de Larentu Pusceddu
S’annu 2009
bos batat bonu proe
bos batat su triballu
chi duret chena fallu
finas a sa betzesa
siat sa zentilesa
chi cumandet su rude
bos donet sa salude
e-i sa serenidade
versos bellos cantade
in oche e in cuche
pro s’eternu sa luche
distruat s’iscuricore
pro s’eternu s’amore
bincat totu sas gherras
e su mundu fatu a perras
torret derettu intreu
custu s’auguriu meu
pro sa zente de oe
Bonu 2009
mercoledì 31 dicembre 2008
Gli scivoloni dei feniciomani
di Massimo Pittau
Sta montando la marea dei Sardi che manifestano la loro opposizione al cambio del nome del «Golfo di Oristano» in quello di «Golfo dei Fenici» e, più in generale, la loro opposizione alla “feniciomania” da cui si mostrano affetti alcuni cultori di storia della Sardegna antica. Questi vedono “Fenici” dappertutto, nei siti di antichi insediamenti, nei resti o reperti archeologici e anche nei toponimi dell’Isola.
Per il vero essi hanno scarsissima competenza e autorità ad interloquire in problemi di toponomastica sarda, posto che sono di prevalente, se non di esclusiva formazione “archeologica”. Pertanto le loro elucubrazioni toponomastiche sono nella massima parte dei casi del tutto prive di valore scientifico. Ad esempio, essi insistono nel ripetere che Tharros, Othoca e Cornus sono toponimi di “matrice fenicia”, nonostante che noi linguisti abbiamo detto e dimostrato che in realtà si tratta di “toponimi nuragici”. Essi poi sorvolano del tutto sul fatto di evidenza solare che il toponimo Neapolis nella riva meridionale del Golfo di Oristano è sicuramente una voce greca che significa «città nuova», per cui molto probabilmente indicava un insediamento greco, non uno fenicio. Altro esempio: traducono una iscrizione neopunica incisa nel manico di una brocca come «Questa brocca è caduta, ha versato il suo contenuto» (vedi catalogo della mostra fatta ad Oristano nel 1997 Phoinikes B Shrdn - I Fenici in Sardegna, pgg. 35, 48, fig. 64), non accorgendosi che una iscrizione di tale significato sarebbe una autentica irrazionalità: nessuno infatti scriverebbe una simile iscrizione su una brocca non caduta e quindi ancora intera e a maggior ragione su una brocca caduta e quindi frantumata, cioè su un suo frammento o coccio.
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Sta montando la marea dei Sardi che manifestano la loro opposizione al cambio del nome del «Golfo di Oristano» in quello di «Golfo dei Fenici» e, più in generale, la loro opposizione alla “feniciomania” da cui si mostrano affetti alcuni cultori di storia della Sardegna antica. Questi vedono “Fenici” dappertutto, nei siti di antichi insediamenti, nei resti o reperti archeologici e anche nei toponimi dell’Isola.
Per il vero essi hanno scarsissima competenza e autorità ad interloquire in problemi di toponomastica sarda, posto che sono di prevalente, se non di esclusiva formazione “archeologica”. Pertanto le loro elucubrazioni toponomastiche sono nella massima parte dei casi del tutto prive di valore scientifico. Ad esempio, essi insistono nel ripetere che Tharros, Othoca e Cornus sono toponimi di “matrice fenicia”, nonostante che noi linguisti abbiamo detto e dimostrato che in realtà si tratta di “toponimi nuragici”. Essi poi sorvolano del tutto sul fatto di evidenza solare che il toponimo Neapolis nella riva meridionale del Golfo di Oristano è sicuramente una voce greca che significa «città nuova», per cui molto probabilmente indicava un insediamento greco, non uno fenicio. Altro esempio: traducono una iscrizione neopunica incisa nel manico di una brocca come «Questa brocca è caduta, ha versato il suo contenuto» (vedi catalogo della mostra fatta ad Oristano nel 1997 Phoinikes B Shrdn - I Fenici in Sardegna, pgg. 35, 48, fig. 64), non accorgendosi che una iscrizione di tale significato sarebbe una autentica irrazionalità: nessuno infatti scriverebbe una simile iscrizione su una brocca non caduta e quindi ancora intera e a maggior ragione su una brocca caduta e quindi frantumata, cioè su un suo frammento o coccio.
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martedì 30 dicembre 2008
La maschera e il volto della lingua sarda
di Franco Laner
Fortza paris!
L'avevo pensato anch'io quando ho cercato di mettere assieme gruppi, persone, studiosi del periodo nuragico! Non è andata come speravo, anche perché ho mollato io per primo e poi perché, pur condividendo la grande opportunità che internet ci offre, il contatto umano è qualcosa di indispensabile! Parlare, interpretare le espressioni, i gesti, anche il semplice silenzio (dei sardi in particolare!), è assai più eloquente di pagine di scrittura!!
Questo contatto non ce l'ho e per questo mi sento lontano!
Nell'augurarvi buon anno, volevo semplicemente ringraziarvi. Intanto Gigi Sanna perché nell'ultimo intervento mi è piaciuto molto: giustamente duro con troppi cagoni ancora scioccamente in giro, ma più sensibile anche alle fievoli critiche di persone che davvero vogliono capire! Qualcosa riesco a percepire anch'io, ma per partecipare ci vorrebbe un minimo di lessico comune, sia per le questioni della scrittura nuragica, sia per sa limba!
Su quest'ultimo tema, molto gettonato nel blog, ho solo curiosità: voglio proprio vedere come riuscirete a comporre un puzle quasi continentale e ridurre ad uno la complessità. Ho difficoltà a capire la trinità, uno e trino, sorrido pensando all'unità linguistica sarda! E quando leggo una scrittura sarda che quasi capisco anch'io, mi vien da piangere, perché è artificiale. Ma, a forza di insistere la maschera diventerà il volto!
Comunque entrambi i temi non mi appartengono e mi dispiace. Leggo però volentieri il dibattito, ma mi sembra di seguire la messa dal sagrato!
Complimenti a Gianfranco, per l'intelligenza con cui ha saputo fare crescere il dibattito! L'ammirazione per entrambi perché fate della perseveranza il grimandello per allargare idee e il confronto!
Buon anno dunque e a leggervi sempre!
Caro Franco, il tuo bell’inno all’intelligenza, alla capacità di intelligere minando le certezze dei poltroni, mi dà l’occasione di chiarire (parola grossa, ma non ne trovo altra) un paio di cose. La prima, più impellente, riguarda la nostra lingua. Hai ragione, o Fra’, il tentativo in atto è gigantesco: comporre complessità e unità, mirare all’unità salvando la complessità, è impresa davvero grande, ma non ce n’è altra per salvare il sardo dalla residualità folclorica.
Ci hanno insegnato, non dico sulla punta delle baionette ma quasi, che i 377 dialetti sardi (compresi il gallurese, il sassarese, il catalano di Alghero, il tabarchino) se se la volevano campare, dovevano fare ciascuno qualcosa di proprio conto. Perché – ecco l’inghippo – sono fra di loro non comunicanti. Nei paesi a più forte emigrazione e più isolati, i giovani hanno smesso, proprio smesso, di conoscere il sardo perché a uno di Atzara che doveva andare a studiare a Sorgono era stato inculcato che in quest’ultimo paese non sarebbero stati capiti. In tutta la Sardegna, oggi, solo il 13 per cento dei giovani conosce il sardo e lo parla. Salvo scoprire, una volta all’Università, che questa non comunicabilità è una cazzata. Per moltissimi è troppo tardi.
Per ora e chi sa per quanto tempo, la riduzione all’unità riguarda solo la lingua diplomatica, quella che serve alla Regione per comunicare all’esterno (ma io l’ho usata nel mio ultimo romanzo e in quello che sta per uscire e ti assicuro che nessuno se ne è lamentato: può benissimo essere, con adattamenti e molto studio lessicale, anche una lingua letteraria). Una lingua scritta comune non è affatto di ostacolo all’uso dei 377 dialetti, anzi.
Tu dici “quando leggo una scrittura sarda che quasi capisco anch'io, mi vien da piangere, perché è artificiale”. Niente di tutto questo: la lingua che “quasi capisci” è per oltre il 90 per cento la lingua effettivamente parlata in un triangolo al centro della Sardegna. La cosa è stata misurata scientificamente con l’uso del computer da Roberto Bolognesi. (Il suo studio è linkato in questo blog). Quanto al fatto che “quasi la capisci”, non mi stupisce essendo il sardo, così si dice, una lingua neo-latina: con un po’ di attenzione tutti “quasi capiamo” lo spagnolo e il catalano e il francese e il rumeno, senza che per questo uno pensi che quelle lingue siano artificiali o, peggio, non lingue.
La battaglia è lunga e molto difficile, caro Laner, ostacolata da chi, in buona o in cattiva fede, preferirebbe la morte lenta e per consunzione dei dialetti pur di non accettarne una codificazione e una normalizzazione. Ma, come dici, a forza di insistere la maschera diventerà il volto, anche perché la maschera è già il volto. [gfp]
Fortza paris!
L'avevo pensato anch'io quando ho cercato di mettere assieme gruppi, persone, studiosi del periodo nuragico! Non è andata come speravo, anche perché ho mollato io per primo e poi perché, pur condividendo la grande opportunità che internet ci offre, il contatto umano è qualcosa di indispensabile! Parlare, interpretare le espressioni, i gesti, anche il semplice silenzio (dei sardi in particolare!), è assai più eloquente di pagine di scrittura!!
Questo contatto non ce l'ho e per questo mi sento lontano!
Nell'augurarvi buon anno, volevo semplicemente ringraziarvi. Intanto Gigi Sanna perché nell'ultimo intervento mi è piaciuto molto: giustamente duro con troppi cagoni ancora scioccamente in giro, ma più sensibile anche alle fievoli critiche di persone che davvero vogliono capire! Qualcosa riesco a percepire anch'io, ma per partecipare ci vorrebbe un minimo di lessico comune, sia per le questioni della scrittura nuragica, sia per sa limba!
Su quest'ultimo tema, molto gettonato nel blog, ho solo curiosità: voglio proprio vedere come riuscirete a comporre un puzle quasi continentale e ridurre ad uno la complessità. Ho difficoltà a capire la trinità, uno e trino, sorrido pensando all'unità linguistica sarda! E quando leggo una scrittura sarda che quasi capisco anch'io, mi vien da piangere, perché è artificiale. Ma, a forza di insistere la maschera diventerà il volto!
Comunque entrambi i temi non mi appartengono e mi dispiace. Leggo però volentieri il dibattito, ma mi sembra di seguire la messa dal sagrato!
Complimenti a Gianfranco, per l'intelligenza con cui ha saputo fare crescere il dibattito! L'ammirazione per entrambi perché fate della perseveranza il grimandello per allargare idee e il confronto!
Buon anno dunque e a leggervi sempre!
Caro Franco, il tuo bell’inno all’intelligenza, alla capacità di intelligere minando le certezze dei poltroni, mi dà l’occasione di chiarire (parola grossa, ma non ne trovo altra) un paio di cose. La prima, più impellente, riguarda la nostra lingua. Hai ragione, o Fra’, il tentativo in atto è gigantesco: comporre complessità e unità, mirare all’unità salvando la complessità, è impresa davvero grande, ma non ce n’è altra per salvare il sardo dalla residualità folclorica.
Ci hanno insegnato, non dico sulla punta delle baionette ma quasi, che i 377 dialetti sardi (compresi il gallurese, il sassarese, il catalano di Alghero, il tabarchino) se se la volevano campare, dovevano fare ciascuno qualcosa di proprio conto. Perché – ecco l’inghippo – sono fra di loro non comunicanti. Nei paesi a più forte emigrazione e più isolati, i giovani hanno smesso, proprio smesso, di conoscere il sardo perché a uno di Atzara che doveva andare a studiare a Sorgono era stato inculcato che in quest’ultimo paese non sarebbero stati capiti. In tutta la Sardegna, oggi, solo il 13 per cento dei giovani conosce il sardo e lo parla. Salvo scoprire, una volta all’Università, che questa non comunicabilità è una cazzata. Per moltissimi è troppo tardi.
Per ora e chi sa per quanto tempo, la riduzione all’unità riguarda solo la lingua diplomatica, quella che serve alla Regione per comunicare all’esterno (ma io l’ho usata nel mio ultimo romanzo e in quello che sta per uscire e ti assicuro che nessuno se ne è lamentato: può benissimo essere, con adattamenti e molto studio lessicale, anche una lingua letteraria). Una lingua scritta comune non è affatto di ostacolo all’uso dei 377 dialetti, anzi.
Tu dici “quando leggo una scrittura sarda che quasi capisco anch'io, mi vien da piangere, perché è artificiale”. Niente di tutto questo: la lingua che “quasi capisci” è per oltre il 90 per cento la lingua effettivamente parlata in un triangolo al centro della Sardegna. La cosa è stata misurata scientificamente con l’uso del computer da Roberto Bolognesi. (Il suo studio è linkato in questo blog). Quanto al fatto che “quasi la capisci”, non mi stupisce essendo il sardo, così si dice, una lingua neo-latina: con un po’ di attenzione tutti “quasi capiamo” lo spagnolo e il catalano e il francese e il rumeno, senza che per questo uno pensi che quelle lingue siano artificiali o, peggio, non lingue.
La battaglia è lunga e molto difficile, caro Laner, ostacolata da chi, in buona o in cattiva fede, preferirebbe la morte lenta e per consunzione dei dialetti pur di non accettarne una codificazione e una normalizzazione. Ma, come dici, a forza di insistere la maschera diventerà il volto, anche perché la maschera è già il volto. [gfp]
domenica 28 dicembre 2008
Lege de polìtica linguìstica sarda
Su guvernu regionale at aprovadu unu disinnu de lege de polìtica linguìstica pro lu mandare a unu cussìgiu chi no l’at a pòdere mancu leare in cussideru. L’at aprovadu, de fatis, carchi ora in antis chi, cuffirmande sas dimissiones suas, su presidente Soru at fatu isòrvere su parlamentu sardu. De custu disinnu de lege, Soru nd’at chistionadu in su mese de abrile de ocannu, sete meses como. Su fatu chi l’apat bogadu a craru petzi su 20 de Nadale, de sas ùrtimas de chentinas de delìberas fatas in sos sete meses, bator dies in antis de lis dare s’extra omnes a sos cussigeris, duas cosas craras cheret nàrrere: sa lege no est fata pro l’aproarent custa legisladura; sa lege at a èssere unu caddu de gherra in sas eletziones benientes.
Non b’at nudda de iscandulosu in custu: Soru nuscat s’àghere e si sabit chi una lege chi nche bogat su sardu dae su “folclore dialettale”, cussìderat sa limba ocasione de crèschida sotziale, culturale e econòmica est unu bellu paris de matoneddos pro las bìnchere, sas eletziones. S’iscàndalu est chi sos partzidos, a manca, a dereta, in su tzentru e in sos chi si narant sardistas mancu si nde sunt abigiados.
Amus a tènnere ora de nde arresonare de custa lege, bona ca est a sa sola, nessi pro como. De àteru, a chie cheret, si podet lèghere inoghe siat sa presentada e siat s’articuladu. E siat s’una e siat s’àtera si podet iscarrigare e imprentare su pdf. E, semper a chie cheret, podet in custu blog contare ite nde pessat. Mancari ponende a paragone sa sarda cun sa lege catalana e cun cussa friulana.
Non b’at nudda de iscandulosu in custu: Soru nuscat s’àghere e si sabit chi una lege chi nche bogat su sardu dae su “folclore dialettale”, cussìderat sa limba ocasione de crèschida sotziale, culturale e econòmica est unu bellu paris de matoneddos pro las bìnchere, sas eletziones. S’iscàndalu est chi sos partzidos, a manca, a dereta, in su tzentru e in sos chi si narant sardistas mancu si nde sunt abigiados.
Amus a tènnere ora de nde arresonare de custa lege, bona ca est a sa sola, nessi pro como. De àteru, a chie cheret, si podet lèghere inoghe siat sa presentada e siat s’articuladu. E siat s’una e siat s’àtera si podet iscarrigare e imprentare su pdf. E, semper a chie cheret, podet in custu blog contare ite nde pessat. Mancari ponende a paragone sa sarda cun sa lege catalana e cun cussa friulana.
Lege de polìtica linguìstica de Friuli
Pùblico sa lege de polìtica linguìstica de su Frìuli de ocannu coladu, bortada in sardu dae Sarvadore Serra chi at giai bortadu dae su catalanu sa lege de polìtica linguìstica aprovada dae sa Generalitat in su 1998. Unu letore de custu blog, chi, craru, li torro gràtzias pro s'atentu at tentu ite nàrrere ca sa bortadura l'est parta prena de italianismos. Su beru est chi una lege tenet unu limbàgiu suo chi tenet in contu unu limbàgiu giurìdicu internatzionale e, de cada sorte, europeu.
De custa lege friulana pùblico s'editzione originale in italianu. E s'una lege e s'àtera las amus a pòdere cunfrontare cun cussa sarda chi su guvernu sardu at aprovadu e chi apo a publicare oe etotu.
Leghe totu
De custa lege friulana pùblico s'editzione originale in italianu. E s'una lege e s'àtera las amus a pòdere cunfrontare cun cussa sarda chi su guvernu sardu at aprovadu e chi apo a publicare oe etotu.
Leghe totu
sabato 27 dicembre 2008
Non c'è bisogno di invenzioni. La civiltà nuragica è grande di per sé
di * * *
Terribile... meno male che non tutti i Sardi hanno bisogno continuamente di sottolineare ostinatamente la propria identità culturale per tenere a freno l'ancora indomito spirito di autocommiserazione che affligge qualcuno. Forse che negando l'importanza dell'elemento fenicio in Sardegna ne acquista di più l'orgoglio "nazionale"? Mi ricorda tanto una di quelle barzellette, ovviamente ambientata in Sardegna, dove un contadino dissotterra nel suo terreno una lampada con annesso genio che gli comunica che potrà desiderare e ottenere ciò che vuole, unica controindicazione: ciò che richiederà sarà donato in misura doppia al suo vicino di terreno. Ed ecco che il nostro contadino dopo lunga riflessione non trova niente di meglio, di più soddisfacente che chiedere al genio di levargli un occhio....
Le armi nuragiche della tomba di Othoca, che per inciso è l'incinerazione XXI che conteneva oltre a 3 stiletti nuragici ceramiche fenicie, un puntale di lancia, e una coppetta su piede etrusca, sono paragonabili ad analoghi rinvenimenti di Bitia e Tharros. Basterebbero quindi, sottraendo dal ragionamento deliberatamente numerose altre componenti logiche, le armi nuragiche contenute in una tomba per dire che Othoca non è fenicia? Sulla derivazione etimologica del nome non mi pronuncio, il Prof Pittau è una garanzia... ubi maior, minor cessat.
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Terribile... meno male che non tutti i Sardi hanno bisogno continuamente di sottolineare ostinatamente la propria identità culturale per tenere a freno l'ancora indomito spirito di autocommiserazione che affligge qualcuno. Forse che negando l'importanza dell'elemento fenicio in Sardegna ne acquista di più l'orgoglio "nazionale"? Mi ricorda tanto una di quelle barzellette, ovviamente ambientata in Sardegna, dove un contadino dissotterra nel suo terreno una lampada con annesso genio che gli comunica che potrà desiderare e ottenere ciò che vuole, unica controindicazione: ciò che richiederà sarà donato in misura doppia al suo vicino di terreno. Ed ecco che il nostro contadino dopo lunga riflessione non trova niente di meglio, di più soddisfacente che chiedere al genio di levargli un occhio....
Le armi nuragiche della tomba di Othoca, che per inciso è l'incinerazione XXI che conteneva oltre a 3 stiletti nuragici ceramiche fenicie, un puntale di lancia, e una coppetta su piede etrusca, sono paragonabili ad analoghi rinvenimenti di Bitia e Tharros. Basterebbero quindi, sottraendo dal ragionamento deliberatamente numerose altre componenti logiche, le armi nuragiche contenute in una tomba per dire che Othoca non è fenicia? Sulla derivazione etimologica del nome non mi pronuncio, il Prof Pittau è una garanzia... ubi maior, minor cessat.
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venerdì 26 dicembre 2008
Quella lamina "nuragica" trovata in Svezia
di Gianni Canu
Felice di aver trovato un Blog in cui finalmente si discute di Archeologia dove come archeologia si intenda anche l'archeographia così come l'archephonia, desidero salutare ed esprimere prima di tutto i complimenti a su Mere e sa Janna che conosco attraverso i suoi scritti.
Ma desidero salutare e ringraziare tutti e, per dirla come il Signor Gigi Sanna nella sua ultima lettera, "proprio tutti".
