di Francu Pilloni
Caro Gianfranco,
da tanto che non ci vediamo ma su questa cosa della politica sarda è come se mi avessi letto nel pensiero.
Credo anch'io che il Soru, così sardesco, così cinese, ci pensasse da un po' di tempo a questo scatto di nervi. Da quando cioè non ha più ripetuto che lui non intendeva ricandidarsi nel modo più assoluto. A conti fatti, da più di un anno.
Se si potesse scommettere, io mi giocherei cincu soddus sulla sua nuova coalizione e tres arrialis sulla sua vittoria.
Dove sta il problema, direbbe ziu Cicciu Bissenti che a Mao Tse Tung no ddi fut parenti mancu de intradura?
Sta nel fatto che il problema non è di Soru, di Cappai, Cugusi, Cugini, Dedola, Floris... e tutti gli altri, ma è dei sardi, di tutti gli altri sardi, di quelli che lavorano e di quelli che non lavorano, di quelli che ci sono e di quelli che se ne sono andati perché qui non sono riusciti a rimanere.
Il problema è che se Soru autonomista è stato un mediocre amministratore, in effetti è peggiore di quello, altrettanto autonomista, che l'ha preceduto, il quale a sua volta è stato peggiore di quell'altro ancora... e così di fila, fino alle fatidiche Giunte autonomistiche dell'ineffabile presidente Palomba che si dimetteva un mese sì e uno no, per ovvie e altrettanto valide ragioni.
Tu, caro Gianfranco, che a queste cose ci stai più attento, forse puoi tornare ancora più indietro, magari alla Giunta Corrias del 1960, o a qualcosa che le assomigli.
O forse puoi aggiungere una ragione in più perché sia spazzata via questa mia malinconia politica che viene coniugata come un qualunquismo qualunque (ti piace l'accostamento dei termini? C'è da farci una poesia!). E forse lo è, senza che obbligatoriamente debba essere considerato una negatività, almeno in forza della libertà di errore di valutazione che per me profano non solo è lecita, ma mi si addice.
Allora li metti in gioco i cinque soldi e i tre reali?
Vediamo come andrà a finire. Naturalmente senza entusiasmi fuori luogo, ma per pura curiosità intellettuale.
Forza paris!
(ma cara a innui?).
domenica 30 novembre 2008
sabato 29 novembre 2008
Soru, la golpe et il lione
Su un quotidiano che non c'è più, Sardigna.com, ma che è rintracciabile in qualche emeroteca, avevo previsto che i partiti si sarebbero ribellati all'uomo che avevano scelto per guidare la Regione, Renato Soru. Nessuna capacità di preveggenza, ma solo un semplice ragionamento sull'infame legge elettorale che, nel gennaio 2001, il governo di allora, regalò anche alla Sardegna e sulla pavidità del Consiglio regionale che, pur potendo cambiarla, non lo fece.
Prevedeva - e continua a prevederlo, visto che neppure in questa legislatura il Consiglio regionale l'ha cambiata - grandissimi poteri in capo al presidente della Giunta, il più importante dei quali è di trascinare nello scioglimento del Parlamento sardo la sua decisione di dimettersi. Fosse chi fosse, il presidente era autorizzato a utilizzare una potentissima arma di ricatto sui consiglieri: se non fate come voglio io, vi mando tutti a casa.
Un politico di carriera, naturalmente, avrebbe riflettuto a lungo, prima di attuare una minaccia del genere: i partiti che lo avevano fatto eleggere non l'avrebbero più candidato, e addio carriera politica. Uno che vive di suo, come Soru, avrebbe avuto molte meno perplessità, ragionavo. A quel che raccontano le cronache, Soru ha agitato più volte l'idea di dimettersi e di mandare tutti a casa. Ma per farlo davvero, era necessario aspettare il momento più opportuno: il momento in cui la necessità dei partiti, o di parte di essi, di "difendere la politica" (ovvero di affermare il ruolo dei partiti), si sarebbe fatta più impellente. Il momento è, ovviamente, quello della vigilia delle elezioni. Quello che viviamo.
