Tra le semplificazioni introdotte in Sardegna dalle ultime elezioni, ce n'è una che non mi pare sia stata esaminata dai commentatori nei giornali né nei documenti, che ho potuto leggere, dei partiti. Parlo della divisione netta fra chi ha proposto un futuro della Sardegna fondato sulla promozione della Nazione sarda a soggetto istituzionale e chi, al contrario, ha proposto una maggiore integrazione della Sardegna nello Stato italiano.
Nessuno, al momento, può dire se gli elettori abbiano avuto piena consapevolezza che la loro scelta era anche fra questi due corni della questione sarda. Ma è molto chiaro che il risultato è questo: ha vinto chi ai sardi ha proposto un percorso fortemente autonomista. Ha vinto, insomma, chi ha annunciato un futuro partito autonomista fondato sul riconoscimento dell'identità sarda, ha proposto un percorso di formazione di una Costituzione sarda radicalmente federalista (Sa Carta de Logu nova de sa Natzione sarda), ha battuto il tasto dell'autogoverno dei comuni.
E ha perso chi ha riproposto una visione unitarista (e anti federale) del rapporto Sardegna/Italia (la conclusione dei comizi sardi di Veltroni al canto dell'inno di Mameli ne è un sintomo); ha insistito sull'accentramento in capo alla Regione della pianificazione territoriale (Piani territoriali, ma anche Siti di interesse comunitario, Zone a protezione speciale, politica dei Parchi); è andato proponendo una modifica dello Statuto con visione economicista (con le questioni "immateriali" come identità e diritti del popolo sardo in sottofondo); ha negato l'autonomia del Pd in Sardegna (così come, in questi giorni, del resto Veltroni e Prodi hanno respinto l'idea di loro dirigenti del Nord Italia di costituire nella macroregione padana un partito autonomo e federato).
Non è una novità, del resto, la vocazione napoleonica del nucleo dirigente del centro-sinistra italiano. Si deve ad esso la bocciatura di due leggi sarde (che personalmente ritengo sbagliate nel merito, ma legittimamente approvate dal Parlamento sardo) che incidono profondamente sull'essere la Sardegna una autonomia speciale: la cosiddetta tassa sul lusso che rivendica alla Regione la potestà di avere una fiscalità autonoma; la dizione "sovranità del popolo sardo" compresa in un'altra legge sbagliata ma legittima, quella sulla Consulta per lo Statuto.
Che questa visione nazionalista italiana, o più correttamente statalista, non sia solo una sovrapposizione romana sul centrosinistra sardo, lo si capisce viaggiando fra i blog e i forum degli sconfitti del Pd sardo. C'è persino chi vorrebbe cancellarsi da italiano e chiedere asilo politico in Spagna o in Bulgaria. E non tanto perché ha vinto Berlusconi, come si potrebbe credere, ma perché hanno vinto Bossi e la sua idea di federalismo. Il che, detto in una terra in cui il federalismo è proposta politico-istituzionale da ormai 87 anni, è un segno incontrovertibile di quanto all'inizio proponevo alla riflessione: in Sardegna si sta producendo una divisione finalmente fuori delle categorie ottocentesche fra sinistra, destra, centro variamente combinate.
Le nuove categorie sono quelle del nazionalismo sardo (o nazionalitarismo per chi preferisce gli eufemismi) e dello statalismo: entrambe legittime e degne di rispetto. Bisogna solo prenderne atto e uscire dalle fumisterie.
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