martedì 15 settembre 2009

Tira brutta aria intorno alla lingua sarda

Vorrei sbagliarmi, ma non sento spirare aria buona intorno alla lingua sarda e – non è superfluo ripeterlo – al gallurese, al sassarese, al tabarchino e al catalano d'Alghero, anche se questa lingua gode di una tutela specifica da parte dello Stato. Dividerei in due categorie le mie preoccupazioni che solo Sardus pater sa quanto vorrei infondate: in ambito istituzionale e in ambito sociale e politico. Comincio da queste ultime.
Nelle consultazioni con province, comuni, parti sociali sul nuovo Piano regionale di sviluppo, a quel che risulta dai resonconti dell'addetto stampa dell'assessore La Spisa, non c'è stata una sola persona che abbia fatto rilevare una cosa molto banale: se la promozione della lingua non è assunta come possibile motore di sviluppo, essa è destinata alla marginalità e al ruolo di abbellimento da acquistare solo nel caso in cui sul fondo del barile sia rimasta qualche monetina. Su Comitadu pro sa limba sarda (1.679 iscritti ad ora) ha ricordato questa “banalità” anche all'assessore La Spisa, in una lettera in cui si chiede alla Regione di riconoscere nel suo Piano la funzione economica della lingua. Che la mancata risposta dipenda dal fatto che gli amministratori, con il loro silenzio, hanno dato a intendere che si tratta di un dettaglio di poco conto?
I venti milioni di euro che per suo conto la Regione ha destinato a salvare per un anno i precari della scuola potevano e forse ancora possono essere un'occasione anche per proporre alle scuole percorsi formativi di e in lingua sarda (e delle altre lingue nei territori interessati) e di storia della Sardegna. Stando alle cronache delle manifestazioni dei precari sardi, non mi sembra proprio che ci sia una gara a proporre progetti in questo senso che, del resto, potrebbero instaurare un circolo virtuoso che renda necessari questi progetti negli anni avvenire e almeno opportuna una continuità didattica. D'altra parte, l'autonomia scolastica sconsiglia l'assessore dall'imporre una scelta del genere.
Ai dirigenti scolastici è arrivata una circolare (rintracciabile comunque in internet) che rende disponibili soldi della legge 482 per la realizzazione di progetti nel campo dello studio delle lingue minoritarie come il sardo. Vi si parla di insegnamento della e nella lingua di minoranza, della progettazione per due anni di proposte formative che interessino almeno tre scuole. Insomma è una proposta avanzata e dotata di risorse. Ho solo pallidi riflessi di quanto succede nelle scuole, ma questi non segnalano una corsa a fare tali progetti per l'insegnamento del e in sardo.
Leggo in una intervista con il sardista Paolo Maninchedda, anch'egli destinatario muto della lettera de su Comitadu, del suo interesse per un nuovo Statuto che dovrebbe essere frutto di una Assemblea costituente (bisognerà riparlarne) che potrebbe persino portare all'indipendenza. Curioso, e molto desolante visto il partito cui appartiene, l'abbozzo di programma per l'indipendenza: economia e fiscalità. Nemmeno per dovere d'ufficio – il sardo è nel programma del Psd'az – una sola parola sulla lingua sarda che, mi pare, dovrebbe essere elemento fondante della nazione di cui si vuole l'indipendenza.
Insomma, fosse per i soggetti che ho citato, la lingua sarda potrebbe essere pronta per il feretro, su cui naturalmente piangere calde lacrime. Perché, sia chiaro, tutti sono per il sardo, purché se la campi da solo e non pretenda finanziamenti. Su questo blog si è lungamente discusso sul programma elettorale che ha portato alla elezione di Ugo Cappellacci. E si è anche salutato con prudente soddisfazione il fatto che sia il presidente della Regione, sia quella del Consiglio, sia l'assessore Baire hanno più volte affermato la centralità della lingua sarda nella politica identitaria del nuovo governo. Il finanziamento dell'Atlante toponomastico è certamente un buon segno. Non vorrei che fosse considerato sufficiente e che, in un revival di economicismo, favorito certamente dalla pesante crisi industriale della nostra Isola, si pensasse che la lingua può aspettare tempi migliori, quando le varie crisi siano state risolte. O che, peggio, si continui a finanziare, spacciati come valorizzazione della lingua, le consuete ricerche – fatte e scritte in italiano – sui proverbi dei nonni. Si continui, cioè, a considerare la lingua un epifenomeno della cultura, qualcosa che sta alla cultura come il succedaneo del caffè sta ad una gustosa miscela di Arabica.