Da osservatore e lettore di libri indipendente che riguardano la cultura Sarda inserita nel contesto archeologico interdisciplinare mi sono reso conto personalmente di quanto la SarDegna rappresenti veramente un punto centrale di discussione nella Archeologia di tutti i periodi elaborati in maniera sintetica ma pieni di significato cognitivo di tanti di voi che l'affrontano nelle campagne di scavo di terra, di carta e oggi possiamo dire anche di byt con i suoi input.
Io vivendo da un quarto di secolo più che altro in terra de Germanos mi sono imbattuto in una immagine particolare che mi conferma che i ritrovamenti bronzei nordici rispecchino le caratteristiche di classificazione SardianaNuragica.
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Felice di aver trovato un Blog in cui finalmente si discute di Archeologia dove come archeologia si intenda anche l'archeographia così come l'archephonia, desidero salutare ed esprimere prima di tutto i complimenti a su Mere e sa Janna che conosco attraverso i suoi scritti.
Ma desidero salutare e ringraziare tutti e, per dirla come il Signor Gigi Sanna nella sua ultima lettera, "proprio tutti".
Da osservatore e lettore di libri indipendente che riguardano la cultura Sarda inserita nel contesto archeologico interdisciplinare mi sono reso conto personalmente di quanto la SarDegna rappresenti veramente un punto centrale di discussione nella Archeologia di tutti i periodi elaborati in maniera sintetica ma pieni di significato cognitivo di tanti di voi che l'affrontano nelle campagne di scavo di terra, di carta e oggi possiamo dire anche di byt con i suoi input.
Io vivendo da un quarto di secolo più che altro in terra de Germanos mi sono imbattuto in una immagine particolare che mi conferma che i ritrovamenti bronzei nordici rispecchino le caratteristiche di classificazione SardianaNuragica.
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S'àndela illìrica semper prus aberta
di Alberto Aresu
Sigomente semus sutta sa isbaidora festa de sos credentes in Jesu Cristu, e calicunu (fossis) no ischit inue ispender pro calchi donu su 'inari sou, fossis ca jughet calchi amigu balcanigu attesu, o fossis ca at unu theraccu pastore de inie a cumpiagher inoghe, no resesso a no mi che 'ogare oju, e faeddarebbonde, dae duas litteras chi mi che sun lompidas ora paga subra su libberu meu. Mi iscriet su massimu balcanista italianu Emanule Bamfi de s'Univessidade de Milanu:
Ero in Sardegna quest'anno per un invito... ho acquistato il suo bel lavoro e per quanto le mie conoscenze del sardo siano assai limitate, per la ricchezza dei dati presentati e l'apparato bibliografico che ne sostiene l'analisi, mi è parso assai ben documentato e assai interessante. Quanto alle connessioni tra sardo e materiali linguistici d'area balcanica, molti degli exempla che lei adduce sono impressionanti e, credo, in sé avvincenti.
Un'atteru istudiosu italianu, ispertu de limbas italigas e de unu libberu, chi bos cossizo, subra sos Sardos in sa gherra de Troia, Carlo D'Adamo de Bologna, annanghet:
La mole di indizi e concordanze che Lei pazientemente ricostruisce costituisce di per sé, nel suo complesso, una prova schiacciante di legami profondi e consistenti,
A mie paret chi si no unu irridu 'e abba, emmo pius de unu buttiu de veridade de su mundu, in su chi naro b'at duncas a esser; o lettores de Sardigna, mancari pagu afficcu bi ponza chi 'nde siedas abberu gloriosos de esser istados dei sos mattessi molles alvanesos, abbaidade a bois itte faghere tando...
Sigomente semus sutta sa isbaidora festa de sos credentes in Jesu Cristu, e calicunu (fossis) no ischit inue ispender pro calchi donu su 'inari sou, fossis ca jughet calchi amigu balcanigu attesu, o fossis ca at unu theraccu pastore de inie a cumpiagher inoghe, no resesso a no mi che 'ogare oju, e faeddarebbonde, dae duas litteras chi mi che sun lompidas ora paga subra su libberu meu. Mi iscriet su massimu balcanista italianu Emanule Bamfi de s'Univessidade de Milanu:
Ero in Sardegna quest'anno per un invito... ho acquistato il suo bel lavoro e per quanto le mie conoscenze del sardo siano assai limitate, per la ricchezza dei dati presentati e l'apparato bibliografico che ne sostiene l'analisi, mi è parso assai ben documentato e assai interessante. Quanto alle connessioni tra sardo e materiali linguistici d'area balcanica, molti degli exempla che lei adduce sono impressionanti e, credo, in sé avvincenti.
Un'atteru istudiosu italianu, ispertu de limbas italigas e de unu libberu, chi bos cossizo, subra sos Sardos in sa gherra de Troia, Carlo D'Adamo de Bologna, annanghet:
La mole di indizi e concordanze che Lei pazientemente ricostruisce costituisce di per sé, nel suo complesso, una prova schiacciante di legami profondi e consistenti,
A mie paret chi si no unu irridu 'e abba, emmo pius de unu buttiu de veridade de su mundu, in su chi naro b'at duncas a esser; o lettores de Sardigna, mancari pagu afficcu bi ponza chi 'nde siedas abberu gloriosos de esser istados dei sos mattessi molles alvanesos, abbaidade a bois itte faghere tando...
martedì 23 dicembre 2008
Per fatto personale. Ad amici e no, fortza paris
di Gigi Sanna
Cari amici (Aba, Pedru (e chie ses?), Gianfranco, Giorgio 1, Franco 1, Franco 2, Michele, Bachisieddu (e tue puru, chie ses?), Massimo, Giorgio 2, Roberto, Silvio, Paola, Fernando, Roberto, Andrea) e lettori che mi scrivete, insieme agli auguri di Buone Feste che vi mando, approfitto dell’ospitalità e della generosità del Blog per salutarvi e ringraziarvi. Se usassi troppe parole credo che guasterei tutto l’affetto che intendo mostravi in questo momento. Potete immaginarvele, comunque: quelle più belle che partono dal cuore e dall’intelletto assieme.
Con Internet vedo che si vince, si ‘può vincere’ e battere l’avversario. Con il Blog - aveva ragione Gianfranco Pintore quando mi stimolava a ‘nche ‘ogare a campu sos corros’ - si possono fare i miracoli. Quelli grandi o i grandissimi, come la vittoria di un presidente americano o i piccoli, come il portare all’attenzione di un vasto pubblico una goccia di verità del mondo, anche della storia culturale antica di questa nostra Sardegna. Ormai tutti lo dicono e anch’io lo dico, perché è molto bello dirlo: ‘we can’. Ma preferisco dirlo o gridarlo con un motto sardo, che più sardo non si può (con pressoché identico significato), in un momento in cui molti, purtroppo, o lo usano in maniera volgarmente strumentale o con le famigerate ‘virgolette’ di Nuoro: FORTZA PARIS!.
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Cari amici (Aba, Pedru (e chie ses?), Gianfranco, Giorgio 1, Franco 1, Franco 2, Michele, Bachisieddu (e tue puru, chie ses?), Massimo, Giorgio 2, Roberto, Silvio, Paola, Fernando, Roberto, Andrea) e lettori che mi scrivete, insieme agli auguri di Buone Feste che vi mando, approfitto dell’ospitalità e della generosità del Blog per salutarvi e ringraziarvi. Se usassi troppe parole credo che guasterei tutto l’affetto che intendo mostravi in questo momento. Potete immaginarvele, comunque: quelle più belle che partono dal cuore e dall’intelletto assieme.
Con Internet vedo che si vince, si ‘può vincere’ e battere l’avversario. Con il Blog - aveva ragione Gianfranco Pintore quando mi stimolava a ‘nche ‘ogare a campu sos corros’ - si possono fare i miracoli. Quelli grandi o i grandissimi, come la vittoria di un presidente americano o i piccoli, come il portare all’attenzione di un vasto pubblico una goccia di verità del mondo, anche della storia culturale antica di questa nostra Sardegna. Ormai tutti lo dicono e anch’io lo dico, perché è molto bello dirlo: ‘we can’. Ma preferisco dirlo o gridarlo con un motto sardo, che più sardo non si può (con pressoché identico significato), in un momento in cui molti, purtroppo, o lo usano in maniera volgarmente strumentale o con le famigerate ‘virgolette’ di Nuoro: FORTZA PARIS!.
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lunedì 22 dicembre 2008
Per me, un peso di tessitura
di Herbert Sauren
Il foro nella pietra determina l’oggetto della foto come un oggetto da sospendere. Esistono in gran numero pietre perforate per tessere, i pesi di tessitura. Si può confrontare J. Untermann, MLH 1990, E. 1352-E.1437, ma ce ne sono molte altre già pubblicate. Le iscrizioni sui pesi di tessitura indicano l’azione, il luogo, per esempio al margine o all’inizio e ci sono iscrizioni più lunghe, che parlano del lavoro del tessitore.
L’epigrafia comprova ancora una volta la cultura di una scrittura e di lingue comuni fra la Sardegna e le altre regioni di scrittura iberica. La scrittura è sinistrorsa, o, volendo, corre dall’alto al basso quando la pietra è attaccata al filo. La direzione che Gigi Sanna accetta nella sua descrizione è fuori discussione.
Anche se la pietra è piccola e l’iscrizione corta, si apprendono alcune cose importanti.
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Il foro nella pietra determina l’oggetto della foto come un oggetto da sospendere. Esistono in gran numero pietre perforate per tessere, i pesi di tessitura. Si può confrontare J. Untermann, MLH 1990, E. 1352-E.1437, ma ce ne sono molte altre già pubblicate. Le iscrizioni sui pesi di tessitura indicano l’azione, il luogo, per esempio al margine o all’inizio e ci sono iscrizioni più lunghe, che parlano del lavoro del tessitore.
L’epigrafia comprova ancora una volta la cultura di una scrittura e di lingue comuni fra la Sardegna e le altre regioni di scrittura iberica. La scrittura è sinistrorsa, o, volendo, corre dall’alto al basso quando la pietra è attaccata al filo. La direzione che Gigi Sanna accetta nella sua descrizione è fuori discussione.
Anche se la pietra è piccola e l’iscrizione corta, si apprendono alcune cose importanti.
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Aici, su sardu est sceti dialetu italianu
de Lissandru Camboni
Su traballu de Sarvadore Serra meressit apretzu, ma, mescamenti ca no seu unu linguista de professioni ma sceti un'amantiosu de sa chistioni de sa lingua sarda, emu a bolli intendi unu parri asuba de sa chistioni chi immoi bandu a ddi spricai.
A ligi sa bortura de sa lei linguistica cadelana fata de Sarvadore Serra, m'at lassau unu pagu sconnortau, su propiu che m'aiat fatu a biri s'Annuariu de su Contribuente, bèssiu pagu tempus a oi.
Chi est custa sa carrera chi at a pigai su Sardu, at a diventai diaderus in pagu tempus unu dialetu de s'Italianu. Custa est sa impressioni e sa timòria mia.
Non creu ca non siat possibili a agatai paràulas tecnicas (giuridicas, sientificas e aici sighendi) a intru de totu is bariedadis de sa lingua Sarda. In sa bortura de Serra e in s'Annuariu, unu muntoni de fueddus funti carcus de is fueddus italianus, avatu ddu ant unus cantus esemprus leaus de su documentu de Serra, cun a su costau is fueddus chi giai esistint in su Sardu (ditz. de Rubattu):
cuntenutu (no esistit in sardu): cunténnidu, càbidu, retentu, rentesu
esprimere: espressare
inserimentu (no esistit in sardu): ficchidura, cravadura, tzaccadura, inserta (L) insertamentu (C)
usu: impreu, impittu, umperamentu, empleu
santzione (no esistit in sardu): pena, machìssia, smenda
Po no chistionai de totu is atrus terminus chi acabant cun -tzione, unu sufissu pagu sardu diaderus.
Emu a podi sìghiri po pàginas e pàginas cun esemprus fintzas prus de importu.
Poita seus aici "tzeracus" de sa lingua italiana? Ita est, una farta de atrevimentu?
In sa matessi arrexionada iat a intrai sa chistioni de sa toponomastica in Nùgoro ("bia" intamis de "carrera" e gai nendi).
Ita ndi pensat fustei?
In custa email apu impitau (e sigu a impreai) fueddus chi in sa bariedadi mia non ddoi ant, ca mi praxit meda a podi agatai in sa fueddada de atrus tretus de sa Sardinia sinonimus o paràulas chi no agatu luegu in sa mia.
Lissandru istimadu, giai chi pedides unu pàrrere, millu. Su traballu de Sarbadore, comente narades bois, meressit apretzu, gasi etotu che a s'Annuàriu de su contribuente chi a bois non bos aggradat, ca e s'unu e s'àteru li dat a su sardu una dinnidade internatzionale. Sas paràulas chi a bois non bos aggradant non sunt italianas, si no internatzionales. "Contenutu" (in su sentidu chi tenet de carchi cosa chi nde cabet àteras) est contenu in frantzesu, content in ingresu, contenido in ispannolu, conteúdo in portughesu, e gasi e gasi. Custu non cheret nàrrere chi Sarvadore apat iscritu unu Evanzelu: si b'at propostas mègius, andat bene meda. Bastante chi su limbàgiu siat artu, comente si deghet a una lege. Sa mannesa de una limba no est cantu diferente est dae àteras limbas, ma cantu resessit a espressare mantenende s'istrutura sua. O no?[zfp]
Su traballu de Sarvadore Serra meressit apretzu, ma, mescamenti ca no seu unu linguista de professioni ma sceti un'amantiosu de sa chistioni de sa lingua sarda, emu a bolli intendi unu parri asuba de sa chistioni chi immoi bandu a ddi spricai.
A ligi sa bortura de sa lei linguistica cadelana fata de Sarvadore Serra, m'at lassau unu pagu sconnortau, su propiu che m'aiat fatu a biri s'Annuariu de su Contribuente, bèssiu pagu tempus a oi.
Chi est custa sa carrera chi at a pigai su Sardu, at a diventai diaderus in pagu tempus unu dialetu de s'Italianu. Custa est sa impressioni e sa timòria mia.
Non creu ca non siat possibili a agatai paràulas tecnicas (giuridicas, sientificas e aici sighendi) a intru de totu is bariedadis de sa lingua Sarda. In sa bortura de Serra e in s'Annuariu, unu muntoni de fueddus funti carcus de is fueddus italianus, avatu ddu ant unus cantus esemprus leaus de su documentu de Serra, cun a su costau is fueddus chi giai esistint in su Sardu (ditz. de Rubattu):
cuntenutu (no esistit in sardu): cunténnidu, càbidu, retentu, rentesu
esprimere: espressare
inserimentu (no esistit in sardu): ficchidura, cravadura, tzaccadura, inserta (L) insertamentu (C)
usu: impreu, impittu, umperamentu, empleu
santzione (no esistit in sardu): pena, machìssia, smenda
Po no chistionai de totu is atrus terminus chi acabant cun -tzione, unu sufissu pagu sardu diaderus.
Emu a podi sìghiri po pàginas e pàginas cun esemprus fintzas prus de importu.
Poita seus aici "tzeracus" de sa lingua italiana? Ita est, una farta de atrevimentu?
In sa matessi arrexionada iat a intrai sa chistioni de sa toponomastica in Nùgoro ("bia" intamis de "carrera" e gai nendi).
Ita ndi pensat fustei?
In custa email apu impitau (e sigu a impreai) fueddus chi in sa bariedadi mia non ddoi ant, ca mi praxit meda a podi agatai in sa fueddada de atrus tretus de sa Sardinia sinonimus o paràulas chi no agatu luegu in sa mia.
Lissandru istimadu, giai chi pedides unu pàrrere, millu. Su traballu de Sarbadore, comente narades bois, meressit apretzu, gasi etotu che a s'Annuàriu de su contribuente chi a bois non bos aggradat, ca e s'unu e s'àteru li dat a su sardu una dinnidade internatzionale. Sas paràulas chi a bois non bos aggradant non sunt italianas, si no internatzionales. "Contenutu" (in su sentidu chi tenet de carchi cosa chi nde cabet àteras) est contenu in frantzesu, content in ingresu, contenido in ispannolu, conteúdo in portughesu, e gasi e gasi. Custu non cheret nàrrere chi Sarvadore apat iscritu unu Evanzelu: si b'at propostas mègius, andat bene meda. Bastante chi su limbàgiu siat artu, comente si deghet a una lege. Sa mannesa de una limba no est cantu diferente est dae àteras limbas, ma cantu resessit a espressare mantenende s'istrutura sua. O no?[zfp]
domenica 21 dicembre 2008
Nuoro: i toponimi sardi di serie B
L'utilizzo nella toponomastica di Nuoro come una sorta di stravaganza folclorica (caratteri minuscoli per il sardo messo, di più fra virgolette, come si può vedere nella foto) ha suscitato e continua a suscitare irritazione su blog, siti e anche in Facebook, dove è in corso l'adesione ad un apposito gruppo. Chiuso nel fortino in cui si è rinchiuso, l'assessore responsabile del dileggio del sardo o non se ne è accorto o fa finta che tutto vada bene.
Non è dato sapere se per portare a termine l'operazione, il Comune di Nuoro si sia servito solo dei propri mezzi finanziari o se abbia attinto a una quota parte di finanziamenti che al Comune potrebbero essere arrivati con la legge 482 di di tutela delle minoranze linguistiche storiche. E tutto sommato ha poca importanza, visto che o i soli nuoresi o l'insieme dei cittadini della Repubblica italiana hanno messo loro soldi per andare contro ogni principio di pari dignità delle lingue tutelate dalla Regione e dallo Stato, oltre che dal Consiglio europeo.
A quel che si dice, l'assessore responsabile ha fatto a meno dell'Ufìtziu de sa limba sarda della Provincia e, quel che è più grave, di quella "armonia con i princípi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali" in materia di tutela delle lingue di minoranza garantita dalla legge 482. Ha fatto, come si dice, di testa sua. Per capire quanto protervamente folcloristica sia la visione di "lingua tutelata" che al Comune di Nuoro si ha, pubblico nel mio sito una collezione di cartelli posti qua e là in Europa.
Vedi le foto
Non è dato sapere se per portare a termine l'operazione, il Comune di Nuoro si sia servito solo dei propri mezzi finanziari o se abbia attinto a una quota parte di finanziamenti che al Comune potrebbero essere arrivati con la legge 482 di di tutela delle minoranze linguistiche storiche. E tutto sommato ha poca importanza, visto che o i soli nuoresi o l'insieme dei cittadini della Repubblica italiana hanno messo loro soldi per andare contro ogni principio di pari dignità delle lingue tutelate dalla Regione e dallo Stato, oltre che dal Consiglio europeo.
A quel che si dice, l'assessore responsabile ha fatto a meno dell'Ufìtziu de sa limba sarda della Provincia e, quel che è più grave, di quella "armonia con i princípi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali" in materia di tutela delle lingue di minoranza garantita dalla legge 482. Ha fatto, come si dice, di testa sua. Per capire quanto protervamente folcloristica sia la visione di "lingua tutelata" che al Comune di Nuoro si ha, pubblico nel mio sito una collezione di cartelli posti qua e là in Europa.
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sabato 20 dicembre 2008
Sa lege de polìtica linguìstica in Catalùnnia
Pro more de sa cumpetèntzia e de sa passione sua, Sarvadore Serra at bortadu a su sardu sa Lege de polìtica linguìstica de sa Catalùnnia. Est unu documentu de importu mannu pro totu sos chi istimant su sardu, mescamente a dies de oe, cando su guvernu sardu paret bene intentzionadu a aprovare una lege de polìtica linguìstica pro sa Sardigna.
Leghe totu
Leghe totu
Scusi dr Stiglitz, ma la sua teoria non mi torna
di Pedru
Egregio Sig. Stiglitz,
non sono uno studioso, ma solo un amante di storia antica e attento lettore; rispetto le sue opinioni, ma non sono d’accordo con le sue teorie pertanto:
1. Le colonne d'Ercole nessuno degli antichi scrittori ha saputo collocarle geograficamente, verosimilmente l'unico fu Erodoto che nel capitolo IV descrivendo le popolazioni che abitavano la costa Libica, partendo da Tebe d'Egitto arriva sulle rive del lago Tritonide (secondo il mito si impatana Giasone con la sua Argo e solo il dio Tritone lo aiuterà a trovare la via d'uscita) e qui non va oltre. Erodoto conclude sempre allo stesso capitolo punto 181: “Questi che ho nominati sono i nomadi libici che abitano lungo la costa; al di là di essi verso l’interno c’è la Libia delle bestie feroci, al di là di quella delle fiere si estende un’altura di sabbia, da Tebe d’Egitto alle colonne d'Ercole”. Quale più limpida testimonianza di un fedele cronista della metà del 400 a.c.? Altri scrittori classici, riferiti alle colonne parlano di fondali bassi e fangosi a differenza dello stretto di Gibilterra dove i fondali sono tutt’altro che fangosi.
