domenica 19 settembre 2010

I fenici? Mai esistiti e anche Bartoloni sotto sotto...

di Mikkelj Tzoroddu

A distanza di poco più di un anno, eccoci tornare sull’argomento che esacerbò fuori ogni misura, animi sia digiuni della materia sia poco propensi a prendere in considerazione il nuovo che, inesorabile, avanza.
Il 4 Giugno 2010, a Sant’Antioco, la libreria Cultura Popular di Roberto Pintus, organizzò la presentazione del nostro secondo libro (“I fenici non sono mai esistiti”), al cospetto di oltre 120 persone.
Alla presentazione fu invitato anche il professore Piero Bartoloni, il quale declinò l’invito.
Come avemmo a sottolineare nella premessa di tale saggio, in vari momenti della ricerca, finalizzata alla sua stesura, avemmo la netta sensazione che quasi tutti i soggetti, i cui testi furono oggetto d’analisi, lanciassero dei messaggi criptati, provando ad interpretare i quali, era chiaramente percepibile come essi sapessero benissimo che i Fenici non siano mai esistiti. Ed, anche, avemmo sentore di come essi si stessero preparando a dircelo di persona, ma facendo calare dall’alto della loro scranna tale dichiarazione, quasi fosse la nuova verità rivelata, sulla quale vivacchiare per molti altri decenni.
Fummo fin troppo facili profeti!
Il 24 Luglio 2010, alle ore 19,30, nell’aula consiliare della stessa cittadina sulcitana, si tenne il Convegno “Sant'Antioco abbraccia il mare”. Ad esso partecipò il Bartoloni.
Per dimostrare come il concetto espresso nel libro abbia già superato la fase di incubazione e stia positivamente agendo nell’esprimersi del sapere locale, il coordinatore del convegno Paolo Balia, introdusse l’argomento fenicio, proprio in questo modo: «Allora professore, i Fenici non sono esistiti!»...

Leggi tutto

19 commenti:

alberto areddu ha detto...

Gentile Tzoroddu,

pochi non vuol dire zero. E' proprio quello che c' impressiona: che poche persone possano avere esercitato un ammaliante fascino su molte più persone, al punto di come dire, civilizzarle. Ma questo è sempre avvenuto nella storia. Saranno stati quindi dei vu cumprà, ma apportavano con sé della tecnologia fresca e non solo bigiotteria (questo era il modus di approccio), per cui diremo che erano anche de "vu crescè". E i locali sono voluti crescè, bene o male che ci vada.

Pierluigi Montalbano ha detto...

Buongiorno Mikkelj,
anzitutto complimenti per il nuovo lavoro, so che era pronto da tempo in quanto presentasti alcuni passi già a novembre scorso a Decimo, e sono felice che ci sarà nuova letteratura da commentare.
La proposta di un autore che si inserisce in un gruppo che non digerisce le affermazioni dell'accademia, o comunque cerca di demolire la storia raccontata nei libri che si studiano a scuola, è certamente stimolante, soprattutto quando, ed è il caso di Mikkelj, si adotta un metodo scientifico. Gli scritti degli autori antichi sono sempre da interpretare, ma ciò che proponi nel titolo del tuo libro è altisonante, e spero quindi che nel testo ci sia un corposo apparato di note, e bibliografico.
Ieri sera ho assistito ad un altro convegno interessante. Relatore l'amico Giuseppe Mura, che ha esposto la sua visione di una Sardegna Atlantidea e Tartessica, mostrando un bel libro di quasi 600 pagine, infarcito di citazioni degli antichi autori e raccontato con una fluidità degna dei migliori divulgatori.
Siamo ormai vicini all'armageddon della storia della Sardegna antica?
Caro Mikkelj, annunci questa posizione del maestro Bartoloni come se fosse in procinto di concordare con le tue posizioni, ma so bene che così non è.

Prima di immergermi nella lettura del tuo nuovo lavoro vorrei chiederti un dettaglio che mi sfugge da tempo:
a tuo parere i fenici come etnia non sono mai esistiti, o pensi (come affermo io da tempo) invece che siano un popolo multietnico, e sarebbe quindi più adatto parlare di età fenicia?

