di Daniel Sotgia
Mi trovavo per lavoro nel quartiere di Ozieri, San Nicola, quando mi sono imbattuto in uno dei tanti cartelli stradali di color marrone, stante ad indicare la presenza, di lì a cento metri, del Nuraghe “Sa Mandra ‘e sa Jua”. Conoscevo di fama questo sfortunato Nuraghe: sfortunato per aver subito, a dolu mannu nostru, la malaugurata sorte di insistere proprio in un terreno sul quale, 3500 anni dopo la sua realizzazione (decennio più, decennio meno), l’uomo avrebbe realizzato un’opera di edilizia popolare simile a un alveare, più che a una casa.
Il Nuraghe a oggi emerge da un cumulo di spazzatura, e fino a ieri a stento se ne intravvedevano i massi più alti, soffocato com’era dal fieno che in primavera tormenta le mie giornate, e non solo le mie, per questa maledetta allergia da fieno.
Nelle foto: il nuraghe nella cornice di case popolari (da Wikimapia) |
Chi si avventura alla ricerca di questo Nuraghe, trilobo e circondato da un bel villaggio di capanne, si troverà di fronte un obbrobrio, dovuto al pessimo intervento di restauro che ha subito (ennesima sfortuna del Nuraghe), in tempo alquanto recenti. Nel sito del comune di Ozieri si legge:
«Il restauro ha interessato soprattutto la struttura muraria della torre centrale. Questa, completamente interrata, presentava solo metà del paramento esterno della torre (A), con conci rimossi in epoca recente. È stato utilizzato un argano per rimontare le pietre onde procedere ad un incastro morbido dei conci crollati. Questi sono stati collocati previa analisi della posizione di caduta e delle dimensioni in relazione alla struttura residua. L'ultimo filare è costituito da conci raccolti nell'area per permettere di stabilizzare l'anello sottostante, in quanto non più ancorato al paramento interno della struttura.»
Con buona pace di ogni studioso di restauro, ogni studioso dell’ingegneria e via dicendo. L’intero apparato murario risulta murato a calcestruzzo e negli spazi tra una pietra e l’altra, pietre di più piccole dimensioni sono poste a chiudere le connessure. Niente di più orrendo.
Il prof. Arch. Laner, dello IUAV di Venezia ha più volte ripreso il brutto intervento che ha rovinato questo bell’esempio di Santuario Nuragico, e ha più volte richiesto all’Amministrazione comunale e alla Sovrintendenza di ricevere materiale informativo e relazioni di scavo sui lavori eseguiti al Nuraghe. Scrive Laner:
«Ricordo – correva l’anno 1995 – che i 450 milioni spesi dall’Amministrazione di Ozieri avevano lo scopo di riconciliarsi con uno strazio urbanistico, (sopra il sito archeologico è stato realizzato il quartiere satellite e popolare di S. Nicola), e di legittimarlo culturalmente. Dei risultati di quegli scavi chiesi spesso l’esito sia al Comune sia alla Soprintendenza, senza avere mai risposta! Nemmeno il rilievo del Nuraghe – ammesso che sia stato eseguito – sono riuscito ad avere! Come dire, normale Amministrazione ed atavici ritardi dei resoconti di scavi» [1]
Una nota che acutizza ancora di più, se mai fosse possibile e necessario, lo sfregio e il malcostume imperante, che in Italia tende a sottomettere la cultura all’esigenze dell’uomo, è la recinzione realizzata su un lato che incornicia e introduce al sito nuragico: realizzata in pietra di trachite, consiste in due ingressi resi importanti dalla presenza di due pilastri per ciascun ingresso, costituiti ognuno da quello che dovrebbe essere un Nuraghe, o quantomeno una spirale che vuole richiamare le fattezze del Nuraghe corredato di rampa atta alla costruzione (peccato che di Nuraghes simili non ne esista uno nemmeno a volerselo inventare!). L’unica cosa che mi ha fatto venire in mente, e cito ancora il Prof. Laner, è la frase “Nuraghe macchina di se stesso”, per la teoria che vuole il monumento realizzato grazie a una rampa interna. Vedo questa recinzione come la degna cornice di un quadro bianco, reso tale dall’intervento prepotente e pretestuoso dell’uomo-rovina-di-se-stesso.
Nessuna conclusione renderebbe giustizia al dolore e allo smarrimento che si prova a percorrere gli ambienti del Nuraghe Sa Mandra ‘e sa Jua, ma se qualcosa si può fare è bene farla, se qualcosa si può dire, è bene dirla!
[1] Franco Laner – Sa ‘Ena. Sardegna preistorica. Dagli antropomorfi ai telamoni di Monte Prama. Condaghes Edizioni, 2011. pag. 81
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