Dal momento che la Costituzione riconosce l’esistenza di lingue diverse dall’italiano e, per quanto ci riguarda, l’esistenza del popolo sardo (niente meno che titolare di iniziativa legislativa), scritti come quello di Della Loggia non sono solo scioccamente provocatori: sono una istigazione all’eversione.

giovedì 30 luglio 2009

Lingua sarda e sindrome del "muoia Sansone e i filistei"

C’è una sindrome curiosa in alcuni di noi: pur di andare contro un partito avversario (la Lega in questo caso) si gioisce per la marcia indietro rispetto a un provvedimento che avrebbe giovato ai sardi. Muoia Sansone con tutti i filistei, per non dire dell’estremo sacrificio di chi per fare dispetto alla moglie... Con atteggiamento che è difficile non definire sub-colonialista si irride ai dialetti (lombardi o comunque nordici), contenti della differenza della Sardegna che ha, invece, una lingua tutelata dalla Regione e dallo Stato, come se il sardo non fosse lingua anche prima di questi riconoscimenti. È proprio vero, allora, che una “lingua è un dialetto con alle spalle un esercito”.
Ma c’è qualcosa di più bizzarro ancora: della proposta della Lega sui dialetti e le culture regionali hanno parlato i giornali così come i giornali hanno parlato della marcia indietro della Lega sulla questione dei dialetti. Alcuni di noi hanno appreso della proposta dai giornali, altri (come me), dal testo autentico dell’emendamento presentato dalla stessa Lega. Noi ci siamo presi diverse qualifiche, dagli ingenui ai babbei creduloni da chi ha appreso della “marcia indietro” dagli stessi giornali. Noi babbei, loro svegli. E poco importa che non abbiano verificato sui documenti autentici.
In realtà – basta leggere le dichiarazioni dei leghisti – la marcia indietro appare solo una tattica: lancio un’idea, osservo le reazioni, modulo l’idea, ma non la lascio perdere. “Si tratta di un esame di poche domande, ne bastano quattro, per provare il livello di conoscenza di storia, cultura, tradizioni e lingua della regione in cui vogliono insegnare” gli esaminandi, ha detto la capogruppo della Lega in commissione Cultura alla Camera, Paola Goisis. Se così sarà, anche noi sardi saremo tutelati da chi pretende di insegnare a nostri figli cose di cui ignorano l’esistenza. Come quegli insegnanti sardi che obbiettano “il sardo? Ma per carità” o che parlano della dominazione coloniale dei greci in Sardegna o, anche, che i fenici costruivano tombe nel IV secolo aC, perché così hanno letto su La Repubblica.
Dire di no a questa idea solo perché è venuta ai leghisti è quanto di più idiota si possa immaginare. E, soprattutto, pone quei sardi, magari fervidi assertori del diritto loro e dei propri figli a conoscere la lingua, la cultura e la storia, sullo stesso piano dei tanti giacobini (di destra, di sinistra, di su e di giù) che hanno condannato la proposta leghista. Ecco un piccolo florilegio: “Il dialetto è un’eredità storica molto locale e circoscritta che si impara nella vita reale, quella di tutti i giorni. Impossibile introdurlo nella scuola” (Francesco Sabatini, presidente onorario dell’Accademia della Crusca). “E’ una proposta discriminante e ingiusta, che riporta indietro al 1800, quando l’Italia era ancora divisa in stati e ognuno parlava il suo dialetto” (Sindacato Gilda). “Esprimo solidarietà al governo perché i giornali non lo capiscono mai. Forse se il governo parlasse in italiano invece che in dialetto ci sarebbero meno fraintendimenti...” (Rocco Buttiglione, presidente Udc). “Stupisce che mentre la Lega cerca di simulare passi indietro per sgonfiare le polemiche sui test di cultura e dialetto, il ministro Gelmini non esisti a fare passi in avanti che ridicolizzano ancora di più la scuola pubblica” (Manuela Ghizzoni, capogruppo del Pd in commissione Cultura della Camera).
È in compagnia di gente così, cari amici che avete irriso, che rischiate di trovarvi. Badate che gente così non fa distinzione fra dialetto e dialetto: per loro sardo, siciliano, lombardo, veneto sono la stessa cosa.
Intanto, così per curiosità, vi segnalo che in Italia (sondaggio del Corriere) il 67,5 per cento si è detto contrario al test “dal quale emerga la loro conoscenza della storia, delle tradizioni e del dialetto della regione in cui intendono insegnare”. In Sardegna (sondaggio dell’Unione sarda) il 74,1 per cento è favorevole. Stamattina, questo sondaggio è stato chiuso, dopo appena una trentina di ore dall'apertura. Curioso: restano aperti questi sondaggi che dall'argomento si capisce non sono freschi di giornata:
Napolitano: stop alle polemiche in vista del G8. Che ne pensi?
Calcio: il Milan deve comprare un attaccante. Chi potrebbe essere l'uomo giusto?
G8, i grandi per l'etica e le regole. Sei ottimista?
Donne in pensione, l'età si innalza. Che ne pensi?
Chimica, si riapre una prospettiva per la Sardegna. Che ne pensi?
Afghanistan e missioni di pace. Sei d'accordo sull'impegno dell'Italia?