Ciò che accadde in quei tempi (XII-VII a.C.) è sintomo di grandi sconvolgimenti sociali che causarono migrazioni, ricostruzione delle rotte commerciali, nuovi stimoli, diffusione capillare della scrittura, perfezionamento delle tecnologie...indicatori di contatti fra genti diverse tutte interessate a scambi pacifici e proficui.
Affermare che un'età fenicia non esiste significa cancellare in un solo colpo tutto ciò! Bisogna sostituirlo con altro!
Premesso che non può essere tutto iniziato a capodanno del 1199 a.C., e non si concluse se non con una integrazione durata diversi secoli...come inquadreresti i ritrovamenti di manufatti orientali in Sardegna, e di quelli nuragici all'estero?
Inoltre se, come sostengo io, i nuragici sono questi benedetti shardana...sarebbe più verosimile affermare che "i fenici sono esistiti e una delle loro principali componenti era nuragica". Molti dettagli andrebbero al loro posto, con buona pace di chi continua a sostenere che si trattò di una colonizzazione da parte di genti orientali.

zuannefrantziscu ha detto...

@ Mikkelj

Cercando qualche foto che illustrasse il tuo bell'articolo mi sono imbattuto nella foto cui Paolo Bartoloni dà per didascalia: “Monte Sirai: stele nuragica con coppelle nelle strutture del Mastio”. Per quel che ricordo, i nuragici hanno preceduto nelle vicende di questa terra i fenici e non sarebbe poi così lunatico pensare che a Sirai ci fosse anche prime un qualcosa “fondato dai nuragici”. Ma la vulgata afferma che Sirai fu fondata dai fenici. Sarebbe come dire che, faccio per dire, Firenze fu fondata non da Roma, ma da Bisanzio; Napoli non da coloni greci ma dai Romani; Tarquinia non dagli etruschi ma da Roma.
Qualche giorno fa, un quotidiano sardo titolava in prima pagina e a caratteri cubitali: “Emergenza Nora, l'erosione minaccia la città romana” e all'interno: “Allarme per il porto fondato dai Fenici”. All'interno un lungo articolo in cui non si cita neppure di sfuggita la parola “nuragici”, come se il povero Solino si fosse inventato che "a Norace Norae oppido nomen datum". E come, soprattutto, se davvero il porto di Nora sia stato fondato dai fenici. La feniciomania ha questo di drammatico: non c'è alcuna possibilità di guarirne e, in più, ha le caratteristiche della pandemia.

shardanaleo ha detto...

Qualcuno è in gredo di spiegarmi alcuni arcani misteri che personalkente continuo a non capire su quento si afferma in questo blo e in altri sulla PRESENZA "FENICIA" e sulla PRESENZA "NURAGICA"
Ambedue, secopndo le affermazioni della maggioranza di chi se nhe occupa, risultano rpesnti in Sardinia nella STESSA EPOCA.
- I"FENICI" arriverebbero nel IX se...
- I "NURAGICI" esisterebbero ancora nel VI secolo...
- Hanno vissuto insieme?
- Nelle città della costa CHI ci viveva dei due?
- Noi Sardi siamo "FENICI" o "NURAGICICI"
- O ha RAGIONE il dotto STIGLIETZ, quando dice che I Sardi (anche lui?)? sarebbero METTICCI?
Vi prego... almeno una parte dei quesiti... NON ci dormo più dalla preoccupazione...
Kum Salude
Leonardo

giovanni ha detto...

Complimenti all'autore, Mikkelj Tzoroddu, per questo libro modesto nel formato ma grandissimo, autorevolissimo e scientifico nel contenuto.
Capovolgendo la considerazione di Montalbano riguardo chi digerisce che cosa, credo che sarà molto dura per certuni del mondo accademico e soprintendente digerire questo lavoro dal titolo quanto mai chiaro ed espressivo;
soprattutto per coloro che sono ancora fermi alla masticazione di Sardoa Grammata.
Dubito che riusciranno mai ad iniziare la digestione.
Chissà se, con o senza apertura di crepe, saranno ( o già sono ?) costretti alla resa.
Giovanni

maimone ha detto...

