domenica 22 agosto 2010

"Noi pastori" all'ordine del giorno

I pastori sardi sono diventati protagonisti dei media sardi, italiani e europei, grazie a un pastore intellettuale, quel Felice Floris da Desulo che ha avuto la capacità di restituire al “noi pastori” il ruolo gli spetta nella società sarda. Sono tornati pastori, non allevatori nei quali gli eufemismi coltural-politici li avevano trasformati. Oggi i pastori sardi sono diventati campioni della sinistra non solo sarda. Peggio per la destra che non riesce ad uscire dall'egemonia culturale di quella sinistra che nel passato aveva dipinto il “noi pastori” come la sentina dell'arcaismo, della violenza barbarica, dell'individualismo sfrenato; kulaki in salsa sarda, insomma, strenui difensori di su connotu e altrettanto strenui oppositori del Progresso.
Vogliamo leggere cosa si scriveva nel 1987 da parte di chi oggi appoggia la rivolta dei pastori? La loro – scriveva Massimo Dadea, uomo di spicco del Pci e poi assessore nel governo Soru – è una società “arretrata caratterizzata da un immobilismo arcaico, rilevatasi impermeabile ai processi di modernizzazione, incapace di aprirsi al nuovo, impregnata di una cultura spesso portatrice di valori deteriori, prigioniera di miti e di codici che si perdono nella notte dei tempi. Una società che teorizza la violenza quale strumento per derimere le controversie e i conflitti...”.
L'appoggio dato al Movimento dei pastori è un sincero ripensamento di quei giudizi che non erano, chiaro, solo di Dadea? Si tratta di una opposizione al governo di centrodestra, fatta all'insegna del “nemico del mio nemico e quindi mio amico”? Chi lo sa? Chi sa come un uomo come Felice Floris, una volta bestia nera, si è trasformato in bestia rossa? Più che difficile, è inutile cercare una risposta. Fatto sta che Floris e il suo movimento hanno fatto benissimo ad accettare la sponsorizzazione della sinistra alla quale va riconosciuto il merito di aver capito che questo mondo va difeso da una politica che miopemente lo considera ininfluente nell'economia della Sardegna e, quel che è peggio, nella sua cultura.
Nella speranza che, una volta vinta la battaglia per la sopravvivenza della pastorizia, i pastori non tornino ad essere allevatori e, in caso di resistenza, kulaki impermeabili alla Civiltà e al Progresso.

6 commenti:

maimone ha detto...

Sui pastori é stato detto di tutto e il contrario di tutto, a seconda del momento contingente e delle convenienze. Alla fine, però, sono sempre rimasti soli con i loro problemi, oggi più gravi che mai.
Io sui pastori non potrei mai essere obiettivo, perché sono originario di un paese di pastori, tutti i miei parenti e quelli di mia moglie sono pastori. Ogni volta che torno al mio paese sui monti del Gennargentu il mio primo pensiero va sempre ai miei avi con rispetto e ammirazione.Io sono orgogliosissimo di essere definito "pastore", perchè i pastori sono il mio mondo, la mia cultura, la mia anima.
Per cui sarò sempre con i pastori A PRESCINDERE, nel bene e nel male.

NO bos arrendedas, pastores, né como né mai.

CUN BOIS PASTORES

Cherz'istare cun bois, o pastores
sardos, in sas campagnas ue riet
e lagrimat sa vida e paret siet firmu su tempus in d'un'isperare
invanu e senza muda,ind'un andare
antigu, senza fine e né lugores.

Cun bois a su entu,a sas traschias
in alabinnas nudas e fumosas;
cun bois in sas nottes iscurosas
e frittas de ierru;in sos tittones
chirchende sonnos e illusiones,
olvidende su mossu 'e sas biddias.

Cun bois in sas nottes istedddas
e giaras de istiu, andare in giru,
cando dae sa terra unu suspiru
paret pighet in altu; muda intesa
tra chelu e terra,sutta sa bellesa
de milli e milli istellas incantadas.

