sabato 2 gennaio 2010

Orgòsolo, cantande sos isposos novos

S'urtimu de s'annu est una die nòdida in Orgòsolo. A manzanu pitzinnas e pitzinnos andant de domo in domo pedinde sa candelaria e pedinde frùtura, durches, ispianadas (su candulàrium antigu) e carchi dinareddu. A de note sa festa est de sos isposos novos. Tropas de fèminas e de òmines zirant sas domos de sos coiuados in s'annu e los cantant, bene augurande.
Apo intzisu custu vìdeo pro su blog.

L'ultimo dell'anno è un giorno molto speciale per Orgosolo. La mattina, i ragazzi vanno di casa in casa per chiedere "sa candelaria" e ricevono fritta, dolci, spianate (forse l'antico candularium) e qualche spicciolo. Di notte, la festa è delle coppie sposatesi entro l'anno. Gruppi di donne e di uomini girano per le case di quanti si sono sposati nell'anno in corso e cantano auguri di felicità e prosperità. Ho registrato questo video per il nostro blog.

Orgòsolo, Nadale 2009

17 commenti:

Anonimo ha detto...

Maura M:
Veramente deo no ido nudda. Augùrios su matessi a sos isposos novos e a chie colat in custu giassu.

Anonimo ha detto...

A sos isposos novos e vezos de Orgosolo e de totu sa Sardigna, SORTE VONA hana a tennere pro totu s'annu 2010.

Anonimo ha detto...

Maura M:
Bellu bellu su video. E a bìdere custas feminas cantare sos augùrios faghet piaghere deaberu, bi fit puru un'amiga mea.

Anonimo ha detto...

Francu Pilloni scrive:

Grazie, Gianfranco.
Non conoscevo questa usanza.
Mi è sembrato di percepire il prezioso relitto di una cosa antica quanto i nuraghi, allorché lo sposarsi non doveva essere esclusivamente un affare privato ma un avvenimento in cui la comunità ci metteva pienamente le mani.
Sono sicuro che l'usanza dà spazio a molte riflessioni dato che, al giorno d'oggi, le comunità non sempre sono molto unite al loro interno, anche se i suoi membri generalmente fanno fronte comune verso l'esterno.
Suppongo che si possano capire, osservando chi va da chi e da chi non va, legami e interessi, amicizie, complicità e malanimo.
Me lo confermi?

Anonimo ha detto...

Maura M:
Pilloni, su comunitarismu e s’unidade de sos sardos, biddaresos specialmente ti los podes bìdere in sonniu. Su cantu est custu sonniu, ca a cantare e a iscrier inoghe semus bonos totus: accudide a su folclore! A nois piaghet meda sonniare, e non naro chi siat unu sonniu feu. Però poi toccat de nos ischidare. Corbos malos semus e custu est su gosu nostru: in dogni familia, in d’ogni carrela s’imbidia bi morit omine e nois sighimus a andare goi, barigadu e cras puru, su sambene istentat a cambiare. Menzus sonniare, ca ateru, pro como, non podimus. Mancari intro unu seculu. Coment'at nadu s'attiu de sa biada ‘e Rosanna Floris, Istèvene Wallner, sette dies faghet, in s'Unione: “Me lo dicevano con gli occhi: devi morire perché col tuo successo stai certificando la nostra pochezza. E chi mai ero io da potermi permettere di cambiare la qualità della vita di un paesino senza nemmeno dipendere dai ras locali?» Cantas bi nd’at de istorias comente cussa de Rosanna? Custa est s'istoria de sa familia mea e de sas biddas nostras.
Augurios!

zuannefrantziscu ha detto...

@ Franco
Penso con te che si tratti, sia nel caso de sa candelaria sia in quello degli auguri cantati, di un lascito importante di una cultura comunitaria oggi in crisi non tanto - come mi pare pensi Maura M - per l'intima cattiveria dell'individuo, ma per il precipitarsi delle ideologie "progressiste" contro lo spirito comunitario, il "comunismo primitivo" come lo esorcizzò l'eredità marxista.
Credo ci scriverò qualche riflessione.

Anonimo ha detto...

