lunedì 5 gennaio 2009

Una Lsc che sarebbe piaciuta a Manzoni

di Andrea Crisponi

In netta controtendenza, scriverò un commento breve e, come molti in fondo, un po’ stupido. Dal dibattito ospitato su questo blog emerge un ostracismo ed in generale una resistenza opposta all'idea di LSC prima ancora che alla sua applicazione E, guardandomi intorno, vedo molte critiche decorate da forbiti interventi in stile Art Nouveau, bellissimi in sé, ma che danno uno scarso contributo alla causa della annosa "questione della lingua" sarda.
Mi rendo conto, dal punto di vista di chi si occupa di "criticare" in negativo un testo di qualsivoglia natura, che sia di moda e d'impatto una critica sulla Limba Sarda Comuna; bisognerebbe dunque chiedersi: "Signori, cosa vogliamo fare della nostra lingua? Perchè parliamo la stessa lingua, non è vero?" Forse non è proprio così. Ed onestamente non capisco perché.
L'intercomprensibilità delle varianti del sardo, dei suoi "dialetti", è stata appurata in altre sedi e da personalità ben più rappresentative del sottoscritto; ma è chiaro che, su questo blog come su altre riviste e/o mezzi di informazione, si sia aperta già da tempo la caccia alla critica, e la critica alla critica, un'alchimia ben poco produttiva in termini di proposte le quali sebbene divergano dalla proposta di una LSC se non altro abbiano l'onestà intellettuale di enuclearne le ragioni e di proporne di più valide. Ed in breve tempo.
Non è che per imporre, ebbene sì, imporre, l'italiano come standard su tutta la penisola si è aperto un dibattito che abbia coinvolto attivamente tutte le aree effettivamente interessate dallo standard; da Pietro Bembo a Manzoni, l'area toscana è sempre stata quella privilegiata: forse che nelle altre aree d'Italia non esisteva una letteratura degna d'esser presa in considerazione nel processo di standardizzazione? O forme d'arte capaci di turbare ciò che la retorica aveva scelto quale Forma di riferimento?
Come argomenta Tullio de Mauro nella sua Storia Linguistica dell'Italia Unita del 1963, all'atto della consegna della relazione Dell'Unità della Lingua e dei Mezzi per Diffonderla, da parte di Manzoni al Ministro Broglio (9 Febbraio 1869), appena il 2% degli "italiani" era in grado di comprendere sufficientemente l'italiano standard o aveva qualche competenza in materia.
E nessuno si sarebbe mai sognato di proporre quale parametro il numero di abitanti, non necessariamente parlanti attivi, di tale lingua "tetto", come invece avviene nel nostro dibattito sulla lingua. Le ragioni sono molteplici e si sprecano.
Molte sono, ad esempio, le pressioni esercitate dai parlanti campidanese, forse perchè elevano a centro propulsore Cagliari e lo hinterland, forse perché Cagliari è la città che ospita il Parlamento Sardo, non so. Chissà se ci si è mai interrogati su quale lingua parlino quei 10.000 studenti circa che ogni anno decidono di abbandonare i confini dell'ex provincia di Nuoro per trasferirsi a studiare nei due atenei sardi.
Una lingua unica amministrativa potrebbe aiutare a rinforzare l'immagine di un unico popolo (che internamente si diversifica, come accade a tutti i popoli democratici), che difenda e faccia sentire le proprie ragioni adottando una lingua unica veicolare, la quale sia capace di elevarsi, e con lei i sardi tutti, da quella cultura agro-pastorale nella quale è stata impiegata nei decenni precedenti. A prevalere però devono essere le ragioni comuni poiché, male interpretando il principio chentu concas chentu berrittas, si rischia di ridurre la lingua tutta ad un dialetto comunitario, e soprattutto di estendere oltremodo quel qualunquismo in materia linguistica sarda che già la fa da padrone.
Altrimenti basterebbe ricordare che solo in poche regioni d'Italia si parla una varietà d'italiano che rasenti lo standard, e che ciascuno fa uso soggettivo del repertorio linguistico quando ha a che fare con la produzione orale, mentre l'attenzione cresce esponenzialmente in quella scritta. La stessa cosa suppongo avverrebbe con una ipotetica LSC che sarebbe tutto, fuorché una minaccia alla sopravvivenza dei localismi.
Non sono stato breve come annunciato all'inizio del mio intervento, ma dopo tutto che importa? Se è vero che il concetto di democrazia è difficile da applicare ed estendere su larga scala in società, è altrettanto vero che la lingua evade questo principio: come direbbe il buon vecchio alcolizzato intellettualissimo Bukowski, "ci sono abbastanza parole per tutti". Aggiungo che, se portassero con sé proposte, oltre a critiche fini a sé stesse, sarebbe meglio per la comunità e la società tutta.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Andrea Crisponi si chiede "cosa vogliamo fare della nostra lingua" osservando che la LSC sarebbe piaciuta al nipote di Cesare Beccaria che, con il "Ministro Broglio", in quel lontano 1869 propose la relazione sull'"Unità della lingua e sui mezzi per difenderla" (prima ancora che l'Italia venisse fatta).
Crisponi sostiene che "Una lingua amministrativa unica potrebbe aiutare a rinforzare l'immagine di un unico popolo" - aggiungerei anche della Nazione in cui quel popolo si riconosce - ma, invitandolo a confrontarsi con le norme della disciplina in vigore, vorrei far osservare come proprio dalla "disciplina di tutela e valorizzazione linguistica" nascano gli ostacoli più gravosi per l'utilizzo "amministrativo" del Sardo. Gli artt. 1, 7 e 8 della L. 482/1999 sono abbastanza chiari e tassativi, ed il voler continuare ad insistere sul "sardo amministrativo", seppure intriso di tutta la migliore buona fede e dell'onestà intelletuale, mi pare oltremodo pretestuoso.