2. Platone conosceva l’antica geografia considerato che è vissuto oltre un secolo prima di Eratostene che aveva stravolto la geografia in seguito alle conquiste di Alessandro Magno. Quindi se le colonne d’Ercole sono state spostate per una questione di equilibrio geografico E. O., anche Atlantide è sparita dalle carte geografiche; ma se le riportiamo al canale di Sicilia (condivido la teoria di Sergio Frau) e quindi a prima di una (delle tante) manipolazioni storiche - geografiche, l’isola descritta così minuziosamente da Platone non può che essere la Sardegna:
3. Secondo lei la Sardegna non risponde a nessuno dei requisiti di Atlantide. Non so quale parte dell’Isola ha visto, anche se basta una semplice cartina geografica per vedere questa immensa pianura da Cagliari a Narbolia circondata da monti N – E – O (Platone parla di alti monti, in effetti in Sardegna danno l’impressione di montagne anche le colline). Penso che la comparazione tra Atlantide e Sardegna l’abbia fatta egregiamente Sergio Frau nel suo volume – inchiesta “Le colonne d’Ercole”.
4. Lei parla della Tartesso spagnola; le voglio ricordare che le scritte “ In Tarsis” sono state trovate: la prima sulla stele di Nora (vedi S.Frau “Le colonne d’Ercole” – G. Sanna “Sardoa Grammata”) e la seconda nel coccio di Orani (G.Sanna “Sardoa Grammata”). In Spagna nada de nada.
Egregio Sig. Stiglitz,
non sono uno studioso, ma solo un amante di storia antica e attento lettore; rispetto le sue opinioni, ma non sono d’accordo con le sue teorie pertanto:
1. Le colonne d'Ercole nessuno degli antichi scrittori ha saputo collocarle geograficamente, verosimilmente l'unico fu Erodoto che nel capitolo IV descrivendo le popolazioni che abitavano la costa Libica, partendo da Tebe d'Egitto arriva sulle rive del lago Tritonide (secondo il mito si impatana Giasone con la sua Argo e solo il dio Tritone lo aiuterà a trovare la via d'uscita) e qui non va oltre. Erodoto conclude sempre allo stesso capitolo punto 181: “Questi che ho nominati sono i nomadi libici che abitano lungo la costa; al di là di essi verso l’interno c’è la Libia delle bestie feroci, al di là di quella delle fiere si estende un’altura di sabbia, da Tebe d’Egitto alle colonne d'Ercole”. Quale più limpida testimonianza di un fedele cronista della metà del 400 a.c.? Altri scrittori classici, riferiti alle colonne parlano di fondali bassi e fangosi a differenza dello stretto di Gibilterra dove i fondali sono tutt’altro che fangosi.
2. Platone conosceva l’antica geografia considerato che è vissuto oltre un secolo prima di Eratostene che aveva stravolto la geografia in seguito alle conquiste di Alessandro Magno. Quindi se le colonne d’Ercole sono state spostate per una questione di equilibrio geografico E. O., anche Atlantide è sparita dalle carte geografiche; ma se le riportiamo al canale di Sicilia (condivido la teoria di Sergio Frau) e quindi a prima di una (delle tante) manipolazioni storiche - geografiche, l’isola descritta così minuziosamente da Platone non può che essere la Sardegna:
3. Secondo lei la Sardegna non risponde a nessuno dei requisiti di Atlantide. Non so quale parte dell’Isola ha visto, anche se basta una semplice cartina geografica per vedere questa immensa pianura da Cagliari a Narbolia circondata da monti N – E – O (Platone parla di alti monti, in effetti in Sardegna danno l’impressione di montagne anche le colline). Penso che la comparazione tra Atlantide e Sardegna l’abbia fatta egregiamente Sergio Frau nel suo volume – inchiesta “Le colonne d’Ercole”.
4. Lei parla della Tartesso spagnola; le voglio ricordare che le scritte “ In Tarsis” sono state trovate: la prima sulla stele di Nora (vedi S.Frau “Le colonne d’Ercole” – G. Sanna “Sardoa Grammata”) e la seconda nel coccio di Orani (G.Sanna “Sardoa Grammata”). In Spagna nada de nada.
venerdì 19 dicembre 2008
Yahweh, ugaritico-cananeo, israelita o sardo?
di Michele Zoroddu
Nel corso dei nostri studi sulla Sardegna, quando ci siamo affacciati all’area del Vicino Oriente (peraltro in modo non approfondito e certo non definitivo) abbiamo avuto sempre incombente la forte presenza dei Sardiani in quell’area.
I tempi della loro frequentazione potrebbero farsi risalire, per la possibile presenza di ossidiana sarda a Gerico nel PPNA (peraltro solo da noi ipotizzata) all’VIII millennio a.C. Ma potrebbe essere attestata una loro presenza anche al sorgere delle prime tombe ipogeiche dell’area, nel IV millennio a.C., dimostrandosi la primogenitura di tale arte della sepoltura, essere accertata per la Sardegna, a far data dal primo quarto del V millennio a.C. Teniamo a precisare che stiamo, per quest’ultimo aspetto, interpretando (in modo speculare) un atteggiamento che attiene alla diffusione culturale, esercitato per oltre un secolo da tutti quanti gli studiosi, per i quali era universalmente, ma saremmo tentati di dire “scientificamente”, accertato che ove si ravvedessero in Sardegna delle tombe somiglianti a quelle del Vicino Oriente, subito corresse l’obbligo di tessere le lodi di quei colonizzatori venuti dall’Est.
Ancora, possiamo pensare ad una presenza sardiana nell’area, tra la fine del III e l’inizio del II millennio a.C., per l’improvviso arrivo di genti portanti una cultura della metallurgia del bronzo vero, che usavano sepolture molto simili a quelle di cultura Monte Claro. Inoltre la presenza improvvisa di manufatti in bronzo, riconducibili all’inizio del II millennio, ed addebitati a genti amorree, cioè appunto occidentali, quali bronzetti rappresentanti soggetti umani simili a quelli solitamente trovati in Sardegna, è certo conferma acclarata (ma certo ancora soltanto per noi e pochi altri) della frequentazione sardiana di quei siti disposti lungo la costa della Siria che da Ugarit e Biblos arrivano fino a Meghiddo.
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Nel corso dei nostri studi sulla Sardegna, quando ci siamo affacciati all’area del Vicino Oriente (peraltro in modo non approfondito e certo non definitivo) abbiamo avuto sempre incombente la forte presenza dei Sardiani in quell’area.
I tempi della loro frequentazione potrebbero farsi risalire, per la possibile presenza di ossidiana sarda a Gerico nel PPNA (peraltro solo da noi ipotizzata) all’VIII millennio a.C. Ma potrebbe essere attestata una loro presenza anche al sorgere delle prime tombe ipogeiche dell’area, nel IV millennio a.C., dimostrandosi la primogenitura di tale arte della sepoltura, essere accertata per la Sardegna, a far data dal primo quarto del V millennio a.C. Teniamo a precisare che stiamo, per quest’ultimo aspetto, interpretando (in modo speculare) un atteggiamento che attiene alla diffusione culturale, esercitato per oltre un secolo da tutti quanti gli studiosi, per i quali era universalmente, ma saremmo tentati di dire “scientificamente”, accertato che ove si ravvedessero in Sardegna delle tombe somiglianti a quelle del Vicino Oriente, subito corresse l’obbligo di tessere le lodi di quei colonizzatori venuti dall’Est.
Ancora, possiamo pensare ad una presenza sardiana nell’area, tra la fine del III e l’inizio del II millennio a.C., per l’improvviso arrivo di genti portanti una cultura della metallurgia del bronzo vero, che usavano sepolture molto simili a quelle di cultura Monte Claro. Inoltre la presenza improvvisa di manufatti in bronzo, riconducibili all’inizio del II millennio, ed addebitati a genti amorree, cioè appunto occidentali, quali bronzetti rappresentanti soggetti umani simili a quelli solitamente trovati in Sardegna, è certo conferma acclarata (ma certo ancora soltanto per noi e pochi altri) della frequentazione sardiana di quei siti disposti lungo la costa della Siria che da Ugarit e Biblos arrivano fino a Meghiddo.
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mercoledì 17 dicembre 2008
Presumidos, arrogantes e, craru, innorantes
de Larentu Pusceddu
Caru Juanne Frantziscu,
as mai intesu chi unu glottologo facat s’inzenieri e unu geometra su mastru de iscola? Penso chi nono. Sos mestieris chi totus poden facher sunu: su zornalista (mancari no s’iscat a iscriere), su sindacalista (mancari no si connoscan sos cuntrattos) e… s’espertu in limba sarda, chena l’ischire faeddare e ne iscrier.
E ti merafizas chi in Nùgoro apan fattu sos irballos denuntziados in s’articulu? Cando sos “tutologos” si suliertan sun peus de su poveru irrichidu / chi peri Deus l’at timìdu. Nd’amus asiu de iscrier romanzos e de gherare pro sa limba nostra. Sos nemicos prus manos los amus inoche, garrigos de arrogantzia, de ignorantzia e de presumidura.
Caru Juanne Frantziscu,
as mai intesu chi unu glottologo facat s’inzenieri e unu geometra su mastru de iscola? Penso chi nono. Sos mestieris chi totus poden facher sunu: su zornalista (mancari no s’iscat a iscriere), su sindacalista (mancari no si connoscan sos cuntrattos) e… s’espertu in limba sarda, chena l’ischire faeddare e ne iscrier.
E ti merafizas chi in Nùgoro apan fattu sos irballos denuntziados in s’articulu? Cando sos “tutologos” si suliertan sun peus de su poveru irrichidu / chi peri Deus l’at timìdu. Nd’amus asiu de iscrier romanzos e de gherare pro sa limba nostra. Sos nemicos prus manos los amus inoche, garrigos de arrogantzia, de ignorantzia e de presumidura.
martedì 16 dicembre 2008
La prova decisiva: a noi la Stele di Nora
di Gigi Sanna
Eccola, la prova decisiva. Ergo, a noi e, soprattutto, ai nostri padri la Stele di Nora! Naturalmente senza nulla togliere all’importanza dei cosiddetti ‘Fenici’ che hanno frequentato, nei primi secoli del primo Millennio a.C., le coste della Sardegna. Non fosse per altro perché una delle città (o più di una città) delle coste siro-palestinesi inventarono e rafforzarono quell’alfabeto di 22 lettere che tanta importanza avrebbe dovuto avere per la civiltà di tutto il bacino del Mediterraneo per un millennio e oltre. Compresa quindi la civiltà dei cosiddetti ‘Nuragici’, ovvero dei ŠRDN citati dalle fonti egiziane ed ugaritiche.
Una persona (che preferisce mantenere un rigoroso anonimato), ha trovato in una località della parte alta dell’Oristanese (e credo che ormai non si debba più attribuire al caso il fatto che le tracce della scrittura arcaica sarda si rinvengano soprattutto in area ‘arborense’, ovvero in un ben preciso territorio della Sardegna: Cabras, S.Vero Milis, Abbasanta, Paulilatino, Norbello, ecc.), un ciondolo di pietra grigio- scura, di forma ellissoidale (cm 7,5 x 4,3), contenente dei segni di scrittura graffiti in entrambe le facce. Nella prima insistono quattro segni, di tipologia ‘fenicia arcaica’, al di sotto dei quali stanno cinque lineette tracciate obliquamente, una delle quali accorpata al primo dei grafemi. Nella seconda sei segni, della stessa tipologia, ai quali si deve aggiungere, con ogni probabilità il ‘segno’ del foro passante dell’oggetto (che serviva per la cordicella) che, assieme ai due chiari trattini curvi superiori ‘a forcella’, fornisce l’aspetto di una testa di un bue o di un toro. I grafemi, data la notevole durezza della pietra, furono incisi, in tutta evidenza, con una punta metallica. Tutti sono chiaramente visibili. Il ‘foro’ mostra, molto evidenti, le tracce dello sfregamento della cordicella. La pietruzza anche se ingenuamente sottoposta, purtroppo, ad un’improvvida, perché energica, pulitura dallo strato argilloso da chi lo ha rinvenuto, è stato fotografato dal medesimo in entrambe le parti (v.foto), per nostra fortuna, lo stesso giorno del rinvenimento.
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Eccola, la prova decisiva. Ergo, a noi e, soprattutto, ai nostri padri la Stele di Nora! Naturalmente senza nulla togliere all’importanza dei cosiddetti ‘Fenici’ che hanno frequentato, nei primi secoli del primo Millennio a.C., le coste della Sardegna. Non fosse per altro perché una delle città (o più di una città) delle coste siro-palestinesi inventarono e rafforzarono quell’alfabeto di 22 lettere che tanta importanza avrebbe dovuto avere per la civiltà di tutto il bacino del Mediterraneo per un millennio e oltre. Compresa quindi la civiltà dei cosiddetti ‘Nuragici’, ovvero dei ŠRDN citati dalle fonti egiziane ed ugaritiche.
Una persona (che preferisce mantenere un rigoroso anonimato), ha trovato in una località della parte alta dell’Oristanese (e credo che ormai non si debba più attribuire al caso il fatto che le tracce della scrittura arcaica sarda si rinvengano soprattutto in area ‘arborense’, ovvero in un ben preciso territorio della Sardegna: Cabras, S.Vero Milis, Abbasanta, Paulilatino, Norbello, ecc.), un ciondolo di pietra grigio- scura, di forma ellissoidale (cm 7,5 x 4,3), contenente dei segni di scrittura graffiti in entrambe le facce. Nella prima insistono quattro segni, di tipologia ‘fenicia arcaica’, al di sotto dei quali stanno cinque lineette tracciate obliquamente, una delle quali accorpata al primo dei grafemi. Nella seconda sei segni, della stessa tipologia, ai quali si deve aggiungere, con ogni probabilità il ‘segno’ del foro passante dell’oggetto (che serviva per la cordicella) che, assieme ai due chiari trattini curvi superiori ‘a forcella’, fornisce l’aspetto di una testa di un bue o di un toro. I grafemi, data la notevole durezza della pietra, furono incisi, in tutta evidenza, con una punta metallica. Tutti sono chiaramente visibili. Il ‘foro’ mostra, molto evidenti, le tracce dello sfregamento della cordicella. La pietruzza anche se ingenuamente sottoposta, purtroppo, ad un’improvvida, perché energica, pulitura dallo strato argilloso da chi lo ha rinvenuto, è stato fotografato dal medesimo in entrambe le parti (v.foto), per nostra fortuna, lo stesso giorno del rinvenimento.
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Nùgoro: comente abutinare sa limba sarda
da su situ Diariulimba
S’iscàndalu mannu costadu in Nùgoro pro sa toponomàstica bilingue est una pelea chi si podiat transire. Polìticos e dirigentes fiant giai avisados, ma no ant chertu intèndere a niune e andare a in antis. Sos resurtos como sunt a dae in antis de sos ogros de totus. Dannos pro sa limba, dannos pro sa tzitade, dannos a s’amministratzione comunale chi nde essit iscorrada de a beru.
Sos fatos. Sa comuna nugoresa detzidet de annoare nùmenes e targas de sas carreras e pratzas de sa tzitade. Bene custu, una proa de balia. No est fàtzile a fàghere sa toponomàstica bilingue, ma sos nugoresos bi tenent e si punnat a la mantènnere. Finas a inoghe totu bene. Ma sos responsabiles de s’ufìtziu de su tràficu chi depent cumprire su traballu ite faghent? Chircant carchi espertu de giudu pro lòmpere bene a s’obietivu e non fàghere cosas a sa grussa? Nooo, tzertu. Semus in Sardigna e si tratat de limba sarda. Duncas totus nd’ischint e totus si nde podent ocupare. Semus totus linguistas comente insìngiant barberis e dentistas ingarrigados dae s’Unione Sarda, in custas ùrtimas chidas, de apetigare su terrinu de sa Lsc.
A cantu paret, in Nùgoro, totu su degollu si depet a unu dirigente presumidu chi aiat naradu chi issu connoschiat bene su su sardu, mègius de totus. Megius finas de unu espertu famadu chi nch’aiant bogadu dae sa cummissione de sa toponomàstica ca cheriat fàghere su traballu comente si depet, e mègius finas de s’ufìtziu linguìsticu comunale chi no l’ant mancu carculadu. Bravos, bella resessida ais fatu sena iscurtare chie campat de custu traballu e forsis podiat dare cussìgios bonos. De si bortare a s’ufìtziu linguìsticu de sa provìntzia, posca mancu a nde “faveddare”. Ebè, semus nois de sa comuna chi ischimus totu.
S’avolotu chi si nd’est pesadu est istadu sa consighèntzia de custos sèberos. E sa faddina prus manna no est istada mancu cussa de àere iscritu “bia” in tames de “carrera”, o “ribu” in logu de su nòmene de tzitade “Fiume”, ma de àere iscritu sos nùmenes in sardu minores e intre virguleddas comente chi su sardu siat, e forsis est in conca de custa gente, una limba folclorìstica pretzisa pro iscrìere non in limba, ma in “dialetto”. Semper e cando in Nùgoro nd’est essidu a campu unu campionàriu de comente non si depet fàghere una toponomàstica bilingue.
Posca sa Nuova Sardegna, giornale a parusu sardòfobo nd’at aprofitadu pro imbrutare de ludu totu: sa limba, sa tzitade e s’idea matessi de toponomastica bilingue. Mègius de gasi…
A su sìndigu de Nùgoro sos complimentos e augùrios de Diariulimba pro su servìtziu mannu apòrridu a sa limba sarda.
S’iscàndalu mannu costadu in Nùgoro pro sa toponomàstica bilingue est una pelea chi si podiat transire. Polìticos e dirigentes fiant giai avisados, ma no ant chertu intèndere a niune e andare a in antis. Sos resurtos como sunt a dae in antis de sos ogros de totus. Dannos pro sa limba, dannos pro sa tzitade, dannos a s’amministratzione comunale chi nde essit iscorrada de a beru.
Sos fatos. Sa comuna nugoresa detzidet de annoare nùmenes e targas de sas carreras e pratzas de sa tzitade. Bene custu, una proa de balia. No est fàtzile a fàghere sa toponomàstica bilingue, ma sos nugoresos bi tenent e si punnat a la mantènnere. Finas a inoghe totu bene. Ma sos responsabiles de s’ufìtziu de su tràficu chi depent cumprire su traballu ite faghent? Chircant carchi espertu de giudu pro lòmpere bene a s’obietivu e non fàghere cosas a sa grussa? Nooo, tzertu. Semus in Sardigna e si tratat de limba sarda. Duncas totus nd’ischint e totus si nde podent ocupare. Semus totus linguistas comente insìngiant barberis e dentistas ingarrigados dae s’Unione Sarda, in custas ùrtimas chidas, de apetigare su terrinu de sa Lsc.
A cantu paret, in Nùgoro, totu su degollu si depet a unu dirigente presumidu chi aiat naradu chi issu connoschiat bene su su sardu, mègius de totus. Megius finas de unu espertu famadu chi nch’aiant bogadu dae sa cummissione de sa toponomàstica ca cheriat fàghere su traballu comente si depet, e mègius finas de s’ufìtziu linguìsticu comunale chi no l’ant mancu carculadu. Bravos, bella resessida ais fatu sena iscurtare chie campat de custu traballu e forsis podiat dare cussìgios bonos. De si bortare a s’ufìtziu linguìsticu de sa provìntzia, posca mancu a nde “faveddare”. Ebè, semus nois de sa comuna chi ischimus totu.
S’avolotu chi si nd’est pesadu est istadu sa consighèntzia de custos sèberos. E sa faddina prus manna no est istada mancu cussa de àere iscritu “bia” in tames de “carrera”, o “ribu” in logu de su nòmene de tzitade “Fiume”, ma de àere iscritu sos nùmenes in sardu minores e intre virguleddas comente chi su sardu siat, e forsis est in conca de custa gente, una limba folclorìstica pretzisa pro iscrìere non in limba, ma in “dialetto”. Semper e cando in Nùgoro nd’est essidu a campu unu campionàriu de comente non si depet fàghere una toponomàstica bilingue.
Posca sa Nuova Sardegna, giornale a parusu sardòfobo nd’at aprofitadu pro imbrutare de ludu totu: sa limba, sa tzitade e s’idea matessi de toponomastica bilingue. Mègius de gasi…
A su sìndigu de Nùgoro sos complimentos e augùrios de Diariulimba pro su servìtziu mannu apòrridu a sa limba sarda.
lunedì 15 dicembre 2008
Cronisti in rivolta. Bene, ma un po' di autocritica proprio no?
Molti miei colleghi giornalisti sono in rivolta contro la futura legge sulle intercettazioni telefoniche. Si tratta, dicono, di una legge bavaglio, di un qualcosa che, se approvata, impedirà ai giornalisti di esercitare il diritto di cronaca e ai lettori di essere informati. E' una rivolta bipartisan, nel senso che non ha colore politico.
