Come tutti i miti, anche quello di Pratobello taglia “i fronzoli” e va all’essenziale. Tra “i fronzoli” c’è il fatto che “sa revolutzione”, come la chiamano ancora i più anziani, fu monolingue per gli orgolesi e in italiano per sos istranzos. Da domani, il Comune di Orgosolo, insieme a un bel gruppo di associazioni, ricorderà il quarantesimo anniversario delle giornate di quel giugno del 1969, quando gli orgolesi impedirono l’istituzione di un poligono militare. Forse il primo tassello di una base militare permanente nel cuore della Sardegna.
E, a quel che appare, sarà una celebrazione monolingue all’inverso, a partire dal programma che in sardo ha solo il nome di un paio di associazioni. Se la lingua sarda avrà cittadinanza in qualche intervento, sarà perché ospite della lingua italiana, da tempo diventata esclusiva lingua di comunicazione nelle occasioni pubbliche. Da tempo, non dagli ultimi anni dell’attuale amministrazione. Il processo di desardizzazione di Orgosolo è arrivato al punto che il cartello sulla porta de s’ufìtziu de sa limba sarda è qui in italiano.
Naturalmente la popolazione continua nella sua grande maggioranza, anche dei bambini, a parlare in orgolese. Ma è una lingua spinta sempre di più agli ambiti domestici e di relazione fra le persone, non fra queste e l’esterno. Capita di sentire orgolesi assolutamente o prevalentemente monolingui tentare in italiano di dialogare al telefono con altri orgolesi, quasi che il medium non sopportasse una lingua naturale. Da tempo, il bando, una tempo dato due volte in sardo e una in italiano, è solo in italiano, accreditando la prevenzione secondo cui il computer da cui parte non sopporta la lingua naturale.
In quel giugno 1969, il bando per chiamare a raccolta e dare appuntamenti era dato naturalmente in sardo, i comizi lo erano, i difficili rapporti fra orgolesi e soldati lo erano, con la sola concessione di un interprete per chi non capiva. Quaranta anni dopo, il Comune da un bando più moderno, attraverso il suo sito e Facebook, ed è in italiano. In questi quaranta anni, il sardo ha continuato ad essere la lingua propria della comunità, come recita lo Statuto comunale. Ma non c’è alcuno sforzo per farne lingua di tutta la comunità, di quella parte popolare che se ne serve abitualmente e di quella parte ufficiale che, al massimo, se ne serve quando non ne può fare a meno ricevendo i monoligui, o quando, al bar o negli spuntini, si sveste di ufficialità.
Tutto questo ha, ovviamente, un perché che attiene al concetto che della lingua sarda ha questo o quell’amministratore, presente o passato e ha a che fare con la prevenzione secondo cui identità e turismo (ora in crescita) non sono compatibili. Anche Pratobello rischia di trasformarsi in quel che una volta, con ironia, “i rivoltosi” chiamavano “turismo rivoluzionario”. Per riuscire pienamente, l’accoglimento del turismo, oggi non più (o non solo) rivoluzionario, sente il bisogno di parlare la lingua degli ospiti. Spero con tutto il cuore e per l’amore che porto ad Orgosolo che io sia stato colpito da una botta di pessimismo. Ma conosco troppi paesi in cui impazza la follia di spogliarsi della identità comunitaria per far “sentire a casa” i turisti a cui offrire, magari, improbabili spettacoli di altrettanto improbabili “ballerine brasiliane”.
Non vorrei che fosse vero quel che qui e là si legge in Facebook e che, cioè, Pratobello sia fatto passare come un momento di ribellione del movimento democratico e progressista italiano contro la prepotenza del potere. Perché non fu affatto questo.
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