Nella foto: l'assessore della Cultura Lucia Baire

14 commenti:

Anonimo ha detto...

Maura M ha scritto:
Caro Zfrantziscu,
in tempo di elezioni le avevo già detto che nel programma di cappellacci le parole "patrimonio di identità, lingua etc. del popolo sardo" (e non si parlava di lingua sarda) sarebbero state uno specchietto per le allodole. Fin troppo facile profezia.
L'assessorato alla cultura ha già dimostrato che cosa intende finanziare: le iniziative di "cultura religiosa" legate alla Curia cagliaritana, gli editori amici, e naturalmente non da ultimo le pretese italiote, a partire da quelle di Comincioli (vedi i 300.000 euro sborsati per l'assurdo premio rodolfo valentino, già in mano agli amici di Giampy Tarantini, in tempi in cui si taglia pesantemente sulla scuola sarda). E ça suffit.
Quanto a La Spisa, quando parlerà di "lingua sarda" a me daranno il nobel per la fisica. Ha mai letto cosa scrisse il guru dei ciellini, il divo Giulio, sul loro giornale, 30giorni, riguardo alla lingua sarda? Io me lo ricordo ancora.

milton ha detto...

caro Zfrantziscu,
ma che ti aspettavi da simili avventurieri? forse sarebbe stato meglio sostenere Soru, a suo tempo...

zfrantziscu ha detto...

Cari Maura e Milton, c'è molto di peggio dell'essere "creduloni": rinchiudersi nel non fare alcunché per poter dire un giorno: "Ve l'avevo detto".
Non saremmo stati in queste condizioni, se Soru avesse mantenuto le sue promesse sulla promozione della lingua sarda. Ricordo a Milton che la spesa prevista da Soru è di 1.270.000 euro, la metà di quanto vi ha speso il bieco Berlusconi. Tanto per dire che, in conto di lingua sarda, nessuno può scagliare la prima pietra.
Su Comitadu, intanto, continua la sua battaglia per convincere il nuovo governo sardo che - ha ragione Maura - le lingue non sono una ciliegina sulla torta della cultura. E invita anche voi a unirsi alla battaglia per la lingua.

Antonimaria Pala ha detto...

