giovedì 9 febbraio 2012

L'informazione, le gabbie territoriali e l'opinione pubblica in frantumi


di Vittorio Sella

Il dibattito che si sta sviluppando attorno alla “morte e resurrezione” di Sardegna 24 non è da sottovalutare, come hai rimarcato nel secondo intervento. Lo ritengo proficuo poiché si tratta di ragionare sul modo di rappresentare la Sardegna, i suoi drammi, i progetti politici orientati al futuro, compresa la forma istituzionale che dovrebbe superare l'attuale Regione Autonoma.
Di giornali e del modo di 'cucinarli' non si discute abbastanza, si omette sempre di chiarire il significato di “specialità” della Sardegna  e di come questa “specialità” viene recepita ogni giorno. Da anni la Sardegna l'abbiamo definita terra “tra due lingue”, condividendo una profonda analisi di Michelangelo Pira. Ma, mi sono sempre chiesto, i quotidiani sardi hanno saputo e voluto cogliere questa condizione che speciale non è? Un trentennio addietro è stato lo stesso Michelangelo Pira, che, esaminando il ruolo di Antonio Pigliaru, la rivista Ichnusa, e il modo di fare cultura in Sardegna, si soffermò sul ruolo dell'informazione.
In quel contesto ebbe ad affermare, con il coraggio delle idee che lo caratterizzava, che la stampa in Sardegna, sin da quando i torchi avevano cominciato a girare, “ha negato cittadinanza al sardo, alla lingua ancora parlata quotidianamente dalle classi subalterne”. Anche la stampa di orientamento “di sinistra” non ha colto il valore della comunicazione in sardo, nemmeno quella che veniva prodotta in quegli anni dall' “area maoista” , che si riteneva detentrice del riscatto delle classi subalterne.  Il limite era insito nella stampa stessa, ritenuta borghese, cioè in mano alla classe dominante.
Una definizione questa in uso nelle scuole di antropologia di orientamento gramsciano. E oggi, in questo tempo lontano da quegli anni, in questo tempo di dominio della video scrittura e di un nuovo modo di comunicare le idee, di fare i giornali, chi produce messaggi sul solco di quel patrimonio di pensiero (Antonio Gramsci e Michelangelo Pira) tiene conto di questa condizione? Gli intellettuali-giornalisti-sardi sono consapevoli che l'opinione pubblica non è monolingue? Certo, un quotidiano è un'impresa che si misura ogni mattina con il mercato.
Ma non credo che sia l'abbondanza delle notizie sull'ombelico della Sardegna che contribuisce a fare chiarezza sulle condizioni globali del corpo della nostra Isola. Su questa scia si sono mossi da anni i due quotidiani sardi: il risultato, secondo la mia opinione, è la frammentazione dell'opinione pubblica, relegata in “gabbie territoriali”. Si è contribuito a separare i territori, per cui ciò che accade a Cabras e Sedilo, non è noto a chi prende in mano il giornale a Ottana, Orosei e Siniscola, e viceversa. Abbattere queste barriere invisibili non è semplice, trattandosi di scelte editoriali consolidate e poco note. Ma è auspicabile una inversione di rotta che metta da parte anche l'ostracismo verso la creatività in lingua sarda, i suoi autori, che da anni testimoniano un modo di interpretare la Sardegna con romanzi, racconti e poesie di marca innovatrice.
Perché non 'aprire' alla realtà bilingue della nostra Isola? Se ci sarà, come è da auspicare, una ripresa di Sardegna 24, occorre che maturi la consapevolezza che il modello unico di comunicazione in Sardegna è stato superato da tempo: alla lingua italiana si è affiancata anche la lingua sarda. Perché non cogliere questo fermento culturale nel cammino della “resurrezione” di Sardegna 24? Se accadrà sarà un segno di specialità. Unu sinnu, per dirla con Michelangelo Pira, di rivolta reale e pacifica dall'interno “dell'oggetto Sardegna” .

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