"pochi non vuol dire zero. E' proprio quello che c' impressiona: che poche persone possano avere esercitato un ammaliante fascino su molte più persone, al punto di come dire, civilizzarle. Ma questo è sempre avvenuto nella storia. Saranno stati quindi dei vu cumprà, ma apportavano con sé della tecnologia fresca e non solo bigiotteria (questo era il modus di approccio), per cui diremo che erano anche de "vu crescè". E i locali sono voluti crescè, bene o male che ci vada."

Probabilmente non ho capito il senso di questo post. Vuol dire che oggi, per esempio, la Sardegna potrebe essere sotto l'egemonia culturale marocchin-senegalese?
Anche loro vengono a venderci bigiotterie, ma non mi sembrano in possesso di chissà quali tecnologie, né tantomeno hanno assunto ruoli dirigenziali. Analogamente, dubito che questi "fantomatici fenici" possedessero chissà quali tecnologie. In genere, chi si sposta lo fa per necessità, per procurarsi qualcosa che gli manca e non certo per dare. Ed infatti gli Egizi viaggiavano poco o niente, ma erano grandi generatori di una propria cultura.
Continuo a restare dell'idea che i Fenici della Sardegna erano i Sardi stessi di allora, sia pure arricchiti da qualche influsso levantino, ma non per questo meno Sardi. In Costa Smeralda si sono stabilizzati un sacco di tedeschi e svizzeri. Spero che fra qualche secolo non ci dicano che siamo stati anche sotto l'egemonia tedesca. Mi sa che ha ragione Pittau: se fra qualche secolo gli archeologi troveranno una moto Honda scavando in quel di Sardegna, diranno che siamo stati dominati dai giapponesi.

Salude e libertade

Giuseppe ha detto...

Non conosco ancora i libri di Tzoroddu, ma vorrei aggiungere alcune considerazioni sul medesimo tema che ho affrontato, anche se molto brevemente, nel mio lavoro.
Gli studiosi, specie in questi ultimi anni, hanno ripetutamente segnalato che la presenza dei cosiddetti Fenici in Sardegna fu caratterizzata da un rapporto di parità e di reciproco rispetto, diversamente da quanto accadde nelle colonie dell'Africa settentrionale e iberiche, dove invece sorsero dei veri e propri centri fortificati. Lo stesso Sabatino Moscati esclude "qualsiasi penetrazione territoriale" in Sardegna e sostiene la coesistenza pacifica tra Nuragici e Fenici per secoli.
Come spiegare questo strano rapporto, esclusivo della Sardegna?
In realtà i Sardi-Nuragici, nella veste di SRDN, facevano parte di quei Popoli del Mare che frequentavano la regione del Canaan sin dal XIV secolo a.C. e che contribuirono a formare dei veri e propri beduini in provetti marinai. Quanto alla genetica scrive L.L. Cavalli Sforza: "Inoltre una somiglianza genetica dei Sardi con i Libanesi viene a confermare i risultati della Talassemia".
Con questo lo studioso intende attribuire la diffusione del particolare morbo nel Mediterraneo e nelle colonie fenicie alla presenza dei nuovi arrivati.
Tuttavia, come mai la somiglianza genetica dei Libanesi si manifesta solo con i Sardi e non con le genti delle altre colonie della "diaspora" fenicia?
La storia moderna non propone strette frequentazioni tra Sardi e Libanesi dopo l'evento fenicio, quindi la somiglianza genetica va attribuita ad un periodo precedente: esattamente quello dell'EdB.
Non basta, ultimamente sono state rimesse in discussione le stesse modalità di diffusione del morbo di Cooley: in Sardegna sono stati rinvenuti dei crani umani del Neolitico che, in base alle ricerche anatomiche e radiografiche, mostrano l'antichissima esistenza nell'Isola della particolare malattia. Insomma, non è da escludere che fossero stati i Sardi a diffonderla nel Mediterraneo, sfatando così, ancora una volta, l'assioma della unidirezionalità culturale Oriente-Occidente.
E i Fenici in Sardegna? Se proprio vogliamo farli arrivare non escluderei una sorta di Nostoi, ovvero di genti di origine sarda che, colti dalla struggente nostalgia, rientrano a casa dopo secoli di permanenza nel Canaan.