SA LIMBA EST CHISTIONE DE CHERVEDDU

Su Comitadu pro sa limba sarda, at mandadu una lìtera a sos membros de s’esecutivu regionale e a sas cummissiones cumpetentes in matèria de bilànciu e cultura.
At pedidu a sos amministradores de turnu, de dare carchi sinnale de importu, chi diat resone a sa majoria de sos sardos chi los ant seberados pro los amministrare, finas pro more de s’impinnu chi si ant pigadu in ala a sa limba sarda. Su Comitadu traballat gasi. No isetat chi chie tenet responsabilidades de guvernu dispiagat sa gente lassende sas cosas sena fàghere, pro tènnere sa manera de bi lis ghetare in cara cando torrat su tempus de votare a nou. No, intames, a chie tenet s’ònere e s’onore de ghiare su pòpulu sardu, su comitadu li ammentat onni die – e non si istracat mai- chi sunt amministrende a totus, comente sos chi sunt impinnados cun sa limba lu sunt ca sa limba est de totus. Pro cussu guvernant a borta a borta, sos chi sunt como de unu e tando de s’àteru colore, e gasi e totu traballant pro sa limba totu cantos, sena distintzione de colore, sos chi sunt in custu Comitadu e in àteras realidades de su movimentu linguisticu.
A bìnchere sas votatziones bi cheret proposta de gabale, unidade in sos programmas, capatzidade de bidere su benidore, e mascamente intelligèntzia de interpretare su chi su pòpulu isetat e diat chèrrere chi siat fatu.
Pro cussu so cumbintu chi su guvernu regionale at a dare luego un’imposta de profetu, ponzende in su programma de isvilupu sas chistione de sa limba e, apo ispera, finas dende provas de cussideru a sas chistiones de emergèntzia linguistica, chi sunt urgentes comente a totu su chi pertocat su sensu e s’interessu finas econòmicu de sos sardos.
Galu no est giòmpida mancu una paràula dae sos destinatàrios de sa lìtera. Ma deo, paris a una truma manna, manna, de iscritos a su Comitadu, non tenzo motivu de pònnere in duda sa capatzidade chi finas custu guvernu apat, de perseverare in s’intelligèntzia. Su Cumitadu at pigadu publicamente s’impinnu de lu fàghere, e, torro a nàrrere, mancu de custu tenzo duda peruna: sena s’istracare, isetende e faghende, cun fide bona.

Antonimaria Pala

milton ha detto...

Caro Zfrantziscu,
ti sei mai domandato perché in Catalogna esista una legge di immersione linguistica dall'asilo al diploma e perché tutti i politici catalani, anche quelli centralisti del PP, non si esprimano in castigliano? Oppure come siano riusciti i baschi a reimparare la loro difficilissima lingua ed a imporla come veicolare in un terzo delle scuole? Io credo che il motivo principale di ciò sia che baschi e catalani vogliono parlare la loro lingua, che abbiano bisogno di difendere la propria identità, la quale non è solo linguistica, ma comprende il territorio, l'economia e la propria dignità culturale. Territorio, economia, dignità culturale: che ne sanno i domestici del vescovo e dell'utilizzatore finale?
Sinceramente non comprendo perché tu critichi il festival di Gavoi, nel quale i sardi sarebbero relegati ad arrostitori, e non abbia rivolto la stessa critica a una giunta messa insieme e portata al governo al fine di ripristinare il clientelimo e gli interessi di pochi e che sicuramente relega i sardi a giardinieri, camerieri e muratori. Intendo dire che se anche Cappellacci offrisse per la lingua sarda il quadruplo della somma messa a disposizione da Soru, i sardi non la reimparerebbero comunque e la considererebbero solo uno spreco di denaro, come per il friulano. Io credo invece che i sardi riprenderbbero a parlare il sardo, se si sentissero fieri di sé, se avessero la possibilità di costruire il proprio futuro, se il proprio territorio, usato infatti come latrina (da' un'occhiata alle cunette), non fosse in balia di speculatori e servitù militari etc etc.
Beh, con tutti i suoi difetti ed errori Soru una cosa l'aveva capita: senza identità non c'è sviluppo e la sua sconfitta è stata la vittoria (speriamo provvisoria) dei troppi sardi che non hanno voglia di rimboccarsi le maniche e costruire il proprio paese: troppo faticoso, meglio le regalie dei cacicchi della Regione.
Quanto all'impegno di ognuno di noi per la lingua sarda, io la sto reimparando a marce forzate per usarla, e quanto a quello per la Sardegna credo che il primo dovere di ognuno di noi sia, come diceva Gramsci, di essere partigiano.
A menzus biere.

Anonimo ha detto...

Di sicuro la lingua sarda non ha nessuna speranza finché coloro che realmente s'impegnano in suo favore continueranno assurdamente e vergognosamente ad essere ricoperti di insulti invece di essere ringraziati.

