martedì 15 aprile 2008

La lezione dei sardi ai sardismi

Come tutti, o moltissimi di noi, ho viaggiato, sera e notte di ieri, fra un canale e l'altro della Tv e, nelle sarde, la cosa che più mi ha stupito è l'enorme quantità di spot pubblicitari che fanno riferimento alla Sardegna. Singoli prodotti e strutture generali come supermercati e altro pongono la Sardegna e la sua immagine al centro della "cosa" che si vuol vendere. La sarditudine è presa, cioè, come valore aggiunto ed è chiaro che quando l'economia fa proprio un dato immateriale, qual è l'identità, vuol dire che questo dato è ritenuto vendibile con successo.
Del resto, è piuttosto evidente che mai come in questi ultimi anni il sentimento di appartenenza alla Nazione sarda sia stato diffuso, per alcuni con i caratteri di vera coscienza per altri come sentore più o meno vago. Sentire l'espressione "Nazione sarda" in bocca di una platea così vasta da comprendere Renato Soru e Mariano Delogu (l'uno presidente di un governo di centrosinistra, l'altro senatore di An) sta a significare che il concetto è entrato con naturalezza anche nel lessico politico. Né francamente ha molto senso star lì a interrogarsi quanta sincerità ci sia in chi dice le parole.
Ha invece senso chiedersi perché, se così è, i partiti e i movimenti più titolati a interpretare questo sentimento (Partito sardo d'azione e Sardigna natzione) non siano da tempo capaci di trasformare in consensi per loro questo sentimento di identità e di identificazione che, comunque, è la base unica su cui si innestano le differenze, anche importanti, esistenti.
Il fatto è che il popolo sardo è cosciente, vuoi per via del sistema politico che si è consolidato in tutta l'Europa vuoi per il sistema elettorale esistente, che si va a votare per rendere possibile un governo o l'altro. E che si sceglie non sulla base di vecchie idee di schieramento precostituito (centrodestra, centrosinistra, destra, sinistra, centro), ma sulla base di maggiore aderenza di un programma ai propri bisogni economici, sociali, culturali, in una gerarchia che non per tutti è la stessa. Un mondo nazionalista (o nazionalitario, per chi ama gli eufemismi) frantumato dall'ideologia non dà prospettive.
L'idea lanciata un anno fa da Fortza paris di unificare (in forme tutte da vedere, se di unità, federazione o altro) tutte le forze che fanno della Nazione sarda il punto di coagulo, ha rovinosamente impattato sugli ideologismi di chi sarebbe stato d'accordo purché il nuovo soggetto si schierasse a sinistra, purché fosse dentro il centro destra, purché avesse il centro come punto di riferimento. E questo indipendentemente dal fatto che gli oggetti di desiderio si comportavano in maniera diversa dagli ideologismi precostituiti.
Il centrosinistra, nella sua grande maggioranza, si è schierato anche in Sardegna per la conservazione di una Costituzione italiana idolatrata (portò i suoi elettori a votare contro la timida riforma federalista della Repubblica), il centrodestra no. Questo si è fatto garante di un processo di trasformazione dello Statuto sardo in una Costituzione sarda secondo la quale tutti i poteri e le competenze sono della Sardegna all'infuori del potere di governare la moneta, la giustizia, la difesa della Repubblica, i rapporti diplomatici. Il centro sinistra ha tentato di affidare una miniriforma dello Statuto a un club di saggi.
E anche oggi, ad elezioni fatte, dal Pd non viene una sola parola sui futuri rapporti tra Sardegna, Italia e Europa (forse ancora condizionato dal programma di Veltroni, un brutto esempio di napoleonismo). Dal Pdl vengono assicurazioni che questo partito si trasformerà in partito autonomista sardo e che bisogna fare leva sull'identità sarda per avviare lo sviluppo della Sardegna. Insomma, nel futuro della Sardegna, si delineano due prospettive: una di neo-centralismo e una di rilancio dell'identità, entrambi, naturalmente, proposti come leva per la crescita dell'Isola. Fondarsi sull'identità non è certo fondarsi sull'indipendenza. Il problema, oggi, è, però, scegliere tra il neo-giacobinismo del Pd e la promessa, fatta dal Pdl, di un processo di autogoverno.
Non so quanto la scelta dei sardi sia fondata su questi fattori. Resta il fatto che la maggioranza dei sardi ha scelto chi promette loro possibilità di autogoverno. Qualcosa, insomma, che si avvicina ai temi agitati da Psd'az e Sardigna natzione più di quanto lo sia il programma del Pd.

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