lunedì 26 settembre 2011

L’isola dei demòni

di Mikkelj Tzoroddu


Sollecitato dalla fantasia dell’egregio Pilloni, mi sono dovuto documentare sul mondo delle isole. Ne ho identificato una, davvero interessante e piena di sorprese, diversa da quella, così copiosamente fornita di particolari, descritta da Francu. O forse è la stessa? Forse cambia soltanto il punto d’osservazione? Di questa isola (circondata da tante altre) voglio intanto descrivere la nascita. Nel momento in cui essa emise il primo vagito esistevano di già tante isole, ben formate in tutta la loro possanza ed essenza, da moltissimi secoli e quindi fornite di meccanismi ben collaudati, quali il senso dello stato, il rispetto delle leggi da parte di tutti, un innato senso civico, il rispetto del prossimo. La sfortuna della nostra isola, che fu poi chiamata l’isola dei biscotti (duri come pietre), fu di non esser nata isola e di non poterlo mai diventare. Però, essa aveva prinzeugen, il nobile cavaliere, che andò a combattere in difesa di una isola vera (adagiata sulle sponde di un bellissimo fiume blu) dall’assalto di altri isolani, davvero mostruosi e pressoché imbattibili nel corpo a corpo, avendo il dono di possedere otto mani: infatti in poco più di mille anni avevano conquistato un’isola grande quanto la metà del mondo. Ora, accadde che nella circostanza, questi ottomani venissero sconfitti proprio dal grandissimo soldato della nascente isola dei biscotti. Allora, riconoscente, la isola vera (insieme alle altre che governavano il mondo) concesse all’isola del soldato (governata dal cugino), di possedere la più grande isola del mediterraneo, la quale dopo un passato fra i più fulgidi che si ricordi a memoria d’uomo paleolitico, era caduta in depressione. Ma, il vero regalo per l’isola dei biscotti (i quali di li a poco avrebbero preso il nome di savoiardi) era costituito dal fatto che la più grande isola del mediterraneo portava in dote un titolo che l’isola dei biscotti non si sarebbe mai nemmeno sognata di possedere. Esso, era titolo esclusivo delle più grandi isole: il regno. Fu così che l’isola del nulla, pardon, dei biscotti, divenne regno con il nome di isola più grande del mediterraneo. Ora, si sa che nella storia e nella vita le scorciatoie portano disastri, infatti, questi regali non erano sufficienti a rendere l’isola dei biscotti un’isola all’altezza delle altre. Mancava tutta l’esperienza plurisecolare maturata in tutte le discipline umanistiche e scientifiche, di già sostanzioso bagaglio delle vere isole. Per questo motivo si verificò ciò che vediamo accadere nelle aule universitarie, ove una persona senza meriti venga posta ad elargire l’insegnamento che non è in grado di riversare: il meschino è continua vittima dei lazzi di discenti e colleghi e persino dei sagaci lettori che si avventurino nella lettura del contenuto ameno di loro libri. Anche la nostra isola dal titolo posticcio, fu vittima dei soprusi delle isole vere e ciò accade ancora oggi a distanza di tre secoli. Nel frattempo, la nuova isola “regno” si evolse, ebbe i suoi movimenti e, ad un certo punto vi prese il sopravvento una congrega conosciuta come i falsi e cortesi. 


