“Est arribendu, est arribendu!”
“Ellechini est arribendu?”
“Su Moru! Su Moru, est arribendu!”
D’ora in poi, ogni volta che mi capiterà di incontrare chiunque mi abbia distolto dal farmi vaccinare contro l’influenza, gli sputerò in un occhio.
“Aaah, tu ti fai vaccinare?”
“Ebbe’, sono over settanta.”
“Ma lo sai che non c’è un medico, dico uno, che abbia mai fatto il vaccino?” Mi son lasciato convincere e me la sono beccata due volte, una a inizio, e una a fine inverno.
L’altra sera, con un mal di gola fortissimo e non avendo altro per mano, prima di andare a letto sono ricorso al metodo empirico, non so più chi me l’ abbia suggerito: gargarismi con la “sganina”. Sganina, per chi non lo sapesse, dalle mie parti è il nome dell’acquavite.
Il fatto sì è che buona parte del colluttorio, a cose fatte, andava giù per il gargarozzo anziché, come previsto, per lo scarico del lavello.
Battaglia vinta col mal di gola, non la guerra all’influenza, e un effetto collaterale, dovuto probabilmente alla “sganina”: la visita di Norace.
Capirete come ci rimane uno che non se lo aspetta: armato di tutto punto come un crociato medievale, con un grande stendardo in cui comparivano tutti gli emblemi della cristianità presenti a Lepanto il sette ottobre 1571, con in più i Quattro Mori, l’Albero verde di Arbarè e con due-Tricolori-due, uno con e uno senza lo stemma dei Savoia.
A dir la verità c’era qualche altra cosa che non quadrava nella “mise” complessiva del mio “visitor”. Qualche altra cosa che, però, con lui era più consustanziale: l’elmo cornuto e la “sardisca” stretta nella destra.
Uno come lui te lo aspetti sugli spalti di un nuraghe, se dai retta all’idea dei nuraghe-fortezza, o come sacerdote officiante davanti l’esedra di una tomba di giganti e non su una delle tante torri saracene distribuite lungo le coste della Sardegna, come induceva a pensare la sua bardatura. E in tutt’altro abbigliamento poi, elmo e spada a parte.
Sferragliando da tutte le giunture, posò in un angolo lo stendardo, si liberò del grande scudo amigdaloide che gli pendeva dalla spalla sinistra, si tolse spallacci, pettorale, panzera, faldetta, cosciali e schinieri tirando un gran sospiro di sollievo e prendendo l’elmo per le corna lo pose a terra con tutto il resto, compresa la sardisca, per un totale di trenta o più chili di ferro.
Rimase in cotta di maglia che già doveva pesare di per sé, a meno che il tutto non fosse di natura extramateriale, come lui d’altronde. Il clangore di cui sopra dava però l’idea di una ben fondata sostanza e qualche perla di sudore mi sembrava di potergliela scorgere in quel che si vedeva sul poco di fronte sotto il cappuccio della cotta che lo avvolgeva come una pelle.
Le notizie dei primi ospiti provenienti da Lampedusa e le voci su alcuni sbarchi fai-da-te, assieme alle prime parole che mi rivolse in Sardo in maniera concitata, mi avevano fatto comprendere, per quanto ne fossi in grado, il motivo della sua visita.
La vedeva, a giudicare dall’armamento e dal comportamento, come una situazione emergenziale. Lasciando da parte per il momento le particolarità dello stendardo, avrei voluto tranquillizzarlo, tanto ero preoccupato per il suo stato di agitazione.
Calcolavo di ricordargli che c’erano l’ONU e la NATO a provvedere alla bisogna, con strumentazioni ben più efficienti delle sue. Mi accorsi però che mi guardava con quel suo risolino beffardo, per non dire sardonico. Come al solito mi leggeva in testa.
