martedì 30 dicembre 2008

La maschera e il volto della lingua sarda

di Franco Laner

Fortza paris!
L'avevo pensato anch'io quando ho cercato di mettere assieme gruppi, persone, studiosi del periodo nuragico! Non è andata come speravo, anche perché ho mollato io per primo e poi perché, pur condividendo la grande opportunità che internet ci offre, il contatto umano è qualcosa di indispensabile! Parlare, interpretare le espressioni, i gesti, anche il semplice silenzio (dei sardi in particolare!), è assai più eloquente di pagine di scrittura!!
Questo contatto non ce l'ho e per questo mi sento lontano!
Nell'augurarvi buon anno, volevo semplicemente ringraziarvi. Intanto Gigi Sanna perché nell'ultimo intervento mi è piaciuto molto: giustamente duro con troppi cagoni ancora scioccamente in giro, ma più sensibile anche alle fievoli critiche di persone che davvero vogliono capire! Qualcosa riesco a percepire anch'io, ma per partecipare ci vorrebbe un minimo di lessico comune, sia per le questioni della scrittura nuragica, sia per sa limba!
Su quest'ultimo tema, molto gettonato nel blog, ho solo curiosità: voglio proprio vedere come riuscirete a comporre un puzle quasi continentale e ridurre ad uno la complessità. Ho difficoltà a capire la trinità, uno e trino, sorrido pensando all'unità linguistica sarda! E quando leggo una scrittura sarda che quasi capisco anch'io, mi vien da piangere, perché è artificiale. Ma, a forza di insistere la maschera diventerà il volto!
Comunque entrambi i temi non mi appartengono e mi dispiace. Leggo però volentieri il dibattito, ma mi sembra di seguire la messa dal sagrato!
Complimenti a Gianfranco, per l'intelligenza con cui ha saputo fare crescere il dibattito! L'ammirazione per entrambi perché fate della perseveranza il grimandello per allargare idee e il confronto!
Buon anno dunque e a leggervi sempre!

Caro Franco, il tuo bell’inno all’intelligenza, alla capacità di intelligere minando le certezze dei poltroni, mi dà l’occasione di chiarire (parola grossa, ma non ne trovo altra) un paio di cose. La prima, più impellente, riguarda la nostra lingua. Hai ragione, o Fra’, il tentativo in atto è gigantesco: comporre complessità e unità, mirare all’unità salvando la complessità, è impresa davvero grande, ma non ce n’è altra per salvare il sardo dalla residualità folclorica.
Ci hanno insegnato, non dico sulla punta delle baionette ma quasi, che i 377 dialetti sardi (compresi il gallurese, il sassarese, il catalano di Alghero, il tabarchino) se se la volevano campare, dovevano fare ciascuno qualcosa di proprio conto. Perché – ecco l’inghippo – sono fra di loro non comunicanti. Nei paesi a più forte emigrazione e più isolati, i giovani hanno smesso, proprio smesso, di conoscere il sardo perché a uno di Atzara che doveva andare a studiare a Sorgono era stato inculcato che in quest’ultimo paese non sarebbero stati capiti. In tutta la Sardegna, oggi, solo il 13 per cento dei giovani conosce il sardo e lo parla. Salvo scoprire, una volta all’Università, che questa non comunicabilità è una cazzata. Per moltissimi è troppo tardi.
Per ora e chi sa per quanto tempo, la riduzione all’unità riguarda solo la lingua diplomatica, quella che serve alla Regione per comunicare all’esterno (ma io l’ho usata nel mio ultimo romanzo e in quello che sta per uscire e ti assicuro che nessuno se ne è lamentato: può benissimo essere, con adattamenti e molto studio lessicale, anche una lingua letteraria). Una lingua scritta comune non è affatto di ostacolo all’uso dei 377 dialetti, anzi.
Tu dici “quando leggo una scrittura sarda che quasi capisco anch'io, mi vien da piangere, perché è artificiale”. Niente di tutto questo: la lingua che “quasi capisci” è per oltre il 90 per cento la lingua effettivamente parlata in un triangolo al centro della Sardegna. La cosa è stata misurata scientificamente con l’uso del computer da Roberto Bolognesi. (Il suo studio è linkato in questo blog). Quanto al fatto che “quasi la capisci”, non mi stupisce essendo il sardo, così si dice, una lingua neo-latina: con un po’ di attenzione tutti “quasi capiamo” lo spagnolo e il catalano e il francese e il rumeno, senza che per questo uno pensi che quelle lingue siano artificiali o, peggio, non lingue.
La battaglia è lunga e molto difficile, caro Laner, ostacolata da chi, in buona o in cattiva fede, preferirebbe la morte lenta e per consunzione dei dialetti pur di non accettarne una codificazione e una normalizzazione. Ma, come dici, a forza di insistere la maschera diventerà il volto, anche perché la maschera è già il volto. [gfp]

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