Giuseppe Mura

mikkelj tzoroddu ha detto...

Gentile Illiricheddu,

Il Suo: «[…] al punto di come dire, civilizzarle» mi sembra davvero un’enormità!
Non mi sarei mai aspettato fosse uscita dalla penna di uno studioso come Lei!
Evidentemente Lei non tutto conosce della preistoria e storia antica della Sardegna. Per illuminarLa su due o tre argomenti Le dirò, Lei non sa che i Sardiani:

- erano fra i padroni della navigazione in quello che si sarebbe più tardi chiamato Mare Sardo (La prego di chiedersi il perché di tale denominazione) ed in tutto il Mediterraneo, a partire almeno da circa 14.350 anni prima d’ora. “ed i fenici non esistevano”

- distribuivano l’ossidiana di Monte Arci e quella di Lipari, ovunque nello stesso mare, fin nelle grotte della Liguria, a partire almeno dal XIII millennio prima d’ora. “ed i fenici non esistevano”

- furono i primi a creare un’industria del pesce conservato nel Mediterraneo (sardina docet) ed immagini soltanto (fra tutti i parametri che vi concorsero) l’elevata raffinatezza raggiunta nello studio delle rotte del Tonno, onde conseguirne la cattura. “ed i fenici non esistevano”

- conoscevano la metallurgia del rame da circa 5600 anni prima d’ora (e badi bene che i Ciprioti iniziarono la lavorazione del loro rame circa 2200 anni dopo quella data) e conoscevano la metallurgia del bronzo da circa 4600 anni prima d’ora! “ed i fenici non esistevano”

Grazie, mikkelj.

mikkelj tzoroddu ha detto...

Caro Pierluigi,

Tu dici che il Bartoloni è su posizioni lontane dalle mie. Ebbene io ripeto che le considerazioni conclusive del mio lavoro sono le posizioni della universalità degli studiosi, non mie, non del Bartoloni. D’altro canto ciò che ho riportato, della lezione del Professore, dimostra proprio questo.
Per quanto riguarda la domanda successiva, dal momento che ti proponi di leggerlo, rispondendoti sarebbe come se ti rivelassi il nome dell’assassino e non voglio privarti del piacere di scoprirlo da solo.
Grazie, mikkelj.

mikkelj tzoroddu ha detto...

Gentilissima Atropa Bellamente,

purtroppo non sono riuscito a recuperare altre informazioni se non una che mi servirà per il terzo libro, che non compete questo ambito.
Grazie, mikkelj.

Pierluigi Montalbano ha detto...

@ Mikkelj
Lo leggerò volentieri, come ho fatto con il primo, dal quale ho preso a piene mani riferimenti bibliografici, note e quant'altro, e li ho utilizzati in alcuni capitoli del mio lavoro sulla civiltà mediterranea. (ovviamente con tutte le citazioni necessarie).

Pierluigi Montalbano ha detto...

Aba...se continui a scrivere in inglese non ti traduciamo più le parole sarde. :)

alberto areddu ha detto...

