E se ora i deputati, regionali e statali, si rassegnassero a lavorare loro per risolvere i problemi, lavoro per cui lautamente li paghiamo? E se, dopo la raffica di referendum fallimentari, decidessero di chiamarci ad esprimerci solo su questioni di grande rilievo? La consultazione di ieri, come molte altre che l’hanno preceduta, riguardava, certo, provvedimenti importanti, ma:
1. erano frutto della decisione della maggioranza dei consiglieri regionali che noi abbiamo eletto, decisione a mio parere negativa e mutabile con un altro voto del Parlamento sardo quando ce ne saranno le condizioni;
2. il senso del cambiamento voluto era fortemente contaminato da una chiamata a giudizio non tanto politico quanto di schieramento: nel referendum la posta in gioco non era tanto la legge urbanistica quanto il governo regionale.
Andremo a votare fra poco più di sei mesi e allora sì che dovremo esprimere approvazione o condanna dell’operato del governo Soru in questi cinque anni. Aveva gran senso chiedere ora un verdetto, mescolando Autorità territoriale d’ambito o Legge urbanistica alla richiesta di un giudizio politico molto più complesso? Immagino di no, pur se anche io sono andato a votare.
La domanda implicita – ma in non pochi ragionamento fatti queste settimane decisamente esplicita – era più o meno questa: “Approvate o disapprovate la politica del governo sardo?”. A lume di naso, mi pare che la risposta, questa sì davvero implicita, sia: “Approviamo” e, comunque, “Non voglio giudicarla attraverso un sì o un no”. Difficile sarà contrastare l’idea che i sostenitori di Soru certamente si saranno fatti: gli elettori hanno sonoramente bocciato il centro destra. Così come altrettanto difficile sarà negare che Soru esca vincitore da questa inutile, incongrua e sbagliata prova di forza.
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