PS - Il "mio prezioso nemico" (così Marcello Fois nei miei confronti e io contraccambio di cuore) si scopre linguista e scrive sul Corriere: "Un sardo deve sapere almeno uno dei tre ceppi linguistici: logudorese, campidanese, gallurese. Sono tre lingue...". Incavolati tabarchini, sassaresi e catalani d'Alghero neppure nominati; felici Blasco Ferrer, Graziano Milia e altri inventori del "campidanese" come lingua a parte. Hanno trovato un adepto nella Barbagia di Bologna.

mercoledì 29 luglio 2009

La Lega per lingue e dialetti. Finalmente

La proposta della Lega di selezionare i nuovi insegnanti sulla base della conoscenza della storia e delle lingue locali sta scatenando la canea, assolutamente bipartisan, del giacobinismo italiano. Eppure si tratta di una misura assolutamente giusta e legittima. Qualcuno vi vede un bel po’ di antimeridionalismo (sospetto alimentato dalle dichiarazioni di qualche leghista preoccupato dalla “invasione” dei meridionali nelle scuole del Nord). Può darsi e, francamente, questa discriminazione non sarebbe tollerabile, tanto più che nessuno impedisce ad un insegnante meridionale di studiare e conoscere la storia, il dialetto o la lingua, le tradizioni della regione dove vuol andare a insegnare.
Ciò non toglie che la proposta è giusta e va in direzione del rispetto delle diversità. E spinge i futuri insegnanti a rispettare il diritto dei bambini e dei ragazzi ad una istruzione non approssimativa, indifferente al loro interesse a conoscere la terra in cui vivono. Sapere che in Sardegna si sono sviluppate civiltà autoctone e allo stesso tempo aperte a intensi scambi internazionali è indispensabile alla crescita culturale di futuri cittadini; negare loro queste informazioni a scuola significa farne cittadini dimezzati, costretti a considerare la scuola un non luogo, buono al massimo per trascorrervi parte del tempo.
Lo stesso, in maniera ancora più grave, succede con la lingua che molti bambini (anche se sempre meno) parlano prima di entrare nell’edificio scolastico e poi all’uscita: la scuola diventa, così, una parentesi fra la vita reale del prima e del dopo insegnamento. Quattro o cinque ore di sospensione giornaliera dove disimparare ad avere relazioni con il proprio mondo. Si può dire che gli insegnanti, usciti da università anch’esse a volte non luoghi, non hanno imparato la storia sarda né la lingua. Possono sempre imparare l’una e l’altra, soprattutto se una legge obbligherà le università sarde a insegnarle ai futuri professori.
Le reazioni alla proposta leghista sono per lo più improntate alla difesa dell’esistente, quando non a un rifiuto giacobino delle lingue e dei dialetti, considerati una zeppa messa nel corpo dell’unità della Repubblica. La stessa opposizione centralistica (di più, accentratrice) c’è nei confronti della storia locale che, ovviamente, dà un quadro della storia italiana diversa da quella costruita per dar conto di una realtà che o non esiste o è piegata ad esigenze politiche.
Ma ci sono reazioni a livello diverso da quello politico-parlamentare, come alcuni sondaggi promossi da quotidiani. Nel suo sito, l’Unione sarda ne aveva uno fino alle prime ore del mattino, quando il risultato era 50% favorevole alla proposta leghista, 50% contrario. Poi è scomparso. Forse, quel 50% di favorevoli era considerato un brutto segnale di interesse a una questione, quella della lingua, che al giornale, invece, non interessa affatto. I giacobini di ogni tendenza saranno invece soddisfatti per il risultato del Corriere della Sera, anche se il 71% di contrari di stamattina sta lentamente diminuendo.
Solo un consiglio: io ho già votato a favore della proposta. Se qualcuno volesse seguirmi, il sondaggio è all’indirizzo: http://www.corriere.it/appsSondaggi/pages/corriere/d_5548.jsp

