Il frontespizio del Dizionario del Casalis |
di Gigi Sanna
Gli studi sulla cosiddetta Teoria della continuità di Mario Alinei di cui tanto si discute da tempo, tra detrattori (da subito aspri, come il glottologo Paolo Ramat: L'Indice, febbraio 1997. V. anche, in risposta alla critica, Alinei, 2000, Origine delle lingue d'Europa. II. Continuità dal Mesolitico all'età del ferro nelle principali aree etnolinguistiche. Postfazione pp. 993 - 996) ed estimatori (come F.Benozzo, Università di Bologna), sono stati, in 'qualche modo', preceduti due secoli fa, dallo studioso Vittorio Angius (1797 - 1862). Credo che nessuno possa mettere in discussione o negare questo dato, considerata l'evidenza documentaria.
Il suo contributo, in termini di analisi sull'origine del linguaggio dei Sardi (Lingua antica de' sardi; in Casalis, 1851, vol. XVIII, 2, pp. 527 -529) naturalmente è quello che è, ovvero quello non 'rigoroso' di un docente di Retorica dell'Ateneo Turritano della prima metà dell'Ottocento, di uno studioso non 'specialista' linguista; ma è pur sempre quello di un uomo coltissimo ed intelligentissimo, impegnato in ricerche approfondite di svariate discipline (etnologia, storia, geografia, scienze naturali, economia, letteratura, ecc.); di uno che comunque, 'a suo modo' ed 'in un certo modo' (cioè con i mezzi della gracile 'scienza' linguistica del tempo in Sardegna, e non solo), nega, ribadendolo con orgogliosa fermezza e con tanto di articolata argomentazione, il fatto che la lingua sarda arcaica possa essere di derivazione romana.
Tanto dotto il canonico Angius e universalmente apprezzato per i suoi contributi scientifici, che gli venne affidato il compito di collaborare, per la la voce Sardegna, al famoso ' Dizionario geografico - storico - statistico - commerciale degli Stati di S.M il Re di Sardegna '. Opera enciclopedica, ancora oggi di fondamentale importanza - com'è noto - per gli studi storici, geografici, antropologici, toponomastici, naturalistici, ecc. riguardanti la Sardegna.
23 commenti:
Allora, caro Sanna, io potrei chiederti su quale base una comunità che è stata sottoposta violentemente per circa 600 anni, a deportazioni e sterminii, insediamenti e schiavizzazioni, con l'inserimento nei nuclei di potere di mercatores e provinciales italici, a buon diritto avrebbe dovuto conservare il suo linguaggio nativo. L'esempio che pochi (e veramente pochi) hanno prodotto uno switch linguistico lo hai fornito tu: i pochi spagnoli, o meglio andalusi (la tipica tititera dei sudamericani deriva dall'accento sivigliano), che hanno ispanizzato la gran massa degli Indios. Gli altri indios, precariamente hanno mantenuto i linguaggi nativi, perchè protetti dalla foresta. Ma potremmo aggiungere altri casi: dalla grecizzazione assoluta dei Macedoni (ex Illiri) a quella degli Italioti del Sud Italia (dove la componente magnogreca non superava il 10 % del globale). La cosa che non si sopporta, e neanche l'Angius pare la sopportasse è che i barbaricini, così poco latini, parlino una lingua così strettamente affine al latino di Cesare. Se i barbaricini hanno conservato l'abito latineggiante non è perché erano già preistoricamente latini (ma qui non è ben chiaro quel che intenda l' Alinei, che sfugge) o si erano allegramente rilatinizzati (perché il loro linguaggio assomigliava a priori al latino), ma semplicemente perché nel Medioevo tardo c'è stata una chiusura di queste comunità verso l'esterno; il logudorese tutto era arcaico, anche in zone non montagnose. Questo non ha impedito che frammenti dei linguaggi prelatini, i barbaricini e gli ogliastrini li abbian preservati davvero (e non paiono linguisticamente latini, basta leggersi il mio rinomato saggio). Ma voglio venirvi incontro: se Alinei è convinto sulla base di personali supposizioni che una comunità che ha preservato una forma latineggiante, DEVE esser stata già latina, non ha che uno strumento semplice: mettersi a ricercare questa latinità laddove si sarebbe autorizzati a trovarla: nei toponimi oscuri. Se non lo fa, la sua risulta solo una scelta ideologica, e sarebbe come Zedda dicesse: visto che tutti i monumenti preistorici sono orientati astronomicamente, indi ne discende che anche i nuraghi (e non serve stare a misurare se sì) lo siano conseguentemente. Una classica petizione di principio. Siamo qui per ascoltare e per rivedere le nostre posizioni, ma per favore non costringeteci ad abbracciare delle tesi solo per il carattere eversivo (ed autoschediastico) che le caratterizza, forniteci piuttosto elementi di discussione.
