domenica 13 settembre 2009

Quando l'italiano fu proibito in Sardegna

di Francesco Cesare Casula

Caro Gianfranco,
vorrei partecipare al dibattito che sul tuo blog si sta sviluppando intorno alle questioni della lingua sarda con alcune considerazioni che traggo dal mio “Dizionario Storico Sardo”. Conto con questo di essere utile alla discussione.
Già in periodo iberico e sabaudo del Regno di Sardegna erano riconosciute cinque lingue parlate nell’isola. Nel 1776 Francesco Gemelli scriveva nella sua opera intitolata Rifiorimento della Sardegna proposto nel miglioramento di sua agricoltura: «Cinque linguaggi parlansi in Sardegna, lo spagnuolo, l’italiano, il sardo, l’algarese, e ‘l sassarese. I primi due per ragione del passato e del presente dominio, e delle passate e presenti scuole intendonsi e parlansi da tutte le pulite persone nelle città, e ancor ne’ villaggi. Il sardo è comune a tutto il Regno, e dividesi in due precipui dialetti, sardo campidanese e sardo del capo di sopra. L’algarese è un dialetto del catalano, perché colonia di catalani è Algheri; e finalmente il sassarese che si parla in Sassari, in Tempio e in Castel sardo, è un dialetto del toscano, reliquia del dominio de’ Pisani. Lo spagnuolo va perdendo terreno a misura che prende piede l’italiano, il quale ha dispossessato il primo delle scuole, e de’ tribunali: gli altri mantengonsi, e manterrannosi, ma vanno dall’italiano, e principalmente dal dialetto piemontese adottando de’ vocaboli come in addietro prendevanli dallo spagnuolo...».
In Sardegna, l'italiano fu lingua di governo negli Stati signorili medioevali dei Gherardesca (Sulcis e Sigerro), dei Malaspina (Planargia), dei Doria (Nulauro e Anglona); nella Repubblica comunale di Sassari, pazionata con la Repubblica di Genova; nonché nei territori oltremarini della Repubblica di Pisa (Cagliaritano e Gallura).
Dopo la fine di queste entità, in qualche zona permase l’uso dell’italiano pure in epoca iberica del Regno di Sardegna, tanto che nel 1558 tale uso fu abolito nel Parlamento presieduto dal viceré Alvaro de Madrigal con la seguente motivazione (in traduzione dal catalano): «Poiché nel presente Regno di Sardegna ci sono alcune città, come Villa di Chiesa (Iglesias) e Bosa, che hanno Brevi, coi quali si reggono, scritti in lingua pisana o italiana, così come la città di Sassari ha alcuni capitoli (degli Statuti) in lingua genovese o italiana; e che, per quanto si vede, non conviene né è giusto che leggi del Regno stiano in lingua straniera, lo “stamento” militare del Parlamento supplica (il re) che sia provveduto e decretato che detti capitoli siano tradotti in lingua sarda o catalana, senza mutarne la sostanza; e che tutto il resto in lingua italiana sia abolito, in modo che non ne rimanga memoria.».
L’italiano, già auspicato dal viceré Alessandro Doria del Maso nel 1723, fu reintrodotto ufficialmente nelle scuole dell’isola con regio biglietto del 25 luglio 1760, in periodo piemontese del Regno di Sardegna, con la seguente motivazione: «Dovendosi per tali insegnamenti adoperare fra le lingue più colte quella che si è meno lontana dal materno dialetto, e ad un tempo la più corrispondente alle pubbliche convenienze, si è determinato di usare nelle scuole predette l’italiana, siccome quella appunto che non essendo più diversa dalla sarda di quello che fosse la castigliana, poiché anzi la maggior parte dei sardi più colti già la possiede; resta altresì la più opportuna per maggiormente agevolare il commercio ed aumentare gli scambievoli comodi; ed i Piemontesi che verranno nel Regno, non avranno a studiare una nuova lingua per meglio abilitarsi al servizio del pubblico e dei sardi, i quali in tal modo potranno essere impiegati anche in continente».
Nasce dal latino volgare, sostanzialmente unitaria, a ridosso del Mille con le due varianti di pronuncia satem e kentum: la prima, a sud, e, la seconda, a nord della catena montuosa del Montiferru-Marghine.
Come in tutta l’Europa cristiana di cultura latina, anche in Sardegna le premesse di un’unica lingua “volgare” si maturarono fra il IX e il X secolo in concomitanza con la nascita dei quattro regni giudicali di Càlari, Torres, Gallura e Arborèa.
Non vi è dubbio che se la Sardegna, allora, si fosse organizzata in un unico Stato la lingua sarebbe stata singola, magari con alcune variazioni dialettali coltivate in contrade e valli remote. E, in quella lingua unitaria, si sarebbe insegnato nelle scuole parrocchiali e vescovili dell’isola, sostitutive o aggiuntive delle scuole laiche; si sarebbero composti i codici negli scriptoria monastici basiliani e poi benedettini; si sarebbero redatti i documenti e le cartas bullatas della cancelleria di governo.
Invece, le frontiere dei quattro regni di Càlari, Torres, Gallura e Arborèa, similmente alle dita divaricate di una mano, crearono quattro entità politiche differenziate nelle leggi, nelle istituzioni, nelle scelte economiche e culturali; nonché quattro barriere linguistiche che, con l’evoluzione di qualche secolo, avrebbero dato, come risultato ultimo, quattro lingue nazionali compiute e diverse: il Calaritano, il Logudorese, il Gallurese e l’Arborense, ciascuna coi propri canoni grammaticali e sintattici, coi propri dialetti interni, con la propria letteratura, ecc.
Purtroppo, tre dei quattro regni giudicali (Càlari, Torres e Gallura) caddero ad opera di forze aliene nella seconda metà del Duecento; l’Arborèa terminò per patti nel 1420, ed il suo territorio fu incamerato nel Regno catalano-aragonese di Sardegna; sicché, le loro lingue vennero “tagliate”, non tanto perché i vincitori le proibirono, quanto perché tutto l’apparato governativo e burocratico, laico e religioso, operò con proprio idioma nazionale catalano, lasciando al popolo ignorante le sue parlate indigene le quali, per non essersi maturate in lingue, si possono considerare semplici dialetti, cioè varianti del “volgare” sardo di base.
Abbattuti definitivamente nel XV i confini ex giudicali calaritani, turritani e galluresi, e giudicali arborensi, anche le aree delle parlate sarde si sfecero, si sfumarono, si mischiarono. La lingua nazionale dell’Arborèa scomparve quasi del tutto, fagocitata dal moderno Campidanese (o vecchio Calaritano) forte dell’autorità governativa iberica che operava nella città di Cagliari e che, in qualche modo, si avvaleva, oltre che del catalano e del castigliano, anche del sardo popolare per farsi intendere. Il Logudorese si mantenne più o meno puro attorno a àrdara, antico epicentro del Regno di Torres. Il Gallurese fece perno su Olbia-Terranova, ultima residenza dei sovrani del luogo.