PS - A metà mattina, il sondaggio dell'Unione è riapparso con i risultati che vedete nella foto. Un risultato desolante, ma assai in linea con l'opera di disinformazione e di mistificazione che quel giornale attua da tempo nei confronti della lingua sarda e di qualunque lingua non sia quella usata dall'Unione. Il link al sondaggio dell'Unione è http://unionesarda.ilsole24ore.com/Sondaggio.aspx?id=136655

PS 2 - Qualcuno "confessa" di aver votato più volte nel sondaggio dell'Unione. Non importa, al fine del segnale che credo si volesse dare. A me non è riuscito: compare la scritta che ho fotografato.

martedì 28 luglio 2009

Il genero (io), il candidato (Milia) e i 500.000 € restituiti

di Roberto Bolognesi

Il genero
Mia suocera sta male.
Oddìo, non è che stia malissimo, ma bene non sta.
Detto fra noi, io starei meglio se lei stesse peggio, ma non posso dirlo apertamente, sennò mia moglie si arrabbia e chiede il divorzio.
E, soprattutto, non mi rinnova il contratto come Amministratore Delegato della nostra azienda.
E sì, la maggiore azionista è lei ...
Mia moglie insiste e insiste: “Bisogna curarla! Muoviti, fai qualcosa!”
Meno male che non si è accorta che i 500.000 Euro che la A.S.L. ha messo a disposizione per le cure più urgenti non li ho utilizzati.
Sono riuscito a tenere quei soldi fermi per due anni, in modo che neanche gli altri potessero utilizzarli, e poi li “ho dovuti” restituire.
Però, la tattica del non far niente non funziona come dovrebbe: quella vecchiaccia proprio non ha voglia di morire.
E per di più c’è sempre più gente che si preoccupa per lei.
Mia suocera, qui da noi, è tenuta in grande considerazione: che tonti! Hanno addirittura fatto un’inchiesta ed è saltato fuori che circa il 97% dei nostri concittadini la conosce almeno di vista e che il 67% circa con lei ci parla pure.
Così mi è venuta un’idea: “La Suocera Dimezzata!”
Se non muore così...
Ho trovato subito una squadra di gente disposta a squartarla: gente qualificatissima!
Hanno tutti fatto un master di medicina della durata di un’anno scarso e, nel mentre, hanno anche imparato a scrivere.
A dir la verità non hanno ancora imparato bene a leggere, ma meglio non sottilizzare: bisogna accontentarsi di quello che passa il convento.
Questa volta dovrebbe andare bene.
Poi penserò a mia moglie...


Il candidato
Il presidente uscente della Provincia di Cagliari, Graziano Milía, ha lasciato inutilizzati circa 500.000 Euro, messi a disposizione dallo stato in ottemperanza alla legge 482/99 sulle lingue minoritarie. In questo modo Milìa è riuscito a non far lavorare per un anno 20 giovani, che altriimenti avrebbero ricevuto uno stipendio di circa 25.000 Euro ed è anche riuscito a garantire la non visibilità ufficiale della lingua sarda nella Provincia di Cagliari. I quattrini in questione sono stati interamente restituiti allo stato.
Il Presidente Milìa appoggia apertamente la standardizzazione del “campidanese” effettuata da un gruppi di “linguisti”, il più qualificato dei quali è un medico che ha fatto un master di circa un anno in linguistica sarda.
La standardizzazione del “campidanese” è stata effettuata in polemica con i tentativi di arrivare a una forma unitaria scritta della lingua sarda. L’idea (quasi apertamente) dichiarata è quella di impedire qualsiasi forma di unificazione del sardo scritto.
Graziano Milìa sarà candidato per il PD alle prossime elezioni pronciali.


