giovedì 28 ottobre 2010

Attribuzione dei bronzetti, fosse così facile darla

L'arciere di "S. Antioco"
di Marcello Cabriolu


Da anni il TPC ovvero il Nucleo per la tutela del Patrimonio Culturale dei Carabinieri opera, in maniera encomiabile, nella tutela e nel recupero del patrimonio culturale italiano all’estero, rendendo spesso onore e lustro ai tecnici civili e militari del Ministero dei BB.CC. e ai cittadini e alle autorità degli enti amministrativi a cui viene reso il bene. Impareggiabile è l’opera condotta dai diplomatici e dagli esperti legali, i quali riescono molto intelligentemente a sbrogliare incredibili matasse burocratiche che spesso vincolano i beni culturali all’estero.
Ancora adesso non si è spenta l’eco del rinvenimento e del recupero, dal Cleveland Museum of Art – USA, di una statuetta bronzea di circa 22 cm. e, tramite un processo burocratico durato diversi mesi, dell’attribuzione e della consegna della stessa al Comune di Sant’Antioco. Immancabile la promozione mediatica, operata dalle testate giornalistiche regionali, vista l’importanza dell’avvenimento e il convenire di autorità alle conferenze promozionali dell’evento e alla Cerimonia di Consegna. L’attribuzione geografica è scaturita dallo studio di vecchie foto, sequestrate ad un trafficante di reperti archeologici, che in vita ha soggiornato nella località scelta come sede ultima del bronzetto, scelta che ha generato non pochi dubbi e perplessità tra i vari studiosi e appassionati locali.
Le perplessità maggiori si manifestano non appena si mettono a confronto alcuni bronzetti custoditi nei Musei sardi con l’Arciere oggetto del recupero. 

13 commenti:

Pierluigi Montalbano ha detto...

Bell'articolo, completo e intrigante. Riallacciandomi all'osservazione di Aba sui pomi inseriti nelle corna, essendo possibile solo una parere artistico (visto che il significato reale è totalmente sconosciuto) e considerando che casi identici sono conosciuti anche nelle protomi delle navicelle, ritengo si possa trattare di un segno identificativo. Una sorta di simbolo di appartenenza ad una casta, e le navicelle provviste di pomi alle estremità sono, per lo stesso motivo, da attribuire a committenti di quella casta.

Unknown ha detto...

Mille grazie sia ad Atropa che a Pierluigi per i complimenti.
In merito ai pomi, qualcuno tempo fa si sparse la voce che un'analisi li dichiarava falsi in quanto saldati in epoca recente!?????. Successivamente circolò un'altra leggenda, forse meno sciocca rispetto alla prima, sul fatto che fossero avanzi di materiale dagli sfiatatoi della matrice. Ma ambedue i casi sollevano grosse perplessità se si riflette sulla maniacale precisione e rifinitura dei particolari dei corsali o degli scudi, sembra inverosimile che dei fabbri così attenti si perdano nella rifinitura di "sbavature". Pierluigi ha sottolineato il segno identificativo di una casta e mi sà che ha preso nel segno. Condivido anch'io per un segno identificativo, anche se non per una casta o un grado militare, almeno per una località di provenienza. Mi spiego meglio: i due guerrieri pomellati provengono da due località quali Teti e Padria. Siccome Teti ha restituito altre varietà di guerrieri senza pomi quindi il pezzo pomellato verosimilmente potrebbe venire da una commissione per un fabbro che operava nel cantone di Padria. Non me ne vogliano gli abitanti di Teti, ma ipotezzo che il guerriero "pomellato" sia di Padria anche per altre affinità stilistiche nella resa dei particolari e delle decorazione del corsale. A Pierluigi, certamente più esperto di me nella trattazione delle navicelle, il compito di individuare la collocazione dell'atelier di creazione delle navicelle "pomellate" o in assenza di quell'opportunità la localizzazione del rinvenimento giusto per vedere se questo offre riscontro positivo all'elaborazione precedente. Attualmente si può riflettere sull'abitudine di sistemare pomi o arance sulle corna dei buoi delle "traccas" per le sagre, altrimenti ricordare i Boes e is Crabolus di Ottana e la loro abitudine a decorare le corna della maschera con arance o zippole durante il Carnevale.

alberto areddu ha detto...

Ricordiamoci di altri "pomi", di cui si parlò qui, quelli degli Shardana, che alla sfericità della "cascasina" li avevo riallacciati. Ipotesi, solo ipotesi.

Anonimo ha detto...

