mercoledì 2 febbraio 2011

C'era una volta uno Statuto da riscrivere. Promemoria per sbadati

Dall'assemblea del Parlamento sardo (la millesima dall'inizio della legislatura) enfaticamente chiamata degli Stati generali, sono trascorsi quasi tre mesi. Le importanti parole sul fatto che non sia “più procrastinabile l'urgente necessità di provvedere alla riscrittura di questa norma [lo Statuto speciale, NdR] in chiave moderna, per regolare le fondamenta del nostro essere "Popolo" e "Nazione" all'interno della Repubblica italiana” sono rimaste parole. È vero che 89 giorni, quanti ne sono passati da quel 5 ottobre, sono un trascurabile battito di ciglio nel concetto che la politica ha del tempo, ma nel frattempo il Parlamento italiano ha provveduto, con il cosiddetto federalismo fiscale, a rendere più difficile per la Sardegna darsi una Carta adeguata a quel popolo e a quella nazione prudentemente posti fra virgolette dalla Presidente del Consiglio regionale.
Eppure quella su cui scrivere il nuovo Statuto non è una tabula rasa, qualcosa su cui nessuno abbia riflettuto. Non solo esistono, depositati nel Parlamento sardo, due disegni di legge al proposito (uno del senatore Antonello Cabras del Pd e uno del senatore Piergiorgio Massidda del Pdl), ci sono i lavori del Consiglio e ci sono suggerimenti arrivati dai sindacati e da associazioni culturali, oltre alla proposta del Comitato per lo Statuto garantita dai gruppi consiliari del centrodestra allora all'opposizione. Eppure il Parlamento sardo dette il 18 novembre il mandato alla commissione autonomia di “di provvedere entro novanta giorni ad istruire ed elaborare un percorso costituente finalizzato alla riscrittura dello Statuto”. Si dirà che i novanta giorni non sono trascorsi e che la preoccupazione circa l'inattività della Commissione ha il sapore del pregiudizio.
Il fatto è la commissione autonomia è ancora senza presidente e che dalla sua aula non si sentono arrivare apprezzabili segni di vita, figurarsi propositi sul che fare. Si è, insomma, ancora una volta incartati intorno allo strumento del fare senza avere idee sul che cosa fare. Non ho dubbi sul fatto che la maggioranza abbia enormi responsabilità nella lentezza inquietante con cui il cammino verso lo Statuto sta procedendo. Segno che fra le parole dette e la convinzione c'è una, diciamo così, lotta intestina. Ma l'opposizione non si può atteggiare ad anima bella: se avesse a cuore uno statuto più avanzato di quello che abbiamo avrebbe spinto a che la proposta di Cabras fosse messa all'ordine del giorno del Consiglio, ne avrebbe fatto un terreno di dibattito interno o, almeno, avrebbe tallonato gli avversari, incapaci di portare avanti una proposta che pure avevano fatto propria.
Concetti come sovranità, popolo, nazione (più o meno eufemizzati dalle virgolette), revoca della fusione perfetta del 1847, denuncia del patto costituzionale, indipendenza, ed altri non meno importanti risuonati in Consiglio regionale, sono rimasti sospesi nell'aria come palloncini colorati e coriandoli dopo una festa trasgressiva. Quasi tutti questi cotillons sono già caduti a terra e cominciano a marcire.

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