sabato 7 maggio 2011

Dichiarazione di voto al referendum sul nucleare

Il referendum contro le centrali
nucleari in Sardegna è ben
propagandato. Immagine
sulla prima di L'Unione
Il 15 maggio si vota, in Sardegna, sull'energia nucleare, rispondendo sì o no a questa domanda: “Sei contrario all’installazione in Sardegna di centrali nucleari e di siti per lo stoccaggio di scorie radioattive da esse residuate o preesistenti?”. È possibile che un mese dopo si voti anche in Italia sulla questione. Non ho grandi certezze sul problema (sicurezza, smaltimento delle scorie, convenienza economica), ma di due cose sono sicuro: andrò a votare sì al referendum sardo, starò lontano dalle urne il 12 giugno se il referendum sul nucleare si terrà, tanto meno ci andrò se la Cassazione lo ritenga superato.
Non voterò per una ragione fondamentale: da elettore sardo mi pronuncerò sul nucleare in Sardegna, sperando che il mio voto contribuisca a far vincere quanti sono contrari alla installazione di centrali e di siti di stoccaggio ma non tollererei che gli elettori italiani avessero la facoltà di influire sui risultati del referendum sardo. Per reciprocità non vorrei proprio che questa nostra libera scelta influisse su quella degli elettori italiani. A questo motivo aggiungerei un paio d'altri.
Il primo è che è palese la strumentalità politica del partito promotore del referendum italiano e dei suoi compagni di cordata. Insieme hanno raccolto firme per bocciare sì la legge sul nucleare e quella sulla cosiddetta “privatizzazione dell'acqua”, ma soprattutto per abolire la legge sul “legittimo impedimento”. Da solo, il referendum su quest'ultima legge avrebbe nessuna probabilità di raggiungere il quorum. Di qui la necessità di confonderlo in un bouquet decisamente più profumato. Se così non fosse, non ci sarebbe stata l'insurrezione indignata contro due provvedimenti che, cambiando le leggi contestate, renderanno forse inutili i referendum sul nucleare e sull'acqua.
Forse. Perché a deciderlo sarà la Corte di Cassazione, quella magistratura – sarà il caso di ricordarlo – che dovrà pronunciarsi in nome di quella indipendenza sempre invocata da Di Pietro e sodali. Chi mattina e sera fa professione di fiducia e di rispetto per la magistratura non avrà certo remore nell'accettare il verdetto della Cassazione, quale che sia. Magari evitando di gridarle dietro che si è resa responsabile di uno “scippo di democrazia”.
Il secondo motivo sta nel fastidio ormai orticante che provo nei confronti di chi ne fa a caddu e a pèe pur di non rassegnarsi al fatto che un governo si cambia o con le elezioni o con le insurrezioni, non con gli escamotage messi in opera da opposizioni sempre meno credibili e affidabili. Se davvero la questione del “legittimo impedimento” fosse sentita da qualcosa di più numeroso di scarse élites radicali, perché temere che gli elettori saranno il 12 giugno meno di venticinque milioni? Forse si teme che di questa questione agli elettori non possa fregare di meno?
Sì, dicevo, nel referendum sardo. Un sì che non nasce dalla tragedia nella centrale giapponese che, semmai, conferma come neppure uno tsunami di quella grandezza abbia provocato la catastrofe annunciata; né nasce dalla certezza – che non ho – che il nucleare sia più pericoloso del carbone o del petrolio; molto di più, è chiaro, dall'incertezza sullo smaltimento delle scorie. È un sì che nasce dalla convinzione profonda che nel modello di nuova civiltà della Sardegna si possa e si debba fare a meno della produzione di quantità abnormi di energia e che quella necessaria e sufficiente a questo modello di civiltà sia ricavabile da altre fonti.
Il problema, così, è quello di pensare ad un nostro modello. Con serietà e senza la demagogia di cui le classi dirigenti sarde, da quella politica a quelle sindacale, imprenditoriale, culturale, hanno riempito la nostra contemporaneità. Dicendo no al nucleare, per esempio, e sì ad industrie che divorano energia, contrabbandando l'idea che l'inquinamento di una centrale nucleare sia insopportabile e che sia tollerabile quello dei fumi d'acciaio e dei fanghi rossi. Per il “sì” al referendum del 15 maggio si stanno spendendo tutti i settori della società sarda. Così che la previsione di un successo è giusta. Che sia l'annuncio di una stagione nuova per la Sardegna? Almeno per un po' concediamocela, questa speranza.