parte II:
Se i barbaricini hanno conservato l'abito latineggiante non è perché erano già preistoricamente latini (ma qui non è ben chiaro quel che intenda l' Alinei, che sfugge) o si erano allegramente rilatinizzati (perché il loro linguaggio assomigliava a priori al latino), ma semplicemente perché nel Medioevo tardo c'è stata una chiusura di queste comunità verso l'esterno; il logudorese tutto era arcaico, anche in zone non montagnose. Questo non ha impedito che frammenti dei linguaggi prelatini, i barbaricini e gli ogliastrini li abbian preservati davvero (e non paiono linguisticamente latini, basta leggersi il mio rinomato saggio). Ma voglio venirvi incontro: se Alinei è convinto sulla base di personali supposizioni che una comunità che ha preservato una forma latineggiante, DEVE esser stata già latina, non ha che uno strumento semplice: mettersi a ricercare questa latinità laddove si sarebbe autorizzati a trovarla: nei toponimi oscuri.
Caro Gigi,
che padre Vittorio Angius sia stato , tra le altre cose, un predecessore (assieme ad altri) della Teoria della Continuità pare non possa essere messo in dubbio!
Ora che ho riletto il passo dell'Angius che hai citato, confesso che l'avevo già letto (forse vent'anni fa) e ora il ricordo è riaffiorato.
Mi dispiace non aver inserito quel passo nel cap 5 del mio Archelogia del Paesaggio Nuragico, provederò!
Del resto Angius dimostrò la sua immensa sagacia anche nell'individuare la funzione dei nuraghi.
Quando lessi le opere di Vittorio Angius, pensavo che i nuragici fossero stati sterminati dai punici prima e dai romani poi.
Insomma pensavo ad una sardegna ripolata chissà come dai punici e dai romani, ma oggi la genetica ha stabilito che i sardi attuali (lungo la linea maschile il cromosoma y) sono al 65% discendenti da antenati maschi presenti in Sardegna dal almeno dal Mesolitico (l'altro terzo è discendente da maschi arrivati negli ultimi 9000 anni), nella discendenza femminile (quella mitocondriale) in 90% è discendente da donne presenti in Sardegna almeno dal Mesolitico.
Alla luce inequivocabile della genetica, non si capirebbe come mai i nuragici avrebbero dovuto latinizzarsi.
credo che Eya indoeuropeo risuonava nelle contrade dell'Isola da tempi immemorabili, come ha teorizzato Alinei e anticipato con insuperabile sagacia Vittorio Angius.
saluti
Mauro Peppino
PS: Faccio notare che il mondo accademico Europeo che si occupa di archeoastronomia (tra cui vi sono anche archeologi), applaude i iei studi archeoastronomici, solo gli ignavi archeologi sardi continuano a fare gli ottusi!
Caro Alberto,
come mai in Italia esistono interi villaggi che parlano greco?
Perchè in america esistono luoghi dove si parlano ancora lingue precolumbiane?
pensi che sia facile che un popolo abbandoni il suo codice linguistico?
perchè la sardegna non si è spagnolizzata?
Dubito che si sarebbe italianizzata senza la televisione e senza la scuola di massa!
Perchè 2000 anni fa i nuragici avrebbero dovuto abbandonare la loro lingua e abbracciare il latino?
e come si spiega il fatto che abbraccino un latino arcaico che non si parlava più neppure a Roma?
Che interesse avrebbero avuto i romani a latinizzare la Barbagia?
Mi pare che le deduzioni dell'Alinei e di Angius siano corrette. E che la Sardegna si è latinizzata perchè la lingua dei nuragici appartenva alla famiglia italide.
Italidi che arrivarono nell'Isola a nel Mesolitico, trovandovi genti di origine balcanica arrivate nel paleolitico.
saluti
Mauro Peppino
A proposito della teoria della continuità, che alla luce di quanto gli studi stanno evidenziando parrebbe la più credibile, vorrei porre all'attenzione di chi segue questa tematica sul blog un dubbio che mi porto da qualche tempo su un aggettivo sardo logudorese : "romasu", risultante della radice roma più il suffisso deprivativo, col significato di fiacco, letteralmente privo di "forza".