Essi, poveri in canna e senza veruna storia di cui menar vanto, si arricchirono tuttavia, depredando le risorse  e gli ori della vera isola, della quale un superenalotto ante litteram, aveva consegnato loro nome e titolo. Sempre pronti a servire i potenti e toglier loro le castagne dal fuoco (ma sulla pelle degli isolani), i falsi e cortesi riuscirono anche ad ottenere dei favori, come quella volta che quell’isola vera del nord, versò una montagna di soldi per finanziare una spedizione mirata all’ingrandimento geografico verso il meridione. Tale spedizione, attraverso gravi misfatti e grandi stragi d’innocenti, portò a raddoppiare il territorio, inglobando piccole isole dalla più diversa storia, totalmente avulse dal resto del territorio occupato dai falsi e cortesi, al punto che estranee si sentono ancora oggi. I falsi e cortesi, comandati da tal cavurrino (nome derivatogli da una fabbrica di sigari) furono attori della prima azione di corruttela che si ricordi nell’isola (quella del mediterraneo). Essi manifestarono la loro abilità da consumati teatranti, in occasione dell’appalto per il taglio dei boschi (opera che deturpò l’isola irrimediabilmente, ma tanto non era importante perché non la sentivano loro) per ottenere le traversine per la ferrovia che doveva attraversare la stessa isola. Tale appalto fu vinto da un certo signore, ma siccome era arrivato secondo il fratello del tal cavurrino, inopinatamente fu dichiarato perdente il vincitore e vincitore il fratello dei falsi e cortesi. Bene, acquisita la parvenza di nazione, i falsi e cortesi, avendola ormai totalmente disboscata, decisero di abbandonare la denominazione di più grande isola del mediterraneo e, tenendosi ben stretto il titolo di regno, si presero la denominazione di isola dei vitelli, scimmiottando gli Etruschi che così chiamavano la stessa area geografica. L’isola dei vitelli cercò di darsi una parvenza di consesso civile e imitando malamente le isole vere, ebbe anche la pretesa di conquistarsi delle terre d’oltremare, senza la necessaria cultura nello scegliere un profittevole luogo come dimostrerà la storia. Dopo varie vicissitudini subite dalla nostra isoletta e durate molti anni, essa ad un certo punto decise anche di non più servirsi del titolo di regno e di scegliersi quello di repubblica, chiamandosi quindi isola della repubblica dei vitelli che per il vero non fa una bella impressione al primo sentire. Ora, bisogna dire che così com’era posticcio ed immeritato il precedente titolo, anche questo era ed è totalmente privo del suo valore intrinseco (cioè dell’amore sviscerato per la cosa pubblica), con l’aggravante che qui la sovranità popolare, in teoria rappresentata dal parlamento, è di fatto semplice aria fritta. Infatti, sono state e sono padrone dell’isola, varie congreghe che si sono appropriate del potere ed hanno disposto e dispongono, come più loro aggrada, della cosa pubblica. Vi furono politicanti che si fecero paladini della fede, detta cristiana da un povero cristo ucciso da duemila anni, che fecero cose anche disastrose per il bene comune. Vi furono coloro che crearono le congreghe comunitarie nelle fabbriche, noti come insindacabili, che con la scusa di difendere il prossimo si sono arricchiti fuori misura e sono al governo dell’imprenditoria dell’isola. V’è la congrega cosiddetta dell’ingiustizia, massimamente versata nel non perseguire una certa parte cromatica e nella disattesa quotidiana dei dettami del diritto, pur ben stabilito nella ancora piccola e insignificante isola, diritto pur esso rubato in certa misura, dalle carte della isola più grande del mediterraneo. V’è poi la congrega di coloro i cui principi si rifanno ad una ex grande isola dell’est ora fallita, che voleva che tutti i beni, tutte le risorse fossero di tutti, facessero parte del bene comune e perciò detta l’sola dei comunalisti. A proposito dei comunalisti lato sensu, nel pieno fulgore essi si trasferirono in forze nell’isola più debole e malamente protetta, la nostra. Riguardo i comunalisti nostrani, si deve dire che per mezzo secolo hanno combattuto in modo demoniaco contro il bene dell’isola da tutte le posizioni, cercando di farvi arrivare un non meglio identificato baffone, fallendo in modo ridicolo nell’intento perché si ritrovarono con un baffino. Dei comunalisti si deve dire che sono biforcuti come la serpe e come la serpe cambiano continuamente d’abito: la serpe per necessità fisiologica, essi per nascondere la loro essenza di comunalisti, altrimenti le persone per bene avrebbero paura di loro. Questi comunalisti, nel forsennato modo di cambiarsi d’abito (l’abito del monaco, s’intende), che si erano originati da un’isola dell’est, come detto, dedita soprattutto all’omicidio di chi la pensava diversamente ed al soffocamento di ogni piccolo anelito di democrazia, sapete come si fanno chiamare ora dopo l’ennesimo cambio d’abito? Voi che siete persone intellettualmente oneste non lo immaginereste mai. Infatti, con una faccia tosta grande così, si fanno chiamare i democratici. E non è un caso che abbiano vinto il Guinness dei primati nella gara a chi la sparasse più grossa! V’è poi anche il lapsus ad essi sfuggito che li dipinge per quelli che sono. Infatti, non sono riusciti a togliersi di dosso l’imprinting di demòni, avendo tutti noi certezza che la radice del vocabolo da essi scelto non si riferisca al popolo, per il quale essi ci hanno sempre significato il loro totale dispregio, ma alla parola infernale, complice anche il fatto che nel passato essi fossero indicati come mangiatori di bambini, che è la tipica occupazione del diavolo. La radice, certo, gli è rimasta appiccicata e con loro sommo danno, ma del suffisso cratico, vanno davvero molto fieri e non v’immaginate come pontifichino nella perenne campagna elettorale (per loro le urne non si chiudono mai quando perdono), passando dal monte, al colle e fino al mar, ma sempre (anche per questo li si riconosce subito) con una mano sulle ante dell’armadio, per tenervi ben chiusi i loro tanti scheletri. Ma, altro appellativo ha affibbiato essi la pubblica opinione: i gufi. Infatti, con il loro caporione maniche di camicia (che con l’aiuto dei propri penati pare abbia provveduto ad arricchire in modo santo la casa comunalista) che da tre anni fa il menagramo dicendo che l’isola sta affondando, imitato da alcune congreghe minori, una di un ex poliziotto che con la sua pistola spara a chiunque col pericolo che ci scappi il morto, una di un quasi padrone di giornale che era detto il bello, un'altra di un tizio chiamato bellu guaglione (ma cos’è una sfilata di diversi?) e l’ultima di un voltafaccia nato nero che si è sbiancato con la candeggina avuta dal governo, i comunalisti sono tornati al loro esercizio preferito: distruggere la società isolana, non perché sia malata o deprecabile (questo essi non sanno neanche giudicare e non è loro scopo) ma, semplicemente, perché non è da essi governata. Nei demònicratici è talmente forte la componente demoniaca ed antidemocratica che essi, mettendo sotto i piedi la scelta del popolo che ha decretato la loro sconfitta e la vittoria di un avversario, manifestano tutti, dal monte, passando per il colle e fino al mar, in modo inequivocabile essere una congrega nemica acerrima del popolo. E’ inutile o forse è utilissimo, ricordare come nelle isole vere, accada che la parte perdente nel giudizio popolare, lasci subito il campo di battaglia e dia la propria totale disponibilità all’avversario vincitore, perché operi al meglio per il bene dell’isola.       