Soru ha ora in mano una carta formidabile: può denunciare, non senza avere buone carte in mano, che egli ha fatto di tutto per governare per il bene dei sardi e che in ciò è stato impedito dai partiti: dal suo ma non solo. In parte perché ci crede, in parte perché sa che "la dissidenza sardesca" ha un ottimo mercato, ha da tempo imboccato la strada non più della vertenza con lo stato ma del contrasto dello stato centralista: lingua sarda, Tirrenia, servitù militari, etc.
Credo abbia tutte le informazioni in mano per sapere che con questo centrosinistra le elezioni del 2009 sono perse e perse non per una sola legislatura. Se vuol vincere, deve liberarsi del pesante fardello di un ceto politico litigioso, inconcludente, partitocratico (oggi c'è chi invoca "un ruolo più diretto e robusto della segreteria nazionale", leggi italiana), tutto ciò di cui Soru vorrebbe fare a meno. Una enorme, inconsapevole mano di aiuto gliela hanno data i partiti alleati o parte di essi, i quali ancora increduli si chiedono come abbia fatto a non temere il "tutti a casa".
Sa che il pesante giudizio negativo che circola nelle menti di moltissimi sardi nei confronti del suo governo trascinerà anche lui, se continuerà ad esserne il presidente. Di qui, immagino, la sua decisione per ora di annunciare il tutti a casa e domani, forse, di decretarlo. E di presentarsi alle elezioni in compagnia di chi deciderà lui.
Si illude così di vincere? Può darsi sia un'illusione. Ma chi conosce solo un poco questa infame legge elettorale regionale sa che basta avere un voto in più delle altre liste per assicurarsi la maggioranza dei seggi in Consiglio regionale. Rispetto ad altri possibili candidati, Soru ha un carta in più: quella credibilità autonomistica - non importa se vera o solo apparente - che altri, pur potendo acquisire, non hanno neppure lontanamente cercato, immaginando che per vincere basti rivolgersi allo stomaco dei cittadini e non anche alle loro passioni.
Con tutta franchezza, non auguro né a agli altri né a me, che Renato Soru vinca le prossime elezioni. Certo per via delle sue tentazioni cesaristiche, ma soprattutto perché dietro il cesarismo c'è sempre una concezione accentatrice: che sia la Regione invece dello Stato il centro non cambia granché. Ma vorrei davvero vedere all'orizzonte un'alternativa che sia insieme sardista e liberale. E vedo, invece, un gran disordine che, al contrario di quanto diceva Maodse dung, non è una cosa eccellente.
Prevedeva - e continua a prevederlo, visto che neppure in questa legislatura il Consiglio regionale l'ha cambiata - grandissimi poteri in capo al presidente della Giunta, il più importante dei quali è di trascinare nello scioglimento del Parlamento sardo la sua decisione di dimettersi. Fosse chi fosse, il presidente era autorizzato a utilizzare una potentissima arma di ricatto sui consiglieri: se non fate come voglio io, vi mando tutti a casa.
Un politico di carriera, naturalmente, avrebbe riflettuto a lungo, prima di attuare una minaccia del genere: i partiti che lo avevano fatto eleggere non l'avrebbero più candidato, e addio carriera politica. Uno che vive di suo, come Soru, avrebbe avuto molte meno perplessità, ragionavo. A quel che raccontano le cronache, Soru ha agitato più volte l'idea di dimettersi e di mandare tutti a casa. Ma per farlo davvero, era necessario aspettare il momento più opportuno: il momento in cui la necessità dei partiti, o di parte di essi, di "difendere la politica" (ovvero di affermare il ruolo dei partiti), si sarebbe fatta più impellente. Il momento è, ovviamente, quello della vigilia delle elezioni. Quello che viviamo.
Soru ha ora in mano una carta formidabile: può denunciare, non senza avere buone carte in mano, che egli ha fatto di tutto per governare per il bene dei sardi e che in ciò è stato impedito dai partiti: dal suo ma non solo. In parte perché ci crede, in parte perché sa che "la dissidenza sardesca" ha un ottimo mercato, ha da tempo imboccato la strada non più della vertenza con lo stato ma del contrasto dello stato centralista: lingua sarda, Tirrenia, servitù militari, etc.