PS a scanso di equivoci
Le due parti di questa nota non hanno niente a che fare l’una con l’altra. Io pure - come tutti quelli che non si sono accorti di niente in questi anni - “tengo famiglia”!

lunedì 27 luglio 2009

Nel piano di sviluppo non c'è posto per il sardo

Se sono fedeli (e purtroppo so che lo sono), i resoconti dell’ufficio stampa della Regione sugli incontri con le province fatti dall’assessore La Spisa danno conto del deserto che circonda la questione della lingua sarda. Nel Piano regionale di sviluppo illustrato dall’assessore della programmazione, non c’è alcun accenno alla lingua sarda né alle altre quattro parlate nell’isola. È come se le due cose, sviluppo e lingua, non siano destinate ad incontrarsi, come se lo sviluppo della Sardegna sia una cosa e la lingua una cosa a parte. Una sorta di ciliegina da mettere sulla torta, se avanza denaro “per lo sviluppo”.
Quel che sconcerta, in più, è il disinteresse totale degli interlocutori di La Spisa ovunque egli vada a presentare il suo piano. Sindaci, presidenti di provincia, sindacalisti, imprenditori (gli intellettuali o non sono stati invitati o non ci sono) son tutti d’accordo nel non pronunciare la parola, almeno in coda: “E poi ci sarebbe la lingua sarda...”. Non è compresa neppure nella vaga dizione “patrimonio culturale” che, insieme al “patrimonio ambientale” è uno dei punti di forza del piano di sviluppo.
Per la “Tutela e valorizzazione del patrimonio ambientale e culturale”, questi sono gli interventi previsti:
1.Tutela e valorizzazione delle risorse ambientali, degli attrattori culturali e del patrimonio paesaggistico
1.Tutela e valorizzazione Aree Protette, Aree SIC, Aree ZPS
2.Tutela e valorizzazione delle coste
3.Tutela e valorizzazione del patrimonio forestale
4.Realizzazione di percorsi integrati turismo – ambiente.
È un’antica prevenzione della sinistra, quella secondo cui la lingua, epifenomeno della cultura, insieme agli altri elementi dell’identità, se non di ostacolo certo era indifferente nel processo di sviluppo. Fa specie ritrovare i segni di questo pregiudizio in una cultura politica che dovrebbe essere di tutt’altra origine. Questo, probabilmente, non vorrà dire che la Giunta regionale non manterrà la promessa fatta dai presidenti del Consiglio regionale e della Regione. Del resto, questa maggioranza ha firmato un accordo con il Partito sardo in merito.
Il segretario nazionale, Efisio Trincas, lo ha recentemente ricordato con questa dichiarazione, naturalmente ignorata dalla stampa, posto che si tratta di lingua sarda”
L’incontro di Orosei promosso dall’Assessorato regionale alla Cultura e Pubblica istruzione del 11/12 luglio, dove si è parlato di toponomastica e di politiche linguistiche alla presenza di studiosi locali e internazionali, ha messo in evidenza l’esigenza urgente che la regione deve dotarsi al più presto di una politica linguistica di valorizzazione, tutela, promozione e uso diffuso della lingua sarda. L’attuale maggioranza che guida la Regione non dovrà dimenticare che nel programma elettorale che ci ha portato alla vittoria delle elezioni, l’inserimento del Sardo nelle scuole era uno dei punti programmatici qualificanti. Pertanto alla luce anche delle dichiarazioni rilasciate qualche giorno fa dalla presidente Lombardo sull’Unione Sarda, dove si rivendica la giusta esigenza di costituzionalizzare la lingua sarda ponendola come centrale nella redazione del nuovo statuto regionale, il Partito sardo d’azione chiede che venga convocato al più presto un tavolo di maggioranza per individuare i punti strategici della discussione e per stendere un programma di interventi immediati, sia per istituzionalizzare il sardo nella scuola, sia per valutare il ruolo e la posizione degli sportelli linguistici comunali”.
Sarebbe comunque un brutto segnale se, alla fine, la maggioranza dovesse dare un’occhiata alla lingua, solo perché un alleato glielo ricorda in maniera brusca.

Porrino e i suoi Shardana messi nel cassetto. Ma a gennaio...