Egregio Sig. Cabriolu, non ricordo se abbiamo mai avuto l’occasione d’incontrarci nonostante la comune origine ed interesse nel campo storico locale. Credo di far parte degli “appassionati locali” da Lei citati ma non mi permetterei mai di sollevare la benché minima critica all’operato del Reparto Operativo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale e Archeologico di Roma, nel quale militano con riconosciuta capacità ed onore due nostri stimati concittadini.
Non so se Lei come militare abbia avuto accesso a tutto l’iter investigativo che ha permesso il recupero del citato bronzo figurato, io personalmente ne dubito se si è espresso nei seguenti termini: « L’attribuzione geografica è scaturita dallo studio di vecchie foto, sequestrate ad un trafficante di reperti archeologici, che in vita ha soggiornato nella località scelta come sede ultima del bronzetto, scelta che ha generato non pochi dubbi e perplessità tra i vari studiosi e appassionati locali.», ed ancora: « Alla luce di tutte queste valutazioni la decisione di “restituire” al Museo di Sant’Antioco l’Arciere proveniente da Cleveland fa arricciare il naso e denota scarsa preparazione sul reperto recuperato ».
Certamente, il Suo giudizio è reso ancora più infelice dall’esempio citato: « L’argomento sembra abbastanza ostico ma credo che un esempio più banale possa essere d’aiuto: potrà mai qualcuno, rinvenendo un costume sardo appartenuto ad una defunta, ad esempio quello di Orgosolo, dichiarare che questo sia tipico di Sant’Antioco solo per il semplice fatto che la defunta vi abbia risieduto in vita?.» . Non basta uno studio stilistico a criticare il modus operandi di uno dei pochissimi organismi pubblici italiani che ci onorano nel mondo; Le consiglio la lettura di questo testo: Fabio Isman, I Predatori dell'arte perduta. Il saccheggio dell'archeologia in Italia, Skira, 2009.
Ed ora alcune altre considerazioni: 1- I bronzetti sardi ritrovati in ambiente extra-insulare, riconosciuti come oggetto di scambio tra aristocrazie, in base alla Sua stima dovrebbero essere resi alla Sardegna perché la cifra stilistica riconduce a questo territorio; pertanto, non possiamo tener conto che il bronzetto in argomento possa essere stato acquistato o scambiato, anche mediato, per poter appartenere al territorio sulcitano. 2- Una fusione su commissione secondo canoni simbolici condivisibili dai sardi sulcitani deve, quindi, essere esclusa? 3- Se l’arciere di fattura del “centro-nord Sardegna” è un semplice ex-voto pervenuto nel “cantone” di Gruttiacqua al seguito di qualche pellegrino deve essere immediatamente reso?, a chi?
Per concludere, ritengo che la Sua analisi stilistica, portata all’attenzione degli studiosi che questo forum frequentano, debba essere tenuta in considerazione, ma, considero la sua accusa di “scarsa preparazione” rivolta al Reparto Operativo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale e Archeologico di Roma una iniquità.
Nella speranza che Voglia correggerne la portata la saluto.
Giorgio Pinna

Giuseppe ha detto...

Alcune cose Marcello:
- quando parli di tratti tipici delle genti indigene (ovvero visi semiconici o visi arrotondati) ti riferisci a differenze reali tra aree diverse dell'Isola?
- io sono all'antica: quella che chiami "sacca porta punte", comune agli arcieri, ritengo fosse la "piastra di protezione dello stomaco", citata nell'Iliade e indossata da un guerriero Pelasgico-Nuragico nella guerra di Troia. D'altra parte già disponevano di frecce complete nella faretra; se non è che nel contenitore posteriore avessero anche i "gambi" già preparati, ma non mi sembra così capace.
- Vista l'alto grado e il tipo di religiosità che caratterizzava i Nuragici, non escluderei che i pomi fossero una sorta di simbolo (sole luna?). Vi ricordo che anche attualmente le corna dei buoi vestiti a festa sono muniti di pomo.

Giuseppe Mura

Giuseppe ha detto...

Scusa Marcello, per il fuori argomento.
Mi capita spesso di aprire i commenti su un articolo fermi ad un certo numero (in questo caso 3) e di ricevere l'aggiornamento (in questo caso 5) solo inviando un mio commento.
Così mi è capitato di inviare, tra l'altro, un' osservazione sulle "traccas" e, subito dopo, di vederla fatta anche da te.
Domanda generale: è un fatto normale o avviene solo nel mio PC? Grazie.

Giuseppe Mura

zuannefrantziscu ha detto...

@ Giuseppe
No, povero il tuo Pc. Lui non ne ha colpa. E' che, essendo stato costretto dagli imbecilli a moderare il blog, capita che mi tocchi di pubblicare anche dieci commenti contemporaneamente e la sequenza è quella dell'arrivo al mio computer.

Unknown ha detto...