Si consideri che a tutt'oggi, che io sappia, non esiste un'etimologia e un significato precisi del toponimo (o sostantivo) roma.
Mi pare di ricordare che qualcuno abbia ipotizzato una derivazione semitica del vocabolo; la quale cosa non ostacolerebbe,anzi!,un possibile legame con l'italide prelatino nuragico , e , perchè no, con una contaminazione rovesciata, e cioè nuragica in quei luoghi.
Tutto estremamente interessante. Ma quel che vorrei sottolineare è l'affermazione di Archeologia Nuragica "Dubito che (la Sardegna ndr) si sarebbe italianizzata senza la televisione e senza la scuola di massa!"
Poichè tutti si è convinti che la lingua sarda, priva di quella italianizzazione recente che ha inciso prevalentemente dopo gli anni cinquanta, sia comunque VERA LINGUA SARDA, allora SALVIAMOLA.
Dico questo perchè "mossa 'e cane, pilu 'e cane": SCUOLA e TELEVISIONE, ma sopratutto SCUOLA possono salvare la lingua sarda, ancora perfettamente viva e vegeta, dunque non da recuperare bensì da STUDIARE, RACCOGLIERE, COLLOCARE e ORDINARE in idonei testi scolastici ben strutturati sotto l'aspetto didattico.
Lo studio del sardo tutto, così com'è, introdotto come materia obbligatoria in ogni scuola della Sardegna, in pochi anni porterebbe ad una sua rinascita. I nostri anziani, veri depositari del vero sardo (più certo degli "istudiaos"), sono in grado di fornire tutti gli elementi agli "istudiaos" di Sardegna per ridare dignità, prestigio e credibilità (o fruibilità) alla nostra lingua.
Per quanto riguarda l'argomento in questione, da profano dico che toponimi, cognomi, e nomi di animali e vegetali sono in parte, come tutti sanno, di origini prelatine; ma anche alcune forme sintattiche e certi fenomeni linguistici, ad esempio nella formazione degli aggettivi, non sembrano di origini latine. Dunque c'è da studiare.
Che poi la lingua vada di pari passo con la cultura, e siano strettamente legate, anche questo sembra vero; se pensiamo a espressioni, proverbi e modi di dire, ce ne rendiamo ben conto.
Oggi certo la lingua cambia più velocemente della cultura, ma questa inesorabilmente segue a ruota.
Insisto: SALVIAMO IL SALVABILE, mentre giustamente studiamo le origini.
Gira, gira, mi pare ci siamo affezionati alla nostra “Resistenzialità”. Chi l’abbia inventata, non so di preciso ma, indubbiamente, il Professor Lilliu ne è stato il grande aedo.
Alla luce della teoria della continuità di Alinei, tutta la nostra capacità resistenziale andrebbe a farsi benedire: non abbiamo resistito al Fenicio che forse non è neppure esistito, non abbiamo resistito al Cartaginese (erano cose diverse?), non abbiamo resistito al Romano (porco senza ali); la stessa cosa abbiamo fatto col Greco, il Vandalo ( mi stava scappando il Parto e il Siro, ma c’entrano poco e parlavano lingue diverse, tant’è che dovette intervenire lo Spirito Santo) lo Spagnolo, il Piemontese; solo il Catalano e il Genovese, limitatamente ad Alghero e Carloforte, hanno avuto la meglio ma perché lì, Barcellona e Genova, ci hanno messo un chiodo.
E che bisogno c’era di resistere? Parlavano come noi! Quindi, anche questi Carlofortini e Algheresi, la smettano di atteggiarsi. Siamo tutti figli della “Continuità”.
Vuoi vedere che, andando le cose di questo passo, a Efisio Loi comparirà in “bisu” un Homo erectus o, addirittura, un H. abilis? Gli verrebbe una sprama!