Credo abbia tutte le informazioni in mano per sapere che con questo centrosinistra le elezioni del 2009 sono perse e perse non per una sola legislatura. Se vuol vincere, deve liberarsi del pesante fardello di un ceto politico litigioso, inconcludente, partitocratico (oggi c'è chi invoca "un ruolo più diretto e robusto della segreteria nazionale", leggi italiana), tutto ciò di cui Soru vorrebbe fare a meno. Una enorme, inconsapevole mano di aiuto gliela hanno data i partiti alleati o parte di essi, i quali ancora increduli si chiedono come abbia fatto a non temere il "tutti a casa".
Sa che il pesante giudizio negativo che circola nelle menti di moltissimi sardi nei confronti del suo governo trascinerà anche lui, se continuerà ad esserne il presidente. Di qui, immagino, la sua decisione per ora di annunciare il tutti a casa e domani, forse, di decretarlo. E di presentarsi alle elezioni in compagnia di chi deciderà lui.
Si illude così di vincere? Può darsi sia un'illusione. Ma chi conosce solo un poco questa infame legge elettorale regionale sa che basta avere un voto in più delle altre liste per assicurarsi la maggioranza dei seggi in Consiglio regionale. Rispetto ad altri possibili candidati, Soru ha un carta in più: quella credibilità autonomistica - non importa se vera o solo apparente - che altri, pur potendo acquisire, non hanno neppure lontanamente cercato, immaginando che per vincere basti rivolgersi allo stomaco dei cittadini e non anche alle loro passioni.
Con tutta franchezza, non auguro né a agli altri né a me, che Renato Soru vinca le prossime elezioni. Certo per via delle sue tentazioni cesaristiche, ma soprattutto perché dietro il cesarismo c'è sempre una concezione accentatrice: che sia la Regione invece dello Stato il centro non cambia granché. Ma vorrei davvero vedere all'orizzonte un'alternativa che sia insieme sardista e liberale. E vedo, invece, un gran disordine che, al contrario di quanto diceva Maodse dung, non è una cosa eccellente.
giovedì 27 novembre 2008
Quel che i feniciomani nascondono
di Massimo Pittau
Caro Gianfranco,
sono contento che tu abbia lanciato l'allarme per la follia e vergogna che si sta proponendo, cambiare il nome del "Golfo di Oristano" nell'altro "Golfo dei Fenici".
Mando a te ed ai tuoi Amici due estratti della mia recente "Storia dei Sardi Nuragici", nella quale mi sono illuso di aver posto fine alla feniciomania da cui si dimostrano affetti alcuni personaggi della archeologia sarda.
Quasi sicuramente i Sardi ebbero i loro primi contatti col popolo fenicio in Oriente, in occasione delle incursioni che essi fecero coi «Popoli del Mare», e precisamente sia in Fenicia, sia in Cipro, sia infine in Egitto, dove i Fenici erano di casa, dato che erano quasi sempre al servizio dei Faraoni. Quelle incursioni, infatti, che sono avvenute fra i secoli XIII e XII a. C., sono precedenti di circa due secoli ai primi approdi effettuati dai Fenici in Sardegna forse nel secolo XI a. C.
È molto probabile dunque che siano stati i Nuragici a frequentare i Fenici nella Fenicia, assai prima che i Fenici frequentassero i Nuragici nella Sardegna.
(LEGGI TUTTO)
Caro Gianfranco,
sono contento che tu abbia lanciato l'allarme per la follia e vergogna che si sta proponendo, cambiare il nome del "Golfo di Oristano" nell'altro "Golfo dei Fenici".
Mando a te ed ai tuoi Amici due estratti della mia recente "Storia dei Sardi Nuragici", nella quale mi sono illuso di aver posto fine alla feniciomania da cui si dimostrano affetti alcuni personaggi della archeologia sarda.