Massimiliano Pettorossi

Anonimo ha detto...
Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.
Anonimo ha detto...

Se non ho capito male l'intervento del Casula come il titolo indicherebbe, voleva Egli dirci in filigrana che come siamo stati per secoli (e non ne siamo morti) senza la pressante oppressione culturale dell'italiano, in qualche modo potremmo tornare a farne a meno. Mah, ho qualche dubbio, anche se proibito l'uso dell'italiano, gli intellettuali di Sardegna continuavano a bazzicare le università di Italia tra '500 e '700, e bisognebbe fare una verifica documentaria (qualcosa fece tempo addietro Cadoni) su quale fosse il patrimonio bibliotecario degli intellettuali di allora (attraverso i lasciti testamentari), per scoprire che forse forse l'Italia era più amata, anche in quel periodo, della Spagna. Sta di fatto che la Sardegna e per la sua condizione di isolamento, e perché sostanziale sinecura di Scolopi e Gesuiti, da allora non ha mai germogliato una letteratura che non fosse quella arcadica, grossolana e paesanotta; invocare i soliti condaghes, CDS ecc, come indicatori della esistenza di una lingua nostrana, sarebbe come invocare a lingua il codice di procedura penale italiano: un testo normativo non ci dice quale lingua reale si parlasse in certi contesti. La divisione linguistica non va vista poi come un male, ma come un fatto naturale che c'è in tutte le realtà geograficamente estese. Ma è tra Ottocento e Novecento, quando la cultura inizia a diffondersi, che invece che riuscire a guardare a Cagliari, e investire risorse su un centro produttivo che potesse diventare centro d'elaborazione intellettuale della Sardegna, si è preferito guardare da parte dei maitre-a-penser nostrani, alla genuina identità dei centri interni (pensiamo all' autocoscienza primitivista riflessa, che ha prodotto l'aver avuto una scrittrice come la Deledda), ora continuando a favoleggiare della stratosferica bontà del logudorese illustre (in realtà sottoprodotto delle curie vescovili e dei gesuiti) ora, ultimamente, a seguito della metabolizzazione del Wagner, dei ritrovati linguistici del genuino nuorese (un cui sottoprodotto è il "corrainese", benché Bolognesi non se ne sia accorto). Alla Sardegna, caro Casula, mancò e manca una capitale, manca un centro di gravità che dia il movimento all'orologio sardo che è ben fermo al Medioevo. Per quanto riguarda il Wagner, che Bolognesi viene a citare a sproposito, fu uomo del suo tempo, quando di linguistica generativa neanche se ne sentiva l'odore: attaccarlo su questo versante, è come accusare Napoleone per non aver attaccato l'Inghilterra cogli aeroplani.


a.areddu

zuannefrantziscu ha detto...

Caro Areddu,
ho dovuto cancellare il suo post precedente perché inutilmente offesivo della moralità di una persona. Per la stessa ragione ho dovuto cancellare un suo articolo del 28 di maggio, con i numerosi, relativi commenti alcuni dei quali severamente critici nei suoi confronti.
La prego di tenerne conto nel futuro

zuannefrantziscu ha detto...