Mauro sei completamente fuori rotta. La ellenizzazione avviene perché il greco era un codice di prestigio, che si irradiava dalle città (napoli, taranto) maggiormente grecizzate in antichità. Gli Italici sono diventati Italioti prima ancora che Latini perché TRAMITE quel codice si offriva loro molte più cose, che non col loro originario pastorale: tecniche agricole, strumenti di precisione, artigianato, aggiungici il pensiero scritto (teatro, commedia, storiografia, filosofia). Ti pare strano che i gli italici lasciassero il loro rozzo linguaggio (che è testimoniato da poche epigrafi) per uno che offriva alla massa pastorale un variegato arricchimento, mediato dal linguaggio? Ma così è stato. Quel greco antico (lingua di invasori) a cui si è sovrapposto un greco medievale, si è mantenuto nonostante la latinizzazione perché c'è stata poi rilevante la presenza deella chiesa orientale. Ecco spiegata la sua sopravvivenza.
Io credo di leggere nella tua predisposizione alla tesi di Alinei un moto dell'anima, perché soddisfa l'ansia di credere che il nostro antico passato non è morto e che i pochi invasori non modifichino il comportamento dei molti stanziali, ma non sei tu a dover giustificare la tua opzione. Te l'ho già detto: nessuno in ambito accademico serio, dà retta all'Alinei. Se Lui (o il Sanna) volessero scendere giù dallo scranno e ci spiegassero pilu-pilu in cosa consisterebbe la paleolatinità del sardo saremmo pronti ad ascoltarli. Ma risparmiateci i proclami ideologici. Purtroppo le lingue come gli abiti si buttano via (ogni hanno muoiono centinaia di dialetti e lingue, fagocitati da altri vicini, cfr. Voci del silenzio di Daniel Nettle), quando non sono più utili e ce ne sono di nuovi, più rampanti. In Sardegna abbiamo buttato via quelli antichi perché erano sostanzialmente sovrascritti dal latino, ma per il loro non-uso,la apparente adiaforia o la dismissione tarda ci siamo mantenuti un bel fiotto di toponimi. E non è poco.
Caro Areddu
1) Io non ho fornito nessun esempio! faccio parlare gli altri. Due 'strane' campane consonanti di due secoli differenti!
2) L'ideologia dell'Angius? Ma hai mai letto la corrispondenza in sardo dell'Angius con lo Spano? Angius era solo un romantico rivoluzionario 'monarchico' e frequentava i salotti buoni e la stessa corte di Torino! Non ha preceduto gli indipendentisti sardisti o dell'IRS. Pensa che lui (casteddaiu) seguiva come uno scolaretto lo Spano in quel suo sardo latino latinizzato di Roma! Il sardo per lui di 'Mamma' Roma e della Sardegna 'Fiza nobilissima'!
3) L'ideologia (?) dell'Alinei? Anche? Sei proprio fissato! Guarda, tu puoi dire tanto su Alinei (che sbaglia, che si innamora troppo dell'ipotesi celtica, che il futuro romano non sintetico ma prerifrastico in -bo è un azzardo, che l'etimologia di 'nuraghe' é non solo priva di fondamento ma anche bizzarra, ecc. ecc.) ma non puoi rimproverargli niente: nessun disprezzo per Roma. L'Alinei, al contrario di tanti ciarlatani 'nazionalisti' radicali italiani (storici, archeologi, linguisti, ecc.)se ne sbatte di Roma! Perchè non si interesa della politica ma solo della linguistica, della scienza della linguistica. Fa come F.C.Casula per la storia, che se ne infischia di Torino, del Piemonte e dell'Italia (e della Sardegna) nelle sue ricerche e dice anche (e soprattutto) quello che a molti può non far piacere. Le conseguenze sul piano 'politico' non devono neppure sfiorare, di fronte all'oggettività della documentazione, una scienziato che sia veramente tale. E come se domani mi si acclarasse che i Sardi sono stati dominati (l'ennesima colonizzazione) dai semiti 'nuragici' della Siria-Palestina. E con cio? Quella sarebbe la 'storia' e i nuragici non 'scadrebbero' e farebbero comunque parte integrante della nostra storia! Sarebbero 'comunque' nostri 'padri'. Chè gli studiosi seri non badano al fatto se si è bastardi o meno.
3)Dici: 'Fornite-Ci(!!!) piuttosto elementi di discussione'. E come no! Mi scusi, signor 'maestro', che ci siamo permessi. Ci scusi se abbiamo ripreso elementi di discussione affrontati con impegno e serietà da maestri glottologi e romanisti di professione come Ramat e Rendi e ricercatori del calibro di Benozzo! E' del tutto evidente che sono stupidaggini. Abbaidae comente andat su mundu; a s'imbesse. E it'apa a narrere: iscusae po sos issollorios de unu post totu issolloriau. Ma ite lastima! A dies at a sighire un'ateru post meda prus issoloriau.