Di che cosa si tratti, forse tutti sanno. Per i pochi che non sanno, ecco che cosa prevede, detto un po' alla grossa. Le intercettazioni raccolte dalla magistratura non potranno più essere pubblicate e neppure potranno essere pubblicati gli atti di una indagine giudiziari fino alla conclusione dell'udienza preliminare del processo a cui intercettazioni e atti si riferiscono.
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Di che cosa si tratti, forse tutti sanno. Per i pochi che non sanno, ecco che cosa prevede, detto un po' alla grossa. Le intercettazioni raccolte dalla magistratura non potranno più essere pubblicate e neppure potranno essere pubblicati gli atti di una indagine giudiziari fino alla conclusione dell'udienza preliminare del processo a cui intercettazioni e atti si riferiscono.
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sabato 13 dicembre 2008
"Errore marchiano" tradurre Rijeka in Ribu
"Errore marchiano". Tradurre il croato Rijeka nell'italiano fiume, va bene, tradurlo nel sardo ribu non solo non va bene ma è un errore marchiano e concettuale. Parola del sindaco di Nuoro, in risposta a un cronista della Nuova che lo aveva bacchettato in un articolo di qualche giorno fa. Altri, anche questo blog, avevano fatto rimarcare un errore davvero marchiano nella sistemazione delle targhe bilingui a Nuoro: il nome italiano delle vie è a grandi caratteri, quello sardo è non solo di dimensioni dimezzate ma anche tra virgolette.
Il nome sardo, insomma, una innocente bizzarria folcloristica, una azione da demi vièrge cui piacerebbe smettere di esserlo, ma non osa: il babbo e la mamma non vogliono. Al più, appunto, chiudono un occhio su un flirt. Del resto che ci si può aspettare se, alle rimostranze di qualcuno per tale insulto alla lingua sarda, l'assessore competente (parola grossa) si dice abbia risposto che così si attira di più l'attenzione del turista? Salvo cambiare discorso infastidito quando l'interlocutore pare l'abbia preso sul serio: "Se così è, perché non invertire le proporzioni, piccolo l'italiano, più grande il sardo"?
Che tristezza vedere un cronista sardofobo dettare la politica linguistica al sindaco di una città come Nuoro.
Il nome sardo, insomma, una innocente bizzarria folcloristica, una azione da demi vièrge cui piacerebbe smettere di esserlo, ma non osa: il babbo e la mamma non vogliono. Al più, appunto, chiudono un occhio su un flirt. Del resto che ci si può aspettare se, alle rimostranze di qualcuno per tale insulto alla lingua sarda, l'assessore competente (parola grossa) si dice abbia risposto che così si attira di più l'attenzione del turista? Salvo cambiare discorso infastidito quando l'interlocutore pare l'abbia preso sul serio: "Se così è, perché non invertire le proporzioni, piccolo l'italiano, più grande il sardo"?
Che tristezza vedere un cronista sardofobo dettare la politica linguistica al sindaco di una città come Nuoro.
Cornus, un nome semita?
di Herbert Sauren
Ecco un piccolo commento all’articolo di Massimo Pittau sul nome di Cornus. Sono convinto e impressionato dall’argomentazione. C’è tuttavia un problema: Quando è stata fondata questa città? Se ci sono vestigia prima dell’arrivo dei romani e la situazione eccezionale fa pensare a una città anteriore, ma non conosco la data delle prime abitazioni.
Senza voler vedere dietro ogni albero dei semiti, mi sembra non sia permesso dimenticare questa pista. Esiste una isoglossa, q r n, “corna”, “angolo” (consulti Hoftijzer), attestato in punico e a Palmyra. Il senso è esattamente lo stesso del latino cornus. Può darsi dunque, se l’archeologia lo conferma, che il nome più antico sia stato foneticamente conservato e che l’ortografia sia stata più tardu un po’ arrangiata con il latino.
Ecco un piccolo commento all’articolo di Massimo Pittau sul nome di Cornus. Sono convinto e impressionato dall’argomentazione. C’è tuttavia un problema: Quando è stata fondata questa città? Se ci sono vestigia prima dell’arrivo dei romani e la situazione eccezionale fa pensare a una città anteriore, ma non conosco la data delle prime abitazioni.
Senza voler vedere dietro ogni albero dei semiti, mi sembra non sia permesso dimenticare questa pista. Esiste una isoglossa, q r n, “corna”, “angolo” (consulti Hoftijzer), attestato in punico e a Palmyra. Il senso è esattamente lo stesso del latino cornus. Può darsi dunque, se l’archeologia lo conferma, che il nome più antico sia stato foneticamente conservato e che l’ortografia sia stata più tardu un po’ arrangiata con il latino.
Stiglitz: "Atlandide, solo un mito, non un'isola"
Nell'ambito di una iniziativa volta alla salvaguardia del Nuraghe Oroilo di Silanus, il dottor Alfonso Stiglit ha tenuto una conferenza su "Perché la Sardegna non era Atlandide". L'ho intervistato.
Nei giorni scorsi, in un dibattito a Silanus, lei ha argomentato la sua convinzione che la Sardegna non possa essere Atlantide. Perché, dunque?
Potrei usare la risposta più semplice e più rispettosa dei dati scientifici: non lo è perché Atlantide non esiste. Ma nella conferenza non mi sono fermato a constatare questo dato e saltando a piè pari il problema ho valutato le due condizioni storico-geografiche indispensabili perché un’isola sia identificabile con Atlantide: la prima è che sia al di là delle Colonne d’Ercole e la seconda che sia stata distrutta da terremoti e maremoti che hanno determinato la scomparsa della civiltà atlantidea.
La Sardegna non risponde a nessuno dei due requisiti. Le Colonne d’Eracle all’epoca di Platone erano nel lontano occidente, d’altra parte Platone stesso è vissuto per sette anni in Sicilia e non avrebbe potuto situarle in Sicilia. Ma il tratto di mare dello stretto di Gibilterra e oltre era noto sin da almeno il IX-VIII sec. dai Fenici e dai Greci (soprattutto euboici), come ci dimostrano i materiali greci e fenici trovati in quest’area (Cadice, che è fondazione fenicia, Huelva di area Tartessica, fino nell’entroterra) e i toponimi riportabili a questi contesti. La realtà stessa delle Colonne è orientale, non greca, e in occidente è legata alle navigazioni fenicie che hanno come punto di partenza le colonne di Melqart del tempio di Tiro e di arrivo nelle colonne del tempio di Melqart a Cadice. E’ nota a tutti la identificazione di Eracle con Melqart, attestata già da Erodoto.
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Nei giorni scorsi, in un dibattito a Silanus, lei ha argomentato la sua convinzione che la Sardegna non possa essere Atlantide. Perché, dunque?
Potrei usare la risposta più semplice e più rispettosa dei dati scientifici: non lo è perché Atlantide non esiste. Ma nella conferenza non mi sono fermato a constatare questo dato e saltando a piè pari il problema ho valutato le due condizioni storico-geografiche indispensabili perché un’isola sia identificabile con Atlantide: la prima è che sia al di là delle Colonne d’Ercole e la seconda che sia stata distrutta da terremoti e maremoti che hanno determinato la scomparsa della civiltà atlantidea.
La Sardegna non risponde a nessuno dei due requisiti. Le Colonne d’Eracle all’epoca di Platone erano nel lontano occidente, d’altra parte Platone stesso è vissuto per sette anni in Sicilia e non avrebbe potuto situarle in Sicilia. Ma il tratto di mare dello stretto di Gibilterra e oltre era noto sin da almeno il IX-VIII sec. dai Fenici e dai Greci (soprattutto euboici), come ci dimostrano i materiali greci e fenici trovati in quest’area (Cadice, che è fondazione fenicia, Huelva di area Tartessica, fino nell’entroterra) e i toponimi riportabili a questi contesti. La realtà stessa delle Colonne è orientale, non greca, e in occidente è legata alle navigazioni fenicie che hanno come punto di partenza le colonne di Melqart del tempio di Tiro e di arrivo nelle colonne del tempio di Melqart a Cadice. E’ nota a tutti la identificazione di Eracle con Melqart, attestata già da Erodoto.
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giovedì 11 dicembre 2008
Scandaloso: Rijeka (fiume) in sardo diventa Ribu
Un cronista se la prendeva ieri con il pressapochismo del Comune di Nuoro per gli errori commessi in alcune nuove targhe della città: "Un disastro la segnaletica bilingue", scriveva. E cita un paio di casi di cialtronismo allo stato puru: Valerio Catullo è chiamato Carlo anziché Gaio, un prelato è chiamato "monsigmore, Nuoro è cambiata di sesso in Nuoro Nuovo. In effetti, l'operazione del Comune di attribuire alle vie il doppio nome in sardo e in italiano, da splendida decisione di democrazia linguistica e di riconquista di identità rischia di trasformarsi, per l'improvvisazione di qualcuno, in un disastro.
A cominciare dalla peregrina idea di mettere i nomi in sardo fra virgolette. Mentre la strada dedicata al prelato è scritta in grande, si pure con l'errore nella qualifica "monsigmore", quella in sardo è della metà più piccola e tra virgolette ("Bia Zoseppe Melas mossennore"), come si fa con le parole straniere, quando non si può fare a meno di scriverne. Ma nel quotidiano non è questo in contestazione (e come potrebbe esserlo, visto l'atteggiamento di quel giornale nei confronti della lingua sarda, naturalmente definita logudorese?). E valeva la pena di dedicare una intera mezza pagina a qualche errore nella toponomastica? E di mettere il tutto nelle pagine che vanno in tutta la Sardegna, invece di relegarlo in qualche pagina provinciale come capita quando la penuria di articoli costringere a pubblicare qualche articolo non prevenuto sulla lingua sarda?
Certo che sì, visto che sì è osato niente di meno che trasformare Via Fiume in "Bia Ribu" (tra virgolette, naturalmente). Ecco dove duole il dente e l'ironia del cronista da il meglio di sé: "Che il nome della città istriana di Fiume si possa tradurre con il luogudorese «Ribu» (con tanto di maiuscola) agita gli abitanti di via Malta: temono di vedere la loro strada rinominata in via «Marta de carchina»." Un errore, certifica il cronista: "Purtroppo però lo spessore degli errori è andato aumentando: (...) E poi Carlo Catullo, Bia Ribu, e chissà quanti altri da scoprire". L'ironia, si sa, chiede venia della crassa ignoranza.
In italiano, la città croata di Rijeka ha preso il nome di Fiume (questo vuol dire in quella lingua. Del resto, gli italiani hanno persino rinominato Stilfser Joch lo Stelvio, per non dire di Ilune battezzata Cala Luna, Golfo de li ranci Golfo Aranci, Maluventu Maldiventre, Garteddi Galtellì e così via. Malta è tale in maltese, non solo in italiano e anche in sardo. Rijeka è tale in croato, diventa Fiume in italiano. In sardo due potevano essere le scelte: o rispettare il suo nome originario (ma li avresti sentiti i revanscisti di ogni colore) o tradurlo in sardo. Dov'è lo scandalo, se non nella mente di chi pensa che quanto è consentito fare in italiano, non lo sia in sardo? Lingua da mettere fra virgolette.
A cominciare dalla peregrina idea di mettere i nomi in sardo fra virgolette. Mentre la strada dedicata al prelato è scritta in grande, si pure con l'errore nella qualifica "monsigmore", quella in sardo è della metà più piccola e tra virgolette ("Bia Zoseppe Melas mossennore"), come si fa con le parole straniere, quando non si può fare a meno di scriverne. Ma nel quotidiano non è questo in contestazione (e come potrebbe esserlo, visto l'atteggiamento di quel giornale nei confronti della lingua sarda, naturalmente definita logudorese?). E valeva la pena di dedicare una intera mezza pagina a qualche errore nella toponomastica? E di mettere il tutto nelle pagine che vanno in tutta la Sardegna, invece di relegarlo in qualche pagina provinciale come capita quando la penuria di articoli costringere a pubblicare qualche articolo non prevenuto sulla lingua sarda?
Certo che sì, visto che sì è osato niente di meno che trasformare Via Fiume in "Bia Ribu" (tra virgolette, naturalmente). Ecco dove duole il dente e l'ironia del cronista da il meglio di sé: "Che il nome della città istriana di Fiume si possa tradurre con il luogudorese «Ribu» (con tanto di maiuscola) agita gli abitanti di via Malta: temono di vedere la loro strada rinominata in via «Marta de carchina»." Un errore, certifica il cronista: "Purtroppo però lo spessore degli errori è andato aumentando: (...) E poi Carlo Catullo, Bia Ribu, e chissà quanti altri da scoprire". L'ironia, si sa, chiede venia della crassa ignoranza.
In italiano, la città croata di Rijeka ha preso il nome di Fiume (questo vuol dire in quella lingua. Del resto, gli italiani hanno persino rinominato Stilfser Joch lo Stelvio, per non dire di Ilune battezzata Cala Luna, Golfo de li ranci Golfo Aranci, Maluventu Maldiventre, Garteddi Galtellì e così via. Malta è tale in maltese, non solo in italiano e anche in sardo. Rijeka è tale in croato, diventa Fiume in italiano. In sardo due potevano essere le scelte: o rispettare il suo nome originario (ma li avresti sentiti i revanscisti di ogni colore) o tradurlo in sardo. Dov'è lo scandalo, se non nella mente di chi pensa che quanto è consentito fare in italiano, non lo sia in sardo? Lingua da mettere fra virgolette.
Lettera aperta di H. Sauren ai colleghi sardi
di Herbert Sauren
Sono già molte le volte che Gianfranco Pintore ha accolto nel suo blog un mio articolo. Lo ringrazio. Ho anche letto i commenti di altri colleghi e sono felice di vedere tanto interesse per la storia antica.
Chi mi ha letto, ha visto che lancio opinioni che altri colleghi non condividono, o meglio che non condividono ancora. È tempo, dunque, di presentarmi meglio e di chiarire il mio scopo. In quanto professore emerito, io non ho il pur minimo interesse di entrare in polemica e in satira né di contestare tutti quelli che prima di me lavorano. Potete credermi, avrei altrettanto bene coltivare il mio giardino e fare viaggi interessanti.
D’altra parte, nel corso di lunghi anni di insegnamento universitario, ho imparato che il ricorso alla satira e alla polemica è stato fatto quando ogni altro ragionamento con argomenti seri era ormai esaurito e disperato. La tesi che io propongo e difendo è la seguente:
1. Esiste una scrittura che è stata riscontrata nell’Europa occidentale in molti paesi: Portogallo, Spagna, Francia, Italia, nelle isole e dunque anche in Sardegna. Questa scrittura è stata usata in maniera intensiva per quasi un mezzo millennio, dal 300 aC fino al 200 dC, senza contare le vestigia più antiche.
2. Le iscrizioni fatte con questa scrittura contengono lingue semitiche, sia della famiglia del nord-ovest sia di quella del nord-est.
3. Le pubblicazioni fatte fino ad ora e il materiale non ancora pubblicato permettono di fondare questa mia tesi su diverse migliaia di testi ed iscrizioni a volte abbastanza lunghe. La prova è che ogni lettera, ogni parola e ogni frase, tutto è stato controllato con dizionari, grammatiche, epigrafia, considerando il tipo di monumento.
Leggi tutto (testo originale in francese)
Sono già molte le volte che Gianfranco Pintore ha accolto nel suo blog un mio articolo. Lo ringrazio. Ho anche letto i commenti di altri colleghi e sono felice di vedere tanto interesse per la storia antica.
Chi mi ha letto, ha visto che lancio opinioni che altri colleghi non condividono, o meglio che non condividono ancora. È tempo, dunque, di presentarmi meglio e di chiarire il mio scopo. In quanto professore emerito, io non ho il pur minimo interesse di entrare in polemica e in satira né di contestare tutti quelli che prima di me lavorano. Potete credermi, avrei altrettanto bene coltivare il mio giardino e fare viaggi interessanti.
D’altra parte, nel corso di lunghi anni di insegnamento universitario, ho imparato che il ricorso alla satira e alla polemica è stato fatto quando ogni altro ragionamento con argomenti seri era ormai esaurito e disperato. La tesi che io propongo e difendo è la seguente:
1. Esiste una scrittura che è stata riscontrata nell’Europa occidentale in molti paesi: Portogallo, Spagna, Francia, Italia, nelle isole e dunque anche in Sardegna. Questa scrittura è stata usata in maniera intensiva per quasi un mezzo millennio, dal 300 aC fino al 200 dC, senza contare le vestigia più antiche.
2. Le iscrizioni fatte con questa scrittura contengono lingue semitiche, sia della famiglia del nord-ovest sia di quella del nord-est.
3. Le pubblicazioni fatte fino ad ora e il materiale non ancora pubblicato permettono di fondare questa mia tesi su diverse migliaia di testi ed iscrizioni a volte abbastanza lunghe. La prova è che ogni lettera, ogni parola e ogni frase, tutto è stato controllato con dizionari, grammatiche, epigrafia, considerando il tipo di monumento.
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mercoledì 10 dicembre 2008
Bithia? Una città illirica
di Alberto Areddu
Come dice Wikipedia: "Bithia era una città situata nell'estremo sud della Sardegna, ubicata nella località di Chia in territorio comunale di Domus de Maria (provincia di Cagliari).Probabile centro nuragico, fu scalo marittimo fenicio a partire dall'ottavo secolo a.c.. La città fu quindi punica e poi romana, e venne abbandonata agli inizi del VII secolo d.C."
Possiamo aggiungere che è uno dei punti abitati più meridionali dell'isola, per cui pensare che possa rifarsi all'albanese buthe/bithe 'sedere, fondo' a mio giudizio è ben fondato. Mentre riguardo a Neapolis e la sostenuta origine greca tout court, avrei dei dubbi: come ho mostrato in "Launeddas e altri studi greco-italici" ci sono state diverse componenti umane nella colonizzazione d'epoca romana, e tra queste quella osca, aggettante sul golfo di Napoli, era ben presente: l'avere denominato lo stabilimento "città nuova" in base alla loro origine italiota non è dunque peregrino.
Come dice Wikipedia: "Bithia era una città situata nell'estremo sud della Sardegna, ubicata nella località di Chia in territorio comunale di Domus de Maria (provincia di Cagliari).Probabile centro nuragico, fu scalo marittimo fenicio a partire dall'ottavo secolo a.c.. La città fu quindi punica e poi romana, e venne abbandonata agli inizi del VII secolo d.C."
Possiamo aggiungere che è uno dei punti abitati più meridionali dell'isola, per cui pensare che possa rifarsi all'albanese buthe/bithe 'sedere, fondo' a mio giudizio è ben fondato. Mentre riguardo a Neapolis e la sostenuta origine greca tout court, avrei dei dubbi: come ho mostrato in "Launeddas e altri studi greco-italici" ci sono state diverse componenti umane nella colonizzazione d'epoca romana, e tra queste quella osca, aggettante sul golfo di Napoli, era ben presente: l'avere denominato lo stabilimento "città nuova" in base alla loro origine italiota non è dunque peregrino.
Neppure Cornus era una fondazione fenicia
di Massimo Pittau
Cornus - Antica città, di cui esistono i resti nell’agro di Cuglieri nei pressi de s‘Archittu e di Santa Caterina di Pittinuri. Il Movers (Die Phönikier, II 2, 578) presenta Cornus come un toponimo punico, ma noi non accettiamo questa opinione del pur illustre studioso. Ciò perché, in linea generale, siamo fortemente contrari alla “feniciomania” di troppi studiosi moderni di storia antica della Sardegna, poi perché, essendo l’antica città situata in una zona che registra una delle più alte concentrazioni di nuraghi di tutta l’Isola e nel suo stesso sito rimangono ancora i resti di tre nuraghi, Ameddosu Crastachesu e Muradissa, siamo dell’avviso che, con molto maggiore probabilità e verosimiglianza, il centro abitato in origine fosse nuragico o propriamente sardo e nient’affatto punico.
Ciò diciamo senza negare che durante la dominazione dei Cartaginesi in Sardegna la città di Cornus possa aver assunto, entro un certo limite, il carattere di città sardo-punica. Però è un fatto che, dalle stesse notizie dell’anno 215 a. C. tramandateci da Livio (XXIII 40) circa la ribellione dei Sardi comandati da Ampsicora, che proprio a Cornus aveva la sua capitale, si constata chiaramente che la città era propriamente sarda e nient’affatto cartaginese (cfr. anche Eutropio, XIII 1).
Secondo noi invece il toponimo Cornus non è altro che l’appellativo latino cornus «corno», che interpretiamo poter essere la “traduzione” di un precedente toponimo sardiano o nuragico. Questo potrebbe essere quel misterioso nome di città Sanaphar, il cui vescovo – ormai comunemente riconosciuto come quello di Cornus – partecipò, con altri vescovi sardi, all’incontro teologico di Cartagine del 484 d. C. Nel vocabolo latino, a nostro avviso, si deve privilegiare il significato che esso pure aveva di «prominenza»; e ciò in maniera del tutto congruente sia col piccolo altipiano in cui la città era situata sia col colle di Corchinas, nel quale c’era la sua acropoli o cittadella.
