Troppo presi dalla ordinarietà del marasma politichese, non è facile avere la consapevolezza che qualcosa di decisivo si sta rompendo nell'Ordinamento italiano e, a volte in maniera autonoma a volte per replica romana, in quella sardo. E che ci sono i primi seri scricchiolii dello Stato unitario come lo conosciamo da un secolo e mezzo. Il caos, avrebbe detto Mao dse dung, è grande sotto il cielo e la situazione è eccellente, nel senso che dalla confusione di questi ultimi tempi potrebbe nascere un ordine nuovo.
La ribellione di giovani e maturi militanti del Pd che si propongono di “rottamare” il gruppo dirigente; il declino di Berlusconi, pur se non imminente come molti vorrebbero; il difficile barcamenarsi di Gianfranco Fini fra la terziarità della sua carica e la sua parzialità di capo di partito; la predisposizione del Pd a qualsiasi guazzabuglio “tirannicida”; la voglia di Di Pietro di esporre a pubblica gogna il nemico; la minaccia della Lega di staccare la Padania dalla Repubblica; la rottura degli autonomisti siciliani con il Governo; l'aut aut posto dal Governo sardo a quello italiano. Tutto questo, ed altro ancora, è la causa della crisi profonda dello Stato unitario o ne sono l'effetto?
Fra “altro ancora” c'è la decisione di un senatore sardo, Piergiorgio Massidda, di porre il Governo davanti a una scelta: “O rispetta gli impegni assunti nel programma elettorale del Pdl di favorire la crescita della Sardegna, o non potrà contare sul mio voto”. Il guaio, per il Governo, è che non può dire chi se ne frega, voto più voto meno non ha importanza. Già, perché il voto di Massidda può fare la differenza fra la sopravvivenza del Governo e la sua fine. Il senatore sardo è diventata una star nei giornali di opposizione ma non solo, tutti, però, accomunati in un pensiero unico: se esce dal Pdl è per andare con il partito di Fini, tertium non datur nello schema accomodante del politichese politico e mediatico.
Che voglia fare l'ennesimo parlamentare di Futuro e libertà o che voglia farsi parte di un progetto tutto sardo è questione tutta sua. Resta il fatto che, come del resto scrive nel suo blog, si è accorto quanta vuota retorica ci sia nella concezione secondo cui esistono “governi amici” e “governi nemici”. Cosa, del resto, che aveva già sperimentato Renato Soru al tempo di Prodi e sperimenta il suo successore Ugo Cappellacci ai tempi di Berlusconi. I rapporti fra governi regionali e governi dello Stato non sono e non possono essere regolati da “amicizia” o “inimicizia”, al massimo da “leale collaborazione”. Non lo è mai stato, figurarsi se è possibile in clima di incipiente federalismo. Il fatto è che il localismo, parolaccia nel lessico unitarista, si prende la sua rivincita e diventa, come è giusto che sia, linea portante della politica.
La Lega Nord, tralasciando l'orticaria che provocano certe sue uscite xenofobe, è maestra nell'imporre un concetto nuovo del rapporto fra la macro regione chiamata Padania e Governo dello Stato. Vi partecipa, anche con fedeltà, a patto che gli interessi della Padania siano rispettati puntigliosamente. Fa bene, insomma, il proprio lavoro. In qualche misura, è lo stesso che fa l'autonomia siciliana, capace di momenti di grande unità interna e, persino, di inventare inedite aggregazioni di governo, rompendo lo schema secondo cui ciò che si è al centro si deve essere in periferia. È la Sardegna ad essere stata incapace di considerare il suo rapporto con l'Italia come rapporto alla pari, neppure rendendosi conto che persino la Costituzione italiana sancisce l'equiordinamento fra gli elementi della Repubblica, comuni, province, regioni e Stato. La trappola del “governo amico” o del “governo nemico” è scattata quasi sempre, ad evitare il confronto fra le entità chiamate “Regione sarda” e “Stato italiano”, immiserendolo in una ricerca di solidarietà fra agnello e lupo, salsiccia e cane.