Caro Alberto,
la teoria della Continuità , per quanto formulata da un linguista, è una teoria che mette insieme oltre alla linguistica anche l'archeologia e che sta trovando conferma con la genetica.
Me ne guardo bene dal dire che tutto ciò che afferma Mario Alinei sia esatto, ma il suo paradigma teoretico cioè la proposta che le lingue indoeuropee nelle loro varianti (celtica, italide, germanica, slava) sono presenti in Europa sin dal paleolitico regge, eccome se regge!
Tu hai la mente ancora influenzata dal vecchio paradigma predarwiniano dove di credeva che il mondo l'aveva creato Dio nel
4004 a .C. e che gli indoeuropei arrivarono in Europa a dorso di cavallo nel 2000 a.C.
La Sardegna ha avuto due popolamenti basilari uno nel paleolitico superiore (per alcuni proveniente dal Iberia , per me dai Balcani, prossimi studi di genetica chiariranno la questione), poi dopo l'ultima glaciazione che decimò gli Europei (ma la Sardegna non si spopolò) giunserò in Sardegna genti Italidi.
saluti
Mauro Peppino
Caro Alberto,
l'esempio del greco voleva mettere in luce come ancora oggi coloni greci arrivati in Penisola 2500 anni fa ancora parlano greco!!
Ascolta questa, una quindicina d'anni fa, nel bighellonare in Nord America, andammo a Toronto a far visita al cugino (Vincent Pibiri).
In Canada emigrò il padre e la madre di Vincent che gli insegnarono sia il sardo che l'italiano, la moglie di Vincenzo è calabrese anch'essa nata in Canada. Lei con noi parlava italiano ma poi quando venne a trovarla la madre (suocera di Vincent) imbastirono un linguaggio per me incomprensibile, per te no dato che parlavano l'albanese!
Perchè le comunità di lontanissima origine albanese presenti da secoli in Italia continuano a parlare albanese?
Perchè ad Alghero si continua a parlare catalano, non sarà che Angius abbia colto nel segno?
In una Barbagia indomita, dove sino a Gregorio Magno si continuavano ad adorare pietre e legni, mi pare strano che nella sua totalità abbia abbandonato la sua lingua.
Caro Alberto,
quelle di Vittorio Angius e Alinei non le considero certamente certezze, ma nel confronto tra le cozzanti opinioni degli altri linguisti (Pittau parla di Lidio, Areddu di illirico, Blasco di Ibero-basco, altri di accadico sumerico, altri di greco, molti altri non si pronunciano) credo che Angius e Alinei dobbiamo stare a sentirli!
saluti
Mauro Peppino
"In una Barbagia indomita, dove sino a Gregorio Magno si continuavano ad adorare pietre e legni, mi pare strano che nella sua totalità abbia abbandonato la sua lingua."
Un esempio chiaro di una dichiarazione di principio, ideologica, a-scientifica, che non porta da nessuna parte.
B. Larsen
L'argomento è troppo complesso per pensare di affrontarlo in questa sede con speranze di trovare una qualche risposta definitiva. Effettivamente la contraddizione rilevata dall'Alinei esiste ed esige una spiegazione: come é possibile che una regione da sempre resistente come la Barbagia parli il linguaggio neolatino più aderente all'originale? Non sarà invece che la Barbagia é stata conquistata come le altre regioni storiche dell'isola? Magari più tardi delle altre zone, e questo spiegherebbe la minore evoluzione del latino in queste aree, nonchè la sopravvivenza di un maggior numero di toponimi prelatini. Una stazione romana a Fonni (Sorabile), un nome latino per Meana (Mediana) e Austis (Ad Augustis), un villagio "romano" a Sant'Efisio di Orune, lo sfruttamento delle miniere di Lula, etc etc qualcosa vorranno pur dire. Questa storia della resistenzialità, a mio modo di vedere, andrebbe rivista. Ve lo dice un barbaricino.