Quasi sicuramente i Sardi ebbero i loro primi contatti col popolo fenicio in Oriente, in occasione delle incursioni che essi fecero coi «Popoli del Mare», e precisamente sia in Fenicia, sia in Cipro, sia infine in Egitto, dove i Fenici erano di casa, dato che erano quasi sempre al servizio dei Faraoni. Quelle incursioni, infatti, che sono avvenute fra i secoli XIII e XII a. C., sono precedenti di circa due secoli ai primi approdi effettuati dai Fenici in Sardegna forse nel secolo XI a. C.
È molto probabile dunque che siano stati i Nuragici a frequentare i Fenici nella Fenicia, assai prima che i Fenici frequentassero i Nuragici nella Sardegna.
(LEGGI TUTTO)
Stele di Nora: un canto di vignaioli. Ma del I secolo

Ringrazio Gianfranco Pintore che ha posto nel suo blog la questione della stele di Nora e dei Tartassiani. Sono rimasto un po’ sorpreso quando ho saputo che la stele era stata trasportata a Parigi per l’esposizione “La Mèditerranée des Phèniciens”. Avevo dubbi su questa interpretazione, fin da quando avevo visto la stele nel 2002.
La stele contiene otto righe di scrittura. Ogni riga contiene quattro sillabe. Vi sono lettere molto recenti che inibiscono la datazione all’8° secolo aC. Esiste sicuramente un rapporto degli scavi che si sarebbero svolti prima del 1993, data dell’informazione turistica. Una revisione mi pare necessaria. Il tipo di scrittura e la datazione, in quanto trovata nell’ovest europeo, è stato fortemente abbassato dopo la datazione delle iscrizioni sulle monete nel 2001. Secondo questa comparazione, la scrittura comparirebbe al più nel 3° secolo aC. Qualche lettera mostra forme attestate unicamente al 1° secolo aC. (LEGGI TUTTO)
mercoledì 26 novembre 2008
Signori fenicisti, abbiate almeno un po' di pudore

Oltre alla stravaganza del progetto, v’è ben altro e di più grave in essa; un aspetto che non poteva che suscitare giustamente sentimenti di unanime ed immediata opposizione in ampi settori dell’opinione pubblica, persino di quella - come si dice da noi - di ‘barra bella’, cioè che tutto fagocita e che segue distrattamente le vicende politiche e culturali isolane. L’idea cioè di battezzare, con forza colonizzatrice degna del migliore folclore isolano, il parco archeologico come ‘Golfo dei Fenici’.
I feniciomani archeologi isolani (come è stato sottolineato anche con dure parole), davvero non si smentiscono mai, facendo intendere senza un minimo di pudore critico, con la sconcertante proposta di premio ‘nominale’, che Tharros, Othoca e Neapolis erano luoghi la cui impronta storica è stata data particolarmente da colonie di abitanti costieri di origine fenicia. E diremo che se davvero ciò fosse accaduto, se quella cioè fosse stata la vera verità, la proposta, per quanto sempre scandalosa, si sarebbe comunque mantenuta nei limiti della decenza. Di ben altri omaggi, con umiliante offerta del ‘lato B’ ai potenti, i Sardi di sono resi gloriosamente imbecilli.
(LEGGI TUTTO)
martedì 25 novembre 2008
C'è del marcio nelle Università? Sì ma in Danimarca
di Alberto Areddu
E' vero, sembra che sia diventato un irrefrenabile leitmotif della recente pubblicistica; il fine è invero spesso consolatorio (avete visto in quanti siamo di sfigati?), per chi si trova dopo anni e anni ricercatore a 1000 Euro, o peggio si è sempre fermato alle soglie dell'Università perché reputato inidoneo, o ancora peggio per chi ha dovuto emigrare e pubblicare all'estero per vedersi riconosciuto qualche merito.
Il latente motivo di tutto questo subitaneo accorgersi e delle discussioni sopraggiunte, poggia sul fatto che al cittadino comune, a cui ovviamente poco cale se un apprendista giurista sia stato ostacolato a favore del solito figlio di papà, quando si viene invece a sapere di un apprendista medico, che rischiava di passare il concorso pur non sapendo cosa fosse una carie, iniziano a girare i coglioni, e se li tocca pure perché può ben preventivare che poi sotto i ferri di questo ci possa passare lui.