Cun bois in ispassos de 'eranu
tra fiores e melidos d'anzones;
tra cantigos e bolos de puzones
e sole, e vida, e noellas isperas.
Cun bois in su 'eru,in sas chimeras
a fiancu a fiancu, a manu a manu.

Deo puru che bois un armentu
truvare in baddes e in pianuras
a bacchiddu in manu, in sas pasturas
profumadas d'armiddas e de menta,
a man'in barras cantende una lenta
cantilena de paghe e de cuntentu.

E sonniare sa bella chi isettat
addae, addae in sa idda, filende
candida lana, o de linu, tessende,
pro sa die 'e s'isposu, sa pannia;
e truvare, truvare s'ama mia
cando su chelu riet o minettat.

Forico Sechi (grande poeta)

Mauro Peppino Zedda ha detto...

Fare agricoltura e pastorizia in Sardegna e in generale in occidente sta diventanto impossibile senza i contributi comunitari.
Prendiamo il grano per esempio, il prezzo è ormai un prezzo su scala planetaria, alcuni mesi fa era 15 euro al quintale (a quei prezzi in Italia un agricoltore non recupera neppure le spese), in due mesi il prezzo è aumentato del 50% e in seguito agli incendi che pare abbiano devastato la Russia il prezzo continuerò a salire.
Due anni e mezzo fa era a 50 euro al quintale (a causa di una siccitò che colpi la produzione australiana!!) prezzo che creò gravi problemi in paesi poveri!
In Canada, Romania, Argentina, Australia, ecc. l'aratura viene fatta con trattori telecomandati!! senza autista!
Se gli agricoltori che producono grano non scendono in piazza e perchè la comunità europea (almeno sino al 2013) da dei premi ad ettaro, sia che si coltivi o non si coltivi, che in realtà rapresenta i guadagno netto! Dunque chi coltiva cerali può dormire sonn tranquilli sino al 2013, poi non penso che si uscirà dal sistema di incentivi, sarebbe il tracollo dell'agricoltura europea.
Come ben sappiamo il decollo in grande stile dell'allevamento dlela pecora fu dovuto alla premialità che il MEC dava ai prodotti esportati , tra cui vi era il Pecorino Romano, insomma gli americani compravano il pecorino a prezzi stracciati e il MEC premiava con cifre eguali al costo di vendita il Pecorino.
I pastori lavoravano, gli americani mangiavano e gli Europei pagavano!
Attualmente quelle misure non esistono più, l'allevamento ha delle premialità , e il prodotto viene pagato dagli importatori americani cifre irrisorie (come ha sempre fatto).
La soluzione del problema non è semplice: si potrebbe tentare di far pagare un pò di più il Pecorino Romano agli americani, ma non so se sia una strada percorribile.
Si potrebbe anzi si dovrebbero produrre altri formaggi, ma non è semplice riconvertire nel breve periodo.
Si dovrebbe sperare che il cambio euro/ dollaro si inverta in valore ciio che un dollora valesse due euro, ma in Europa gli ad essere contenti sarebbero i pastori sardi !
Credo che l'unica cosa fattibile sia la contrattazione (cosa che fanno in maniera eccellente gli agricoltori francesi, che una protesta la sanno fare !! insomma è un paese dove chi viene calpestato riesce a farsi riconoscere i suoi diritti) con la UE per calcolare in modo equo l'indennizzo spettante ai pastori.
Insomma nell UE non è possibile fare agricoltuire e pastorizia senza una indennita compensativa.
Ora non saprei a quanto ammonta l'attuale contributo che i pastori ricevono per le loro aziende.
Sarei personalmente contrario ad una premialità sulla produzione , che è sin troppo elevata, si tratta pensare a misure che garantiscano il reddito ad aziende "normali" (dove la normalità è data da una soglia produttiva raggiunta). Insomma non dobbiamo fare in modo che i pastori debbano "sfinire" le loro pecore, ingozzandole di mangimi prodotti in altre parti del mondo che in Sardegna non lasciano niente.

maimone ha detto...