E pure per il corrispondente toponimo sardiano o nuragico Sanaphar forse si può supporre il significato di «corni, prominenze» (al plurale; vedi LCS II cap. III). È noto che dell’appellativo lat. cornus,-i, oltre che la forma della II declinazione, esisteva ed era perfino più frequente quella della IV declinazione cornu,-us. Quest’ultima forma risulta che è stata effettivamente adoperata con riferimento all’antica città rispetto al suo piccolo altipiano detto Campu ‘e Corra, che, derivando chiaramente dal plurale cornua (IV declinazione), è da interpretarsi come «Campo delle Prominenze» [nella lingua sarda esiste infatti l’appellativo corra (sing.) «corna» (plur.) e nel monte Ortobene di Nùoro esiste il toponimo Corra Chérvina «corna di cervo» riferito ad alcune cime rocciose, toponimo che esiste pure a Bottida, Bultei, Fonni, Galtellì, Lodè/Orune, Orotelli e Pattada (ONT 51, DILS)].
Una conferma della marca plurale del toponimo potrebbe venire dalla forma in cui compare in Tolomeo (III 3, 7) Kórnos e nell’«Itinerario di Antonino» (84, 1) Cornos, da interpretarsi come accusativo plurale della forma della II declinazione e col significato ancora di «Prominenze».- Tutto ciò detto, adesso siamo anche in grado di interpretare con esattezza l’iscrizione di un cippo, che è stato trovato di recente nel sito di Oratiddu, a 4 chilometri da Cornus, nella strada di epoca romana che andava a Bosa: M CORNU / PRO ⋅ C, che noi svolgiamo in M(UNICIPIUM) CORNU / PRO ⋅ C(IVITATE) e traduciamo «Il Municipio di Cornu / a favore della comunità».
Ed interpretiamo che questo abbia effettuato qualche opera di interesse pubblico in quella zona, come il selciato della strada, un muraglione di sostegno, un ponte, oppure abbia ripulito e protetto con una costruzione in muratura una fonte vicina o infine vi abbia fatto passare l’acquedotto della città, quello di cui ha trovato tracce sicure nel sito della città l’archeologo Antonio Taramelli (Notizie degli Scavi, 1918, pag. 307). E tutto ciò senza alcuna necessità di interpretare CORNU come vocabolo abbreviato. (Invece i primi illustratori dell’iscrizione hanno interpretato che il cippo fosse un miliario stradale, nel quale CORNU sarebbe stato l’abbreviazione del gentilizio lat. Cornuficius, non considerando che in una iscrizione indirizzata al pubblico non si abbrevia mai un gentilizio che vi compaia una sola volta ed inoltre incappando in gravi difficoltà ermeneutiche per la mancanza del nome di un imperatore. Inoltre essi hanno trascurato l’importante circostanza costituita dal ritrovamento dell’iscrizione a poca distanza dai resti di Cornus).
Circa l’ubicazione del porto di Cornus in s’Archittu rimandiamo a quanto abbiamo scritto sotto questa voce nel “Dizionario della Lingua Sarda - fraseologico ed etimologico, vol. II”. Sicuramente la città di Cornus andò distrutta dalle incursioni dei Saraceni, che iniziarono nei primi decenni del secolo VIII e che partivano dall’Africa settentrionale, dalla Spagna e dalle Baleari.
Cornus - Antica città, di cui esistono i resti nell’agro di Cuglieri nei pressi de s‘Archittu e di Santa Caterina di Pittinuri. Il Movers (Die Phönikier, II 2, 578) presenta Cornus come un toponimo punico, ma noi non accettiamo questa opinione del pur illustre studioso. Ciò perché, in linea generale, siamo fortemente contrari alla “feniciomania” di troppi studiosi moderni di storia antica della Sardegna, poi perché, essendo l’antica città situata in una zona che registra una delle più alte concentrazioni di nuraghi di tutta l’Isola e nel suo stesso sito rimangono ancora i resti di tre nuraghi, Ameddosu Crastachesu e Muradissa, siamo dell’avviso che, con molto maggiore probabilità e verosimiglianza, il centro abitato in origine fosse nuragico o propriamente sardo e nient’affatto punico.
Ciò diciamo senza negare che durante la dominazione dei Cartaginesi in Sardegna la città di Cornus possa aver assunto, entro un certo limite, il carattere di città sardo-punica. Però è un fatto che, dalle stesse notizie dell’anno 215 a. C. tramandateci da Livio (XXIII 40) circa la ribellione dei Sardi comandati da Ampsicora, che proprio a Cornus aveva la sua capitale, si constata chiaramente che la città era propriamente sarda e nient’affatto cartaginese (cfr. anche Eutropio, XIII 1).
Secondo noi invece il toponimo Cornus non è altro che l’appellativo latino cornus «corno», che interpretiamo poter essere la “traduzione” di un precedente toponimo sardiano o nuragico. Questo potrebbe essere quel misterioso nome di città Sanaphar, il cui vescovo – ormai comunemente riconosciuto come quello di Cornus – partecipò, con altri vescovi sardi, all’incontro teologico di Cartagine del 484 d. C. Nel vocabolo latino, a nostro avviso, si deve privilegiare il significato che esso pure aveva di «prominenza»; e ciò in maniera del tutto congruente sia col piccolo altipiano in cui la città era situata sia col colle di Corchinas, nel quale c’era la sua acropoli o cittadella.
E pure per il corrispondente toponimo sardiano o nuragico Sanaphar forse si può supporre il significato di «corni, prominenze» (al plurale; vedi LCS II cap. III). È noto che dell’appellativo lat. cornus,-i, oltre che la forma della II declinazione, esisteva ed era perfino più frequente quella della IV declinazione cornu,-us. Quest’ultima forma risulta che è stata effettivamente adoperata con riferimento all’antica città rispetto al suo piccolo altipiano detto Campu ‘e Corra, che, derivando chiaramente dal plurale cornua (IV declinazione), è da interpretarsi come «Campo delle Prominenze» [nella lingua sarda esiste infatti l’appellativo corra (sing.) «corna» (plur.) e nel monte Ortobene di Nùoro esiste il toponimo Corra Chérvina «corna di cervo» riferito ad alcune cime rocciose, toponimo che esiste pure a Bottida, Bultei, Fonni, Galtellì, Lodè/Orune, Orotelli e Pattada (ONT 51, DILS)].
Una conferma della marca plurale del toponimo potrebbe venire dalla forma in cui compare in Tolomeo (III 3, 7) Kórnos e nell’«Itinerario di Antonino» (84, 1) Cornos, da interpretarsi come accusativo plurale della forma della II declinazione e col significato ancora di «Prominenze».- Tutto ciò detto, adesso siamo anche in grado di interpretare con esattezza l’iscrizione di un cippo, che è stato trovato di recente nel sito di Oratiddu, a 4 chilometri da Cornus, nella strada di epoca romana che andava a Bosa: M CORNU / PRO ⋅ C, che noi svolgiamo in M(UNICIPIUM) CORNU / PRO ⋅ C(IVITATE) e traduciamo «Il Municipio di Cornu / a favore della comunità».
Ed interpretiamo che questo abbia effettuato qualche opera di interesse pubblico in quella zona, come il selciato della strada, un muraglione di sostegno, un ponte, oppure abbia ripulito e protetto con una costruzione in muratura una fonte vicina o infine vi abbia fatto passare l’acquedotto della città, quello di cui ha trovato tracce sicure nel sito della città l’archeologo Antonio Taramelli (Notizie degli Scavi, 1918, pag. 307). E tutto ciò senza alcuna necessità di interpretare CORNU come vocabolo abbreviato. (Invece i primi illustratori dell’iscrizione hanno interpretato che il cippo fosse un miliario stradale, nel quale CORNU sarebbe stato l’abbreviazione del gentilizio lat. Cornuficius, non considerando che in una iscrizione indirizzata al pubblico non si abbrevia mai un gentilizio che vi compaia una sola volta ed inoltre incappando in gravi difficoltà ermeneutiche per la mancanza del nome di un imperatore. Inoltre essi hanno trascurato l’importante circostanza costituita dal ritrovamento dell’iscrizione a poca distanza dai resti di Cornus).
Circa l’ubicazione del porto di Cornus in s’Archittu rimandiamo a quanto abbiamo scritto sotto questa voce nel “Dizionario della Lingua Sarda - fraseologico ed etimologico, vol. II”. Sicuramente la città di Cornus andò distrutta dalle incursioni dei Saraceni, che iniziarono nei primi decenni del secolo VIII e che partivano dall’Africa settentrionale, dalla Spagna e dalle Baleari.
martedì 9 dicembre 2008
Quella Barbagia categoria del male
Il titolo che domina la prima pagina della Nuova Sardegna di oggi è: “È allarme violenza in Barbagia”. E qual è la Barbagia di cui si parla? Quella che comprende Onifai, Lodè e Orgosolo. Onifai e Lodè sono notoriamente in Baronia, e Orgosolo, altrettanto notoriamente è nel Nuorese. E la Barbagia? Non c’entra o c’entra con la stessa attinenza che ebbe un servizio della Rai, un cui inviato speciale situò “Bonorva nel cuore del Supramonte di Orgosolo”. Non era giustificabile quel giornalista venuto da Roma (quella povera deontologia professionale obbliga ad essere esatti almeno in geografia), figurarsi chi titola un quotidiano fatto in Sardegna per i sardi.
Tanto più che la geografia creativa della Nuova ha saltato il mare e ha disinformato gli spettatori di “Rai news 24” i quali hanno innocentemente ingurgitato una informazione falsa: che i fatti raccontati sono avvenuti in Barbagia. La quale Barbagia è da tempo non più una regione geografica ben delimitata, ma una categoria del male, una sorta di contenitore in cui mettere tutto il crimine, raccoglitore che si allarga mano a mano che i crimini accadono.
È in fondo lo stesso meccanismo utilizzato dai romani: chi non partecipava della loro civilizzazione era barbaro, barbaricino, chi si convertiva alla loro civilizzazione smetteva di essere barbaro e barbaricino. Ma allora, almeno, si trattava di territori, di luoghi definiti geograficamente. Ora si è alla definizione della Barbaria come categoria dello spirito senza alcun obbligo di collocazione spaziale.
Si tratta solo di una pur colpevole ignoranza? Può darsi. O c’è una altrettanto illecita operazione commerciale, per cui la Barbagia vende perché conosciuta ovunque e, poniamo, il Barigadu invece non tira? Può essere. Il fatto è che questa sciocca semplificazione, con tratti di inconscio razzismo, ha l’effetto di criminalizzare una regione della Sardegna che ha già i suoi problemi con il crimine e non ha certo bisogno di targare con il “made in Barbagia” i crimini avvenuti altrove.
Anche da questo nasce la crescente insoddisfazione nei confronti di una stampa frettolosa, pressappochista e inutilmente sculacciapopoli. Episodi come quelli capitati qualche giorno fa ad Orgosolo, dove alla stampa è stato inibito l’accesso ad una assemblea di madri, non devono stupire. Preoccupare per il disconoscimento del ruolo della stampa sì, ma stupire no.
Tanto più che la geografia creativa della Nuova ha saltato il mare e ha disinformato gli spettatori di “Rai news 24” i quali hanno innocentemente ingurgitato una informazione falsa: che i fatti raccontati sono avvenuti in Barbagia. La quale Barbagia è da tempo non più una regione geografica ben delimitata, ma una categoria del male, una sorta di contenitore in cui mettere tutto il crimine, raccoglitore che si allarga mano a mano che i crimini accadono.
È in fondo lo stesso meccanismo utilizzato dai romani: chi non partecipava della loro civilizzazione era barbaro, barbaricino, chi si convertiva alla loro civilizzazione smetteva di essere barbaro e barbaricino. Ma allora, almeno, si trattava di territori, di luoghi definiti geograficamente. Ora si è alla definizione della Barbaria come categoria dello spirito senza alcun obbligo di collocazione spaziale.
Si tratta solo di una pur colpevole ignoranza? Può darsi. O c’è una altrettanto illecita operazione commerciale, per cui la Barbagia vende perché conosciuta ovunque e, poniamo, il Barigadu invece non tira? Può essere. Il fatto è che questa sciocca semplificazione, con tratti di inconscio razzismo, ha l’effetto di criminalizzare una regione della Sardegna che ha già i suoi problemi con il crimine e non ha certo bisogno di targare con il “made in Barbagia” i crimini avvenuti altrove.
Anche da questo nasce la crescente insoddisfazione nei confronti di una stampa frettolosa, pressappochista e inutilmente sculacciapopoli. Episodi come quelli capitati qualche giorno fa ad Orgosolo, dove alla stampa è stato inibito l’accesso ad una assemblea di madri, non devono stupire. Preoccupare per il disconoscimento del ruolo della stampa sì, ma stupire no.
Che tempo fa in Sardegna? Tempo di Soru
di Franco Pilloni
Mi pareva di sentire (in tv) un professore di nome (non di fatto) Zeri che parlava dell'ispirazione dell'artista, davanti ad un'opera d'arte che ai più era sembrata normalmente, moderatamente bella, ma solamente perché (i più) hanno un concetto vago, provvisorio e indeterminato della bellezza. Io sono rimasto affascinato dall'idea che ciascuno di noi debba (ecco l'imperativo categorico!) fare un capolavoro della propria esistenza, sia che se la passi a inventare Tiscali e a redimere isole, o solamente a pintai fustis e mazzoccas, mentre sorveglia le pecore al pascolo.
Qualcuno ha saputo resistere alla dialettica vecchia maniera del Renato, espressa a intermittenza, così come poteva estrinsecarsi sulla pagina scritta con una macchina Olivetti meccanica che ogni tanto doveva interrompersi per andare a capo, quando ha dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio come in un telefilm della serie “Avvocati in divisa”, che egli non può avere panorami italiani per la sua politica, perché egli è nazionalitario, identitario, legato alla lingua, alla musica, alla natura di quest'isola? C'erano dubbi? Si è notato l'apologo sui partiti (quelli politici, non i disterrati) che vorrebbero farla da padroni nelle istituzioni?
(Leggi tutto)
Delle scelte politiche e culturali non discuto. Specialmente quando sono argomentate con una prosa bella come la tua. Mi resta solo un dubbio: metti che Soru vinca e metti che, da uomo d'onore, non solo confermi l'esperienza della Lsc, ma la trasformi in un inizio di politica linguistica. Cambieremo i ruoli? Io, oppositore di Soru, sarò dalla sua parte per la politica linguistica e tu, suo sostenitore salterai la barricata, marciandogli contro? Che casino. (gfp)
Mi pareva di sentire (in tv) un professore di nome (non di fatto) Zeri che parlava dell'ispirazione dell'artista, davanti ad un'opera d'arte che ai più era sembrata normalmente, moderatamente bella, ma solamente perché (i più) hanno un concetto vago, provvisorio e indeterminato della bellezza. Io sono rimasto affascinato dall'idea che ciascuno di noi debba (ecco l'imperativo categorico!) fare un capolavoro della propria esistenza, sia che se la passi a inventare Tiscali e a redimere isole, o solamente a pintai fustis e mazzoccas, mentre sorveglia le pecore al pascolo.
Qualcuno ha saputo resistere alla dialettica vecchia maniera del Renato, espressa a intermittenza, così come poteva estrinsecarsi sulla pagina scritta con una macchina Olivetti meccanica che ogni tanto doveva interrompersi per andare a capo, quando ha dimostrato, oltre ogni ragionevole dubbio come in un telefilm della serie “Avvocati in divisa”, che egli non può avere panorami italiani per la sua politica, perché egli è nazionalitario, identitario, legato alla lingua, alla musica, alla natura di quest'isola? C'erano dubbi? Si è notato l'apologo sui partiti (quelli politici, non i disterrati) che vorrebbero farla da padroni nelle istituzioni?
(Leggi tutto)
Delle scelte politiche e culturali non discuto. Specialmente quando sono argomentate con una prosa bella come la tua. Mi resta solo un dubbio: metti che Soru vinca e metti che, da uomo d'onore, non solo confermi l'esperienza della Lsc, ma la trasformi in un inizio di politica linguistica. Cambieremo i ruoli? Io, oppositore di Soru, sarò dalla sua parte per la politica linguistica e tu, suo sostenitore salterai la barricata, marciandogli contro? Che casino. (gfp)
domenica 7 dicembre 2008
Va finire che morremo fenici
Con grande malinconia si legge oggi che il sindaco di San Nicolò d'Arcidano si è messo sa berrita a tortu perché la Provincia di Oristano non ha messo il suo comune fra quelli del "Parco archeologico dei fenici". Il sindaco, Emaunele Cera, che è anche consigliere provinciale a Oristano, a sua giustificazione potrebbe produrre la sua qualità di oppositore al presidente della Provincia: si sa in politica, à la guerre comme à la guerre, tutto è consentito.
Anche lamentare, per contrastare l'avversario, una non riconosciuta fenicità di San Nicolò d'Arcidano per ripicche politiche e, anche, esibire un pedigree fenicio di tutto rispetto: "Quando attorno al 500 a.C. vi furono ondate di quel che restava dei “popoli del mare”, che ormai in via di trasformazione stavano per passare da pirati-conquistatori a coloni-mercanti, specialmente il golfo attuale di Oristano che protetto naturalmente consentendo il nascere di insediamenti più o meno stabili, favorì il sorgere di vere e proprie città quali Othoca, Osea, Tharros e Neapolis".
Continua il nostro (cito da un articolo di oggi di La Nuova): "Il suo territorio più di ogni altro risulta costellato di insediamenti fenico-punico. Sono talmente numerosi che è quasi difficile censirli tutti e possiamo peraltro elencare quelli che a nostro avviso sono tra i più importanti: “Coddu de Serra fogu”, “Erra Pumpusa”, “Serra Arena”, “Serra Prumu”, “Figuradas”, “Bau Iua”, “Fogoni”, “Linnaris”, “S’Arrideli”."
Tutti toponimi, come si vede, di sicura derivazione fenicia. E qui lo scherzo finisce e comincia una riflessione sui guasti che le feniciomania sta continuando a produrre, assortita al progetto di un parco archeologico foriero di chi sa quale improvviso benessere, tanto consistente da permettere la trasformazione del Golfo di Oristano in "Golfo dei fenici". Dei mercanti, ospitati forse a pagamento in alcune città sarde, come Tharros, sono stati trasformati in apportatori di una civiltà superiore da chi ha speso una vita di studi per dimostrare l'indimostrabile e questi studi vuol far fruttare. E' bastato loro far suonare un po' di monete davanti a chi per vocazione culturale è ben disposto all'autocolonialismo o a chi non riflette sufficientemente alle conseguenze di quel che fa, e il gioco è fatto.
Anche lamentare, per contrastare l'avversario, una non riconosciuta fenicità di San Nicolò d'Arcidano per ripicche politiche e, anche, esibire un pedigree fenicio di tutto rispetto: "Quando attorno al 500 a.C. vi furono ondate di quel che restava dei “popoli del mare”, che ormai in via di trasformazione stavano per passare da pirati-conquistatori a coloni-mercanti, specialmente il golfo attuale di Oristano che protetto naturalmente consentendo il nascere di insediamenti più o meno stabili, favorì il sorgere di vere e proprie città quali Othoca, Osea, Tharros e Neapolis".
Continua il nostro (cito da un articolo di oggi di La Nuova): "Il suo territorio più di ogni altro risulta costellato di insediamenti fenico-punico. Sono talmente numerosi che è quasi difficile censirli tutti e possiamo peraltro elencare quelli che a nostro avviso sono tra i più importanti: “Coddu de Serra fogu”, “Erra Pumpusa”, “Serra Arena”, “Serra Prumu”, “Figuradas”, “Bau Iua”, “Fogoni”, “Linnaris”, “S’Arrideli”."
Tutti toponimi, come si vede, di sicura derivazione fenicia. E qui lo scherzo finisce e comincia una riflessione sui guasti che le feniciomania sta continuando a produrre, assortita al progetto di un parco archeologico foriero di chi sa quale improvviso benessere, tanto consistente da permettere la trasformazione del Golfo di Oristano in "Golfo dei fenici". Dei mercanti, ospitati forse a pagamento in alcune città sarde, come Tharros, sono stati trasformati in apportatori di una civiltà superiore da chi ha speso una vita di studi per dimostrare l'indimostrabile e questi studi vuol far fruttare. E' bastato loro far suonare un po' di monete davanti a chi per vocazione culturale è ben disposto all'autocolonialismo o a chi non riflette sufficientemente alle conseguenze di quel che fa, e il gioco è fatto.
venerdì 5 dicembre 2008
Neapolis, fondazione greca, non fenicia
di Massimo Pittau
Eccoti un altro contributo allo smascheramento della feniciomania. E' tratto anche questo dal mio Dizionario della Lingua Sarda - fraseologico ed etimologico, vol. II e riguarda Neapolis.