Non sono d'accordo con l'Angius quando dice che i popoli dominatori in Sardegna non hanno lasciato tracce linguistiche importanti. Altroché! Tralasciando i fantomatici Fenici e i Punici (in questo caso sì, molto probabilmente si parlavva linguaggi simili), cosa dire del latino e delle due lingue iberiche? Queste lingue hanno inciso tantissimo in tutti i linguaggi della Sardegna.Probabilmente ciò é avvenuto perché queste lingue erano portatrici di nuove tecnologie di cui i sardi hanno ritenuto utile appropriarsi, trascinandosi anche il lessico. Oggi, suppongo per lo stesso motivo, é l'italiano moderno che prende il sopravvento. Persino mia suocera, sardofona al 90%, dice "sa melanzana" e "su pomidoro". Tutti noi diciamo "sa lavatrice" mica "sa samunadora". Di questo passo prima o poi parleremmo tutti un linguaggio misto, tipo il sassarese. E' evidente che linguaggi come il catalano di Alghero e il tabarchino di Carloforte sono arrivati sino a noi perché c'é stato un trapianto di popolazione dove i parlanti questi idiomi erano la netta maggioranza. Dove non erano in maggioranza il linguaggio é rimasto quello autoctono (vedi Carbonia, Arborea, Fertilia). Interessante vedere cosa è successo anche a Calasetta, anch'essa di linguaggio tabarchino, ma meno puro e incrociato con il sulcitano a causa della coabitazione con Sant'Antioco nella stessa isola. Ad Alghero, del resto, oggi i parlanti catalano io credo che siano la netta minoranza. Personalmente, la teoria della continuità mi lascia perplesso. Ritengo che le lingue esterne all'isola abbiano preso il sopravvento fondamentalmente per due motivi: o perché i parlanti quella lingua erano la maggioranza in sede locale (vedi Alghero e Carloforte), o perché l'impiego di quella lingua apportava un qualche vantaggio (latino, catalano, castigliano, italiano). escluderei il greco bizantino perchè vantaggi non ne dava proprio. Insomma, a me sembra molto più verosimile la teoria della "discontinuità".
@ Archologia Nuragica
Abbi pazienza, Mauro (comenti est andada sa ‘innenna?), guarda che il concetto di “Barbagia indomita” viene dritto dritto dal “paradigma lilliano” di nuraghe = fortezza.
Che significato possono avere tutte le necropoli di militari “romani” e delle loro famiglie, fin sui piedei del Gennargentu? E che mi dici della ceramica, da essi utilizzata, che ripeteva, anche se in maniera più grezza, le fattezze di quelle fabbricate in Tunisia e portata in tutto l’impero, o in quel che ne restava, fino al VII secolo d.C.? E ancora, che mi dici, per fare un salto di qualche secolo verso i giorni nostri, del fatto che dalla Montagna non si alzò un chiodo nel momento cruciale in cui si tentava di fare sarda la Sardegna, a cavallo del primo e secondo millennio della nostra era? Eppure il Papa Gregorio, a cui fai riferimento, scriveva le cose che tu dici a un certo Ospitone chiamandolo Dux dei arbaricini, ad indicare una configurazione, se non altro aggregativa, presente e funzionante.
Per farne un altro di salto, questa volta indietro di più secoli, che risposta diedero i Sardi pelliti a chi gli andava trovare, in nome di qualche affinità, c’è da presumere, per chiederne l’aiuto contro lo straniero? Ampsicora tornò indietro da solo, giusto in tempo per rendere l’ultimo saluto, in quel di Cornus, al suo Josto, e suicidarsi sul suo corpo, vinto dall’inanità dei suoi sforzi.
continua
@ Archeologia Nuragica
Strano modo di essere indomiti, strano concetto di “resistenzialità sarda”. A meno che la sostanza, come io penso, non fosse un’altra: “Forar de domo mea” rispondeva, a più riprese, la Montagna. Sostanza di cui bisogna cercare le radici molto più indietro nel tempo: nella dicotomia verificatasi, coll’arrivo dell’agricoltura nel neolitico, fra pastori e contadini, autoctoni o alloctoni che fossero, questi ultimi.
Se così stanno le cose, non bisogna prendere un’enclave limitata e particolare di “resistenza” e farne l’emblema della “sardità”. Sarebbe un rifugiarsi in una costruzione letteraria senza riscontri con la realtà effettiva. Sarebbe un ricercare radici inesistenti, indipendentemente da quelle labili ed evanescenti della lingua.
Guardiamola in faccia la realtà e riconosciamoci per quelli che siamo, Barbaricini e Campidanesi che sia e non prendiamola o utilizziamola più come un insulto la nostra residenza geografica in questa perla del Mediterraneo, ché di radici robuste in comune ne abbiamo a sufficienza.