Oggi ci sono segni di qualcosa che sta cambiando con il rimescolamento cui stiamo assistendo. Che da questo nasca un qualcosa che risolva la crisi dello Stato unitario è possibile. Ma non ci credo. C'è chi evoca l'Algeria come rischio dello scontro, dentro il federalismo, fra il Mezzogiorno d'Italia e lo Stato, a cui farà da contrappunto la rivolta del Nord il giorno in cui si accorgerà che la camera di compensazione fra il sottosviluppo del Sud e lo sviluppo del Nord, niente di meno sarà che nuovo assistenzialismo a favore del Mezzogiorno. Come dire che il declino dello Stato unitario si gioca nella applicazione del federalismo. Può darsi, ma questo sfascio non si blocca certo coltivando il proposito di fermare questa trasformazione. Ammesso che sia possibile e auspicabile, il declino credo possa essere interrotto solo attraverso la presa d'atto di come la retorica unitarista abbia per troppo tempo impedito il dispiegarsi delle risorse materiali e immateriali del localismo.
2 commenti:
Mi sono levata il rposciutto agli occhi e tutte le mie prevenzioni verso il PDL e ho scoperto,ormai da un pò di tempo,l'onestà del signor Massidda.Finalmente un parlamentare sardo che lotta per la Sardegna!Non finirò mai di cospargermi la testa di cenere per le critiche che, a suo tempo,feci al signor Massidda e giorno,giorno ho imparato ad apprezzare la sua competenza e la sua onestà.Io, che sono di sinistra, mi chiedo se c'è mai stato un parlamentare di sinistra che si è interessato dei problemi dei sardi come sta facendo questo senatore del PDL?Non sopporto la volgarità e l'ignoranza dei leghisti però apprezzo la forza che hanno nel lottare per il loro popolo.Se fossero meno razzisti sarebbe una buona cosa.Come sarebbe bello se fossimo tutti meno di parte e,sopratutto,se riuscissimo ad ascoltare i punti di vista degli altri!Sicuramente l'Italia sarebbe meno nel caos ed i sardi potrebbero ottenere ciò che chiedono giustamente.Rivedere le proprie posizioni,a volte ottuse,è una forma di crescita personale.
All'ischis Zuafrantzi', mamma mea mi nabat, po su chi at nau Mao: "Non b'at acontzu chene iscontzu", duncas si b'at iscontzu tocat a acontzare, e acontzande a bortas si podet puru mezorare. Però, a la narrer crara:
• sa pitzocalla de su Pd, depet galu isperimentare;
• Berluscone ch'at fatu su 'e fagher, e como no lu mantenet ritzu mancu su dinare;
• Fini pessat po issu e po su partidu suo, ma po che ogare a cuddu andat bene. Una "Dereta" noba est bona po totus;
• su Pd, a su mannu mannale, che lu cheret ghetare dae meda e como, time time, ja che l'at a ghetare;
• Di Pietro est bonu, ma est de timer puru issu;
• sa Lega, nos tocat de lis dare cussideru, ca issos puru si cheren a contu insoro, mai si torren a bier;
• sos de Sitzilia an sutzau finas chi an pòthiu, como chi s'isseta non dat prus, si ch'essin, e menzus gai;
• su Gubernu sardu in chirca de ponner sos pedes paris a s'italianu? Una borta e bona.
Bastet chi siat, totu custu.
Su Guvernu italianu, o bonu o malu, semper italianu est; e Cappellatzu, po narrer, prima de che batire a noche arga dae continente, chi si pesset bene. Bastat su fatu. Chi si la ghiret a domo sua, si cheret.
Po su restu, Massidda at a fagher prus de sardu chi non de finianu, a su grabbu. Ca est tempus meda chi est pessighinde custa idea.
Tenes resone, chi totu s'Italia mezorat si cadiunu, in locu suo, fachet su chi li tocat. Su sardismu, su Partidu Sardu e àteros, lu sun nande dae meda; como totu sos Partidos, de un'ala e de àtera, chirchen su bene de sos sardos e li oghen de capu de si ponner unu contra a s'àteru: PARIS, po sa Sardinna.
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