Per MIkkeli

Se quanto Lei asserisce ha fondamento (non ho dubbi che avrà trovato delle fonti che sostanziano le Sue affermazioni) si sarà pure chiesto come mai allora se non i Fenici, i successivi Cartaginesi si sono impadroniti (facilmente?) dell'isola. Oppure nel terzo libro ci dirà che anche questa è un'invenzione storiografica? Lei poi mi scusi travia un po' i termini; "civilizzare" significa rendere abitanti di città, quindi renderli con delle diverse compartecipazioni alla vita pubblica, o anche "rendere più civili", chi può essere già civile. Se siamo noi Occidentali ad essere andati in Cina e non viceversa (che aveva inventato praticamente tutto) vorrà dire che in qualcosa eravamo superiori a loro. Questo per venire un po' incontro al suo (forse donchisciottesco) difendere la grandeur originaria dei sardi. Comunque non è me che deve convincere, ma tutta la schiera di archeologi che quel che ci dice Lei, non ce lo dicono proprio. Se riuscirà a convincerne una parte, io che non sono archeologo, ma spezzettatore di parole, potrei iniziare a pensare pur io a una mia atavica effervescente giovinezza spirituale. Per intanto (una ovvia raccomandazione) mandi i Sui libri a Direttori di Riviste del settore, così sentiamo cosa ne dicono loro, e poi valutiamo.

saluti

mikkelj tzoroddu ha detto...

Gentile Illiricheddu,
riguardo all’assunto: «i […] Cartaginesi si sono impadroniti (facilmente?) dell’Isola», Le comunico il titolo del mio terzo libro: “Cartaginesi sempre sconfitti”. V’è anche un sottotitolo. Come vede (e mi complimento) Lei aveva visto giusto!
In relazione invece al Suo ripensamento sulla frase che mi ha scandalizzato e ad una Sua corretta presa di distanza dal significato preciso che Ella intese dare alla stessa in prima stesura, ne prendo atto e Le riconosco il coraggio di aver ammesso d’essersi lasciato influenzare da una non profonda conoscenza della materia.
Inoltre, buon Illiricheddu, mentre Le raccomando vivamente di rileggere con occhio critico la preistoria e storia antica della Sardegna onde nutrire d’una visuale più consona la sua natura di ricercatore, per quanto attiene la Sua inefficiente pretesa di avvicinarmi al personaggio di Miguel De Cervantes Saavedra, ove ne abbia la possibilità, Le consiglierei di chiedere al soldato di Alcalà de Henares, che definì la Battaglia di Lepanto «la più memorabile e alta occasione che abbian visto i passati secoli o i venturi sperino di vedere» cosa ne pensi dei Sardi, i quali Quattrocento egli vide uccidere Alì Pascià (e pertanto por fine alla memorabile pugna) e portarsi via (proprio essi, ma pensi un po’) l’universalmente agognato vessillo della Reale, ch’è ancora a S. Domenico in Casteddu.
In ultima istanza Le chiedo: ma come le viene in mente di pensare che io abbia bisogno di un benestare “di tutta la schiera di archeologi” per il mio lavoro! Deve sapere, signore caro, che (per quanto modestamente) mi occupo di storia, mentre l’archeologo si occupa di cocci. Come vede operiamo in due discipline quanto mai distanti, senza alcun punto d’incontro se non nel momento della lettura dei risultati dei rispettivi lavori, che possono offrire spunti apprezzabili ad entrambi.
Per finire, esimio Studioso, mi pare ch’Ella viva in una sorta di paradosso. Infatti, mentre da un lato Ella è stata osteggiata, anzi (la qual cosa è peggiore) è ignorata dalla comunità scientifica locale (quella più deputata ad eventualmente apprezzare il Suo lavoro) tanto è vero che - mi pare di ricordare - un paio di anni addietro Lei fu costretto ad evidenziare dei positivi e lusinghieri apprezzamenti, per tale Sua opera, da parte di due studiosi “continentali” di rilievo, dall’altro, per quanto attiene giudizi verso il lavoro altrui, Lei prende per oro colato quanto esprima quella schiera schierata di pensatori. Anzi ancora meglio! Ove quella immobile falange decida di nulla esprimere, Lei bolla come inconsistente il lavoro di chicchessia!
Grazie, mikkelj.

mikkelj tzoroddu ha detto...