Anche a me risulta quanto espresso da M.P. Zedda. Era il famoso "montante compensativo" erogato dall'UE per ogni Kg di prodotto esportato fuori dall'UE, nonché il vantaggioso cambio lira/dollaro, a rendere vantaggiose le esportazioni degli USA. Ora questi due "vantaggi" non esistono più e bisogna inventarsi qualcosa. Mi domando però dov'erano (e dove sono)in tutti questi anni gli industriali caseari, che tanto si vantavano di essere veri e moderni imprenditori. In questi ultimi 90 anni (più o meno sono questi i tempi della "rivoluzione casearia sarda") hanno mai studiato l'andamento del mercato? Hanno mai cercato mercati alternativi (geograficamente parlando, intendo)? Hanno mai cercato di inserirsi in nuove fasce di mercato? Hanno mai provato a produrre nuovi prodotti più adatti ai cambiamenti di gusto della gente? Io ricordo che ogni tanto, con qualche banale scusa di ordine sanitario, gli USA bloccavano l'import del pecorino per favorire quello della Romania e della Grecia. Non era questo un campanello d'allarme? Evidentemente no, perchè gli industriali si limitavano ad ammassare il prodotto in attesa dello sblocco delle frontiere che avveniva regolarmente l'anno successivo. In un caso, addirittura, vendettero grossi quantitativi di prodotto ad un grossista olandese (mi pare) che l'anno successivo riversò il prodotto negli USA facendo concorrenza a quegli stessi che glielo avevano venduto. Insomma, degli sprovveduti, che però hanno mangiato a quattro ganasce in tempi di vacche grasse, e scaricano il peso della crisi sui produttori in tempi di vacche magre. Mi risulta addirittura che qualche nostro industriale sta trasferendo le sue attività in Romania. I pastori, seguendo le indicazioni dei nostri politici e amministratori, hanno modernizzato le loro aziende (elettrificazione, capannoni, mungitrici meccaniche, refrigeratori etc) per scoprire al termine di un duro lavoro durato una intera generazione, di essere ormai fuori mercato,visto che un litro di latte viene pagato meno di un litro d'acqua. A questo punto si sono resi conto che il miglioramento genetico, agronomico e tecnologico della loro azienda si é trasformato in un incubo e che sono tutti più o meno prigionieri delle banche. Paradossalmente, i pastori rimasti all'antica, con animali poco produttivi, che non hanno fatto investimenti, che non devono acquistare o produrre grandi quantità di mangimi, sono gli unici premiati dalla sorte. Almeno loro non sono ostaggi delle banche. E' chiaro, a mio modo di vedere, che il pastore (in quanto produttore) non é solo il primo anello della filiera ma anche il più debole, ed é su di lui che deve intervenire il politico con sostegni adeguati, mica sugli industiali. Chi vivrà vedrà, ma in Sardegna si profila la scomparsa della pastorizia (e con essa di un intero mondo) o quantomeno, quella sopravvissuta non sarà più sarda nel senso stretto del termine, in quanto finirà nelle mani dei rumeni e degli albanesi, oggi diffusi nelle nostre campagne come salatiati.

Salude e libertade

Agostino Sanna ha detto...