Neapolis (provincia di Oristano) - Antica città della Sardegna, posta nella parte meridionale del golfo di Oristano, nel sito ora chiamato di Santa Maria de Nábui (che deriva appunto da Neapolis). Come dice chiaramente il suo nome greco di Néa Pólis «Nuova Città» e come hanno confermato i ritrovamenti archeologici effettuati nel sito e nella zona, si trattava di una fondazione greca, probabilmente fatta dalla grande colonia focese di Marsiglia, come emporio o mercato in cui commerciare coi Sardi. Ed infatti nel golfo di Oristano e precisamente a Tarrhos sono state trovate due iscrizioni funerarie in lingua greca appartenenti a due cittadini di Marsiglia, molto probabilmente commercianti (Pais, Prerom. 309 nota 6).
La tesi comunemente ripetuta, secondo cui Neapolis non fosse altro che la traduzione di una locuzione fenicia o punica Qrthdšt «Città Nuova», va respinta con decisione, sia perché non se ne è mai neppure tentata una dimostrazione, sia perché anzi è contraddetta da numerose e consistenti considerazioni (UNS num. 9). Il fatto che nel sito di Neapolis sia stato rinvenuto anche materiale fenicio-punico significa solamente che pure là sono arrivati anche i Punici o Cartaginesi.
Lo scrittore latino Palladio Rutilio (de Agr. IV 10, 16) celebra la fertilità del territorio di Neapolis, dove possedeva dei fondi (Pais, Rom. 517-518). Probabilmente la più antica attestazione della città in epoca medioevale è quella del Condaghe di Bonarcado (CSMB 74), dove si parla di un Trogotori de Napoli. Giovanni Francesco Fara, Chorographia Sardiniae (anni 1580-1589) cita parecchie volte Neapolis, ma come città distrutta.
Presso l'antica Neapolis sono da localizzare le foci del riu de Pabillonis, chiamate dal geografo greco-alessandrino Tolomeo Hieroû Potamoû ekbolaí «foci del Fiume Sacro». Questo viene detto “Sacro”, probabilmente perché in esso confluivano le acque termali di Sardara, ossia le Aquae Neapolitanae, ora di Santa Maria de is Aquas.
Eccoti un altro contributo allo smascheramento della feniciomania. E' tratto anche questo dal mio Dizionario della Lingua Sarda - fraseologico ed etimologico, vol. II e riguarda Neapolis.
Neapolis (provincia di Oristano) - Antica città della Sardegna, posta nella parte meridionale del golfo di Oristano, nel sito ora chiamato di Santa Maria de Nábui (che deriva appunto da Neapolis). Come dice chiaramente il suo nome greco di Néa Pólis «Nuova Città» e come hanno confermato i ritrovamenti archeologici effettuati nel sito e nella zona, si trattava di una fondazione greca, probabilmente fatta dalla grande colonia focese di Marsiglia, come emporio o mercato in cui commerciare coi Sardi. Ed infatti nel golfo di Oristano e precisamente a Tarrhos sono state trovate due iscrizioni funerarie in lingua greca appartenenti a due cittadini di Marsiglia, molto probabilmente commercianti (Pais, Prerom. 309 nota 6).
La tesi comunemente ripetuta, secondo cui Neapolis non fosse altro che la traduzione di una locuzione fenicia o punica Qrthdšt «Città Nuova», va respinta con decisione, sia perché non se ne è mai neppure tentata una dimostrazione, sia perché anzi è contraddetta da numerose e consistenti considerazioni (UNS num. 9). Il fatto che nel sito di Neapolis sia stato rinvenuto anche materiale fenicio-punico significa solamente che pure là sono arrivati anche i Punici o Cartaginesi.
Lo scrittore latino Palladio Rutilio (de Agr. IV 10, 16) celebra la fertilità del territorio di Neapolis, dove possedeva dei fondi (Pais, Rom. 517-518). Probabilmente la più antica attestazione della città in epoca medioevale è quella del Condaghe di Bonarcado (CSMB 74), dove si parla di un Trogotori de Napoli. Giovanni Francesco Fara, Chorographia Sardiniae (anni 1580-1589) cita parecchie volte Neapolis, ma come città distrutta.
Presso l'antica Neapolis sono da localizzare le foci del riu de Pabillonis, chiamate dal geografo greco-alessandrino Tolomeo Hieroû Potamoû ekbolaí «foci del Fiume Sacro». Questo viene detto “Sacro”, probabilmente perché in esso confluivano le acque termali di Sardara, ossia le Aquae Neapolitanae, ora di Santa Maria de is Aquas.
Lasci le analisi: tanto Soru ha già vinto
di Carlo Carta
Caro Signor Pintore,
sull'operato di Renato Soru lasci giudicare al Popolo Sardo! Le analisi politiche qui da noi sono così complicate, così drogate, così artificiali... La nostra classe politica è la lapalissiana dimostrazione che il peggior nemico della Sardegna sono i sardi! Invidiosi come siamo, si bisticcia su tutto. Sulla lingua, sul falso mito delle Gens Barbarie, mai domi e così inespugnabili. Pronti a tifare "is strangiusu", quando costruiscono e violentano il nostro territorio. Pronti questi sardi a "bantai" i forestieri, a stendere lo zerbino per rinnovare il falso mito dell'ospitalità.
Questa è l'Isola dei falsi miti! L'ospitalità, l'impenetrabilità delle zone interne da parte dell'invasore romano, il primato della lingua logudoresa sul campidanese (come può una lingua parlata dalla maggioranza dei Sardi esser considerata minore?); il falso mito dei cavalieri del nord Sardegna a danno dei cavallerizzi del Campidano (vedasi il mitico Azarael di Serrenti) . Finiamola una volta per tutte nel raccontarci barzellette!
Mellus Soru! E ci podis contai, c'adessi su bincidori de is prossimasa votazionisi!
Caro Signor Carta, si decida: deve essere il popolo sardo a eleggere il nuovo presidente, o lo ha già fatto lei in sua vece?
(gfp)
Caro Signor Pintore,
sull'operato di Renato Soru lasci giudicare al Popolo Sardo! Le analisi politiche qui da noi sono così complicate, così drogate, così artificiali... La nostra classe politica è la lapalissiana dimostrazione che il peggior nemico della Sardegna sono i sardi! Invidiosi come siamo, si bisticcia su tutto. Sulla lingua, sul falso mito delle Gens Barbarie, mai domi e così inespugnabili. Pronti a tifare "is strangiusu", quando costruiscono e violentano il nostro territorio. Pronti questi sardi a "bantai" i forestieri, a stendere lo zerbino per rinnovare il falso mito dell'ospitalità.
Questa è l'Isola dei falsi miti! L'ospitalità, l'impenetrabilità delle zone interne da parte dell'invasore romano, il primato della lingua logudoresa sul campidanese (come può una lingua parlata dalla maggioranza dei Sardi esser considerata minore?); il falso mito dei cavalieri del nord Sardegna a danno dei cavallerizzi del Campidano (vedasi il mitico Azarael di Serrenti) . Finiamola una volta per tutte nel raccontarci barzellette!
Mellus Soru! E ci podis contai, c'adessi su bincidori de is prossimasa votazionisi!
Caro Signor Carta, si decida: deve essere il popolo sardo a eleggere il nuovo presidente, o lo ha già fatto lei in sua vece?
(gfp)
giovedì 4 dicembre 2008
Madri di Orgosolo in rivolta contro la stampa. Capiamo il perché
La notizia è di quelle che passano inosservate ai più: riguarda una assemblea di genitori ad Orgosolo e, normalmente, interesserebbe le famiglie che vi hanno partecipato e, al più, i cittadini di Orgosolo, così come la riunione della proloco di un qualsiasi paese. Il fatto è che quell'assemblea è rimasta ermeticamente chiusa ai giornalisti.
E allora c'è di che riflettere sia per chi fa quel mestiere sia, in generale, chi i giornali usano per essere informati. Essere informati significa conoscere i fatti accaduti, non conoscere i ricami intorno a qualcosa che con i fatti ha solo una vaga somiglianza. Tanto per dirne una e per restare ad Orgosolo: ieri (3 dicembre) le televisioni hanno dato per tutto il giorno "la notizia" che due consiglieri comunali erano stati bersaglio di un attentato. In realtà, "i" consiglieri erano "un" consigliere. E ancora oggi, un quotidiano insiste: "Orgosolo: fucilate contro le auto di due consiglieri dell'opposizione".
Dovere di un cronista è quello di verificare i fatti prima di scriverne: sarebbe bastato sentire i due consiglieri per conoscere la verità dei fatti e che, cioè, veri gli spari ma falso il coinvolgimento di entrambi. Il problema è che due bersagli sono più di uno e si prestano meglio a una drammatizzazione rispetto alla quale non conta tanto la qualità del fatto ma la sua quantità e, soprattutto, la possibilità di inquadrare il fatto stesso nello stereotipo. In questo caso il luogo comune è "Orgosolo violenta". (LEGGI TUTTO)
E allora c'è di che riflettere sia per chi fa quel mestiere sia, in generale, chi i giornali usano per essere informati. Essere informati significa conoscere i fatti accaduti, non conoscere i ricami intorno a qualcosa che con i fatti ha solo una vaga somiglianza. Tanto per dirne una e per restare ad Orgosolo: ieri (3 dicembre) le televisioni hanno dato per tutto il giorno "la notizia" che due consiglieri comunali erano stati bersaglio di un attentato. In realtà, "i" consiglieri erano "un" consigliere. E ancora oggi, un quotidiano insiste: "Orgosolo: fucilate contro le auto di due consiglieri dell'opposizione".
Dovere di un cronista è quello di verificare i fatti prima di scriverne: sarebbe bastato sentire i due consiglieri per conoscere la verità dei fatti e che, cioè, veri gli spari ma falso il coinvolgimento di entrambi. Il problema è che due bersagli sono più di uno e si prestano meglio a una drammatizzazione rispetto alla quale non conta tanto la qualità del fatto ma la sua quantità e, soprattutto, la possibilità di inquadrare il fatto stesso nello stereotipo. In questo caso il luogo comune è "Orgosolo violenta". (LEGGI TUTTO)
mercoledì 3 dicembre 2008
E poi, neppure Othoca è fenicia
di Massimo Pittau
Ti mando un piccolo articolo che ho tratto dal mio "Dizionario della Lingua Sarda - fraseologico ed etimologico, II vol., I Macrotoponimi, Cagliari 2003, E. Gasperini Editore". Starebbe bene nella rubrica "Feniciomania"
Othoca - Antica ed importante città della Sardegna, sostituita dalla odierna Santa Giusta, situata sulla riva dell'omonimo stagno. Finora tutti gli autori che si sono interessati di questo toponimo hanno passivamente accettato la tesi del Movers, secondo cui esso corrisponde alla punica Utica dell'Africa settentrionale e pertanto significhi "(Città) Vecchia» (‘tq). Al contrario noi non accettiamo questa spiegazione sia perché le si oppongono notevoli difficoltà fonetiche, sia perché Othoca risulta essere omoradicale con una lunga serie di toponimi sardi [es. Othaqe (Oliena)], che sono di sicura matrice sardiana o nuragica e che potrebbero corrispondere – non derivare - al fitonimo lat. odocos, odicus, odecus «ebbio» (Sambucus ebulus L.) (NPRA 176), che esiste anche in Sardegna (NPS 337).
D'altronde è già molto significativo il fatto che a Santa Giusta qualche decennio fa è stata rinvenuta la tomba di un defunto, nel cui corredo c'erano pure «due stiletti in ferro nuragici, che potrebbero costituire le insegne di rango di un personaggio sardo» (UNS 115). E infine proponiamo questa domanda: perché viene comunemente pronunziato Óthoca e non Othòca?
Caro Massimo,
anche questo tuo articolo contribuisce a svelare la incongruità dell'operazione autocolonialista dei feniciomani che vorrebbero addirittura sia cambiato il nome del Golfo di Oristano in quello di "Golfo dei fenici". Ed è di conforto alla petizione tesa ad impedirla. Purtroppo, ad oggi, l'appello al presidente della Regione ha avuto appena una novantina di sottoscrittori. Molti dei quali (come si può verificare agevolmente) non sardi.
C'è qualcosa che non va. L'invito a firmare è stato letto o visto da oltre duemila persone su questo blog (esattemente 2642) e da molte altre su altri siti che l'hanno rilanciato. Che cosa succede nell'animo di noi sardi? C'è contrarietà al senso dell'appello? Può darsi, ma è difficile pensare che l'ostilità sia così diffusa. Non c'è fiducia nei destinatari dell'appello. Anche questo è possibile, pur se altre petizioni che riguardano aspetti materiali del nostro essere sardi hanno e stanno ricevendo migliaia di firme.
O forse c'è una rassegnata sottomissione all'economicismo, a quella malattia dello spirito che riduce l'esistenza umana a problemi di pancia, gli unici capaci di mobilitare le coscienze? Pensare che gli aspetti della identità sarda siano l'ultimo dei problemi, di cui occuparci a stomaco pieno, è, più che un errore di cui si pagheranno le conseguenze, un regalo a chi da sempre sostiene che occuparsi di lingua, cultura e tradizioni è un lusso folcoristico "deviante", in momenti di crisi. Momenti che, mi insegni, sono lunghi secoli e mai interrotti da periodi in cui la "devianza" si trasforma in normalità.
Da copromotore della petizione, consegnerò alla Regione l'appello e l'elenco delle firme al più presto. Non sarà una bella figura, ma ci sarà un pregio: si dimostrerà qual è, al di là di autoconsolatori proclami, lo stato delle cose. (gfp)
Ti mando un piccolo articolo che ho tratto dal mio "Dizionario della Lingua Sarda - fraseologico ed etimologico, II vol., I Macrotoponimi, Cagliari 2003, E. Gasperini Editore". Starebbe bene nella rubrica "Feniciomania"
Othoca - Antica ed importante città della Sardegna, sostituita dalla odierna Santa Giusta, situata sulla riva dell'omonimo stagno. Finora tutti gli autori che si sono interessati di questo toponimo hanno passivamente accettato la tesi del Movers, secondo cui esso corrisponde alla punica Utica dell'Africa settentrionale e pertanto significhi "(Città) Vecchia» (‘tq). Al contrario noi non accettiamo questa spiegazione sia perché le si oppongono notevoli difficoltà fonetiche, sia perché Othoca risulta essere omoradicale con una lunga serie di toponimi sardi [es. Othaqe (Oliena)], che sono di sicura matrice sardiana o nuragica e che potrebbero corrispondere – non derivare - al fitonimo lat. odocos, odicus, odecus «ebbio» (Sambucus ebulus L.) (NPRA 176), che esiste anche in Sardegna (NPS 337).
D'altronde è già molto significativo il fatto che a Santa Giusta qualche decennio fa è stata rinvenuta la tomba di un defunto, nel cui corredo c'erano pure «due stiletti in ferro nuragici, che potrebbero costituire le insegne di rango di un personaggio sardo» (UNS 115). E infine proponiamo questa domanda: perché viene comunemente pronunziato Óthoca e non Othòca?
Caro Massimo,
anche questo tuo articolo contribuisce a svelare la incongruità dell'operazione autocolonialista dei feniciomani che vorrebbero addirittura sia cambiato il nome del Golfo di Oristano in quello di "Golfo dei fenici". Ed è di conforto alla petizione tesa ad impedirla. Purtroppo, ad oggi, l'appello al presidente della Regione ha avuto appena una novantina di sottoscrittori. Molti dei quali (come si può verificare agevolmente) non sardi.
C'è qualcosa che non va. L'invito a firmare è stato letto o visto da oltre duemila persone su questo blog (esattemente 2642) e da molte altre su altri siti che l'hanno rilanciato. Che cosa succede nell'animo di noi sardi? C'è contrarietà al senso dell'appello? Può darsi, ma è difficile pensare che l'ostilità sia così diffusa. Non c'è fiducia nei destinatari dell'appello. Anche questo è possibile, pur se altre petizioni che riguardano aspetti materiali del nostro essere sardi hanno e stanno ricevendo migliaia di firme.
O forse c'è una rassegnata sottomissione all'economicismo, a quella malattia dello spirito che riduce l'esistenza umana a problemi di pancia, gli unici capaci di mobilitare le coscienze? Pensare che gli aspetti della identità sarda siano l'ultimo dei problemi, di cui occuparci a stomaco pieno, è, più che un errore di cui si pagheranno le conseguenze, un regalo a chi da sempre sostiene che occuparsi di lingua, cultura e tradizioni è un lusso folcoristico "deviante", in momenti di crisi. Momenti che, mi insegni, sono lunghi secoli e mai interrotti da periodi in cui la "devianza" si trasforma in normalità.
Da copromotore della petizione, consegnerò alla Regione l'appello e l'elenco delle firme al più presto. Non sarà una bella figura, ma ci sarà un pregio: si dimostrerà qual è, al di là di autoconsolatori proclami, lo stato delle cose. (gfp)
martedì 2 dicembre 2008
Stele di Nora: documenti, se no è aria fritta
di Gigi Sanna
Per il professor Herbert Sauren, quello della stele di Nora non sarebbe un alfabeto arcaico di tipologia fenicia, come universalmente affermato, ma un alfabeto tardo (con sillabe, vocali e consonanti), occidentale ed ‘iberico’, addirittura del I secolo a.C. Con un contenuto, in lingua semitica, davvero bello e gioioso: un canto autunnale di vignaioli che pestano l’uva facendo, addirittura, ‘quattro passi avanti e quattro indietro’. Che dire? Il canto festoso e ritmato dei vignaioli sardi non ci sorprende dal momento che sembra essere consequenziale alla gioia vorticosa di chi ‘muove la tazza (di Alessandria) stando nel mezzo’.
Credo che Nora ed Alessandria debbano gemellarsi al più presto per questo gaudio bacchico, così antico e pieno di mistero, o se si vuole di ‘r(u)z’ dal momento che per la nuova epigrafia norense i vecchi ‘nun’, gli eredi snelli dei simpatici serpentelli protosinaitici, vanno trasformati in ‘zeta’, più giovani di quasi un millennio.
Gentile prof. Sauren, mi perdoni, ma uso volutamente l’ironia per due motivi: perché non trovo affatto giusto che lei ironizzi gratuitamente e, direi, incoscientemente (ovvero senza rendersi conto che l’ironia può rimbalzarle malamente in faccia) sulla Prosper che parla (certo sbagliando) di ‘porci’ riguardo al contenuto della Stele di Nora e perché, francamente, devo dire che non mi rimane altro modo per dire quello che correrei il rischio di dire in maniera per niente garbata.
(LEGGI TUTTO)
Per il professor Herbert Sauren, quello della stele di Nora non sarebbe un alfabeto arcaico di tipologia fenicia, come universalmente affermato, ma un alfabeto tardo (con sillabe, vocali e consonanti), occidentale ed ‘iberico’, addirittura del I secolo a.C. Con un contenuto, in lingua semitica, davvero bello e gioioso: un canto autunnale di vignaioli che pestano l’uva facendo, addirittura, ‘quattro passi avanti e quattro indietro’. Che dire? Il canto festoso e ritmato dei vignaioli sardi non ci sorprende dal momento che sembra essere consequenziale alla gioia vorticosa di chi ‘muove la tazza (di Alessandria) stando nel mezzo’.
Credo che Nora ed Alessandria debbano gemellarsi al più presto per questo gaudio bacchico, così antico e pieno di mistero, o se si vuole di ‘r(u)z’ dal momento che per la nuova epigrafia norense i vecchi ‘nun’, gli eredi snelli dei simpatici serpentelli protosinaitici, vanno trasformati in ‘zeta’, più giovani di quasi un millennio.
Gentile prof. Sauren, mi perdoni, ma uso volutamente l’ironia per due motivi: perché non trovo affatto giusto che lei ironizzi gratuitamente e, direi, incoscientemente (ovvero senza rendersi conto che l’ironia può rimbalzarle malamente in faccia) sulla Prosper che parla (certo sbagliando) di ‘porci’ riguardo al contenuto della Stele di Nora e perché, francamente, devo dire che non mi rimane altro modo per dire quello che correrei il rischio di dire in maniera per niente garbata.