Maura M:
Quello che volevo dire è che io non credo al mito del nostro comunitarismo tout court, perché i rapporti di solidarietà interni alle nostre comunità, che sembrano forti se visti dall'esterno, non sono mai stati solidi ma vengono meno per questioni insignificanti. E se un vicino ti fa fuori in piazza nessuno ha visto nulla. Anche i rapporti interfamiliari sono ad altissimo rischio, ed è sempre stato così. Per fare un esempio, mio padre è scappato dalla famiglia a diciotto anni e tuo nonno, se glielo chiedi, non ha seppellito suo bisnonno. Se torniamo indietro di 7 secoli l’80% di noi viveva in schiavitù di altri sardi o terramannesos e aveva un’età media di venti, venticinque anni, i figli erano servi dei padri fino alla maggiore età. L’invidia degli altri esiste dai tempi di Caino e Abele e non è venuta ora a mettere in crisi il nostro supposto comunismo primitivo. Da noi è soltanto accresciuta da vicende sfortunate e dal nostro isolamento. La cultura comunitaria era questa ed è importante saperlo qualora, un giorno, volessimo iniziare a guardare avanti.

Anonimo ha detto...

Non conoscevo l'usanza di cui parla Zuanne Franciscu e ora so dove mi recherò il 31 dicembre del 2010!
Carissimi Francu, Maura, Zuanne Franciscu, l'argomento che avete intavolato è, per me, di straordinario interesse!
Il 20° capitolo (il residuale nuragico nella sardegna tradizionale) del mio libro affronta velocemente questo argomento.
Quando chiesi a Zuanne Franciscu di presentarmi il libro, pensavo che la sua critica si sarebbe rivolta soprattutto a quel capitolo (invece Borore si è concentrato su altra parte del testo).
Quando Maura mette in campo la gelosia dei sardi (rivolta soprattuttu verso i propri compaesani), la vede giustamente come un male da estirpare!
Ma dietro quella gelosia (oggi palesemente anacronstica) vi è un antico egualitarismo (diverso dal comunismo feudale che abbiamo conosciuto).
Non immaginate il piacere che avrei di sentire la vostra critica su quel capitolo del libro.

Mauro Peppino

Anonimo ha detto...

Solo in quanto niente di ciò che sardo mi è estraneo, mi permetto
di scrivere la mia. Tutto quello
che ha detto la signora Maura è
certamente giusto, ma mi sembra che non rientri nell'ambito della cultura o dello spirito comunitario. Sono piutosto tratti
costanti della natura umana. Invece ciò che ci mostra il filmato, non credo che si vedrà mai a Parigi o a Nuova York.

D.Perra

Anonimo ha detto...

Cio che si è visto, si vede o si vedrà a Parigi o New York, mi interessa fino ad un certo punto ''( tanpis pour eux )'': ciò che conta è essere me stesso, ciò che conta sono le mie radici. Gavinu M

Anonimo ha detto...

Per Gavinu,

Siccome il franceso è stato poco gradito, e lo capisco, mi sono
adeguato, con i rischi inerenti a ogni traduzione. Credo che Lei mi a
frainteso, non ho voluto minimamente offenderLa nel suo essere sardo.
Io alla differenza di Lei, le mie
radici, e vorrei ricordarLe che
sono identiche alle sue, sto cercando di riappropriarmele.

D.Perra

Anonimo ha detto...

Maura M:
Le parole più acute per spiegare che cosa è il nostro comunitarismo le ha dette forse Pino Tilocca, l’ex sindaco di Burgos:
I nostri paesi non sono una comunità ma un coacervo di interessi individuali e familistici. La famiglia è un elemento che viene giocato in contrapposizione alle altre famiglie e bande. Quelli che hanno anche la forza naturale per far emergere questi interessi utilizzano la violenza come arma di pressione. La violenza infatti è un segno costitutivo della nostra identità culturale e storica.
E’ importante non dimenticarlo, quando si riflette sul mito della nostra identità.
Un’intervista a Pino Tilocca si può ascoltare qui:
http://www.youtube.com/watch?v=x2oI0sdDXdc
A Mauro Zedda: se vuole approfondire la questione dell’invidia e dell’egualitarismo primitivo esiste ormai una bella bibliografia. In questo momento mi ricordo qualche articolo interessante che lessi negli atti d. convegno 1998 della Fondazione Sardinia (L’ora dei sardi, 1999) come quello di Sergio Lodde, Invidia e imprenditorialità, che cerca di trovare anche alcuni aspetti positivi.

zuannefrantziscu ha detto...

