Palomba e Cappellacci |
Per il gusto cinico della realtà, poco incline a fare i conti con i fiorentinismi della politica, mentre i pastori sardi erano impegnati a Porto Torres in una delle più drammatiche loro manifestazioni, a Cagliari si apriva la crisi del governo regionale. Quando si dice scollamento tra politica e cittadini, incomunicabilità tra bisogni reali e appetiti indotti dalla virtualità chiamata “visibilità dei partiti”.
I partiti hanno nuovamente cannibalizzato il Consiglio regionale, consumando così l'ultima barbarie. Parole forti, ma non si riferiscono a queste ultime poco esaltanti vicende. Sono state pronunciate il 10 marzo dall'allora presidente regionale Federico Palomba dopo l'ennesimo agguato tesogli dalla maggioranza di centrosinistra che lo appoggiavano ed era divisa da altri appetiti, dilaniata come quella attuale di centrodestra che appoggia, si fa per dire, Cappellacci.
Con questo, per di più: i consiglieri di questa maggioranza (insieme a quelli dell'opposizione) rischiano di perdere scanni e stipendi se Cappellacci si dimette; quell'altra rischiava, al più, di dover eleggere un altro presidente. Leggi elettorali differenti. In politica, pare, difetta la memoria. È singolare, così, leggere le reazioni del centrosinistra alle dimissioni del presidente della Regione, improntate alla rimozione del suo passato. Fra i rimotori c'è proprio Palomba, oggi senatore dell'IdV: “Nessun rattoppo potrà rimettere in sesto il vestito lacerato della destra, tanto a Roma quanto a Cagliari. Oramai il processo di decomposizione della defunta maggioranza di governo è arrivato al punto di non ritorno”
Il che può essere anche vero, ma suona curioso detto da chi, in cinque anni di governo fra il 1994 e il 1999, dovette sopportare cinque crisi aperte da una maggioranza dal “vestito lacero” e in preda ad un “processo di decomposizione” come gli allora oppositori non mancavano di denunciare, chiedendo, come chiede lui oggi, di tornare alle urne. Insomma, cambiano i protagonisti ma il copione rimane immutato. E neppure un piccolo sforzo di inventiva per renderlo interessante agli spettatori di questa commedia.
Ho rintracciato un commento, scritto il 10 gennaio 1999 sul quotidiano che pure fiancheggiava il governo dei “progressisti”, che dovrebbe rinfrescare la memoria a chi la sta perdendo. Si chiedeva se il presidente Palomba avrebbe avuto coraggio o se “continuerà ad essere strumentalmente usato come capro espiatorio di una legislatura fallimentare: tale per responsabilità di tanti che hanno giocato al massacro dal primo giorno. ... Avesse restituito al mittente, ficcandoglielo in quel posto, l'arrogante foglietto della sconveniente «Giunta del bigliettino», Palomba sarebbe diventato un eroe dimettendosi. Ci sono atti non compiuti che segnano più di un gesto esemplare: restano nella memoria, incancellabili e irrimediabili, come omissione inescusabile”.
Purtroppo non è vero che restano nella memoria, sono cancellati. E allora è forse utile ricordare che cosa fu la “giunta del bigliettino”: è quella che Palomba annunciò, dopo una imbarazzante seduta del Consiglio che attendeva di conoscerla, solo dopo che un commesso gli ebbe consegnato, in piena seduta del Parlamento, un pezzo di carta su cui i segretari di partito avevano scritto i nomi degli assessori da nominare. Siccome la storia non si ripete mai uguale a se stessa, forse Cappellacci ha imparato dalla magra figura del suo predecessore e, almeno, le dimissioni le ha minacciate.
I pastori, assaltando i tir provenienti da Barcellona, hanno scoperto pecore e maiali in arrivo dalla Spagna, pronti a vestire i Quattro mori e a invadere il mercato sardo sotto mentite spoglie di maialetti made in Sardegna. La Legler ha chiuso definitivamente i battenti. La promettente discussione sullo Statuto sardo rischia di trasformarsi in accademia. E la politica sarda continua a bisticciare su chi ha le corna più lunghe.
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