Non sono assolutamente un esperto di economia però anche io vivo in un paese di pastori e provo a dire la mia, pur consapevole che il problema è complesso. Forse una risposta potrebbe venire dalla decrescita: diminuire la produzione di latte per provocare un aumento della domanda e quindi del prezzo del latte. Inoltre si potrebbe tornare a valorizzare (come qualcuno sta già facendo) la vecchia razza ovina sarda, che era più rustica e aveva bisogno di pochissimo mangime, cure veterinarie ed era perfettamente adatta all'ambiente della Sardegna. Inoltre la qualità del latte era migliore, anche perchè non aveva bisogno di tutte le cure di quella selezionata. Credo che i pastori potrebbero iniziare a ripensare le loro aziende in questo senso. Ora come ora il loro ricavo va quasi tutto alle multinazionali di mangime, concimi, farmaceutiche che sono quelle che influenzano gran parte delle politiche agricole mondiali. Tornando in qualche misura a su connotu si potrebbe produrre di meno ma più di qualità e inoltre si risparmierebbe sulle spese di mangime e veterinario e farmaci. Certo non è che sia così facile come l'ho detta, però forse i contributi in denaro sarebbero più utili se finalizzati a riconvertire in questi termini le aziende agricole. Insomma forse è arrivato il momento di mettere in discussione il modello economico attuale, che prevede l'aumento costante della produzione all'infinito. In natura niente può crescere all'infinito. E una volta che il mercato è inondato di prodotto il prezzo inevitabilmente diminuisce. E certo non a discapito degli industriali.
La questione poi se ai pastori ci tengano di più i politici di destra o di sinistra non mi pare urgente in questo momento. Di destra o sinistra o centro i politici dovrebbero pensare e agire per il bene della loro stessa gente. Li paghiamo per questo. E li paghiamo bene.

maimone ha detto...

La proposta di Austinu S., purtroppo, é valida solo in parte. E' pur vero che andando a ritroso si recupererebbe in qualità quello che attualmente si perde in quantità. Il problema é che il pastore moderno non può più ritornare a su connottu (o quantomeno può tornarvi solo in una scarsa misura). Questo perché le trasformazioni agronomiche e la selezione genetica effettuate non consentono di invertire rapidamente i propri indirizzi, dopo 50-60 che si é andati nella direzione opposta. Si tratterebbe di una vera e propria dichiarazione di fallimento con la perdita del vantaggio selettivo e tecnologico accumulato negli ultimi decenni.
Il ritorno alla pecora antica e al suo modo di allevarla, peraltro già in atto, si rivolge ad un mercato di nicchia, peraltro ancora da valutare, ma sicuramente troppo piccolo per soddisfare le esigenze dell'intero comparto. Attualmente la UE ha sfoderato un'altra parolina magica: la multifunzionalità in agricoltura, che poi é una parola moderna per dire che bisogna ritornare a fare le cose come in passato (ma con gli standard qualitativi ed igienici di oggi, beninteso). M'immaggino cosa succederebbe, ad esempio, se tutte le aziende pastorali sarde trasformassero la lana delle loro pecore in tappeti: il crollo anche di questo tipo di mercato, probabilmente. Mi viene in mente cosa successe quando l'Australia e la Nuova Zelanda, per ovviare al crollo mondiale del prezzo della lana (da esse provocato con un eccesso dell'offerta) decisero di riconvertire i loro allevamenti verso la produzione della carne, provocando il crollo del presso della carne ovina in tutta l'area del Pacifico e dell'Oceano Indiano. La carne ovina venne talmente deprezzata che dal suo ricavo non si coprivano neppure le spese di macellazione, per cui gli animali venivano sepolti vivi a migliaia nei fossati con l'aiuto dei bulldozer. Questi stati attualmente stanno puntando sulla diversificazione dell'offerta, e quindi anche nella produzione e trasformazione casearia del latte. Fra qualche decennio ne vedremmo delle belle (l'Australia e la Nuova Zelanda possiedono circa 300-350 milioni di pecore, allevate più che altro con sistemi bradi; altro che i nostri 3 milioni!).
Suppongo e mi auguro che la soluzione sia nella diversificazione dell'offerta, ma la soluzione credo debba essere soprattutto di tipo politico. I pastori si trovano in questa situazione perché si sono fidati dei politici (spesso ingrossando anche le loro clientele), ed ora sono i politici che devono trovare una soluzione. E la devono trovare in fretta, perché il mondo delle campagne sembra un vilcano pronto all'eruzione.

Salude e libertade

Grazia Pintore ha detto...

"No bos arrendedas,pastores,nè como nè mai" Ho rubato le parole del signor Maimone per dare tutta la mia solidarietà ai pastori sardi.La poesia è stupenda.Lottate,lottate,lottate.