@ Giuseppe

Si Peppino!! Quando mi riferisco alle caratteristiche facciali ho ben presente due punti fondamentali
1° Da un osservazione attenta si evince che l'artista sia in grado di riprodurre con abilità diversi particolari. Quindi si può dedurre con un certo margine di sicurezza che sappia modellare le riproduzioni con le rispettive caratteristiche dei committenti, incluse quelle facciali. Si può persino notare diversi aspetti all'interno dei visi appartenenti alla stessa località. E' altrettanto vero che il fabbro non sarà stato uno solo per diverse centinaia di anni e per lo stesso cantone, ma a parità di stile e di riproduzione subentrano differenze di aspetto.
2° Si è visto attraverso gli studi del Prof.Pittau, attraverso la toponomastica e attraverso i miti la variegata composizione etnica e tribale della popolazione. Tali differenze sono state ulteriomente confermate dalle forme stabilite dai fabbri i quali addirittura (vedi il pezzo di Su tempiesu oppure quello di Matzannì)sono stati capaci di riportarli sulle sculture esaltandone le peculiarità
- Per quanto riguarda la piastra è vero: proteggeva lo stomaco in quanto nei pezzi L99 (Teti) e L 100 (Urzulei)è miratamente posta sullo stomaco(dico miratamente perchè è valido sempre il discorso del pugnale alla cintura del "miceneo")mentre in altri è miratamente posta al petto. Mentre ho potuto osservare che nei pezzi L18 ed L26 l'oggetto abbia un volume discreto e dimensioni insufficienti alla protezione dell'individuo.
- Relativamente ai pomi: brancolo nel buio, non so definire altro oltre a ciò che ho citato precedentemente.
Solo dandoci una mano riusciremo con buone probaliltà a venirne a capo...aspettiamo i risultati di Pierluigi - se fornirà località di rinvenimento delle navicelle con i pomi o anche un' analisi sul probabile atelier di fabbricazione sarà sempre qualche informazione in più per la conoscenza comune.
L'unione fa la forza!!!!

Pierluigi Montalbano ha detto...

Quelle che ricordo a memoria provengono da località non precisate della Sardegna, e un paio sono esposte in musei di Roma e Torino. Più tardi eseguirò una ricerca approfondita. Diciamo che verso mezzanotte inserirò il post.

elio ha detto...

Uhm, direbbe Roberto Bolognesi, alle “palline” ci devo pensare (questo lo dico io). Quanto al resto non mi rimane che pormi qualche domanda. Intanto, cosa erano i bronzetti? O, se si preferisce, che “funzione” avevano? Perché li “creavano”, insomma? Sembrerebbe che fossero ex voto, quindi, oggetti dedicati a qualche “santo” per grazia ricevuta.
Chi se li poteva permettere? Se si parla di atelier, il termine non è buttato lì a caso: la meticolosità dell’artista viene rimarcata nella maniera dovuta. "Non fit una cosita dae nudha" e doveva costare. Forse anche in quella società di eguali, c’era qualcuno più uguale degli altri.
Stratificazione di etnie nel senso della latitudine? Così sembra di capire: la bravura degli operatori consentiva, oltre alla precisione di riportare in così poco spazio i segni distintivi delle armi di offesa e di difesa e il resto dell’abbigliamento, di “fotografare” le caratteristiche somatiche del volto del rappresentato da decretarne l’appartenenza a un gruppo etnico (non usiamo la parola razza ché non è corretto) piuttosto che a un altro.
Perché no? non è inverosimile. Se così fosse, però, ci dovrebbe essere, per un esperto, la possibilità di individuare quanti atelier operassero in Sardegna e avremmo fatto un bel passo avanti nella determinazione dei popoli che abitavano a quei tempi la nostra isola. Ma, a ripensarci, non è necessario avere contezza del numero degli atelier per stabilire quante etnie ci fossero, già lo sappiamo, ce lo ha detto Marcello, erano tre: 1) visi semiconici con motivo a T e occhi piccoli tondi e sporgenti; 2) visi arrotondati, stacco della mascella inferiore e occhi grandi (Campidano); 3) testa cilindrica e occhi a mandorla (Sulcis).
Chi sa come eravamo noi del Sarcidano? Come i Campidanesi? Come quelli del capo di sopra? Speriamo non fossimo come i Sulcitani. Mi ricorda troppo il “concherubu” ( scritto così come suona) con cui a Cagliari indicavano i non dotati di mente eccelsa.
Divertissement a parte, mi rimane difficile capire come permanessero "lacanas" così robuste, invalicabili si direbbe, tra zona e zona della Sardegna da cristallizzare le caratteristiche somatiche delle persone, quasi fossero di specie diversa.

Pierluigi Montalbano ha detto...

Una prima ricerca, diciamo quindi che questo dato è ufficioso, vede:
1 da Costa Nighedda, Oliena
2 da Tula (SS) – Badu’e Trovu
1 da Vetulonia – Grosseto
4 da località sconosciute
In totale abbiamo almeno 8 navicelle con le corna pomellate.
Molte navicelle hanno protomi con corna spezzate, pertanto non possiamo sapere se in quelle c’erano i globetti.

Unknown ha detto...

@Pierluigi
Mille grazie per le notizie, mi scuso di non aver risposto prima in quanto stavo al lavoro!
Se si potesse trovare un'attinenza(localita o regione) tra le navicelle con motivi spiraleggianti e i guerrieri decorati con le spirali sarebbe un bel passo!! chi se la sente di spulciare????

Pierluigi Montalbano ha detto...

Ci sono anche le navicelle...spiraleggianti, nonché le ceramiche del periodo. Ma se scrivo non posso fare ricerca...e viceversa.