mercoledì 1 luglio 2009

Quella Tanit che parla d'amore

di Herbert Sauren

Avendo ricevuto la notizia dal blog e la presentazione della pietra di Siapiccia-Feureddu da parte del collega Gigi Sanna, mi sono permesso di riprendere la questione. Naturalmente non è facile leggere un testo sconosciuto e con un arrangiamento di lettere contro le abitudini degli scriba dell’epoca. Ho visto che G. Sanna vuol leggere il testo in bustrofedico, ma da dove vuol cominciare? Io non ho trovato alcuna lettera interpretata e alcun parola tradotta. Vorrei tanto conoscere le sue argomentazioni; un’opinione personale, senza darne ragione non aiuta.
Non è la prima volta che G. Sanna ci presenta l’immagine della dea del cielo chiamata “Tanit” dai cartaginesi. Si sono trovati abbastanza esempi in Sardegna e molti si trovano già nel blog di Gianfranco Pintore. Naturalmente, questa dea aveva molti nomi, invocazioni secondo i fedeli, e molti altri dei e dee contano una serie di nomi. La Tanit è la donna per eccellenza, la dea Inin, poi Inanna venerata dei sumeri, Ishtar dai babilonesi, Inar dagli ittiti; seguono le genti di Ugarit con Anat e Ashtarte, i greci adoravano Afrodite e la ninfa dei boschi Nape, un nome che si ritrova nella regione di Carceres e Galizia in Spagna.
Essa è la bella del cielo, la donna in alto, Venere dei romani, la dea dell’amore. È con questo epiteto che la pietra di Siapiccia Feureddu ci presenta la dea. Il disegno sulla pietra è un gioco, fatto forse per degli innamorati; non c’è bisogno dei segreti della religione dell’epoca. Intorno all’immagine della dea si trova un detto popolare.

l m r i v z h_ a4 t2 l š r l g l
*l’amore wa zah_at lišarr ligall

Lei è l’amore e riunisce nel male e nel grande

Il disegno della “Tanit” nel mezzo mostra la posizione della pietra. La Tanit è in piedi e la sua testa mostra la pietra in posizione verticale. G. Sanna presenta così la pietra. La posizione della dea in mezzo al disegno permette di presumere che le lettere si trovano intorno alla figurina. La Tanit si inclina verso sinistra e sembra verosimilmente che la prima lettera dell’iscrizione si trovi davanti alla sua testa. La spiegazione lettera per lettera cliccando qui. Stupefacente è una parola in “italiano” con l’articolo, le altre sono in una lingua semitica.

martedì 30 giugno 2009

El-Ahwat: mura nuragiche in terra israeliana

La questione di un probabile insediamento shardana nei pressi dell'attuale Haifa, in Israele, non è nuova. Anzi risale al alla fine del secolo scorso, quando se ne cominciò lo scavo sotto la direzione dell'archeologo israeliano Adam Zertal del sardo Giovanni Ugas. Ma continua, ovviamente, a suscitare curiosità in alcuni e sorda incomprensibile rabbia in altri. Nel luogo chiamato el-Ahwat, come è noto, fu trovata una costruzione megalitica che sia Zetal sia Ugas ritennero riconducibile ai costruttori dei nuraghi, gli shardana.
Ai lettori di questo blog che l'hanno esplicitamente richiesto, e più in generale a chi volesse avere un approccio più approfondito segnalo qualche link e una lunga comunicazione fatta dallo scopritore del sito, Zertal, a un workshop a Dublino. Quest'ultima si trova nel mio sito, come pdf.
Sito dell'Università di Haifa,
Focus della stessa Università
e, in più, questi tre link:
http://www.specialtyinterests.net/ramses3.html,
http://www.kolisraelorg.net/neshama/documentos/anti/sobre_el_osario_y_la_inscripcion.htm
http://en.allexperts.com/e/a/ah/ahwat.htm

Nel disegno: la ricostruzione isometrica del sito di el-Awhat

Maderria: l'antica grandezza illirica in Sardegna?