Carissima Atropa Bella Mente,
certo, da quel tuo punto di vista, può anche essere una colpa ma, avendone a dismisura, me ne faccio volentieri carico.
D’altro canto, originario, come sono, dei balzi granitici della Sardegna più interna, sono rimasto un poco, ma immeritatamente, il Sardo di molti millenni addietro, con la Sua specifica organizzazione neurale. Per Esso (motivando la meso-antico-neolitica sua propensione a rilasciare per iscritto soltanto fondamentali concetti), in relazione alla insofferenza verso il surplus comunicativo (figurarsi per l’infiocchettamento parolaio) ebbi a coniare questa frase: «il mio operare è scritto in modo indelebile nei risultati delle azioni compiute».
Grazie, mikkelj.

alberto areddu ha detto...

Egregio Tzoroddu,

grazie per gli "Ella", sarà una vita che non li sentivo più. Detto ciò il mio invito a consultare archeologi (= studiosi dell'antico) era sincero. Quando leggo di certe datazioni qua e là nel suo primo libro, un po' stupisco, e vorrei sentire qualcun altro che gliele confermasse o gliele controbattesse. Credo che di archeologi nostrani onesti e disposti all'ascolto ce ne siano (anche perché ce ne è un gran mucchio),nel mio campo invece c'è poca gente, e quella poca, come Lei ha richiamato, non solo finora mi ha disdegnato, ma si è fatta anche premura che io non pubblicassi proprio. Infine un complimento: Lei, come vedo dal primo saggio, si fatto una casa editrice (ovviamente: Zoroddu), con dotazione persino del codice ISBN. Quindi o è molto ricco (beato Lei !) o è molto abile. E se lo è anche distribuito bene. (se in privato mi volesse dare qualche suggerimento su come fare, La inviterei a scrivermi su illirica[chiocciola]tiscali.it)

mikkelj tzoroddu ha detto...

Gentile Illiricheddu,
non sono affatto né molto ricco né molto abile. Ho scelto di fare l'editore di me stesso perché il primo editore sardo (mi pare 300 titoli) al quale ho chiesto di pubblicare il mio primo libro, si è certamente immediatamente disposto a farlo. Ma appena saputo quanto sarebbe stato il corrispettivo di mia spettanza (il 5% o poco più) ritenni che essa non poteva essere la giusta ricompensa per anni ed anni di lavoro. Decisi pertanto, con la spesa di circa 250 euro, di fare l'editore, iscritto all'Albo (ma non ricordo più sia propriamente un Albo), aprendo una posizione iva ed effettuando una iscrizione alla Camera di Commercio. Per quanto riguarda il codice ISBN, l'agenzia allo scopo costituita, me ne ha dati dieci (bastevoli per dieci libri), al costo totale di circa novanta euro. Per la distribuzione: il primo si è rifiutato, il secondo ha fatto una distribuzione parziale, il terzo mi crea dei problemi. Poi vi sono state le librerie che hanno volutamente occultato il libro, ma sono queste, classificabili come naturalmente banali vicende di vita vissuta.
Riguardo gli studiosi (archeologi) cui Lei si riferisce, molte mie richieste, loro indirizzate, sono rimaste senza risposta: ma proprio questo non atto, era la manifestazione chiara di un loro atteggiamento il cui senso era così da me percepito: ma cosa vuole questo imbecille ignorante!
Ricordo in particolar modo la non risposta di un archeologo sardo, che dava per sicuramente avvenuta la conquista cartaginese della Sardegna, al quale indirizzai via mail, diversi anni addietro, più o meno la seguente domanda: Esimio professorele vorrei chiedere quali siano le fonti dalle quali Lei attinge la sua certezza.
Ma debbo dire che esistono anche le mosche bianche: ho avuto la fortuna questa estate di imbattermi a Sant'Imbenia in un archeologo docente alla Università di Sassari, con una disponibilità ed una apertura quasi utopiche, il signore Marco Rendeli.
Grazie, mikkelj.

mikkelj tzoroddu ha detto...