La risposta alla tua ultima domanda (albanesi d'Italia) è semplice: perché sono realtà contadine inserite in altre realtà contadine (di italofoni), con cui non sono entrate in conflitto (spesso paesi diversi). In altre realtà (quelle industriali) il codice si può preservare perché si è immigrati di prima o seconda generazione. Ma in America del Nord già immigrati di terza generazione inseriti nella società non parlano, forse al limite capiscono ancora un po' del dialetto dei nonni; in Argentina è anche più grave l'abbandono, visto il forte nazionalismo locale (ma dissolvendo il loro idioma, gli ex italofoni hanno purtuttavia riversato alcuni italianismi nello spagnolo locale, pensa a "ciao"). In Brasile comunità isolate nella foresta, parlano ancora dopo duecento anni, i dialetti veneti originari, gli altri discendenti di italiani inurbati parlano solo il portoghese. Come vedi ogni situazione è diversa dall'altra. Dipende da fattori di integrazione, di quantità numerica, di rapporto identitario che si ha col proprio ethnos, con la cultura di integrazione ecc. Per la Sardegna:ad Alghero c'è ( o c'era) un forte senso identitario, che ha reso algherese anche quanti venivano da fuori; nè più né meno di quanto avviene a Sassari: più che lingue sono dei gerghi che servono a differenziare i locali dai Sardi, considerandosi in qualche modo qualcosa d'altro, di diverso e forse di meglio.Per la Barbagia medievale ti sbagli: ripeto: nel Medioevo TUTTO il logudorese era barbaricino, nel senso che aveva il piuccherepfetto latino, il congiuntivo imperfetto, una sintassi arcaica ecc.Ne fan fede proprio i documenti del sardo medievale, che ci giungono quasi integralmente dalla provincia di Sassari (e non dal nuorese). Solo che nel logudorese dell'area di Sassari poi, per il contatto con genovese, pisano e spagnolo alcuni di questi tratti si son persi, nel barbaricino di meno; ma già negli anni '60 Pittau asseriva che metà del lessico di Nuoro era di origine italiana. Quindi o tutto il logudoro era latino ante litteram (risultando zero l'impatto latino) oppure è stato tutto latinizzato. E del Campidano che dovrenno dire? Che i campidanesi sono stati latinizzati e i logudoresi già lo erano? E come mai allora i dialetti si assomigliano così tanto? Insomma la teoria della "non discontinuità" di Alinei, che soggiungo, non sa un tubo di cose sarde, fa acqua da tutte la parti.Se dedicasse egli un saggio a ciò potremmo giudicare in merito, e vedere quel che realmente pensa. Coloro che si occupano di linguistica romanza che mettono a base l'evoluzione fonetica storcono e non poco il naso difronte alle prese di posizione della scuola semantica di Alinei, non perché dica spessissismo cose interessanti, ma perché da una decina d'anni (leggiti il primo Alinei e vedrai che non dice le cose che dice dal 1995) ha preso una deriva antiromanistica. Qualcuno dice che Alinei abbia fiutato l'odore della Lega... ma chissà...
Caro Areddu a Isili c'è un gergo quello dei ramai che dura perlomeno da almneno 500 anni.
Che una lingua sia dura a morire ben lo sappiamo.
Ammettiamo che non abbiano ragione nè Alinei nè Amgius, come mai in nessun paese sardo è rimasto un segno dell'antico linguaggio nuragico?
Ora di fronte alle cozzanti (o cozzantissime fai tu!!) opinioni degli altri (Pittau, Areddu, Blasco, Paulis, Dedola, ecc, ecc.)(perchè non provate a mettervi d'accordo?) a me che non sono un linguista quella di Alinei (e Angius)sembra la più verosimile!
saluti
mauro peppino
Signora Atropa,
l'ignoranza e' una brutta bestia.
La invito a leggere M. Pittau, "La romanizzazione del centro montano in Sardegna", in "Studi sardi di linguistica e storia", Pisa 1958, pp. 72-89.
Ora: non e' che uno si alza la mattina e dice "In una Barbagia indomita, dove sino a Gregorio Magno si continuavano ad adorare pietre e legni, mi pare strano che nella sua totalità abbia abbandonato la sua lingua."
Bisogna anche leggere le cose cha altri hanno scritto e argomentato con serie discussioni scientiche e non con un "mi pare strano".
Contenta adesso?