di Alberto Areddu

Io non so se gli albanesi siano un popolo grande, so che vi sono tra loro delle grandi persone, una conferma mi viene dall'intervista che m'hanno fatto i giornalisti dell'Albanianews, il massimo giornale italo-albanese on line, cosa che m' accomuna a un altro grande intervistato, Roberto Saviano (esperto di cose che in Sardegna dicono mancare). Ma parlando di grandezza, mi viene da porre una domanda agli utenti del blog: maderria, vi è mai capitato di sentire in qualche luogo sardo tal parola? Chiedo ciò, perché ben conscio che come possono esistere epigrafi che sono dubbie, così pure esistono parole di cui non essendo acclarata la loro esistenza e provenienza, dobbiamo purtroppo fare a meno (le cosiddette vox nihili), almeno fino a nuovi accertamenti. Se qualcuno dunque l'avesse sentita e con lo stesso significato che vi indico, avremmo una conferma in più a quanto vado sostenendo. Dubbi sulla sua legittimità non sembrerebbe comunque porre al momento la parola in questione (vi rimando ad ogni modo per un'analisi più articolata al mio sito di sardoillirica). Essa è infatti riportata dai due più ricchi vocabolari sardi (entrambi cartacei e on line) il Puddu (del 2000) e il successivo (e ancor più enciclopedico), Rubattu (2004), dove viene indicata come logudorese, a indicare 'alterigia, grandigia, ostentazione, presunzione, sgallettio, vanagloria'. Mario Puddu mi scrive:
Su númene "madérria" deo pesso de l'àere imparadu in Illorai, fintzas si in su Ditzionàriu no bi apo postu mancu una propositzione de esémpiu. Ma ndhe aprofito pro ndhe dimandhare apenas chi bi torro. E fintzas custu narat cantu pagu est istudiadu su sardu! A mie mi est bastadu de lu rezistrare
Ho fatto diversi tentativi per spiegarla in sede storica, ma tutti si riducono al solo latino MATERNIA, che in un'accezione particolare di significato potrebbe esser valso "grandezza", sulla falsariga di MATERNU, da cui deriva il francese materne 'grosso', e l'italiano madornale 'grosso, grossolano'. Resta il fatto che la parola sembrerebbe avere un'accezione alta, mentre queste e altre rimangono confinate all'ambito dei termini con allure rustica. Rimane la chiave del sostrato, e qui ci si rivela subito un'enorme coincidenza, giacché in albanese si dice:
madhërì 'grandezza', madhëria 'la grandezza', ma anche 'magnificenza, maestà, orgoglio, boria', che deriva dall'aggettivo madh 'grande', ad esempio dall'italo-albanese abbiamo: te madhëria e tij 'nella tua maestà'. La -dh- albanese è suono che possiamo avvicinare al nostro -d- di mudu, seda, o al suono di -th- in inglese: mother. Il suffisso -rì viene indicato come indigeno dagli studiosi, a indicare collettivi o astratti toschi (mizërì 'moltitudine', djalërì 'giovinezza'). La parola madh viene riallacciata ad altre indoeuropee (tipo greco mega, indiano mah, latino magnus) e si suppone un albanese antico: *madzi/madza; alcuni suppongono una relazione con l'antico nome di colle illirico Massaron, col nome della tribù dei Mazaioi, col nome Masaurus, col messapico mazzes/maddes. La correlazione con il logudorese di Illorai, pare evidente. Sempre che qualcuno non trovi di meglio...

domenica 28 giugno 2009

Scrittura nuragica: ecco un altro documento

di Gigi Sanna

Caro Gianfranco,
stai tranquillo, io non abbandono il Blog. Per una ben precisa ragione: che altri vorrebbero proprio questo. Scrivono per questo, si dannano l’anima per questo. Mi costa un po’ di tempo (sprecato, devo ammetterlo) e devo rispondere per le rime anche da ‘monello’. Ma il gioco (peraltro divertentissimo, anche se in fondo puerile puerile, di chi le canta e dà più fastidio all’altro) vale la candela. Avevo scritto un po’ di tempo fa:’ we can, ‘in internet’ si può, seguito da certe considerazioni’. Le ribadisco oggi precise precise e se uno vuole può andare a leggersele. In internet, dato il pubblico vastissimo e spesso assai competente (ci sono anche, strano a dirsi, disinteressati membri - alcuni miei carissimi amici - di riviste severissime e specializzate) non si può barare e, tanto meno, illudersi di poter fare ‘la gara di un giorno’.
Per questo motivo ti mando quest’altro documento (vedi la foto), a cui seguirà un altro, un altro ancora e ancora un altro… all’infinito. Vediamo chi è che si arrenderà per primo. Aggiungilo alla tua personale collezione. In attesa di tutti i doverosi chiarimenti, per ora posso solo dirti che si trova in un luogo ben visibile, all’aperto, vigilato ogni tanto da chi lo ha scoperto e lo ha segnalato da un po’ di tempo al sottoscritto. Prima o poi chi legittimamente deve custodirlo lo avrà (anzi più ‘prima’ che poi e puoi capire il perché ). Si tratta di una grossa pietra che reca due profonde linee che corrono parallele per tutta la superficie di essa.