Ci son zone (intere facoltà delle università di Puglia, diverse della Sicilia) dove la raccomandazione preventiva, è diventata talmente fatto compiuto che i figli (le figlie, i nipoti, le mogli, le amanti) di papà manco si vergognano ad apparire nelle inchieste tv "perché tanto è una prassi consolidata". Avrete sicuramente visto il celebre filosofo della Magna Grecia, quell'immarcescibile democristiaino di Kyriakos de Mita, che intervistato rivendicava orgogliosamente la bontà della selezione preventiva dei figli propri rispetto agli estranei. E Veltroni l'ha forse espulso?
Ma vah, da uno che ha candidato i figli nullavalenti del generone romano! E in Sardegna? I nostri solerti giornalisti hanno mai fatto qualche ricerchina sull'onomastica di parenti e affini acquisiti alle università? Sanno mica se esiste nell'isola sandaliote, la straniera pratica dello scambismo favoriale? Io qualche nome ce lo avrei: guardatevi questa ben nota figura universitaria. Oltremodo sicuro attraverso il mafioso silenzio delle sue consorterie, di aver "iscrompitu" qualche lepisma che gli rodeva la inderogabile bontà di almeno la metà delle sue supposizioni etimologistiche, salito alla presidenza facoltale a Cagliari, poichè aveva da tempo maturato buoni rapporti con altri studiosi (la celebre coppia Satta-Atzori) che l'avevano cooptato in tempi più remoti, ora ha modo di godere perchè la sua giovin figlia è stata acquisita all'Università turritana non si sa per quali straordinari meriti e in virtù di quale strepitosa bibliografia.
La figlia è stata "accottada" e chi magari della stessa materia si fosse interessato dove mai altrove sarà riparato? Purtroppo se un intellettual-sfigato si interessa di particelle o molecole ha sempre modo di riparare fuori, perchè attengono al linguaggio universale delle scienze, ma se si interessa di etnologia di Sedilo, piuttosto che di dialettologia ogliastrina, di tradizioni popolari logudoresi piuttosto che di esecuzione con le launeddas, ditemi: chi cazzo mai se lo cagherà?
Avete mai letto qualcosa di tale Susanna, figlia tutta panna del nostro figuro? Se sì siete fortunati: mandatemi i suoi estratti, che me li voglio rollare.
E' vero, sembra che sia diventato un irrefrenabile leitmotif della recente pubblicistica; il fine è invero spesso consolatorio (avete visto in quanti siamo di sfigati?), per chi si trova dopo anni e anni ricercatore a 1000 Euro, o peggio si è sempre fermato alle soglie dell'Università perché reputato inidoneo, o ancora peggio per chi ha dovuto emigrare e pubblicare all'estero per vedersi riconosciuto qualche merito.
Il latente motivo di tutto questo subitaneo accorgersi e delle discussioni sopraggiunte, poggia sul fatto che al cittadino comune, a cui ovviamente poco cale se un apprendista giurista sia stato ostacolato a favore del solito figlio di papà, quando si viene invece a sapere di un apprendista medico, che rischiava di passare il concorso pur non sapendo cosa fosse una carie, iniziano a girare i coglioni, e se li tocca pure perché può ben preventivare che poi sotto i ferri di questo ci possa passare lui.
Ci son zone (intere facoltà delle università di Puglia, diverse della Sicilia) dove la raccomandazione preventiva, è diventata talmente fatto compiuto che i figli (le figlie, i nipoti, le mogli, le amanti) di papà manco si vergognano ad apparire nelle inchieste tv "perché tanto è una prassi consolidata". Avrete sicuramente visto il celebre filosofo della Magna Grecia, quell'immarcescibile democristiaino di Kyriakos de Mita, che intervistato rivendicava orgogliosamente la bontà della selezione preventiva dei figli propri rispetto agli estranei. E Veltroni l'ha forse espulso?