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lunedì 1 dicembre 2008
I Sacri Lidi di Sardegna
di Alberto Areddu
La ventilata proposta di ridenominare l’attuale golfo di Oristano con l’appellativo di “Golfo dei Fenici”, come prevedibile, ha suscitato una levata di scudi, capeggiata nella fattispecie dal Nostro Suscitatore, che dando fiato alle rimostranze indigenistiche (riassumibili in: “noi nuragici siamo venuti prima e ‘sti fenici hanno esercitato solo una miserabile opera di imperialismo coloniale”), nella sua battaglia ha avuto la concordia animi di chi paradossalmente nella sue pubblicazioni ha espresso l’idea di una teologica redenzione operata dagli antenati cananei (questo il genuino nome dei Fenici) nei confronti dei primigeni abitanti, qualche secolo innanzi le prime apoichie.
Personalmente credo ci siano cose più rilevanti che stare a trattenersi su dispute nominalistiche, soprattutto poi se queste proposte servirebbero a trarre dall’anonimato zone che meriterebbero maggiori frequentazioni. Che a questo servono tali ballon d’essai: a richiamare la pubblica attenzione su zone disagiate che col turismo potrebbero rialzarsi economicamente. Non mi pare che la denominazione di “golfo dei poeti” (grazie alle frequentazioni byroniane) abbia danneggiato l’industria turistica degli spezzini, anzi l’ha migliorata e neanche si è imposta come denominazione ufficiale, si è solo aggiunta, gradita ancella, a quella naturale.
(LEGGI TUTTO)
Il Vostro Suscitatore (moderatore, coordinatore senza maiuscole le sembrava banale?), da uomo perspicace qual è desume che non firmerà la petizione. Se ne farà una ragione, certo che le sue argomentazioni siano la riprova dell’urgenza di scoraggiare le pulsioni autocolonialiste di alcuni sardi. gfp
La ventilata proposta di ridenominare l’attuale golfo di Oristano con l’appellativo di “Golfo dei Fenici”, come prevedibile, ha suscitato una levata di scudi, capeggiata nella fattispecie dal Nostro Suscitatore, che dando fiato alle rimostranze indigenistiche (riassumibili in: “noi nuragici siamo venuti prima e ‘sti fenici hanno esercitato solo una miserabile opera di imperialismo coloniale”), nella sua battaglia ha avuto la concordia animi di chi paradossalmente nella sue pubblicazioni ha espresso l’idea di una teologica redenzione operata dagli antenati cananei (questo il genuino nome dei Fenici) nei confronti dei primigeni abitanti, qualche secolo innanzi le prime apoichie.
Personalmente credo ci siano cose più rilevanti che stare a trattenersi su dispute nominalistiche, soprattutto poi se queste proposte servirebbero a trarre dall’anonimato zone che meriterebbero maggiori frequentazioni. Che a questo servono tali ballon d’essai: a richiamare la pubblica attenzione su zone disagiate che col turismo potrebbero rialzarsi economicamente. Non mi pare che la denominazione di “golfo dei poeti” (grazie alle frequentazioni byroniane) abbia danneggiato l’industria turistica degli spezzini, anzi l’ha migliorata e neanche si è imposta come denominazione ufficiale, si è solo aggiunta, gradita ancella, a quella naturale.
(LEGGI TUTTO)
Il Vostro Suscitatore (moderatore, coordinatore senza maiuscole le sembrava banale?), da uomo perspicace qual è desume che non firmerà la petizione. Se ne farà una ragione, certo che le sue argomentazioni siano la riprova dell’urgenza di scoraggiare le pulsioni autocolonialiste di alcuni sardi. gfp
domenica 30 novembre 2008
Tres arrialis su Soru
di Francu Pilloni
Caro Gianfranco,
da tanto che non ci vediamo ma su questa cosa della politica sarda è come se mi avessi letto nel pensiero.
Credo anch'io che il Soru, così sardesco, così cinese, ci pensasse da un po' di tempo a questo scatto di nervi. Da quando cioè non ha più ripetuto che lui non intendeva ricandidarsi nel modo più assoluto. A conti fatti, da più di un anno.
Se si potesse scommettere, io mi giocherei cincu soddus sulla sua nuova coalizione e tres arrialis sulla sua vittoria.
Dove sta il problema, direbbe ziu Cicciu Bissenti che a Mao Tse Tung no ddi fut parenti mancu de intradura?
Sta nel fatto che il problema non è di Soru, di Cappai, Cugusi, Cugini, Dedola, Floris... e tutti gli altri, ma è dei sardi, di tutti gli altri sardi, di quelli che lavorano e di quelli che non lavorano, di quelli che ci sono e di quelli che se ne sono andati perché qui non sono riusciti a rimanere.
Il problema è che se Soru autonomista è stato un mediocre amministratore, in effetti è peggiore di quello, altrettanto autonomista, che l'ha preceduto, il quale a sua volta è stato peggiore di quell'altro ancora... e così di fila, fino alle fatidiche Giunte autonomistiche dell'ineffabile presidente Palomba che si dimetteva un mese sì e uno no, per ovvie e altrettanto valide ragioni.
Tu, caro Gianfranco, che a queste cose ci stai più attento, forse puoi tornare ancora più indietro, magari alla Giunta Corrias del 1960, o a qualcosa che le assomigli.
O forse puoi aggiungere una ragione in più perché sia spazzata via questa mia malinconia politica che viene coniugata come un qualunquismo qualunque (ti piace l'accostamento dei termini? C'è da farci una poesia!). E forse lo è, senza che obbligatoriamente debba essere considerato una negatività, almeno in forza della libertà di errore di valutazione che per me profano non solo è lecita, ma mi si addice.
Allora li metti in gioco i cinque soldi e i tre reali?
Vediamo come andrà a finire. Naturalmente senza entusiasmi fuori luogo, ma per pura curiosità intellettuale.
Forza paris!
(ma cara a innui?).
Caro Gianfranco,
da tanto che non ci vediamo ma su questa cosa della politica sarda è come se mi avessi letto nel pensiero.
Credo anch'io che il Soru, così sardesco, così cinese, ci pensasse da un po' di tempo a questo scatto di nervi. Da quando cioè non ha più ripetuto che lui non intendeva ricandidarsi nel modo più assoluto. A conti fatti, da più di un anno.
Se si potesse scommettere, io mi giocherei cincu soddus sulla sua nuova coalizione e tres arrialis sulla sua vittoria.
Dove sta il problema, direbbe ziu Cicciu Bissenti che a Mao Tse Tung no ddi fut parenti mancu de intradura?
Sta nel fatto che il problema non è di Soru, di Cappai, Cugusi, Cugini, Dedola, Floris... e tutti gli altri, ma è dei sardi, di tutti gli altri sardi, di quelli che lavorano e di quelli che non lavorano, di quelli che ci sono e di quelli che se ne sono andati perché qui non sono riusciti a rimanere.
Il problema è che se Soru autonomista è stato un mediocre amministratore, in effetti è peggiore di quello, altrettanto autonomista, che l'ha preceduto, il quale a sua volta è stato peggiore di quell'altro ancora... e così di fila, fino alle fatidiche Giunte autonomistiche dell'ineffabile presidente Palomba che si dimetteva un mese sì e uno no, per ovvie e altrettanto valide ragioni.
Tu, caro Gianfranco, che a queste cose ci stai più attento, forse puoi tornare ancora più indietro, magari alla Giunta Corrias del 1960, o a qualcosa che le assomigli.
O forse puoi aggiungere una ragione in più perché sia spazzata via questa mia malinconia politica che viene coniugata come un qualunquismo qualunque (ti piace l'accostamento dei termini? C'è da farci una poesia!). E forse lo è, senza che obbligatoriamente debba essere considerato una negatività, almeno in forza della libertà di errore di valutazione che per me profano non solo è lecita, ma mi si addice.
Allora li metti in gioco i cinque soldi e i tre reali?
Vediamo come andrà a finire. Naturalmente senza entusiasmi fuori luogo, ma per pura curiosità intellettuale.
Forza paris!
(ma cara a innui?).
sabato 29 novembre 2008
Soru, la golpe et il lione
Su un quotidiano che non c'è più, Sardigna.com, ma che è rintracciabile in qualche emeroteca, avevo previsto che i partiti si sarebbero ribellati all'uomo che avevano scelto per guidare la Regione, Renato Soru. Nessuna capacità di preveggenza, ma solo un semplice ragionamento sull'infame legge elettorale che, nel gennaio 2001, il governo di allora, regalò anche alla Sardegna e sulla pavidità del Consiglio regionale che, pur potendo cambiarla, non lo fece.
Prevedeva - e continua a prevederlo, visto che neppure in questa legislatura il Consiglio regionale l'ha cambiata - grandissimi poteri in capo al presidente della Giunta, il più importante dei quali è di trascinare nello scioglimento del Parlamento sardo la sua decisione di dimettersi. Fosse chi fosse, il presidente era autorizzato a utilizzare una potentissima arma di ricatto sui consiglieri: se non fate come voglio io, vi mando tutti a casa.
Un politico di carriera, naturalmente, avrebbe riflettuto a lungo, prima di attuare una minaccia del genere: i partiti che lo avevano fatto eleggere non l'avrebbero più candidato, e addio carriera politica. Uno che vive di suo, come Soru, avrebbe avuto molte meno perplessità, ragionavo. A quel che raccontano le cronache, Soru ha agitato più volte l'idea di dimettersi e di mandare tutti a casa. Ma per farlo davvero, era necessario aspettare il momento più opportuno: il momento in cui la necessità dei partiti, o di parte di essi, di "difendere la politica" (ovvero di affermare il ruolo dei partiti), si sarebbe fatta più impellente. Il momento è, ovviamente, quello della vigilia delle elezioni. Quello che viviamo.
Soru ha ora in mano una carta formidabile: può denunciare, non senza avere buone carte in mano, che egli ha fatto di tutto per governare per il bene dei sardi e che in ciò è stato impedito dai partiti: dal suo ma non solo. In parte perché ci crede, in parte perché sa che "la dissidenza sardesca" ha un ottimo mercato, ha da tempo imboccato la strada non più della vertenza con lo stato ma del contrasto dello stato centralista: lingua sarda, Tirrenia, servitù militari, etc.
Credo abbia tutte le informazioni in mano per sapere che con questo centrosinistra le elezioni del 2009 sono perse e perse non per una sola legislatura. Se vuol vincere, deve liberarsi del pesante fardello di un ceto politico litigioso, inconcludente, partitocratico (oggi c'è chi invoca "un ruolo più diretto e robusto della segreteria nazionale", leggi italiana), tutto ciò di cui Soru vorrebbe fare a meno. Una enorme, inconsapevole mano di aiuto gliela hanno data i partiti alleati o parte di essi, i quali ancora increduli si chiedono come abbia fatto a non temere il "tutti a casa".
Sa che il pesante giudizio negativo che circola nelle menti di moltissimi sardi nei confronti del suo governo trascinerà anche lui, se continuerà ad esserne il presidente. Di qui, immagino, la sua decisione per ora di annunciare il tutti a casa e domani, forse, di decretarlo. E di presentarsi alle elezioni in compagnia di chi deciderà lui.
Si illude così di vincere? Può darsi sia un'illusione. Ma chi conosce solo un poco questa infame legge elettorale regionale sa che basta avere un voto in più delle altre liste per assicurarsi la maggioranza dei seggi in Consiglio regionale. Rispetto ad altri possibili candidati, Soru ha un carta in più: quella credibilità autonomistica - non importa se vera o solo apparente - che altri, pur potendo acquisire, non hanno neppure lontanamente cercato, immaginando che per vincere basti rivolgersi allo stomaco dei cittadini e non anche alle loro passioni.
Con tutta franchezza, non auguro né a agli altri né a me, che Renato Soru vinca le prossime elezioni. Certo per via delle sue tentazioni cesaristiche, ma soprattutto perché dietro il cesarismo c'è sempre una concezione accentatrice: che sia la Regione invece dello Stato il centro non cambia granché. Ma vorrei davvero vedere all'orizzonte un'alternativa che sia insieme sardista e liberale. E vedo, invece, un gran disordine che, al contrario di quanto diceva Maodse dung, non è una cosa eccellente.
Prevedeva - e continua a prevederlo, visto che neppure in questa legislatura il Consiglio regionale l'ha cambiata - grandissimi poteri in capo al presidente della Giunta, il più importante dei quali è di trascinare nello scioglimento del Parlamento sardo la sua decisione di dimettersi. Fosse chi fosse, il presidente era autorizzato a utilizzare una potentissima arma di ricatto sui consiglieri: se non fate come voglio io, vi mando tutti a casa.
Un politico di carriera, naturalmente, avrebbe riflettuto a lungo, prima di attuare una minaccia del genere: i partiti che lo avevano fatto eleggere non l'avrebbero più candidato, e addio carriera politica. Uno che vive di suo, come Soru, avrebbe avuto molte meno perplessità, ragionavo. A quel che raccontano le cronache, Soru ha agitato più volte l'idea di dimettersi e di mandare tutti a casa. Ma per farlo davvero, era necessario aspettare il momento più opportuno: il momento in cui la necessità dei partiti, o di parte di essi, di "difendere la politica" (ovvero di affermare il ruolo dei partiti), si sarebbe fatta più impellente. Il momento è, ovviamente, quello della vigilia delle elezioni. Quello che viviamo.
Soru ha ora in mano una carta formidabile: può denunciare, non senza avere buone carte in mano, che egli ha fatto di tutto per governare per il bene dei sardi e che in ciò è stato impedito dai partiti: dal suo ma non solo. In parte perché ci crede, in parte perché sa che "la dissidenza sardesca" ha un ottimo mercato, ha da tempo imboccato la strada non più della vertenza con lo stato ma del contrasto dello stato centralista: lingua sarda, Tirrenia, servitù militari, etc.
Credo abbia tutte le informazioni in mano per sapere che con questo centrosinistra le elezioni del 2009 sono perse e perse non per una sola legislatura. Se vuol vincere, deve liberarsi del pesante fardello di un ceto politico litigioso, inconcludente, partitocratico (oggi c'è chi invoca "un ruolo più diretto e robusto della segreteria nazionale", leggi italiana), tutto ciò di cui Soru vorrebbe fare a meno. Una enorme, inconsapevole mano di aiuto gliela hanno data i partiti alleati o parte di essi, i quali ancora increduli si chiedono come abbia fatto a non temere il "tutti a casa".
Sa che il pesante giudizio negativo che circola nelle menti di moltissimi sardi nei confronti del suo governo trascinerà anche lui, se continuerà ad esserne il presidente. Di qui, immagino, la sua decisione per ora di annunciare il tutti a casa e domani, forse, di decretarlo. E di presentarsi alle elezioni in compagnia di chi deciderà lui.
Si illude così di vincere? Può darsi sia un'illusione. Ma chi conosce solo un poco questa infame legge elettorale regionale sa che basta avere un voto in più delle altre liste per assicurarsi la maggioranza dei seggi in Consiglio regionale. Rispetto ad altri possibili candidati, Soru ha un carta in più: quella credibilità autonomistica - non importa se vera o solo apparente - che altri, pur potendo acquisire, non hanno neppure lontanamente cercato, immaginando che per vincere basti rivolgersi allo stomaco dei cittadini e non anche alle loro passioni.
Con tutta franchezza, non auguro né a agli altri né a me, che Renato Soru vinca le prossime elezioni. Certo per via delle sue tentazioni cesaristiche, ma soprattutto perché dietro il cesarismo c'è sempre una concezione accentatrice: che sia la Regione invece dello Stato il centro non cambia granché. Ma vorrei davvero vedere all'orizzonte un'alternativa che sia insieme sardista e liberale. E vedo, invece, un gran disordine che, al contrario di quanto diceva Maodse dung, non è una cosa eccellente.
giovedì 27 novembre 2008
Quel che i feniciomani nascondono
di Massimo Pittau
Caro Gianfranco,
sono contento che tu abbia lanciato l'allarme per la follia e vergogna che si sta proponendo, cambiare il nome del "Golfo di Oristano" nell'altro "Golfo dei Fenici".
Mando a te ed ai tuoi Amici due estratti della mia recente "Storia dei Sardi Nuragici", nella quale mi sono illuso di aver posto fine alla feniciomania da cui si dimostrano affetti alcuni personaggi della archeologia sarda.
Quasi sicuramente i Sardi ebbero i loro primi contatti col popolo fenicio in Oriente, in occasione delle incursioni che essi fecero coi «Popoli del Mare», e precisamente sia in Fenicia, sia in Cipro, sia infine in Egitto, dove i Fenici erano di casa, dato che erano quasi sempre al servizio dei Faraoni. Quelle incursioni, infatti, che sono avvenute fra i secoli XIII e XII a. C., sono precedenti di circa due secoli ai primi approdi effettuati dai Fenici in Sardegna forse nel secolo XI a. C.
È molto probabile dunque che siano stati i Nuragici a frequentare i Fenici nella Fenicia, assai prima che i Fenici frequentassero i Nuragici nella Sardegna.
(LEGGI TUTTO)
Caro Gianfranco,
sono contento che tu abbia lanciato l'allarme per la follia e vergogna che si sta proponendo, cambiare il nome del "Golfo di Oristano" nell'altro "Golfo dei Fenici".
Mando a te ed ai tuoi Amici due estratti della mia recente "Storia dei Sardi Nuragici", nella quale mi sono illuso di aver posto fine alla feniciomania da cui si dimostrano affetti alcuni personaggi della archeologia sarda.
Quasi sicuramente i Sardi ebbero i loro primi contatti col popolo fenicio in Oriente, in occasione delle incursioni che essi fecero coi «Popoli del Mare», e precisamente sia in Fenicia, sia in Cipro, sia infine in Egitto, dove i Fenici erano di casa, dato che erano quasi sempre al servizio dei Faraoni. Quelle incursioni, infatti, che sono avvenute fra i secoli XIII e XII a. C., sono precedenti di circa due secoli ai primi approdi effettuati dai Fenici in Sardegna forse nel secolo XI a. C.
È molto probabile dunque che siano stati i Nuragici a frequentare i Fenici nella Fenicia, assai prima che i Fenici frequentassero i Nuragici nella Sardegna.
(LEGGI TUTTO)
Stele di Nora: un canto di vignaioli. Ma del I secolo
di Herbert Sauren
Ringrazio Gianfranco Pintore che ha posto nel suo blog la questione della stele di Nora e dei Tartassiani. Sono rimasto un po’ sorpreso quando ho saputo che la stele era stata trasportata a Parigi per l’esposizione “La Mèditerranée des Phèniciens”. Avevo dubbi su questa interpretazione, fin da quando avevo visto la stele nel 2002.
La stele contiene otto righe di scrittura. Ogni riga contiene quattro sillabe. Vi sono lettere molto recenti che inibiscono la datazione all’8° secolo aC. Esiste sicuramente un rapporto degli scavi che si sarebbero svolti prima del 1993, data dell’informazione turistica. Una revisione mi pare necessaria. Il tipo di scrittura e la datazione, in quanto trovata nell’ovest europeo, è stato fortemente abbassato dopo la datazione delle iscrizioni sulle monete nel 2001. Secondo questa comparazione, la scrittura comparirebbe al più nel 3° secolo aC. Qualche lettera mostra forme attestate unicamente al 1° secolo aC. (LEGGI TUTTO)
Ringrazio Gianfranco Pintore che ha posto nel suo blog la questione della stele di Nora e dei Tartassiani. Sono rimasto un po’ sorpreso quando ho saputo che la stele era stata trasportata a Parigi per l’esposizione “La Mèditerranée des Phèniciens”. Avevo dubbi su questa interpretazione, fin da quando avevo visto la stele nel 2002.
La stele contiene otto righe di scrittura. Ogni riga contiene quattro sillabe. Vi sono lettere molto recenti che inibiscono la datazione all’8° secolo aC. Esiste sicuramente un rapporto degli scavi che si sarebbero svolti prima del 1993, data dell’informazione turistica. Una revisione mi pare necessaria. Il tipo di scrittura e la datazione, in quanto trovata nell’ovest europeo, è stato fortemente abbassato dopo la datazione delle iscrizioni sulle monete nel 2001. Secondo questa comparazione, la scrittura comparirebbe al più nel 3° secolo aC. Qualche lettera mostra forme attestate unicamente al 1° secolo aC. (LEGGI TUTTO)
mercoledì 26 novembre 2008
Signori fenicisti, abbiate almeno un po' di pudore
di Gigi Sanna
Oltre alla stravaganza del progetto, v’è ben altro e di più grave in essa; un aspetto che non poteva che suscitare giustamente sentimenti di unanime ed immediata opposizione in ampi settori dell’opinione pubblica, persino di quella - come si dice da noi - di ‘barra bella’, cioè che tutto fagocita e che segue distrattamente le vicende politiche e culturali isolane. L’idea cioè di battezzare, con forza colonizzatrice degna del migliore folclore isolano, il parco archeologico come ‘Golfo dei Fenici’.