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sabato 27 giugno 2009

Le navicelle nuragiche, immagini cosmiche

di Franco Laner

Prendo spunto dall’immagine che correda lo scritto di Alberto Areddu del 20 giugno per invitare a guardare la navicella con altri occhi ed intenzioni. Ognuno - non è mia la considerazione, ma non so di chi - guarda con gli occhi e vede col filtro della sua cultura e della sua mente. Considero i tanti bronzetti “navali” oggetti votivi e funerari.
Perché? Perché ogni navicella è una immagine cosmica! C’è sempre un axis mundi, il palo (albero) centrale e quattro altri pali, sostegno del cielo. Quattro punti cardinali e l’asse centrale è la più semplice rappresentazione del mondo, o del cosmo, presso moltissime culture, dai mandala orientali, agli etruschi – la tomba di Porsenna ha 4 piramidi con quella centrale - e questa schematizzazione si trova ovunque. E’ il modo per dar ordine, dividendolo in quattro, allo spazio e al tempo, per uscire dal caos.
Lo stesso Leonardo da Vinci disegna un mausoleo, che ha in sé la figura del mondo, sostenuto da 4 pilastri con l’asse centrale. Oppure si pensi a S. Sofia di Instambul, coi 4 minatereti e la cupola centrale. Alle 4 sfere di pietra dell’Isola di Pasqua con l’ompalos centrale, e ancora, ancora… Anche il nuraghe quadrilobato, con la torre centrale è per me raffigurazione del cosmo, così come i modellini di nuraghe, sono immagini cosmiche.
Che la navicella sia funeraria è sottolineato dalle 4 colombe sui quattro punti cardinali. La colombe, fin dall’antichità più remota, si sa che sono in grado di rifare la strada percorsa. Dal viaggio all’aldilà la colomba può riportare nell’aldiqua il defunto, che è accompagnato anche dal cane. Altro animale simbolico, per la sua fedeltà. Anche lui accompagna il defunto e non lo molla nel difficile viaggio agli inferi da cui, da sempre, c’è la speranza di tornare!
L’asse della nave ha un occhiello per essere appeso. In questo caso la carena della nave può essere appuntita, mentre se è appoggiata su di un piano il fondo è piatto. Non vedrei in queste due tipologie se non questa destinazione di utilità del modellino, piuttosto che due tipi di imbarcazioni a fondo piatto o acuto…
Un altro oggetto votivo è il carro a quattro ruote che simboleggia il viaggio ed anche questo oggetto ha nei bronzetti sardi alcuni splendidi esempi. Chiedo scusa della stringata considerazione, che potrei documentare meglio, ma spero si capisca comunque.
La rappresentazione del cosmo di chi ci ha preceduto è indispensabile per avvicinarci alla loro comprensione culturale, spirituale e materica. Perciò alle volte bisogna accontentarsi di ciò che gli oggetti subito suggeriscono, senza aggiungere altre categorie che spesso dipendono solo dalla nostra attuale cultura e sovrastrutture storiche e mentali.
Trovo bellissima la concretizzazione nella navicella del momento escatologico della morte, del destino del defunto, dell’attesa di resurrezione. Ci parla dell’incognito con parole così chiare che aggiungerne altre sarebbe riduttivo.