Ma vah, da uno che ha candidato i figli nullavalenti del generone romano! E in Sardegna? I nostri solerti giornalisti hanno mai fatto qualche ricerchina sull'onomastica di parenti e affini acquisiti alle università? Sanno mica se esiste nell'isola sandaliote, la straniera pratica dello scambismo favoriale? Io qualche nome ce lo avrei: guardatevi questa ben nota figura universitaria. Oltremodo sicuro attraverso il mafioso silenzio delle sue consorterie, di aver "iscrompitu" qualche lepisma che gli rodeva la inderogabile bontà di almeno la metà delle sue supposizioni etimologistiche, salito alla presidenza facoltale a Cagliari, poichè aveva da tempo maturato buoni rapporti con altri studiosi (la celebre coppia Satta-Atzori) che l'avevano cooptato in tempi più remoti, ora ha modo di godere perchè la sua giovin figlia è stata acquisita all'Università turritana non si sa per quali straordinari meriti e in virtù di quale strepitosa bibliografia.
La figlia è stata "accottada" e chi magari della stessa materia si fosse interessato dove mai altrove sarà riparato? Purtroppo se un intellettual-sfigato si interessa di particelle o molecole ha sempre modo di riparare fuori, perchè attengono al linguaggio universale delle scienze, ma se si interessa di etnologia di Sedilo, piuttosto che di dialettologia ogliastrina, di tradizioni popolari logudoresi piuttosto che di esecuzione con le launeddas, ditemi: chi cazzo mai se lo cagherà?
Avete mai letto qualcosa di tale Susanna, figlia tutta panna del nostro figuro? Se sì siete fortunati: mandatemi i suoi estratti, che me li voglio rollare.
domenica 23 novembre 2008
Oibò, i sardi navigatori prima dei fenici? Lei scherza

Egregio Pintore,
siamo in linea di massima d’accordo su quanto Ella dice nel Suo intervento. Cogliamo peraltro con molto piacere questa occasione per precisare due punti sulla preistoria e storia antica della Sardegna che la gran parte degli studiosi di cose sarde, ivi compresi coloro che Lei sagacemente bolla con l’appellativo di feniciomani, ignora totalmente.
Il punto primo riguarda la Sua affermazione nella quale dichiara che da quello che noi chiamiamo oggi Golfo di Oristano “cinquemila anni fa partivano i battelli dei commercianti sardi di ossidiana del Monte Arci”. Ohibò illustre Pintore, Lei con grande naturalezza ci viene a raccontare come ben 3000 (diconsi tremila) anni prima di Cristo, i Sardi portassero la loro ossidiana oltremare con un proprio naviglio? Ma se i più grandi navigatori come i Fenici, i Micenei, i Ciprioti, i Cicladici, in tale data non erano ancora nati, come avrebbero potuto fare ciò i Sardi, sempre definiti (soprattutto, e con pervicacia, dai suoi “feniciomani”) succubi scolaretti, in tutte le manifestazioni dello scibile, di tutti quanti quei popoli appena menzionati?
Ma si tranquillizzi Pintore, quella che certamente agli Emeriti Studiosi può essere sembrata una Sua audace sortita (e saranno rimasti seccati per aver Ella usato il suo sito per raccontare un’enormità in merito alle improbabili gesta dei Sardi gestori del - si badi bene - loro patrimonio economico, di Monte Arci), noi invece etichettiamo come inesatta e minimizzante affermazione.
Infatti i Sardiani (come noi definiamo tutti gli abitatori del suolo sardo che ivi posero la loro dimora, prima del 238 a.C.) nell’epoca cui Lei si riferisce stavano ormai terminando di fare affari con l’ossidiana: essi avevano appena messo a punto una nuova meravigliosa impresa industriale con i prodotti metallurgici.
È pertanto il caso di chiarire che i Sardiani trasportassero ossidiana, loro e altrui, attraverso il Mediterraneo già nel XII-XIII millennio prima d’oggi (ma noi pensiamo molto prima, in concordanza con i tempi in cui fecero ciò i popoli carpatici e quelli dell’Asia Minore). Quindi, Esimio ospite, non cinquemila anni fa “partivano i battelli dei commercianti sardi di ossidiana del Monte Arci”, ma quei battelli portavano il vetro vulcanico almeno 12.000 (dodicimila) anni fa, e lo facevano depositando la loro mercanzia, nelle menzionate circostanze temporali, presso il Riparo Mochi (ca. 12.200 BP) e l’Arma dello Stefanin (ca. 11.900-10.300 BP), in una delle innumeri regioni da essi frequentate, alla quale oggi diamo il nome di Liguria.
