martedì 6 ottobre 2009

"Sono meno libero": lettera aperta ai giornalisti sardi

Cari colleghi,
molti di voi hanno credo partecipato, fisicamente o solo con il cuore, alla manifestazione di Roma per l'informazione libera. E molti, come me, avranno avuto modo di riflettere sull'avvertimento del costituzionalista Valerio Onida: “Il cittadino non informato o informato male è meno libero”. Come meglio definire lo stato dei cittadini italiani e sardi disinformati o male informati da una estesa campagna di stampa contro i dialetti e le lingue minoritarie, per altro tutelate dalla Costituzione e dalle leggi?
Nessuno, almeno non io, nega ai giornalisti la libertà di pensare e di scrivere in piena autonomia pro o contro le lingue delle minoranze e i dialetti. Ma hanno anche la libertà di mistificare, dare notizie senza fondamento, o, peggio, negare l'informazione a riguardo? La nostra libertà è sovraordinata al diritto dei cittadini di sapere? Sappiamo bene che in una società della comunicazione un fatto non esiste se non è comunicato.
Questa lettera aperta ai giornalisti sardi da parte di un giornalista sardo non vuole essere una generica mozione degli affetti, ma segnalare alcuni fatti concreti i quali portano a concludere che, per responsabilità dei due maggiori quotidiani dell'isola, il milione e duecento mila sardofoni sono meno liberi. A loro, da un po' di tempo i due quotidiani negano l'informazione sui fatti riguardanti il loro status o, nel migliore dei casi, la mistificano.
I fatti riguardano iniziative culturali, politiche e istituzionali. Partirei dall'ultimo esempio di comunicazione istituzionale. È quella attraverso la quale l'assessore della Cultura il 3 ottobre segnala che nella rimodulazione del suo accordo con il ministro Gelmini in materia di istruzione e lavoro si punterà anche “alla tutela e alla valorizzazione della specialità linguistica della Sardegna”. L'Unione ha completamente ignorato la notizia, la Nuova Sardegna tace che fra gli obiettivi della cosiddetta rimodulazione c'è l'uso del sardo a scuola.
Su Comitadu pro sa limba sarda ha inviato alla Regione la duplice richiesta di inserire la lingua sarda (insieme al gallurese, al sassarese, al catalano d'Alghero, al tabarchino) nel Piano Regionale di sviluppo come possibile motore di crescita economica e sociale e di prevedere l'insegnamento del sardo a scuola fin dal momento di modificare l'accordo Baire-Gelmini. La notizia è del tutto ignorata dall'Unione ed è data dalla Nuova nella edizione leggibile solo a Cagliari.
Questa proposta è stata illustrata in una conferenza stampa. Mentre le televisioni ne hanno parlato diffusamente nei loro Tg, l'Unione ha completamente taciuto il fatto e la Nuova ne ha pubblicato la notizia nell'edizione leggibile solo a Cagliari. In più ha taciuto della richiesta principale (l'inserimento della lingua sarda nel PRS) e ha attribuito al “professore universitario Francesco Cesare Casula” quel che invece è stato detto da Francesco Casula. Tanto per segnalare un caso di completezza e accuratezza dell'informazione.
Ma il top è stato raggiunto all'indomani della manifestazione organizzata ad Ollolai dall'ex presidente Renato Soru per discutere di lingua, identità e sovranità. L'Unione non ha scritto una sola riga, nell'articolo della Nuova di tutto si parla (di territorio, di autonomia e persino di indipendenza) ma non di lingua che pure è stato il tema d'apertura del convegno. Io mi sento molto “meno libero” per effetto di questa disinformazione che solo un ingenuo può pensare casuale e non frutto, invece, di una scelta editoriale.
Capisco che su questa scelta possa aver influito una voglia di contrastare Bossi e il suo appello alla valorizzazione dei dialetti e delle lingue maldestramente da lui definite regionali. Del resto, a leggere quotidiani e periodici italiani, da L'Espresso a Libero, da La Repubblica a Il Corriere della Sera, appare chiarissimo che la campagna contro i dialetti, ma anche contro il friulano e il sardo, muove dal contrasto a Bossi. Ciò che non condivido ma ritengo legittimo. Quel che legittimo non è, è la negazione dell'informazione o, peggio ancora, la sua mistificazione finalizzata all'arruolamento dei lettori in un esercito anti-dialetti. Altro che libertà dell'informazione.
Non vorrei che la nostra comune battaglia per la tutela di uno dei beni più preziosi della democrazia si trasformasse in una lotta per la libertà dell'arbitrio, durante la quale una casta si arroga il diritto di decidere che cosa i cittadini debbano sapere e che cosa è meglio ignorino. O conoscano i fatti solo dopo che la casta li ha predigeriti, metabolizzati e sfornati non per quel che sono ma per quel che dovrebbero essere.

Nella foto: un manifesto dell'Arci

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