sabato 9 giugno 2012

Il codice della vendetta e la neo-lingua dei poltroni

L’altro giorno, il paese in cui sono nato ha sepolto il suo diciassettesimo morto ammazzato negli ultimi cinque lustri. Giommaria Serra, pastore, è stato assassinato nel suo ovile, nelle campagne di Irgoli. Di quattordici di questi omicidi non si ha sentore né di responsabili né di indiziati. Per un duplice omicidio, quello di due fidanzati di Irgoli, è stato condannato all’ergastolo un giovane della vicina Orosei. E qui, in questi giorni una bomba ha “avvertito” un altro giovane che – secondo i media, ma pare non ci siano tracce nei verbali degli inquirenti – avrebbe favorito il riconoscimento dell’assassino, ancora presunto, visto che è stato condannato in primo grado.
In questa catena di crimini, pare abbia ripreso la parola il codice della vendetta, il cosiddetto codice barbaricino, al cui riuso evidentemente hanno dato una mano l’inefficienza di polizia e carabinieri, l'eclissi della comunità e l’abbattersi sulla pastorizia di una crisi forse senza precedenti, moltiplicata dal menefreghismo della politica. La “menzogna vitale”, vitale per potere s’intende, secondo cui i modelli della modernità avevano sconfitto il diritto consuetudinario, è supportata da una neo-lingua mediatica densa di parole e di concetti travisati. La “balentia” è definita un disvalore; la “omertà” – concetto estraneo al codice della vendetta – è il paravento dietro cui nascondere l’inefficacia delle forze dell’ordine e l'incapacità di comprendere; la “disamistade” è trasformata in faida, sovrapponendole cioè un istituto giuridico di origine germanica. Una neo-lingua orwelliana, usata non solo dal potere per rafforzare con il travisamento il suo dominio sulla società, ma anche da una parte della intellettualità sarda vuoi per marcare la sua distanza da una società che l’ha prodotta e che non capisce, vuoi per sottrarsi all’obbligo di interessarsi ai fenomeni sociali e culturale endogeni: esistono comodi schemi preconfezionati, perché non servirsene?
Quasi che l'ovvia condanna della violenza come mezzo per dirimere i conflitti, esimesse dall'indagarne le cause. Celebrando la messa davanti alla bara dell'ucciso, il vescovo di Nuoro ha pronunciato parole di alto profilo e, come doveva fare, invitato al perdono familiari e amici di Serra. Come non condividere l'appello? Del resto solo veri balentes, quelli che saprebbero come e quando esercitare la vendetta, hanno la forza di poter perdonare persino una offesa così grande, senza passare per titules. Il dramma è che la società dei balentes – tutt'altro che lineare e senza pesantissime contraddizioni, ma pur sempre riconosciuta – è stata trasformata in società di malfattori senza regole, in cui persino la vendetta non ha più gradualità e proporzionalità, ma è un cieco esercizio della violenza.
L'illusione di combatterla attraverso la delazione, la fine della cosiddetta omertà, è appunto tale: una illusione. Tant'è che, nel mio paese, 14 su 17 assassini sono ancora liberi, ammesso che i condannati siano poi anche colpevoli. Così come illusoria è la speranza che il codice della vendetta abbia lasciato il posto al codice penale italiano, tanto più quando i soggetti dei gruppi in disamistade si rendono conto che offesi e offensori (a volte nell'una parte, a volte nell'altra) non hanno giustizia.
Lunedì e martedì ad Austis ci sarà un convegno cui è stato dato il titolo Antropologia della vendetta e che ispirato ad Antonio Pigliaru, filosofo del diritto sardo che nel 1959 pubblicò la sua famosa ricerca dal titolo La vendetta barbaricina come ordinamento giuridico. A parte le relazioni di esperti di filosofia del diritto e di antropologia del diritto, ci sarà il resoconto di una ricerca condotta da un gruppo di studiosi locali sull’attuale percezione dell’offesa e dell’obbligo della vendetta nelle comunità di Austis e di Sedilo. Chi ha promosso il convegno, la Pro Loco e il Comune di Austis e ELSA Cagliari (European Law Students Association), ha avuto una idea che può apparire anacronistica solo a chi ha ormai perso ogni passione per la realtà della Sardegna. C'è solo da augurarsi che alla oggettività della ricerca non si sovrapponga la condanna ideologica dell'arcaismo. Una griglia utilizzata, e molto, dai poltroni.

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