Caro Milton,
non mi sono domandato perché in Catalogna e Euskadi succede qualche che tu dici perché nelle lunghe frequentazioni delle due nazioni ho toccato con mano quelle realtà. Quel che, mi pare, ti sfugga è che quanto è capitato è anche frutto di una forte reazione al franchismo contro cui i sardi non hanno avuto a che fare. In Italia la politica di repressione delle lingue minorizzate, pur grave e trasversale, non è neppure paragonabile a quella del franchismo. La storia è una brutta bestia, difficilmente interpretabile con schemi ideologici e paradigma.
Quanto alla tua totale disistima nei confronti di Cappellacci (evidentemente non condivisa dalla maggioranza degli elettori) e il tuo apprezzamento per Soru, non sono molto interessato a contestarli. Questo blog è buon testimone dell'attenzione per gli impegni di Soru per la lingua e della disillusione per la vincente contropolitica dei suoi alleati che ha impedito a Soru di presentare la sua legge di politica linguistica in tempi utili a sottrarla ad una evidente strumentalità propagandistica. Approvare la legge quarantotto ore prima che si decidesse lo scioglimento del Consiglio significa mostrare nessuna voglia di farla approvare.
Ci sono due atteggiamenti fondamentali in chi pensa alla valorizzazione della lingua. L'uno è quello di sperare che un nuovo governo rimanga inerte e non attui il suo programma per fargliela pagare alle elezioni successive. L'altro è tallonarlo giorno per giorno per far sì che l'impegno con gli elettori sia rispettato e di farlo anche attraverso critiche come quelle che hanno originato il tuo graditismo commento.
Questo è il mio atteggiamento e quello del Comitadu pro sa limba sarda, 1702 membri di ogni parte della politica e dell'antipolitica. E il tuo? Aspetti sulla riva del fiume che passi il cadavere della lingua per fargliela pagare a Cappellacci?

arentu ha detto...

Caru Zuannen Frantziscu, e como a inue nos ziramus? Bido solu filu ispinadu intundiu a nois. Fortzis in s'ateru mundu, inue paret non b'apat puliticos, amus a poder faeddare e iscrier sa limba nostra chena iscambeddos e tramojas. Diat parrer chi pro sa manca e pro sa drestra sa pulitica siat s'arte de s'impossibile... pro sa limba sarda. A parrer meu est zustu de facher cras su ch'amus fatu finas a oe. Faeddare e scriere chena non isettare nudda dae sos ateros e prus pacu dae sa pulitica. Nos an a zuicare sos de su tempus benidore, cando pro chircare sas raicrinas issoro an a dever istudiare su ch'amu iscrittu nois. E issos no an aer ne de Soru ne de Capelacci unu bell'ammentu. Larentu

milton ha detto...

Caro Zfrantziscu,
non intendo svilire né disprezzare il tuo impegno per la lingua sarda, ma soltanto evidenziare una considerazione di fondo che credo tu possa condividere: senza cultura non esiste cultura sarda e tanto meno lingua sarda; senza territorio, deturpato dalla piccola e grande speculazione, in mano ai Briatore e Smaila, sequestrato dalle servitù militari non esiste sviluppo; senza sviluppo non esiste né fierezza né dignità né futuro né nazione sarda e tanto meno indipendenza (io m'accontenterei dell'Estatut catalano...).
Ecco perché i famigli del califfo, ancorché eletti dalla maggioranza, non mi rappresentano, né come sardo né come cittadino!
Saluti cordiali.
Ps alla Aste Nagusia di Bilbao due anni fa pioveva a secchiate ma una piazza intera, giovani e anziani, rimaneva immobile un'intera mattina a sentire i bertxolaris, la gara poetica. In Sardegna simile affetto è riservato a Marco Carta... Una legge Cappellacci-Baire sul bilinguismo cambierebbe ciò o non sarebbe meglio liberarsi di Cappellacci, del suo referente e delle di lui televisioni?

zfrantziscu ha detto...