Nella foto: L'omphalos dell'isola di Pasqua

venerdì 26 giugno 2009

Il complesso del pigmeo e la sindrome da pensione

di Francu Pilloni

Non sono un medico, non mi sarebbe piaciuto farlo perché il sangue mi fa impressione, per questo non parlo come un medico, oltre che per il fatto che non ne ho la scienza. Tuttavia una cosa l’ho imparata nella mia vita e cioè che bisogna diffidare di un individuo di bassa statura. Qualcuno di questi (non tutti per fortuna) forma un complesso di rivincita su tutto e su tutti, non esclude alcun mezzo per arrivare in cima. Credo che il “complesso del pigmeo” sorga quando, ancora bambino, l’individuo passi sotto un albero di ciliegio che non gli ha riservato proprio nulla, essendo transitati i suoi compagni con le braccia che arrivano ben più in alto delle sue potenzialità.
È proprio a questo punto che si accorge di avere un problema. Problema che aumenta col passare del tempo a causa di altri vissuti, nessuno dei quali premia la sua bassa statura; problema che matura allorché chiede di ballare alla stangona per cui sbava, la quale le poggia “naturalmente” le mani sulle spalle, come qualcuno che vuol conficcare qualcosa nel terreno. Ecco, proprio il senso di sentirsi “interrato” produce il senso di frustrazione che si muta in rabbia vera e propria contro i “normali”. E il fatto che l’altezza dei suoi attributi arrivino appena al ginocchio di lei, non lo conforta, lo fa sentire esposto anche come maschio.
Ricordo benissimo la faccia di un amico che, giovanissimo alla fine degli anni ’50, cercò fortuna a Roma dove, nei suoi racconti imposti ai paesani, imperversava il gallismo gratuito, insomma la tecnica di “cuccare” come dicono oggi. Proprio in un pomeriggio domenicale il nostro seguì imperterrito una bella stangona romana che passeggiava in centro, insidiandola a un passo di distanza con le sue parole. Mentre scendevano per la scalinata di Trinità dei Monti, la bella si ferma, si volta, aspetta che il nostro abbia terminato la litania delle sue banalità, lo guarda con disgusto e gli fa: “Aò! Nun vedi che sei un bassotto!”. Infatti, pur stando un gradino più in alto, il nostro era costretto ad alzare la testa per vedere in faccia la bella romana. Ricordo ancora l’amarezza del suo viso quando lo raccontò, né capisco perché e come abbia voluto e sia riuscito a parlare di una così dura esperienza.
Non vado oltre, sono sicuro che ciascuno attinge nel suo vissuto qualcosa che assomiglia, che nella cerchia delle conoscenze abbia qualcuno che risponde ai requisiti.
L’altra questione è la sindrome da pensione, che affligge sia l’operaio che il manager, intesi come categorie, che talvolta subiscono traumaticamente il passaggio dall’attività all’inattività, dalla responsabilità alla libertà, insomma dallo stato di lavoratore in servizio a quello di pensionato. Spesso la tensione viene vissuta così visceralmente che il soggetto va fuori di testa, non di rado arriva al suicidio.
Ora, si provi a pensare ad un manager col complesso del pigmeo che, arrivato in cima alla carriera, abbia da par suo condotto il gregge dei suoi sottoposti come un bravo cane da pastore, uno di quelli che conduce il branco di volta in volta al pascolo o al recinto, ad abbeverarsi o a riposare all’ombra, sostituendosi interamente alle pecore anche nel percepirne i bisogni fisiologici. Si pensi allo stesso modo al nostro manager complessato, uno che all’autorevolezza ha sostituito l’autoritarismo, attorniato da un branco di sottoposti che spesso provano anche ad anticiparne i desideri e le aspettative.
Pensatelo ora in pensione, allorché si è accorto che l’ufficio da lui diretto continua il suo corso anche senza di lui, che i più devoti fra gli ex dipendenti gli hanno tolto il saluto, qualcuno gli fa lo sberleffo, magari ha tolto qualche scheletro dall’armadio. Bene, riuscite a pensarlo questo individuo che ha accumulato grande conoscenza e scarsa scienza, con grossi tarli che gli rodono dentro, con l’idea che le precedenti ossessioni, da tutti condivise in ufficio, siano il suo biglietto da visita, riuscite a immaginarlo nell’attualità, con tanto tempo libero davanti e tanto livore dentro… cosa gli resta da fare, quando neppure gli “amici” si fanno trovare al telefono?
Due cose gli restano: una è il suicidio, improbabile, non è nelle sue corde, meglio così!, sono gli altri, per convinzione profonda, a doverla pagare; l’altra, più probabile, è l’imperversare nei blog.
E non si creda che non costi sacrificio dover restare anonimi!

giovedì 25 giugno 2009

Il friulano boccciato: ma per il sardo c'è ancora speranza

Un lettore di questo blog segnala l'articolo "La Consulta boccia il friulano a scuola, ma per il sardo c’è ancora possibilità" pubblicato su "Sardegna democratica". La Corte costituzionale - scrive fra l'altro la redazione del giornale telematico di Renato Soru - "arriva persino a suggerire alle Regioni come fare per approvare le stesse identiche norme, cioè con i decreti attuativi dello Statuto di autonomia. Questi decreti sono una prerogativa delle Regioni “speciali” e vanno finalmente utilizzati. Oltre che, se necessario, con una riforma dello stesso Statuto.
Su questi temi, che sono trasversali all’intera società sarda, e sui quali sia a destra che a sinistra c’è un legittimo dibattito che investe la natura stessa dello Stato e dello stare insieme dei diversi cittadini italiani mettendo insieme unità e differenze, è possibile un impegno coerente e responsabile di tutte le forze politiche, sociali e culturali".

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