@ Maura M
La rabbia non spinge mai alle analisi pacate e veritiere di una società complessa. Capisco, ma non condivido, le parole che lei riporta dell'ex sindaco di Burgos né più né meno di come umanamente capisco, ma condanno senza rimedio, quel che della società sarda ha detto Stefano Wallner, vedovo di Rosanna Fiori, la proprietaria della Barbagia Flores, trucidata a Villanova Strisaili.
Cose del genere ce le portiamo appresso dai tempi di Lombroso e Niceforo e il fatto che siano ripetute non significa che siano vere né attendibili. Scrisse dei nuragici un archeologo italiano, Paolo Mingazzini nella prima metà del secolo scorso: "In età nuragica ogni aggruppamento familiare si costruiva un nuraghe per vivere, a scopo puramente difensivo, in una età di anarchia sociale dominata da ininterrotte vendette di famiglia o faide gentilizie. Le risse e le vendette impedivano loro di pensare ad altro, da qua anche la scarsa forza di espansione dei Sardi. Anche i nuraghi collocati sul ciglio delle "giare" rispondono ad un fine strategico in previsione di una guerra sistematica".
Sono sciocchezze che si sedimentano così come si sono sedimentate quelle del Niceforo. Certo, le nostre comunità sono piene di contraddizioni: c'è uno spirito comunitario ed egualitario che molti violano. "Qui nessuno è mai morto di fame" mi disse un orgolese al quale avevo chiesto di definire il suo paese. Come in qualsiasi società umana, c'è chi rispetta i propri codici e c'è chi li viola. Una società perfetta non esiste, ma non è indifferente il fatto che in una comunità sopravvivano sos azudos torrados, il concetto di ospitalità, l'aiuto a chi cade in disgrazia e altri istituti consuetudinari come quello filmato nel video che lei commenta.
Se davvero fossimo messi come lei dice e come dicono Tilocca, Wallner ed altri, può stare sicura che l'ultima notte dell'anno, la gente se ne starebbe rinchiusa nella propria spelonca.

Anonimo ha detto...

Francu Pilloni scrive:

Francamente (è un avverbio che mi posso permettere!) io sono solamente un gran curioso dei processi sociali comunitari. Sono cresciuto in un paese ricco di trecento abitanti che, nel suo piccolo, rappresenta tutto il catalogo dell'umanità, compresi i santi, i ladri e anche qualche assassino.
Ho cercato di raccontare nei miei libri come le nostre comunità siano difensive per chi ci sta dentro, ma anche (per me tremendamente) costrittive perché in cambio chiedono il rispetto delle loro regole, la prima delle quali è il modo comune di pensare, su connotu, detto in una parola sola.
Io ne faccio un'analisi che vuole essere scevra da giudizi di ordine politico e morale, perché sono le situazioni da se stesse che mischiano e danne le carte, che "danno il voto" a ciascun membro della comunità, un voto che spesso è legato a un nomignolo che aderisce addosso come un abito, procura un gradino da occupare nella scala sociale e nella considerazione altrui, qualcosa che è difficile da cambiare e impossibile da ignorare.
Queste situazioni le ho descritte viste da fuori,come in "A unus a unus appillant is steddus", viste da dentro con "Ogus citius" col quale faccio i conti col mio paese, oppure lette con gli occhi di uno che si chiama fuori in "Le ragioni del Ragno".
Ho persino "vissuto e interpretato" le situazioni drammatiche dei sardi-servi ai tempi dei Giudicati, dei servi solo perché figli di servi, e la forza d'animo di chi ha cercato di resistere, come "La Bera de Zori" de su Kertu 25 del Condaghe di S. M. di Bonarcado.
Ci vorrebbe un post per continuare. Invece mi fermo dicendo che io vivo il fatto di essere sardo allo stesso modo in cui vivo l'essere me stesso: conosco e apprezzo tutti i pregi che ho, ma non ignoro certo i miei difetti. Anzi, a questi ultimi ci sono affezionato davvero. Come alla pronunzia dura delle erre (per non dire delle ti), così che lascio intendere che qualche mio pregio è solo un difetto letto male.
Dunque, gentile Maura M., noi sardi siamo diversi, anche e soprattutto fra di noi. Per buona sorte (o cattiva, se vuole), ci assomigliamo anche tanto. Il problema sta tutto qui. O forse anche un po' di là.