di Giuanne Masala *

Il 14 e il 16 gennaio verrà eseguito in forma semiscenica (regia di Marco Catena) il dramma musicale in tre atti I Shardana: Gli uomini dei Nuraghi. A dirigere coro e orchestra del teatro Lirico di Cagliari sarà Anthony Bramall.
Pochi sanno che Ennio Porrino è il maggiore compositore che la nostra isola abbia espresso. Innumerevoli sono le vie e le piazze che portano il suo nome, ma pochi sanno chi egli fosse veramente. Questo processo di riscoperta raggiungerà il suo apice il 14 e il 16 gennaio 2010, date in cui il Teatro Lirico di Cagliari riproporrà al pubblico la grande opera lirica I Shardana, che 50 anni fa ottenne un enorme successo al Teatro San Carlo di Cagliari (21 marzo 1950) e al Teatro Massimo di Cagliari (18 marzo 1960).
Nato a Cagliari nel 1910 e morto improvvisamente a Roma nel 1959 a soli quarantanove anni, Ennio Porrino rappresenta indubbiamente una figura di primissimo piano nel mondo componistico del nostro paese e sicuramente la più grande della Sardegna. Ancora ventenne si afferma con la lirica Traccas (su versi di Sebastiano Satta) nel concorso nazionale La Bella Canzone Italiana.
Segue una strepitosa carriera il cui apice è sicuramente costituito dalla prima rappresentazione assoluta de I Shardana al Teatro San Carlo di Napoli; la sua morte improvvisa è di circa sette mesi più tardi. L’autorevole enciclopedia musicale tedesca Die Musik in Geschichte und Gegenwart riporta che «la grande opera I Shardana fu accolta dalla critica come “la più importante opera lirica composta in Italia in questo dopoguerra”» (Felix Karlinger, 1962).
Ed effettivamente, all’indomani della rappresentazione sancarliana del 21 marzo 1959 le critiche sono eccezionalmente positive. Sia riviste specializzate che quotidiani attribuiscono a I Shardana tanti meriti e uno soprattutto unanime: la capacità dell’artista di coniugare magistralmente l’antica e gloriosa storia sarda con la musica classica moderna, attingendo nel contempo alla musica tradizionale dell’isola mediterranea.
Il 18 marzo del 1960 I Shardana verrà rappresentata, in occasione della commemorazione del compositore, al Teatro Massimo di Cagliari, e riscuoterà anche nella capitale sarda un grandissimo successo; dopo, il silenzio… Era la prima e l’ultima volta che la cultura nuragica andava in scena! Non va dimenticato inoltre, che all’epoca della rappresentazione de I Shardana Porrino ricopriva ormai dal 1951 l’incarico di professore ordinario di composizione al Conservatorio romano di Santa Cecilia a cui si aggiunse, dal 1956, anche quello di Direttore del Conservatorio Giovanni Pierluigi da Palestrina di Cagliari e di Direttore Artistico dell’Ente Lirico e dell’Istituzione dei Concerti.
All’estero il compositore sardo era già noto da tempo, in modo particolare grazie alle sue opere sinfoniche Sardegna e Nuraghi, eseguite più volte sia in Europa che negli Stati Uniti, e in numerose occasioni dirette dal celebre Leopold Stokowski, che in una lettera inviata a Porrino da New York il 5 gennaio del 1950 così si esprime poche settimane dopo l’esecuzione di Sardegna del novembre 1949 alla Carnegie Hall con la New York Philarmonic: <Sull’Unione Sarda del 16 luglio scorso leggiamo con piacere che "a caratterizzare la stagione concertistica 2009-2010 sarà Ennio Porrino, di cui si celebra il centenario della nascita (10 gennaio 1910) e il cinquantenario della morte (25 settembre 1959).
Il 14 e il 16 gennaio verrà eseguito in forma semiscenica (regia di Marco Catena) il suo dramma musicale in tre atti I Shardana: Gli uomini dei Nuraghi. A dirigere coro e orchestra di casa sarà Anthony Bramall. Tra i protagonisti Giorgio Surian, Chiara Taigi (in questi giorni Aida nel secondo cast) e il nostro Gianluca Floris (Perdu). Ancora Porrino ( Sardegna ) insieme al suo maestro Respighi (Pini di Roma) nella serata del 12 febbraio. Sul podio Maurizio Benini, al violino Julian Rachlin>> (L’Unione Sarda, 16 luglio 2009). Meglio tardi che mai! A chent’annos Ennio!
«Nella musica di Porrino la Sardegna possiede ben più che un insieme di note musicali; la musica di Porrino assicura per sempre alla sua terra, depositaria del grande tesoro, una voce in capitolo nella grande scena del mondo» (F. Karlinger).