Detto per inciso, e siamo al secondo punto, il vocabolo ch’Ella usa, a mo’ di “zinta” per apostrofare certa classe di studiosi, potrebbe non essere così offensivo, pur essendo esso sì limitativo di una capacità di fredda disamina degli accadimenti che la storia ci restituisce continuamente. Infatti detto vocabolo trae origine dalla parola “Fenici”. Ebbene, caro Anfitrione, chissà quale quantità di testi avrà letto sulla trattazione di tali “Fenici”, immagazzinando negli scaffali del proprio sapere, nozioni, notizie, fatti ivi contemplati. Noi al contrario ci siamo sempre rifiutati di prendere con serietà tutti i testi o gli articoli scientifici che trattassero l’argomento “Fenici”.
Ma con veemenza abbiamo rifiutato di accettare per veritieri i testi che trattassero di “Fenici” in Sardegna. Gli autori recenti tutti, a partire dal Pais, che si sono prodigati nel dipingere improbabili (e per noi risibili) colonizzazioni e conquiste fenicie in Sardegna, sono andati soggetti a quella sorta di atono appiattimento critico, che li ha resi orbi di un incedere scientifico atto a mettere a nudo le verità dai sedimenti del tempo. Come Le dicevamo, il chiamarli feniciomani, in effetti, risulta essere privo di significato. Infatti i più grossi specialisti del settore, proprio quelli che hanno scritto la storia dei “Fenici”, quando sono stati chiamati a dare una spiegazione del lemma “Fenici” hanno clamorosamente fallito nell’impresa (Giorgio Levi Della Vida in Enciclopedia Treccani); quando hanno tentato di dare una spiegazione sulla genesi del nome si sono persi in conclusioni prive di fondamento dimostrativo (Sabatino Moscati in Antichi imperi d’Oriente); quando si sono fatti carico di rispondere alla domanda “chi furono i “Fenici”? sono andati incontro all’autodistruzione dalla propria ideologia (Sabatino Moscati in Chi furono i Fenici); quando li hanno definiti un “popolo” hanno calpestato il dizionario della lingua italiana: «il popolo è un aggregato di persone […] diverse per razza e provenienza» (Sabatino Moscati in Nuovi studi sull’identità fenicia); quando poi hanno preteso di dare una spiegazione sulle modalità d’arrivo dei “Fenici” in Sardegna, sono naufragati miseramente nelle correnti marine che avrebbero spinto i ”Fenici” in Sardegna dimostrando, le scienze meteorologica ed oceanografica, aver avuto dette correnti, negli ultimi 20.000 anni, un verso sempre contrario (Ferruccio Barreca in La civiltà fenicio-punica in sardegna).
Pertanto, ove Ella ancora azzardi quella definizione «una civiltà di antichi conquistatori -grande civiltà senza dubbio-», che altro non è se non la fotocopia del sapere da Ella immagazzinato (perché non Suo è il compito di sindacare sul contenuto di libri pagati a caro prezzo), sappia che indirizzata ai “Fenici”, tale definizione risulta essere filologicamente inconsistente perché priva di accezione storica, etnica e geografica.
So benissimo che esportavamo ossidiana molto molto prima del IV millennio, ma vorrei somministrare le date a piccole dosi. Un giorno, chi sa?, vorrei parlare della via dell’ossidiana di cui si ha traccia in tempi assai più remoti. Ma sono per la lenta assuefazione e per la difesa delle coronarie altrui. Ma se li immagina, i ribattezzatori del Golfo di Oristano, digerire tutte le cose che lei dice sui fenici? Suvvia, un po’ di pietà. [gfp]
PS - Ne profitto per ricordare la petizione Giù le mani dalle nostre origini
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