Carissimi Tutti, proprio Tutti,
anche Coloro che ancora non sono intervenuti. Un carissimi anche a Coloro i quali più di un anno addietro, scorrazzando e minacciando (anche azioni legali) in vari siti, la fecero da padroni, apparentemente imponendo la loro posizione passiva (perché di fatto essi avevano nessuna competenza in materia), volendo solo difendere loro intellettuali convinzioni obsolete, per il solo fatto che rimboccarsi le maniche e rimettere in discussione il proprio bagaglio culturale è operazione certo destinata a naufragare se non sostenuta da una autentica volontà di allargare la propria conoscenza. Mi piacerebbe intervenissero in questa sede, tutti, ma proprio tutti, anche coloro i quali mi dileggiarono per il solo fatto che io (da sconosciuto senza patente) avessi appena anche solo sfiorato (senza esservi per nulla entrato nel merito) un argomento che ritenevo essere alla portata di chiunque fosse armato di arguzia, buon senso ed in grado di ricucire trame sfilacciate che mettevano in luce una vergognosa mancanza di dati, ma che essi ritenevano campo esclusivo di loro ormai impietriti maestri. Mi piacerebbe intervenissero coloro, anche donne titolari di rubriche dei lettori, che appena sentirono essere mia intenzione inviare una lettera per lamentarmi dell’avversione cui era stata sottoposta la manifestazione di una idea, dissero che mai e poi mai avrebbero pubblicato una riga in cui si dicesse che i fenici non erano mai esistiti, perché i libri erano strapieni di affermazioni contrarie. Mi piacerebbe intervenissero tutti i direttori culturali della ventina di quotidiani ai quali manifestai il mio disagio per aver visto l’avversione per la insorgenza di una idea, i quali non mi degnarono neanche d’una risposta di circostanza, perché ero appunto (ma lo sono ancora) uno sconosciuto senza patente. Mi piacerebbe intervenissero i due o tre onorevoli ai quali feci presente si stesse calpestando uno dei sacri principi costituzionali, i quali non mi degnarono neanche “d’un guardo”. Ma proprio perché sono ancora uno sconosciuto senza patente, i succitati non interverranno affatto. I più (pusillanimi senza volto) perché correrebbero il rischio di naufragare nel mare (solo ora procelloso) d’una cronica ignoranza; una parte perché dovrebbe fare un mea culpa che mai torna comodo alla carriera; certuni perché convinti che un loro intervento porterebbe vento al mio mulino; altri perché rimuginano una chissà quale vendetta. Ma questo è il mondo che ci compete, alla cui disedificazione abbiamo tutti contribuito e forse io più di tutti, perché, da ingenuo, mi sono permesso di offendere quella parvenza di sensibilità culturale che è sensibile solo se viene lesa una propria piccola certezza.
Grazie, mikkelj.

Gigi Sanna ha detto...

Caro Mikkelj, io intervengo per dire solo che basta pochissimo per capire le qualità e lo spessore di chi si ha di fronte. Non ci vuole un libro. Mi è bastata la tua osservazione sull'obliquità delle linee di scrittura della Stele di Nora. Sono lì che la manifestano a tutti ma solo tu le hai notate! L'osservazione fa il paio con quella geniale di Aba sulle ormai famose simmetrie laterali con scritta SHLM invertita. Sono lì da duecento anni e nessuno mai le aveva notate! Anch'esse linee sono simmetriche. La risposta sulle piccole e grandi scoperte? Sono combinazioni. L'ovvia risposta dei sempliciotti e di coloro che hanno il callo per le stupidaggini.
Non aggiungo altro se non per mettere in rilievo che è confutando nel tuo aureo libretto, in modo scientifico (ma sei tu o gli altri che studiano i ...cocci?), uno stupido epigrafista della domenica che hai scoperto uno dei documenti nuragici scritti della ormai ricca collezione. Inesistente per gli struzzi. E come no!
Lavora, lavora, fai ricerca,scrivi scrivi, che con il giornale di Gianfranco arrivi in tutto il mondo! Di tutto il resto: 'chi se ne frega'? E' il consiglio di un saggio di questo Blog. Sì, non ce ne frega nulla. Anche questo è bene che si sappia, dappertutto.