“E ita ti pensas ca seu nasciu aiseru? E ca, cosas che-i s’ONU non nd’apu biu mai in totu sa carriera mia? De su chi tzerriais NATO est mellus a non ndi chistionai. No’ dh’as biu a Obbama, morixedhu giai est morixedhu, cumenti si nd’est iscosiu de su trapagiocu? E de sa Kanzlerin Angela Merkel, ita mi ndi nasa? Budhat beni sa pingiada mia, cun s’èuru fatu a misur’e marcu, ca tantis asuta de Bolonnia est totu Africa. Sa cosa de prus importu est chi non nd’ìntrint in Germania, ca giai nci nd’at tropus. Po immoi si dhus achistant in Italia, sentza de si nd’iscarèsciri ca, dea cussas passadas, e no’ est a istrèsiu meda, ndi funturu lòmpius a innoi a bèndiri tapetus. E-i cudh’atru, Sarkosy? Mai si torrit a bi’. Pìgada, e a bombordari inderetura. Ca dhui tenit unu grandu cunsilleri politicu in s’aposentu bonu de s’Eliseu chi aperit cun sa pobidha Carlà a tottu sa genti chi còntada. Bernard Henri Lévy, anca dhi nanta a su cunsilleri chi Sarko’ ascurtat meda, anch’esti omini eleganti, praxili e de grandus istudius. Ma de totus is istudius chi at fatu, nd’at bogau una cosa feti: una grandu fac’ e bagassa. Bosatrus modernus, a nai sa beridadi, dhi narais “coolness”, una cosa chi fait abarrai in paxi cun totus e prus e prusu cun ses’ etotu, prontus a ndi bènnir’ a capudu in dònnia troghimìngiu . Ma deu non ci potzu fari nudha, seu a s’antiga. E po essiri a s’antiga seu prus che cumbintu ca est mellus a ndi chistionari cun sa genti cosa tua, prim’e totu, nantis de si nci ‘etari a prepotentzia, castiendi feti s’interessu tu’, cun sa scusa de agiudar’is poboritus.
Ma custa est s’Europa Aunida e agguai a ndi chistiona’i mali. A intendiri ‘osatrus autonomistas e prus e prus indipendentistas, chi nc’intregais donnia digratzia nosta in codhus a s’Italia, iada parriri chi sa sarvesa est a si ndi liberai de su Stadu italianu e a si nci ‘etar’ in manus de Bruxelles, po pompiari libertadi e indipendèntzia. Giai dh’eus biu e it’est sa libertadi: de fari donniunu su chi dhi parit e praxit, foras che in campu economicu. In su sodhu, chini cumandat est Berlinu o Parigi, candu non funti totu a una origa. Is Ingresus, ca scemus scemusu non funti, s’ant apoderau sa sterlina e mancu dhis benit a conca de intervenniri po agiudari Grecias, Irlandas, Portogallusu e, chi sighit aici, Spagnas e Italias.
Chi mi poniais a menti, iais a cicari de nd’aprofita’i de momentus legius che a-i custu po si pònniri de acordiu cun totu s’atra genti de su Mediterraneu e dha fa’i de averas una comunidadi cument’ e-i cussa che mai mai, candu totu su mundu connotu fut lìberu e apertu a totus.”
Una cosa non mi quadrava in tutto il suo ragionamento e stavo per chiedergliene conto, quando fui preso da un convulso di tosse. Quello mi guardava col ghigno di prima, che tanto aveva capito il mio rovello. Nel frattempo, però, mia moglie accese la luce per darmi soccorso in qualche modo. Tutto l'ambaradan noracesco svanì al comando dell’interruttore dell’abatjour e io rimasi con la domanda di come mettere d’accordo il mondo globale auspicato da Norace, nei limiti del Mediterraneo e delle sue sponde allargate, e la battaglia di Lepanto.
2 commenti:
sarò sincero, elio, ma preferisco il Norace tutto nostro e antichissimo a questa versione che mi-schia l'elmo cornuto con l'alabarda e con uno stendardo pazzo.
Meno male che ti puoi giustificare per l'assunzione della dose massiccia di acquavite!
In ogni caso Norace dice ancora una volta delle sacrosante verità, in particolare quella che ri-guarda l'Euro fatto "a misur'e marcu" e non certo a misura della povera lira. Tanto è vero che ancora oggi ne paghiamo amaramente le conseguenze.
Quanto alla "solidarietà" europea, davvero qualcuno si era illuso che nazioni come la Francia, la Germania, l'Olanda, l'Inghilterra e la Spagna avessero intenzioni serie di fare un Unione anche politica?
Guarda che nel loro DNA permane ancora lo spirito colonialistico!
Salutami Norace, l'eroe della Tartesso sarda.
Giuseppe Mura
Signor Elio,Norace è sempre Norace va accettato così com'è, è simpatico e saggio ma,sopratutto,mette di buonumore.Le mie idee,riguardo a questi sbarchi,sono molto confuse.La solidarietà non è di questo mondo e l'Europa sta dimostrando che dell'Italia non gliene importa quasi nulla.Il governo italiano non ha mai apprezzato,da diversi anni,di far parte di questa comunità sgangherata.Il fai da te prospettato da Norace penso sia la cosa migliore.Diciamo anche che il razzismo dei leghisti nei confronti di questi poveri disperati non è molto positivo.Perchè la comunità Europea deve prenderli se il nord dell'Italia non li vuole affatto?Quasi,quasi mi bevo anch'io un pò di fili e ferru così le mie idee si confondono ancora di più.
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