giovedì 15 maggio 2008

Altare rupestre di Oschiri: fuori dalla naftalina



Chi non sta dalle parti di Oschiri ha buone probabilità di non aver mai visto questo meraviglioso e unico monumento (altre foto nel mio sito a Fotografie). Si trova alla periferia del paese, in un luogo che la cristianità ha dedicato a Santo Stefano, fra la chiesa del santo e un importante complesso di domos de jana, dolmen e menhir, tutta roba probabilmente del IV millennio avanti Cristo.
Quel che ha tutta l'aria di essere un altare rupestre è alto più di tre metri, lungo una ventina ed è incavato con una ventina di nicchie quadrate, trapezioidali, circolari, ad arco acuto. All'interno di alcune nicchie sono scolpite delle croci greche, altre nicchie sono circondate da coppelle. Altre coppelle (dodici più una, grande, centrale) sono scolpite in un grosso masso attaccato all'altare. Su un'altra roccia è scolpita una faccia mostruosa (naso e bocca storti), simile al Bes nuragico di cui in Sardoa Grammata parla, con corredo di molte illustrazioni, Gigi Sanna.
L'altare rupestre, insieme alle altre testimonianze tutto intorno, è "noto alla Soprintendenza archeologica di Sassari dagli anni Sessanta", secondo quanto scrive la studiosa Paola Basoli. E quindi, facendo un po' di conti, da più di quaranta anni. E quindi, penserete voi, sarà stato scavato, misurato, studiato, "decifrato": in quaranta anni se ne fanno di cose. Macché, nulla, che si sappia. Del resto è comprensibile: mica ci sono, intorno, tracce di romanità, punicità o feniceserie. Vero è che, osservando l'altare, uno sprovveduto come me ci vede anche un tondo con sotto un trapezio che letti insieme hanno una curiosa rassomiglianza con la Tanit, la Dea madre. Roba punica, se non fosse che quei segni possono essere fatti alcuni secoli prima che i punici pensassero alla Sardegna.
Ma io sono uno sprovveduto. Il fatto è che la politica della Soprintendenza, con il suo non fare o il suo fare finalizzato a nascondere la preistoria sarda, autorizza qualsiasi interpretazione. Come quella, per dire, che l'altare rupestre è bizantino (ci sono segni, come le croci greche, che lo direbbero), come l'altra che la ventina di nicchie sono segni di scrittura o come l'altra ancora che le coppelle scolpite nella parete sono licenze grafiche, abbellimenti. Tesi tutte avanzate da volenterosi studiosi, digerite dal silenzio della Soprintendenza archeologica che, di questo meraviglioso sito, non dice nulla.
A proposito di silenzio, questo intollerabile atteggiamento di chi pensa di non dover rispondere ai sardi di come si guadagna carriere e stipendi, mi ha indotto a scrivere una lettera aperta al governo sardo. Lettera che, chi vuole, può trovare o nel sito Diariulimba o in su meu.
E sempre a proposito di silenzio, circola voce che la serie di supposti reperti etruschi trovati ad Allai, da mesi in mano alla Soprintendenza che li aveva sequestrati nel Comune del paese, sono a Milano dove sono esaminati da etruscologi di fama internazionale. Forse non sono del falsi, come imprudentemente aveva detto una funzionaria ad un cronista.

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