C’era una volta un santuario nuragico, custodito in una grande grotta dalle parti di Santadi. Ora non c’è più e a distruggerlo non sono stati i tombaroli: è stata la Soprintendenza archeologica per la Sardegna. A ricordarlo sono stati, domenica 20 gennaio, due cronisti di L’Unione sarda, riferendo che a tentarne la ricostruzione sarà il Parco geominerario con lo stanziamento di duecentomila euro.
Sarà una ricostruzione sulla base di ricordi e fotografie di come la grotta di Su Benatzu era nel 1968, quando un gruppo di speleologi la esplorò. Allora fra stalattiti e stalagmiti furono trovati un bel tripode, una navicella nuragica, pugnali di bronzo e migliaia di anfore e ciotole. Avvertita, la Soprintendenza, non trovandosi di fronte a qualche resto punico, fenicio o romano, non trovò di meglio che svuotare la grotta, portar via quel che si poteva e staccare dalle concrezioni anfore e ciotole.
Del tesoro, smembrato fra il Museo di Cagliari e quelli di Carbonia e Santadi, decontestualizzato in modo che griderebbe vendetta in qualsiasi regione del mondo appena appena potabile, non si è parlato più per quaranta anni. Fino a quando non la Soprintendenza, ma un ente come il Parco geominerario ha deciso di metter fine allo scandalo e di tentare una ricostruzione – con copie degli oggetti, par di capire – dello straordinario santuario nuragico.
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