I feniciomani archeologi isolani (come è stato sottolineato anche con dure parole), davvero non si smentiscono mai, facendo intendere senza un minimo di pudore critico, con la sconcertante proposta di premio ‘nominale’, che Tharros, Othoca e Neapolis erano luoghi la cui impronta storica è stata data particolarmente da colonie di abitanti costieri di origine fenicia. E diremo che se davvero ciò fosse accaduto, se quella cioè fosse stata la vera verità, la proposta, per quanto sempre scandalosa, si sarebbe comunque mantenuta nei limiti della decenza. Di ben altri omaggi, con umiliante offerta del ‘lato B’ ai potenti, i Sardi di sono resi gloriosamente imbecilli.
(LEGGI TUTTO)
Oltre alla stravaganza del progetto, v’è ben altro e di più grave in essa; un aspetto che non poteva che suscitare giustamente sentimenti di unanime ed immediata opposizione in ampi settori dell’opinione pubblica, persino di quella - come si dice da noi - di ‘barra bella’, cioè che tutto fagocita e che segue distrattamente le vicende politiche e culturali isolane. L’idea cioè di battezzare, con forza colonizzatrice degna del migliore folclore isolano, il parco archeologico come ‘Golfo dei Fenici’.
I feniciomani archeologi isolani (come è stato sottolineato anche con dure parole), davvero non si smentiscono mai, facendo intendere senza un minimo di pudore critico, con la sconcertante proposta di premio ‘nominale’, che Tharros, Othoca e Neapolis erano luoghi la cui impronta storica è stata data particolarmente da colonie di abitanti costieri di origine fenicia. E diremo che se davvero ciò fosse accaduto, se quella cioè fosse stata la vera verità, la proposta, per quanto sempre scandalosa, si sarebbe comunque mantenuta nei limiti della decenza. Di ben altri omaggi, con umiliante offerta del ‘lato B’ ai potenti, i Sardi di sono resi gloriosamente imbecilli.
(LEGGI TUTTO)
martedì 25 novembre 2008
C'è del marcio nelle Università? Sì ma in Danimarca
di Alberto Areddu
E' vero, sembra che sia diventato un irrefrenabile leitmotif della recente pubblicistica; il fine è invero spesso consolatorio (avete visto in quanti siamo di sfigati?), per chi si trova dopo anni e anni ricercatore a 1000 Euro, o peggio si è sempre fermato alle soglie dell'Università perché reputato inidoneo, o ancora peggio per chi ha dovuto emigrare e pubblicare all'estero per vedersi riconosciuto qualche merito.
Il latente motivo di tutto questo subitaneo accorgersi e delle discussioni sopraggiunte, poggia sul fatto che al cittadino comune, a cui ovviamente poco cale se un apprendista giurista sia stato ostacolato a favore del solito figlio di papà, quando si viene invece a sapere di un apprendista medico, che rischiava di passare il concorso pur non sapendo cosa fosse una carie, iniziano a girare i coglioni, e se li tocca pure perché può ben preventivare che poi sotto i ferri di questo ci possa passare lui.
Ci son zone (intere facoltà delle università di Puglia, diverse della Sicilia) dove la raccomandazione preventiva, è diventata talmente fatto compiuto che i figli (le figlie, i nipoti, le mogli, le amanti) di papà manco si vergognano ad apparire nelle inchieste tv "perché tanto è una prassi consolidata". Avrete sicuramente visto il celebre filosofo della Magna Grecia, quell'immarcescibile democristiaino di Kyriakos de Mita, che intervistato rivendicava orgogliosamente la bontà della selezione preventiva dei figli propri rispetto agli estranei. E Veltroni l'ha forse espulso?
Ma vah, da uno che ha candidato i figli nullavalenti del generone romano! E in Sardegna? I nostri solerti giornalisti hanno mai fatto qualche ricerchina sull'onomastica di parenti e affini acquisiti alle università? Sanno mica se esiste nell'isola sandaliote, la straniera pratica dello scambismo favoriale? Io qualche nome ce lo avrei: guardatevi questa ben nota figura universitaria. Oltremodo sicuro attraverso il mafioso silenzio delle sue consorterie, di aver "iscrompitu" qualche lepisma che gli rodeva la inderogabile bontà di almeno la metà delle sue supposizioni etimologistiche, salito alla presidenza facoltale a Cagliari, poichè aveva da tempo maturato buoni rapporti con altri studiosi (la celebre coppia Satta-Atzori) che l'avevano cooptato in tempi più remoti, ora ha modo di godere perchè la sua giovin figlia è stata acquisita all'Università turritana non si sa per quali straordinari meriti e in virtù di quale strepitosa bibliografia.
La figlia è stata "accottada" e chi magari della stessa materia si fosse interessato dove mai altrove sarà riparato? Purtroppo se un intellettual-sfigato si interessa di particelle o molecole ha sempre modo di riparare fuori, perchè attengono al linguaggio universale delle scienze, ma se si interessa di etnologia di Sedilo, piuttosto che di dialettologia ogliastrina, di tradizioni popolari logudoresi piuttosto che di esecuzione con le launeddas, ditemi: chi cazzo mai se lo cagherà?
Avete mai letto qualcosa di tale Susanna, figlia tutta panna del nostro figuro? Se sì siete fortunati: mandatemi i suoi estratti, che me li voglio rollare.
E' vero, sembra che sia diventato un irrefrenabile leitmotif della recente pubblicistica; il fine è invero spesso consolatorio (avete visto in quanti siamo di sfigati?), per chi si trova dopo anni e anni ricercatore a 1000 Euro, o peggio si è sempre fermato alle soglie dell'Università perché reputato inidoneo, o ancora peggio per chi ha dovuto emigrare e pubblicare all'estero per vedersi riconosciuto qualche merito.
Il latente motivo di tutto questo subitaneo accorgersi e delle discussioni sopraggiunte, poggia sul fatto che al cittadino comune, a cui ovviamente poco cale se un apprendista giurista sia stato ostacolato a favore del solito figlio di papà, quando si viene invece a sapere di un apprendista medico, che rischiava di passare il concorso pur non sapendo cosa fosse una carie, iniziano a girare i coglioni, e se li tocca pure perché può ben preventivare che poi sotto i ferri di questo ci possa passare lui.
Ci son zone (intere facoltà delle università di Puglia, diverse della Sicilia) dove la raccomandazione preventiva, è diventata talmente fatto compiuto che i figli (le figlie, i nipoti, le mogli, le amanti) di papà manco si vergognano ad apparire nelle inchieste tv "perché tanto è una prassi consolidata". Avrete sicuramente visto il celebre filosofo della Magna Grecia, quell'immarcescibile democristiaino di Kyriakos de Mita, che intervistato rivendicava orgogliosamente la bontà della selezione preventiva dei figli propri rispetto agli estranei. E Veltroni l'ha forse espulso?
Ma vah, da uno che ha candidato i figli nullavalenti del generone romano! E in Sardegna? I nostri solerti giornalisti hanno mai fatto qualche ricerchina sull'onomastica di parenti e affini acquisiti alle università? Sanno mica se esiste nell'isola sandaliote, la straniera pratica dello scambismo favoriale? Io qualche nome ce lo avrei: guardatevi questa ben nota figura universitaria. Oltremodo sicuro attraverso il mafioso silenzio delle sue consorterie, di aver "iscrompitu" qualche lepisma che gli rodeva la inderogabile bontà di almeno la metà delle sue supposizioni etimologistiche, salito alla presidenza facoltale a Cagliari, poichè aveva da tempo maturato buoni rapporti con altri studiosi (la celebre coppia Satta-Atzori) che l'avevano cooptato in tempi più remoti, ora ha modo di godere perchè la sua giovin figlia è stata acquisita all'Università turritana non si sa per quali straordinari meriti e in virtù di quale strepitosa bibliografia.
La figlia è stata "accottada" e chi magari della stessa materia si fosse interessato dove mai altrove sarà riparato? Purtroppo se un intellettual-sfigato si interessa di particelle o molecole ha sempre modo di riparare fuori, perchè attengono al linguaggio universale delle scienze, ma se si interessa di etnologia di Sedilo, piuttosto che di dialettologia ogliastrina, di tradizioni popolari logudoresi piuttosto che di esecuzione con le launeddas, ditemi: chi cazzo mai se lo cagherà?
Avete mai letto qualcosa di tale Susanna, figlia tutta panna del nostro figuro? Se sì siete fortunati: mandatemi i suoi estratti, che me li voglio rollare.
domenica 23 novembre 2008
Oibò, i sardi navigatori prima dei fenici? Lei scherza
di Mikkelj Tzoroddu
Egregio Pintore,
siamo in linea di massima d’accordo su quanto Ella dice nel Suo intervento. Cogliamo peraltro con molto piacere questa occasione per precisare due punti sulla preistoria e storia antica della Sardegna che la gran parte degli studiosi di cose sarde, ivi compresi coloro che Lei sagacemente bolla con l’appellativo di feniciomani, ignora totalmente.
Il punto primo riguarda la Sua affermazione nella quale dichiara che da quello che noi chiamiamo oggi Golfo di Oristano “cinquemila anni fa partivano i battelli dei commercianti sardi di ossidiana del Monte Arci”. Ohibò illustre Pintore, Lei con grande naturalezza ci viene a raccontare come ben 3000 (diconsi tremila) anni prima di Cristo, i Sardi portassero la loro ossidiana oltremare con un proprio naviglio? Ma se i più grandi navigatori come i Fenici, i Micenei, i Ciprioti, i Cicladici, in tale data non erano ancora nati, come avrebbero potuto fare ciò i Sardi, sempre definiti (soprattutto, e con pervicacia, dai suoi “feniciomani”) succubi scolaretti, in tutte le manifestazioni dello scibile, di tutti quanti quei popoli appena menzionati?
Ma si tranquillizzi Pintore, quella che certamente agli Emeriti Studiosi può essere sembrata una Sua audace sortita (e saranno rimasti seccati per aver Ella usato il suo sito per raccontare un’enormità in merito alle improbabili gesta dei Sardi gestori del - si badi bene - loro patrimonio economico, di Monte Arci), noi invece etichettiamo come inesatta e minimizzante affermazione.
Infatti i Sardiani (come noi definiamo tutti gli abitatori del suolo sardo che ivi posero la loro dimora, prima del 238 a.C.) nell’epoca cui Lei si riferisce stavano ormai terminando di fare affari con l’ossidiana: essi avevano appena messo a punto una nuova meravigliosa impresa industriale con i prodotti metallurgici.
È pertanto il caso di chiarire che i Sardiani trasportassero ossidiana, loro e altrui, attraverso il Mediterraneo già nel XII-XIII millennio prima d’oggi (ma noi pensiamo molto prima, in concordanza con i tempi in cui fecero ciò i popoli carpatici e quelli dell’Asia Minore). Quindi, Esimio ospite, non cinquemila anni fa “partivano i battelli dei commercianti sardi di ossidiana del Monte Arci”, ma quei battelli portavano il vetro vulcanico almeno 12.000 (dodicimila) anni fa, e lo facevano depositando la loro mercanzia, nelle menzionate circostanze temporali, presso il Riparo Mochi (ca. 12.200 BP) e l’Arma dello Stefanin (ca. 11.900-10.300 BP), in una delle innumeri regioni da essi frequentate, alla quale oggi diamo il nome di Liguria.
Detto per inciso, e siamo al secondo punto, il vocabolo ch’Ella usa, a mo’ di “zinta” per apostrofare certa classe di studiosi, potrebbe non essere così offensivo, pur essendo esso sì limitativo di una capacità di fredda disamina degli accadimenti che la storia ci restituisce continuamente. Infatti detto vocabolo trae origine dalla parola “Fenici”. Ebbene, caro Anfitrione, chissà quale quantità di testi avrà letto sulla trattazione di tali “Fenici”, immagazzinando negli scaffali del proprio sapere, nozioni, notizie, fatti ivi contemplati. Noi al contrario ci siamo sempre rifiutati di prendere con serietà tutti i testi o gli articoli scientifici che trattassero l’argomento “Fenici”.
Ma con veemenza abbiamo rifiutato di accettare per veritieri i testi che trattassero di “Fenici” in Sardegna. Gli autori recenti tutti, a partire dal Pais, che si sono prodigati nel dipingere improbabili (e per noi risibili) colonizzazioni e conquiste fenicie in Sardegna, sono andati soggetti a quella sorta di atono appiattimento critico, che li ha resi orbi di un incedere scientifico atto a mettere a nudo le verità dai sedimenti del tempo. Come Le dicevamo, il chiamarli feniciomani, in effetti, risulta essere privo di significato. Infatti i più grossi specialisti del settore, proprio quelli che hanno scritto la storia dei “Fenici”, quando sono stati chiamati a dare una spiegazione del lemma “Fenici” hanno clamorosamente fallito nell’impresa (Giorgio Levi Della Vida in Enciclopedia Treccani); quando hanno tentato di dare una spiegazione sulla genesi del nome si sono persi in conclusioni prive di fondamento dimostrativo (Sabatino Moscati in Antichi imperi d’Oriente); quando si sono fatti carico di rispondere alla domanda “chi furono i “Fenici”? sono andati incontro all’autodistruzione dalla propria ideologia (Sabatino Moscati in Chi furono i Fenici); quando li hanno definiti un “popolo” hanno calpestato il dizionario della lingua italiana: «il popolo è un aggregato di persone […] diverse per razza e provenienza» (Sabatino Moscati in Nuovi studi sull’identità fenicia); quando poi hanno preteso di dare una spiegazione sulle modalità d’arrivo dei “Fenici” in Sardegna, sono naufragati miseramente nelle correnti marine che avrebbero spinto i ”Fenici” in Sardegna dimostrando, le scienze meteorologica ed oceanografica, aver avuto dette correnti, negli ultimi 20.000 anni, un verso sempre contrario (Ferruccio Barreca in La civiltà fenicio-punica in sardegna).
Pertanto, ove Ella ancora azzardi quella definizione «una civiltà di antichi conquistatori -grande civiltà senza dubbio-», che altro non è se non la fotocopia del sapere da Ella immagazzinato (perché non Suo è il compito di sindacare sul contenuto di libri pagati a caro prezzo), sappia che indirizzata ai “Fenici”, tale definizione risulta essere filologicamente inconsistente perché priva di accezione storica, etnica e geografica.
So benissimo che esportavamo ossidiana molto molto prima del IV millennio, ma vorrei somministrare le date a piccole dosi. Un giorno, chi sa?, vorrei parlare della via dell’ossidiana di cui si ha traccia in tempi assai più remoti. Ma sono per la lenta assuefazione e per la difesa delle coronarie altrui. Ma se li immagina, i ribattezzatori del Golfo di Oristano, digerire tutte le cose che lei dice sui fenici? Suvvia, un po’ di pietà. [gfp]
PS - Ne profitto per ricordare la petizione Giù le mani dalle nostre origini
Egregio Pintore,
siamo in linea di massima d’accordo su quanto Ella dice nel Suo intervento. Cogliamo peraltro con molto piacere questa occasione per precisare due punti sulla preistoria e storia antica della Sardegna che la gran parte degli studiosi di cose sarde, ivi compresi coloro che Lei sagacemente bolla con l’appellativo di feniciomani, ignora totalmente.
Il punto primo riguarda la Sua affermazione nella quale dichiara che da quello che noi chiamiamo oggi Golfo di Oristano “cinquemila anni fa partivano i battelli dei commercianti sardi di ossidiana del Monte Arci”. Ohibò illustre Pintore, Lei con grande naturalezza ci viene a raccontare come ben 3000 (diconsi tremila) anni prima di Cristo, i Sardi portassero la loro ossidiana oltremare con un proprio naviglio? Ma se i più grandi navigatori come i Fenici, i Micenei, i Ciprioti, i Cicladici, in tale data non erano ancora nati, come avrebbero potuto fare ciò i Sardi, sempre definiti (soprattutto, e con pervicacia, dai suoi “feniciomani”) succubi scolaretti, in tutte le manifestazioni dello scibile, di tutti quanti quei popoli appena menzionati?
Ma si tranquillizzi Pintore, quella che certamente agli Emeriti Studiosi può essere sembrata una Sua audace sortita (e saranno rimasti seccati per aver Ella usato il suo sito per raccontare un’enormità in merito alle improbabili gesta dei Sardi gestori del - si badi bene - loro patrimonio economico, di Monte Arci), noi invece etichettiamo come inesatta e minimizzante affermazione.
Infatti i Sardiani (come noi definiamo tutti gli abitatori del suolo sardo che ivi posero la loro dimora, prima del 238 a.C.) nell’epoca cui Lei si riferisce stavano ormai terminando di fare affari con l’ossidiana: essi avevano appena messo a punto una nuova meravigliosa impresa industriale con i prodotti metallurgici.
È pertanto il caso di chiarire che i Sardiani trasportassero ossidiana, loro e altrui, attraverso il Mediterraneo già nel XII-XIII millennio prima d’oggi (ma noi pensiamo molto prima, in concordanza con i tempi in cui fecero ciò i popoli carpatici e quelli dell’Asia Minore). Quindi, Esimio ospite, non cinquemila anni fa “partivano i battelli dei commercianti sardi di ossidiana del Monte Arci”, ma quei battelli portavano il vetro vulcanico almeno 12.000 (dodicimila) anni fa, e lo facevano depositando la loro mercanzia, nelle menzionate circostanze temporali, presso il Riparo Mochi (ca. 12.200 BP) e l’Arma dello Stefanin (ca. 11.900-10.300 BP), in una delle innumeri regioni da essi frequentate, alla quale oggi diamo il nome di Liguria.
Detto per inciso, e siamo al secondo punto, il vocabolo ch’Ella usa, a mo’ di “zinta” per apostrofare certa classe di studiosi, potrebbe non essere così offensivo, pur essendo esso sì limitativo di una capacità di fredda disamina degli accadimenti che la storia ci restituisce continuamente. Infatti detto vocabolo trae origine dalla parola “Fenici”. Ebbene, caro Anfitrione, chissà quale quantità di testi avrà letto sulla trattazione di tali “Fenici”, immagazzinando negli scaffali del proprio sapere, nozioni, notizie, fatti ivi contemplati. Noi al contrario ci siamo sempre rifiutati di prendere con serietà tutti i testi o gli articoli scientifici che trattassero l’argomento “Fenici”.
Ma con veemenza abbiamo rifiutato di accettare per veritieri i testi che trattassero di “Fenici” in Sardegna. Gli autori recenti tutti, a partire dal Pais, che si sono prodigati nel dipingere improbabili (e per noi risibili) colonizzazioni e conquiste fenicie in Sardegna, sono andati soggetti a quella sorta di atono appiattimento critico, che li ha resi orbi di un incedere scientifico atto a mettere a nudo le verità dai sedimenti del tempo. Come Le dicevamo, il chiamarli feniciomani, in effetti, risulta essere privo di significato. Infatti i più grossi specialisti del settore, proprio quelli che hanno scritto la storia dei “Fenici”, quando sono stati chiamati a dare una spiegazione del lemma “Fenici” hanno clamorosamente fallito nell’impresa (Giorgio Levi Della Vida in Enciclopedia Treccani); quando hanno tentato di dare una spiegazione sulla genesi del nome si sono persi in conclusioni prive di fondamento dimostrativo (Sabatino Moscati in Antichi imperi d’Oriente); quando si sono fatti carico di rispondere alla domanda “chi furono i “Fenici”? sono andati incontro all’autodistruzione dalla propria ideologia (Sabatino Moscati in Chi furono i Fenici); quando li hanno definiti un “popolo” hanno calpestato il dizionario della lingua italiana: «il popolo è un aggregato di persone […] diverse per razza e provenienza» (Sabatino Moscati in Nuovi studi sull’identità fenicia); quando poi hanno preteso di dare una spiegazione sulle modalità d’arrivo dei “Fenici” in Sardegna, sono naufragati miseramente nelle correnti marine che avrebbero spinto i ”Fenici” in Sardegna dimostrando, le scienze meteorologica ed oceanografica, aver avuto dette correnti, negli ultimi 20.000 anni, un verso sempre contrario (Ferruccio Barreca in La civiltà fenicio-punica in sardegna).
Pertanto, ove Ella ancora azzardi quella definizione «una civiltà di antichi conquistatori -grande civiltà senza dubbio-», che altro non è se non la fotocopia del sapere da Ella immagazzinato (perché non Suo è il compito di sindacare sul contenuto di libri pagati a caro prezzo), sappia che indirizzata ai “Fenici”, tale definizione risulta essere filologicamente inconsistente perché priva di accezione storica, etnica e geografica.
So benissimo che esportavamo ossidiana molto molto prima del IV millennio, ma vorrei somministrare le date a piccole dosi. Un giorno, chi sa?, vorrei parlare della via dell’ossidiana di cui si ha traccia in tempi assai più remoti. Ma sono per la lenta assuefazione e per la difesa delle coronarie altrui. Ma se li immagina, i ribattezzatori del Golfo di Oristano, digerire tutte le cose che lei dice sui fenici? Suvvia, un po’ di pietà. [gfp]
PS - Ne profitto per ricordare la petizione Giù le mani dalle nostre origini