Per approfondimenti:
Ennio Porrino, I Shardana: Gli uomini dei nuraghi (Dramma musicale in tre atti), Nördlingen 2006. Volume contenente il testo in tre atti a firma dell’autore, nonché le critiche all’indomani della rappresentazione al Teatro San Carlo di Napoli (1959) e al Teatro Massimo di Cagliari (1960). Fotografie inedite di scena della «prima», i bozzetti di Màlgari Onnis Porrino, una prefazione di G. Masala, un articolo di F. Karlinger sulla sardità dell’arte porriniana, un’intervista al compositore, la lettera-testamento di Porrino e altri materiali inediti rievocano una delle giornate più memorabili della storia dell’opera lirica contemporanea.

dal sito Disterraus sardus

sabato 25 luglio 2009

L'arte nuragica non è in Italia. Firmato: Bondi

I fenici e i punici sono le star di questa estate sarda. Grandi scoperte si annunciano a Sant’Antioco e a Sirai, la Soprintendenza annulla il blocco delle costruzioni intorno alla necropoli punica di Tuvixeddu, tombe fenice del IV secolo sono nascoste nella tenuta di Berlusconi in Costa Smeralda. Dico “sono” e non sarebbero perché giornali e politica hanno deciso così. Le prime due notizie dimostrano almeno una cosa: non sono i soldi che mancano per scoprire che cavolo facevano i sardi prima dell’arrivo dei fenici, è la volontà che manca. Anche la terza mostra che soldi ce ne sono, tant’è che la Soprintendenza è disposta a metterli in una causa davanti al Tar che sicuramente ci sarà.
Ma, mentre le prime tre notizie sono riservate ad una parte dei sardi (il giornale che ne parla lo fa solo nelle cronache destinate a su capu de giosso), l’altra ha fatto il giro d’Italia e del mondo. Naturalmente non è il presunto ritrovamento di tombe fenice del IV secolo aC (davvero eccezionale, visto che i fenici non c’erano da almeno due secoli) ad interessare, ma il protagonista del presunto ritrovamento, Silvio Berlusconi. È tanto ininfluente la cosa in sé, l’esistenza delle tombe, che un giornale normalmente serio ed informato come Il Corriere della Sera si abbandona a questo strafalcione storico: “I fenici, popolo di mercanti provenienti dal Libano, furono in Sardegna dal IX al III secolo a.C. Inumavano i morti in tome chiamate tophet”.
Non penso manchi al più diffuso giornale italiano la possibilità di chiedere ad uno storico come stessero davvero le cose. È che non gliene può importare di meno. La notizia non è il presunto ritrovamento, è che sarebbe avvenuto in casa Berlusconi. In più tutto si svolge in Sardegna, terra misteriosa su cui poco si sa e dove, vicino a Portorotondo, può essere che i fenici siano rimasti fino al III secolo avanti Cristo, costruendo tophlet e, chi sa?, forse anche quelle curiose torri che gli indigeni chiamano nuraghi. “Non lo escluderei al cento per cento” come ha detto l’archeologo Rubens D’Oriano quando ha saputo delle tombe fenice del 300 avanti Cristo.
Ma vorrei tornare alla questione dei soldi che, in Sardegna, sbucano fuori quando si tratta di occuparsi di civiltà importate e si nascondono quando c’è da occuparsi della civiltà autoctona. I soldi, sia chiaro, li mette il Ministero, ma anche la Regione, benché questa sopporti che quasi tutto si faccia a sua insaputa. Non mi è ancora andato giù il fatto che la Soprintendenza abbia prestato ad un museo parigino la nostra Stele di Nora, senza chiedere il permesso al Governo sardo. Il quale paga un sacco di soldi per la tutela dei beni culturali che è di competenza dello Stato. Lo scorso anno, per dire, la Sardegna è andata in aiuto ai Beni culturali dello Stato con ben 155.621.000 euro, 130 volte quando ha speso per la lingua sarda, tanto per dare un’idea.
I governi italiani (tutti, anche questo) hanno un’idea davvero separatista dei beni culturali della Sardegna e, soprattutto, di quelli che riguardano la preistoria e la protostoria. Immagino sia sfuggita ai più la notizia che il ministro Bondi ha fatto “finire nel cassetto” una serie di opere, “alcune davvero singolari, altre del tutte aliene dalla celebrazione” del 150° dell’Unità d’Italia. La prima ad essere citata è “il Museo mediterraneo dell’arte nuragica e dell’arte contemporanea” di Cagliari.
Con grande soddisfazione di chi, come me, pensa che infatti l’arte nuragica con l’Italia c’entri come il cavolo a merenda e che lo stesso capiti per la Sardegna in rapporto all’Unità d’Italia. Il Centro congressi e il Palacinema di Venezia sì, sarà finanziato, il museo dell’arte nuragica no. Evviva la chiarezza.

Nella foto: il progetto del Museo d'arte nuragica