2 commenti:

francu ha detto...

Micheli, tu parli che con l'ex poliziotto con la pistola in mano c'è il peirocolo reale che "ci scappi il morto"?
Non condivido: il pericolo è che il morto ci resti tra le braccia, come statua alla Biennale.
Comunque, benvenuto fra i qualunquisti che, se solo ci guardiamo in faccia e facciamo massa insieme ai fessi e agli illusi, alla prossima tornata avremo non la maggioranza assoluta, ma quella qualificata così che potremo cambiare la Costituzione: art. 1: L'isola è una repubblica fondata sulla fantasia.
Con questo prenderemo atto della fantasia dei ladri, degli avvocati che li difendono, dei magistrati che l'inquisiscono e dei giudici che non li giudicano, ma li mandano a casa a far le sante quarantore.
Amen.

giovanni ha detto...

Bene la fiaba, la sua morale e soprattutto l'averla raccontata. Perchè a me pare, ma mi posso anche sbagliare, che quando si tratta di università, qui da noi in sardegna, scatta il terrore e il fuggifuggi generale. E così per i lupi o demòni e per questi morti, o moribondi, che ci restano tra le braccia anche quando muoiono all'estero. E condivido pienamente quanto dice francu, modificare la costituzione in tal senso la vedo in discesa; nonostante i lupi o demòni che, anche ad uno sguardo superficiale sulla storia, non hanno mai potuto digerire la parola fantasia.