Anonimo ha detto...

@ Gianfranco:
Io non nego affatto gli aspetti positivi che pure esistono, ci mancherebbe altro, nelle persone che li sanno cogliere e vivere con autenticità. Ma mi fa sorridere chi dice: “Ecco, quella è la cultura sarda tradizionale”. Anyway, da altri miei post può capire quanto io ami il luogo dove ho scelto liberamente di tornare a vivere, dopo aver vissuto metà della mia vita fuori. E se l’intervista di Wallner può essere in parte condizionata dalla rabbia (ma contiene dei nuclei di verità), non mi pare che lo sia quella di Tilocca, che è dettata in fondo da un grande amore per la nostra gente, oltre che da una comprensione del nostro malessere che pochi hanno maturato; io stessa non condivido alcune cose della visione politica di Tilocca, ed è normale non avere una concezione unilaterale. Il mio monito è quello di essere più critici verso ciò che continuiamo a mitizzare con una parola: comunitarismo, senza fare ricorso al buon senso. Il concetto che abbiamo costruito oggi della nostra identità continua ad essere chiuso e sterile perché non vogliamo andare a fondo e scegliere consapevolmente ciò che è un bene per il nostro futuro e aprirci al confronto col mondo. Buscar el trigo,tirar las mala hierbas. Non si tratta di contrapporre un modello culturale come quello lombardo al nostro, ma di scegliere con la testa che cosa vogliamo essere. Io non mi accontento del suo concetto di ospitalità, che oggi va a braccetto con l’esibizione soffocante del potere di un capofamiglia o di un clan. I miei parenti, indebitati con le banche per un mutuo, continuano ad esibire l’ospitalità il giorno in cui insaccano mezzo maiale per offrire una “giornata comunitaria” ai ricchi parenti cittadini che vanno a riempirsi lo stomaco: questa è una caricatura del concetto di ospitalità. E dietro la superficiale concordia di auguri, canti corali e spuntini festivi scopro un alcolismo maschile diffuso a livelli sconvolgenti e un sopruso sulla donna che a volte mi fa vomitare e per il quale la invito a dirmi che cosa sono i supposti valori tradizionali. Non provo neppure per scherzo ad inoltrarmi nella società di età nuragica, perché su quella non troveremo qui una testa che vada d’accordo con un’altra.

Anonimo ha detto...

Ho dimenticato la firma: Maura M.

Anonimo ha detto...

Per Maura,

Trovo tutto quello che dice molto
pertinente. Però ecco, lei descrive la Sardegna odierna, e il
discorso varrebe per qualsiasi altro posto del mondo, in quanto il nostro modo di vivere è condizionato da un'economia autistica e ormai egemone.
Tutte le tare che
oberano gli individui, tutta la falsità della loro relazione al mondo, sono sempre esistiti. Ma non
è il punto. Il comunitarismo primitivo al quale si accenna, è
un termine che cerca di spiegare
relazioni che non rientrano nel
quadro comportamentale delle società "moderne".Queste relazioni
traggono la loro origine da un vissuto che è esistito, di altissimo valore sociale. Tali
comportamenti non sono stati inventati ieri; sono il riflesso
sbiadito di un'epoca in cui l'Economia non aveva ancora piegato
il mondo alle sue leggi spietate.
Ovviamente non sto dicendo che si debba tornare in dietro, ma saremmo bene ispirati se includessimo un poco di questo passato nel futuro verso il quale lei diceva di volere inziare a guardare.

D.Perra