venerdì 30 maggio 2008

Archeologi non prevenuti: date segni di vita

Per scrivere un romanzo di ambiente archeologico, in molti mesi ho letto pubblicazioni di ogni tipo, ma soprattutto decine e decine di furum e blog. Contenuti a parte (non ho la presunzione di poter giudicare), gli interventi sulla rete segnalano l'interesse che coinvolge una folla imponente di persone. E' un interesse che tanto più cresce quante minori risposte gli utenti di internet trovano, capaci di soddisfare alle loro curiosità e domande.
Vero è, come mi hanno contestato diversi addetti ai lavori con mail non destinate alla pubblicazione, che, forse come mai, le Soprintendenze, sarde e italiane, hanno pubblicato tanti testi come oggi. Ma è il mezzo di diffusione che fa la differenza fra desiderio di informazione e suo appagamento. Le informazioni, oggi, o sono acquisibili in internet o il dire che studi, libri, relazioni, fascicoli universitari ci sono, si assomiglia a un modo di eludere la questione.
Tutti sappiamo che bronzetti nuragici sono stati trovati in territori diversi dalla Sardegna e gli archeologi, non solo sardi, ne hanno dato notizia nei loro studi, ovviamente e necessariamente non diffusissimi. Ma provate a cercarne traccia sul sito della Direzione generale per i Beni archeologici del Ministero. Tanto per avere un quadro complessivo della questione. Al massimo troverete, fra le centinaia di schede, traccia di bronzetti senza padre, anche in musei che con sicurezza ospita qualche esemplare di bronzetto nuragico. E la parola nuraghe e aggettivi derivati è citata solo in relazione alla Sardegna.
Che valgono, in termini di comunicazione di massa, le poche migliaia di copie di roba pubblicata a paragone dei milioni di accessi a quel sito?
Nei forum e nei blog che si occupano di archeologia, si lamentano archeologi che di tanto in tanto intervengono, si leggono sciocchezze e improvvisazioni. Può darsi, ma raramente i critici vanno al di là della scomunica, della denuncia del falso, e forniscono loro interpretazioni. Capita anche che, come è capitato a Giovanni Ugas, impegnato alla scrittura di uno studio impegnativo sugli Shardana, qualcuno polemizzi con il suo libro non ancora pubblicato e neppure terminato di scrivere.
Capita anche che studi come quelli di Gigi Sanna sulla scrittura nuragica vengano contestati non per il merito, ma per il fatto che Sanna non risulta nell'elenco degli abilitati a parlare di queste cose. Capita infine che si vanno trovando pietre e massi incisi con segni che hanno tutta l'aria di essere delle scritte. Un giorno varrà la pena di elencarli (per inciso, è davvero sostenibile che a fare questi ritrovamenti siano solo viandanti, cacciatori, passanti e che le decine di scavatori di professione non ne abbiano trovato alcuno?).
Intorno a questi ritrovamenti o silenzio, o disinteresse o apodittiche affermazioni del tipo "si tratta di falsi".
Personalmente sono convinto che una parte, spero cospicua, di archeologi (della Soprintendenza e no) vivono con fastidio simili atteggiamenti da abitanti in torri d'avorio. In tempi di internet non ci si può comportare come se la comunicazione fosse chiusa nel cerchio ristretto degli addetti ai lavori. E se lo si fa, guai a lamentarsi delle incursioni degli appassionati alla ricerca di risposte.
Se, come penso, ci sono molti archeologi non prevenuti, sereni, aperti alla scoperta, sarebbe bene che dessero segni di vita. Non comunicando solo fra di loro e con chi dispone di tanto danaro da acquistare e leggere le pubblicazioni, ma utilizzando lo strumento di comunicazione globale a libera disposizione di tutti.

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