6 commenti:

maimone ha detto...

Mi associo totalmente alla tua analisi. Aggiungo che l'installazione anche di una sola centrale nucleare in Sardegna sarebbe una nuova forma di colonialismo. Sono assolutamente convinto che quella energia serve ai soliti padroni del vapore che, ovviamente, le centrali le sistemano in casa d'altri. A loro la parte pulita, agli altri quella sporca. In famiglia ho una maggioranza bulgara: 4 SI convinti. Peccato per il più piccolo, che non può ancora votare. Ci vorrebbe maggiore pubblicità perchè questo referendum per la Sardegna potrebbe essere un'occasione storica.

p.atzori ha detto...

su chi as'iscritu m'agatta de accordu. Cando nois sardos amus a cherrer una centrale nucleare amus a esser nois etotu a du decidere, a cumbenientzia nostra non de attere. Custos italiotas funti penzande de sighire a trattare sa Sardigna comente una colonia.

francu ha detto...

Ohi, ohi, ohi!
A ita puntu sunt arribaus s'autonomia e s'indipendentismu sardu!
Anch'io voterò si al referendum di domenica prossima, ma voterò si anche a quelli di giugno, a tutti i referendum.
Forse che una bella giornata vira al brutto solo perché mia suocera afferma che è una bella giornata?
Abbiamo preso a ragionare cun is carronis?
Quello che ha capito con i piedi, lo ripete con la bocca, diceva mio nonno.
Referendum o no, il legittimo impedimento sarà dimenticato appena un nuovo presidente del consiglio sarà eletto. Al meno lo spero: non saremo così sfortunati da avere ancora presidenti così inclini a comportamenti eticamente (e penalmente, spesso) riprovevoli.
Chi ti assicura che, avendo fallito il referendum sul nucleare in Italia, non venga indicata da un futuro governo proprio la Sardegna come sito adatto a tali installazioni?
Te lo ha detto Cappellacci?

Grazia Pintore ha detto...

Signor Francu Pilloni,la ringrazio perchè,in maniera chiarissima,ha espresso,in toto, il mio pensiero.Oltre al no per le centrali nucleari bisognerebbe solidarizzare con i pastori e gli operai sardi(li ho ammirati nella trasmissione "Anno Zero" giovedì scorso)che combattono per la dignità del loro lavoro e la cosa che mi ha più indignato è che sono stati abbandonati oltre che dai politici anche dai sindacati;li ho visti uniti,solidali e,sopratutto decisi a difendere i loro diritti.

zuannefrantziscu ha detto...

@ Francu
At a èssere una pàia de chentu annos chi non faeddo cun Cappellacci.
No, o Fra', su chi mi dat canteddu seguresa est su pòpulu sardu: si narat chi nono est nono. Pro custu puru non chèrgio mesturare una chistione sèria cun unu matzamurru polìticu. Ma sa bellesa de s'amistade est chi tue as a botare, deo no e abarramus corales

francu ha detto...

Cussu est seguru, is amigus si castiant derettu in facci.
Però sigu a no ti cumprendi e abetta a intendi a Di Pietro su chi hat a nai de is giugis. Abetta: mancai tenis arraxoni puru. Ma abetta.
Comenti fazzu a mi fai un'opinioni asuba de unu fattu si ancora no est accuntenssiu?