Saluti, B. Larsen
(I) 'Pilu -pilu'? O Areddu, bada che tu qui non giochicchi con i tuoi scolaretti! Tu la TdC di Alinei te la devi proprio leggere, perché non l'hai letta. Altrimenti non ti esprimeresti così. Leggi le fittissime pagine del II volume (645 -688) che riguardano la Sardegna all'interno della teoria. Alcune convincenti altre molto meno. Hanno basi linguistiche ed archeologiche. Bisogna saperle smontare una ad una. Io ci ho provato su basi etimologiche ed etimografiche. Ma l'ho fatto 'su' e 'per' esiti linguistici dati dall'epigrafia. Solo per questo. Non mi sono permesso di invadere con leggerezza (a dir poco), come fai tu, campi di competenza altrui. Campi che fan tremare le vene e i polsi data la preparazione specifica che occorre! Un po' di umiltà, soprattutto quando si è umili o davvero bassotti, non guasta.
La tiritera sulla 'toponomastica'? Non farci ridere|! Per consenso generale la più infida di tutte le discipline e albergo, spesso, dei perdigiorno e degli avventurieri della comparativistica lessicale al livello globale! Il sardo finisce anche in Cina e viceversa il cinese anche in Sardegna.
A proposito. Lo sai che l'isola di Pasqua l'anno colonizzata per primi i nuragici? Pensa un po': è stato trovato nell'isola un nuraghe (da Pinuccio Sciola) quasi preciso a quelli sardi. Si è dibattuto molto sul dato architettonico (ricordi gli articoli di stampa?) e ovviamente si è finiti nella teoria dell'innatismo e nelle categorie geometriche universali che guidano il cervello umano.Il bello però è che il nome indigeno risulta essere 'stranamente' RAPANUY. Il primo dato 'sardo' ovviamente è del tutto insufficiente, rientra nella 'norma' della combinazione. Non fa scienza. Ma un secondo pone qualche problema in più: perchè è abbastanza agevole aggiungere che, con ogni probabilità, l'isola era stata battezzata così da sardi partiti, per l'audace colonizzazione ( e poi i sardi non navigavano!) dalle pendici del Monte Lapanu (non lontano da Nora). Ma è Lapanu, si dirà, e non Rapanu -y. Ma mica obietterà un linguista come te, che conosce la fonetica del sardo e delle liquide intervocaliche (Monti Lapanu > Monti Rapanu). Neanche si opporrà, credo, allo Yod finale, che è segno suffisso sardissimo di distinzione (Nuray, Babay, Nonnay, Efis-y, ecc.). Ergo: l'architettura, la toponomastica e la stessa linguistica con la morfo-siuntassi, mi fanno approdare ad un perfetto risultato etimologico di RAPANUY.
(II) Rapanuy, dati i non pochi riscontri 'oggettivi', deriva dal sardo Lapanu. E' il monte eminentissimo, che si distingue perché non ha nessuna 'eminenza' montuosa in così vasto pelago. Anzi, al tutto puoi metterci la ciliegina sopra. Dopo la scoperta delle statue di Monti Prama è consequenziale, risulta del tutto evidente, 'al di là di ogni ragionevole dubbio', che i 'giganti' Moai (et.? Facile: Da 'perda niedda manna 'acutadorza' po faere 'molas >mobas >moas ') traggono ispirazione dai Giganti di Monti Prama. Forse abbattuti, così come quelli sardi dai Fenicio-punici che incalzavano i sardi 'fintzas a su corru 'e su mundu, comente 'su cannamele sos sorighes'.
Hai capito ora o Are', che rischi corre la toponomastica? Evviva il nostro sconosciuto ma glorioso monte Lapanu! Tutto sicuro!
Io pertanto dal mio 'scranno', se permetti, preferisco umilmente non parlarne di toponomastica. Preferisco pascoli su terreni più solidi. E poi. L'ho fatto una volta sportivamente ad Allai, con quel pozzo di scienza che è Dedola per la radice di Benetutti: io spiegai sorridendo il toponimo con due parole (proprio due), contro le due sue pagine serissime e dottissime. Non credo di averlo convinto con la mia spiegazione semitica, con addentellati epigrafici, religiosi, culturali ecc. niente male; credo anzi che in cuor suo mi abbia mandato a quel paese! Ora, disquisisci tu su Benetutti, forse di ascendenza illirica, e sono convinto che a mandarti a quel paese saremo in due o tre o quattro o chentu 'berrittas'. Ma con ragione? E chi lo sa! Che 'scienza' esatta la topomomastica!
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