Il problema è che, a proposito della tutela della Lingua e della Cultura dei Sardi, non si può parlare in termini di popolo o di nazione (la legge non lo permette) ma di "minoranza linguistica storica" (quest'ultima caratteristica storica, richiesta dalla legge alla minoranza linguistica per essere ricosciuta e tutelata, taglia le gambe alla LSC che di storia non ne ha e, mi sia permesso, dimostra di non conoscere neppure la Storia dei Sardi e della loro lingua, oltre che l'"educazione civica").
Qual'è l'utilità della LSC per i Sardi o, si badi, per l'amministrazione?
Oltre che tradurre "pedissequamente" atti, Statuti (che devono essere oltrettutto ripresi, rivisti e riformati oramai a tutti i livelli - dai Comuni alle Province fino anche alla Regione -) e quant'altro sia depositato negli uffici dell'amministrazione italiana, cosa è riuscita ad offrire da un punto di vista culturale, amministrativo o, più in generale, politico?
L'idea di tradurre la "guida del contribuente" ha fatto raggiungere l'apice dell'ignominia, come se in sardo sia più "dolce" il salasso che il contribuente è costretto a subire, o se i suoi "contributi" ricevano diversa destinazione o utilizzo!
Sono contrario alla LSC per ragioni politiche, giuridiche ed anche letterarie o filosofiche (visto il patrimonio che son riuscito a raccogliere e catalogare senza alcun beneficio economico o finanziario sia da parte pubblica che privata, non posso che osteggiare tutta la politica linguistica portata avanti in questi anni), perchè prima d'esser un "operatore della lingua" sono un interprete del diritto che tiene a svolgere ed osservare i suoi doveri. Quando poi l'attività dei paventati "esperti" della lingua di laboratorio si rivela per "la povertà" che ci ha mostrato finora (sia da un punto di vista culturale che politico e sociale - oltre che economico -), beh, mi sia concesso .....!!!
Quel che si continua a non voler saper o capire, tra commenti in "stile Art Nouveau" (magari con accenti un pò "retrò"), è che l'opposizione non è poi contro la LSC (Bolognesi e Co. non hanno fatto che il loro dovere, sono stati chiamati al tavolo ed hanno lavorato tosto - ci vuole anche coraggio a tirare fuori, in Sardegna, un progetto com''e quello della LSC -) ma contro l'applicazione delle norme previste dalla legge che denotano una chiara incapacità d'interpretazione da parte di coloro che siedono in "alto loco".
Sull'imposizione linguistica subita dai Sardi per l'italiano fino al varo della storica L.R. 26/1997, parrebbesi voler allentare le maglie e, se le varie comunità locali (denominate dalla legge "minoranze storiche") fossero aiutate ad orientarsi e portate verso l'adozione provvedimenti ufficiali come possono essere le "dichiarazioni", penso si otterrebbero benefici maggiori con reali ricadute sui territori e sugli stessi suoi abitanti. Basterebbe una "dichiarazione" da parte dei Consigli comunali (da comunicare al Consiglio provinciale) per perfezionare il procedimento costitutivo della "minoranza linguistica storica", che, si osserva, non è stato mai perfezionato.
Il discorso potrebbe farsi lungo ed il tempo, in questo momento, non è poi così tanto. Seppure molto impegnato (parrebbe volersi proporre un cartello di "unità indipendentista e siamo tutti un pò presi), colgo l'occasione per lanciare "il guanto" manifestando la mia disponibilità ad incontrarci, confrontarci ed aprire il dibattito, coinvolgendo i cittadini, gli amministratori e perfino qualche "tecnico amministrativo" (magari si potrebbe pensare di coinvolgere il titolare dell'ufficio responsabile dell'obrobrio toponomastico di Nuoro) così, per sentire pure l'altra campana. Finora hanno parlato solo "i linguisti" e non mi pare abbiano detto chissà che, mi sembra piuttosto come quando l'elefante partorisce il topolino (che poi, oltrettutto, lo spaventa pure!) .
Dal canto mio continuo a pensare che se la LSC potesse piacere a Manzoni, resta da capire come l'avrebbero presa "i poeti dialettali" che hanno lasciato splendide opere in rima stretta (con isterrida, torrada e serrada a fiore) che giaciono impolverate, sul fondo del cassetto che, trascorsi più di 10 anni, resta ancora malinconicamente chiuso. Sarebbe stato interessante ascoltare il giudizio di Sebastiano Satta, di Sebastiano Moretti o di Peppino Mereu o, perchè no, di Michelangelo Pira (che parlando della Sardegna fra due lingue scrisse quella splendida "rivolta dell'oggetto" che annunciava "sos sinnos" in bitichese).
Si parla con insistenza del Sardo a scuola, se non fosse che con il "modello impositivo" (ancora imperante) si registrano cospicue percentuali di abbandono e fuga dalle scuole. Cosa vogliamo che venga insegnato ai nostri ragazzi, quel che ci hanno insegnato in italiano voltato in sardo?
.... sighimola goi chi gia semus bene postos!!!

Augurandovi la più serena e felice "pasca 'e sos tres res", finisco la lettera che sto scrivendo per chiedere alla befana che riempia di carbone la mia calza (che son stato discolo ed a volte forse anche cattivo) ma lo risparmi a Fiumessanto (che poi in fondo neppure se lo merita)!!!