Caro Milton,
io non so in quale Sardegna tu viva. Nella mia, piazze affollate per sentire sos cantadores come in paesi dell'Eskadi i loro bertxolaris, altre piene di gente per sentire un tenore o una gara di chitarra o di sonetes, sono fatti normali. Certo le piazze si riempiono anche per sentire Marco Carta o Paolo Fresu, ma anche a Donostia-San Sebastiano ho visto una piazza piena a sentire Julio Iglesias. Trovo normalissimo che la gente normale possa avere gusti complessi. Io vado in brodo di giuggiole sentendo unu tenore bene pesadu e dischi di Ornella Vanoni o dei Bee Gees – sono un po' attempatotto, come capirai.
Nel tuo dividere il mondo fra i buoni e i mostri, il bene assoluto e il male assoluto, perdona ma non ti seguo. Così come mi pare profondamente errata la tua concezione retrò, secondo cui “senza cultura non esiste cultura sarda e tanto meno lingua sarda”. È vero semmai il contrario: senza lingua sarda (nella sua millenaria evoluzione, naturalmente) non esisterebbe la cultura sarda. Nella lingua c'è – cito a memoria Gramsci – una concezione del mondo. Lo sciagurato concetto secondo cui la lingua è un epifenomeno della cultura ci ha regalato cinquanta anni di autonomia di silenzio sul sardo e nel 97 una legge che, essendo titolata sulla cultura e la lingua sarda come pretese il Pci, ha fatto avanzare di pochissimo la lingua e moltissimo il vezzo di far fare ai ragazzi ricerche in italiano sui detti sardi e di pubblicare libri in italiano con il titolo in sardo.

Anonimo ha detto...

“Non si abita un paese ma si abita una lingua” è una frase di un rumeno trasferitosi a Parigi negli anni trenta del secolo scorso, forse il più grande scrittore tra quelli che, nel novecento, hanno scritto in francese: Emil Cioran. Per conto mio il più grande scrittore in assoluto del secolo passato. La pensava sostanzialmente come Gramsci: dietro una lingua la concezione del mondo e, dunque, la cultura vissuta dal popolo che abita quella lingua. Ma allora che ne è di un popolo se sulla sua lingua passeggiano non più i Pirandello, i Pasolini o i Montanelli ma i Moccia-Muccino e i Bel Pietro?
Caro sig. Pintore, lei critica certa “egemonia culturale” che poco fecce avanzare la lingua sarda e moltissimo certi vezzi (anche noiosi). Forse non le si può dar torto ma è vero anche che quell’aria culturale conteneva gli strumenti per criticare se stessa. Se per “egemonia culturale” si intende costruzione di “senso comune”, allora da almeno venti anni la palla è in mano alla tv commerciale, la classe politica che ci governa, e anche questa sua opposizione, ci sono state rifilate attraverso quel mezzo, la lingua, la concezione del mondo, sono state filtrate a dovere e oggi quelli che hanno venti anni rischiano di non avere più strumenti per criticare un bel nulla, e chi ha più di venti anni rischia, almeno, di avere le idee confuse. E allora che lingua abiteranno i Sardi tra qualche anno? Quale concezione del mondo sentiranno il bisogno di esprimere? È sicuro, sig. Pintore, che fra qualche anno basterà una buona legge a tutela della lingua sarda, come forse sarebbe bastata quaranta anni fa? È proprio sicuro che, tutto sommato, il problema sia sempre il solito: il soffocante “granditalianismo”? O ci troviamo a dover affrontare, piuttosto, una sorta di “grandenientismo”, un mostro che consuma la lingua, sia essa italiana, sarda o friulana, perché rende più povera la concezione del mondo di chi la parla e ci abita dentro? E allora un giorno ci sorprenderemo a voler tutelare una lingua morta perché dietro avrà il niente.

P.S.
Marco Carta è un simpatico ragazzo, mi dicono, tra l’altro, che ha fatto una versione in sardo della sua ultima canzone, qualcuno sostiene che sia pure un bravo cantante. Fresu forse è meno simpatico ma non c’è dubbio sul fatto che sia un grande musicista, e tutto sommato non glielo faceva fare nessuno a tornarsene a Berchidda ogni agosto, da più di vent’anni, a mettere la faccia su una rassegna musicale. Il suo festival è una buona cosa per i sardi, è un arricchimento. In quei giorni a Berchidda si sentono tanti accenti diversi ma ci si sente decisamente in Sardegna e si ascolta ottima musica.

Pietro Murru