sabato 7 luglio 2012

Sardi e Shardana: Le ragioni dell’identità e la questione di El Ahwat

di Giovanni Ugas
A metà del mese scorso, Giovanni Ugas ha parlato  in Israele del ruolo degli Shardana del Vicino Oriente e della identificazione degli Shardana coi Sardi.
La relazione (El Ahwat Shardana and Sardinia) è stata svolta in un convegno promosso dalla Università di Haifa. Quello che segue è il testo in italiano della relazione del dottor Ugas.
Prima di iniziare, ringrazio il prof. Avraham Ronen e il prof. Adam Zertal  per l’invito a partecipare a questo convegno nella bella e panoramica sede dell’Università di Haifa. Questo invito mi  richiama l’indimenticabile esperienza di scavo di el Ahwat vissuta nel 1997 e nel 2000 insieme ai miei allievi dell’Università degli Studi di Cagliari e ai validi collaboratori di Zertal, Dror Ben Yosef, Nirit Lavie Alon, Raphael Kimchi, Amit Romano, Oren Cohen e Avi Sa’id. Allo stesso modo, non posso scordare la gentilezza e l’accoglienza di tanti  altri studiosi israeliani  a cominciare dal compianto prof.  Michael Heltzer.
Finora sono decisamente limitate le ricerche sul terreno che hanno portato a individuare le tracce degli Shardana nel Vicino Oriente. Ricordo quelle di Moshè Dothan e di Jonathan Tubb. Non so se Adam Zertal avesse l’obiettivo di trovare a el Ahwat  un insediamento degli Shardana, certo è che la sua indagine ha aperto una nuova strada investigativa sul  campo che si innesta sull’antico percorso teorico avviato da De Rougée e da Chabas, quello dell’origine occidentale degli Shardana, troppo affrettatamente messo in disparte dall’archeologia e dalla storiografia dopo gli studi del Maspero. Con questo intervento, che procede lungo un analogo orientamento, intendo riproporre molto rapidamente il mio pensiero sulle problematiche dell’origine degli Shardana, sui loro possedimenti nel Vicino Oriente e sul significato di El Ahwat. [sighi a lèghere]

4 commenti:

rsroberto ha detto...

35Se i dati saranno confermati voglio vedere chi potrà negare l'antica parentela tra i fenici orientali e i sardi nuragici.
L'unica cosa che non mi convince é la sua visione feudale della civiltà nuragica.
Poi é quantomeno sorprendente quando dice "In ambito nuragico del sec. XIII-XII i villaggi sono sguarniti di mura,
mentre sono fortificate le residenze dei capi che, come si è visto, sono veri e propri castelli."
Parafrasando Franco Laner mi verrebbe da dire "O che bel Castello!

alberto areddu ha detto...

I dati del Germanà, che i sardi (quali, quelli dell'età del bronzo ?) erano inconfondibilmente dolicocefali, mi sembrano un po' insicuri, avevo letto di un settentrione sardo in cui prevaleva, come anche oggi la brachicefalia, a petto del meridione tendenzialmente dolicocefalo. Peraltro gli Egizi modificavano a bella posta da piccoli, i crani perché si credeva che un cranio siffatto indicasse intelligenza. Riguardo al viso rossastro non dice molto: può esser segno di viaggi in mare, come del consumo di bevande alcoliche (vedi irlandesi) e poco indicativo di una gens africana. Per il linguaggio lasciamo perdere: il paleosardo come "berberizzante" ha avuto finora il sostegno del Serra, e quello più cool del Hubschmid.

Giuseppe ha detto...

Complimenti prof. Ugas e grazie per il suo continuo impegno di rappresen-tare all'estero la nostra antica cultura. Una lettura ancora affrettata, per ora, mi consente di apprezzare in particolare il quadro politico-economico del-l'Età del Bronzo che accorpa tutto il Mediterraneo, compreso il versante occidentale.
Uno dei capisaldi del mio lavoro si basa proprio su questa visione d'insie-me e che chiamo scenario a “blocchi” in senso moderno: infatti solo la pre-senza della potenza politico-economica rappresentata dai Sardi-Sherden spiega alcuni misteri della preistoria ancora irrisolti, quali, ad esempio, la capacità di coordinare la coalizione dei Popoli del Mare, i veri motivi che determinarono il crollo dell'Età del Bronzo, l'utilizzo di migliaia di spade di bronzo da parte dei nomadi Mashwesh e il rinvenimento di una grande officina di fusione del bronzo sul lato occidentale del delta del Nilo.
Giuseppe Mura

francu ha detto...

Grazie, prof. Ugas, per la tua comunicazione.
Per quanto ti conosco, sono sicuro che ti sei ben documentato prima di asserire alcune cose che paiono, ai più, indigeste, specialmente in Sardegna.
Sono curioso di sapere se e quale tipo di reazione ha suscitato la tua comunicazione, anche fra gli scienziati israeliani che non sono inclini a concedere gratuitamente alcun tipo di bonus.
Ma una cosa te la devo dire, anzi ripetere, visto che già altre volte te l' ho proposta: quando dici, affermi en passant, che i Sardi, come i Shardana, non scrivevano, ma però (ci vuole davvero il rafforzativo!), ma però usavano segni numerali di peso, non ti pare che, se pure usassero solamente segni numerali di peso comunque si trattava di scrittura?
Sai che io sono un insegnante in pensione, non dimentico che i francesi usano dire proprio "tonto come un maestro elementare", quando ai bambini proponevo delle operazioni di aritmentica, dicevo appunto "scrivete: due più cinque ..." o avrei dovuto dire "disegnate" oppure "pasticciate" o che cos'altro ancora?
In una serata di qualche anno fa, a Cagliari, mostrasti in una conferenza tutti i simboli ricavabili dai reperti sicuramente nuragici e infine, in una diapositiva finale, li riunisti dicendo: "Si potrebbe dire anche che si tratti di un vero e proprio alfabeto".
Lo so che lo gettasti lì provocatoriamente, ma mi parve di capire che tu sei convinto che quelli, insieme ad altri segni, sono l'indizio che fa crollare una "verità storica" da sempre e inopinatamente passata senza filtri negli insegnamenti anche universitari.
Magari, come sardista ex sardista, hai paura d'incorrere nelle ire di chi associa l'amore per la propria terra e l'anelito ad avere una storia finalmente scoperta da noi e non raccontata dai vincitori di turno alle idee razziste o naziste, come qualcuno ha scritto?