di Gigi Sanna
Qualcuno capirà di sicuro ma io non dirò dove si trova il nuraghe e non dirò quindi dove si trova la scritta (un'altra ancora! che persecuzione!) con caratteri fenici arcaici (precedenti, per intenderci, a quelli della stele di Nora). Tanto a che serve? Le scritte - si sa - sono detestate dai funzionari e da certi archeologi della Sovrintendenza quanto lo sono coloro che le segnalano.
Meglio quindi tacere per non farsi dei nemici giurati ed avere dei rimbrotti pubblici, meglio restare comodamente nella preistoria, nel buio più fitto, dove, tutto è nero e si può dire tutto ed il contrario di quel tutto. Per taluni poi l'epigrafia nuragica è semplicemente insignificante, anzi nulla perché non esiste, non è quindi l'occhio dell'archeologia. Mica le lettere alfabetiche arcaiche sarde sono la dea pottery. E solo per essa serve, quando raramente serve, la filologia. Del resto i convegni di oggi, in grande stile, lo dimostrano con autorevolezza e si fanno per amplificare la doverosa proscinesi dei Sardi nei confronti dei fenici che ci hanno dato tutto, ma proprio tutto, bottarga e vino compresi.
Nel detto nuraghe in tanti, in migliaia forse, data la sua notorietà, si sono arrampicati, sono penetrati nelle sue viscere, buie come quelle di un pozzo chiuso, si sono seduti in una delle nicchie della camera superiore, si son fatti fotografare con il sole abbagliante, quello che entra in un certo tempo, quasi a perpendicolo, dal pertugio nella sommità della tholos. “Avete visto” - grida da anni, compiaciuto, il noto archimandrita dell'astroarcheologia, seguito dal coro delle vestali – “avete visto che meraviglia? In questa nicchia colui che si sedeva o l'oggetto che ci stava erano illuminati dal dio astrale; i nuragici adoravano dunque il sole e conoscevano di lui tutto, ne seguivano puntualmente il corso con i solstizi e gli equinozi.”
E chi, sulle prime, potrebbe dirgli di no? Solo che bastano due o tre cosucce a far traballare quel dunque. E qui non sto a ripeterle tanto sono note e ripetute. La teoria però potrebbe essere inopinatamente supportata da qualcosa che non si è vista e non si vede perché spesso gli scienziati camminano con la testa in su, guardando solo in 'alto'.
Sono le 'caelestia', le Stelle, il Sole e la Luna, l'oggetto della loro indagine puntuale. Il resto non conta proprio. Conoscete la storiellina dell'astrologo caduto nel pozzo? Ovvero, fuor di metafora, precipitato nel buio quasi mortale? Per salvarsi lo sciagurato gridava aiuto, aiuto! Per fortuna lo sente un contadino che vistolo annaspare e con l'acqua alla gola gli chiede come mai sia finito giù. Alla risposta dell'astrologo scienziato, lo zoticone di rimando esclama: “Tu dunque osservi le cose celesti e non vedi quelle terra terra”?'
Ecco, il mio carissimo amico archeoastronomo, con la foga dello scrutare l'alto e il luminoso non ha visto il basso e l'oscuro, ovvero l'iscrizione tracciata, poco vistosamente, su di una pietra del nuraghe, proprio quella che tende a dimostrare che il sole c'entra, e come! C'entra tanto che è chiamato 'padre' e, credo anche 'signore'. Ma gli epigrafisti del nuragico così come gli archeoastronomi della preistoria è meglio che vadano a cogliere asparagi e neanche ci entrino nei nuraghi. Ed è vero. Ne ho colti tanti in questi giorni di Aprile-Maggio in cui essi tentavano, furbescamente, di nascondere e sovrintendere a certe pietre logorroiche.
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