18 commenti:

Roberto Bolognesi ha detto...

Caro professore, non potrei dissentire di più dalla tua visione del rapporto tra lingua, dialetto, e politica.
Le tue considerazioni sull´evoluzione della lingua sarda sono interamente derivate da una visione ottocentesca di questi problemi. Insomma, tu riprendi la visione di Wagner: il sardo ERA in origine una lingua fondamentalmente unitaria e oggi non lo è più) a causa degli interventi statali-sardi in principio, stranieri, in seguito-che avrebbero frammentato la lingua sarda.
Wagner-un retrogrado già ai suoi tempi: non ha mai tenuto conto degli insegnamenti di Saussure-in effetti non si può nemmeno un linguista, ma uno storico delle parole che ha fatto quel poco che poteva. Wagner poteva permettersi di dire certe cose, perché ignorava praticamente tutte le scoperte della linguistica moderna.
La linguistica moderna (si veda Bolognesi 2007: La LSC e le vearietà tradizionali del sardo) mostra, grazie alle attuali tecniche computazionali, che il sardo è ancora una lingua fondamentalmente unitaria e che(si veda Bolognesi & Heeringa 2005) l´influsso delle lingue dei vari stati dominanti che si sono succeduti in Sardegna si riduce a un numero molto limitato di prestiti lessicali (intorno al 15% per tutti i dialetti). La grammatica delle diverse varietà del sardo è ovviamente rimasta tortalmente immune da questi influssi.
Basta guardarsi attono per vedere che lingua, nazione e stato non coincidono: Italia, Svizzera, Irlanda, Spagna, Francia, Regno Unito, Serbia-Croazia, Belgio, il tedesco, il francese, l´inglese, il neerlandese e chi più ne ha più ne metta.
È meglio che ciascuno faccia il proprio mestiere: un dentista non sarà mai un buon ginecologo!

sardus filius ha detto...

Si,l'intervento del prof. Francesco Cesare casula, lo reputo prezioso e mi sentirei di ringraziarlo confutandogli niente poco di meno che le tesi di FRANCESCO GEMELLI sull'origine pisana del sassarese e, visto che ci sono, qualche osservazione sarei indotto a farla pure sull' "italiano di governo" nella libera Repubblica di Sassari, di cui si sta riscoprendo pure il Manifesto giuridico/politico costituente, la cui versione ufficiale è in latino (come l'ha scoperta il Barone Mannu e Pubbicata il Cav. Pasquale Tola, nel suo "Codex diplomaticus regnum sardiniae") ma di italiano non c'è manco l'ombra. Pare esistesse una copia in sardo (com' è per gli Statuti), ma si ritiene sia andata perduta. Quel che mi ha messo la puzza sotto il naso, mi si perdoni, è l'aver letto "come la città di Sassari” abbia “alcuni capitoli (degli Statuti) in lingua genovese o italiana" scritto da chi, evvidentemente, gli Statuti li conosce .... per sentito dire!!!
E' nel XIX° secolo che si riscoprono i monumenti nazionali e vengono pubblicate quelle prove (anche letterarie e filosofiche) che sarebbero dovute servire come prova storica per alimentare l’attività di valorizzazione e tutela delle minoranze linguistiche che insistono sul nostro territorio.
Sono straordinarie le conseguenze che potrebbe creare Alvaro de Madrigal nella storia quando scrive che "nel …. Regno di Sardegna ci sono alcune città, come Villa di Chiesa (Iglesias) e Bosa, che hanno Brevi, coi quali si reggono, scritti in lingua pisana o italiana, così come la città di Sassari ha alcuni capitoli (degli Statuti) in lingua genovese o italiana; e che, per quanto si vede, non conviene né è giusto che leggi del Regno stiano in lingua straniera, lo “stamento” militare del Parlamento supplica (il re) che sia provveduto e decretato che detti capitoli siano tradotti in lingua sarda o catalana, senza mutarne la sostanza; e che tutto il resto in lingua italiana sia abolito, in modo che non ne rimanga memoria", in Sardegna d'Italiano parrebbe essere stato cancellato tutto, la fortuna degli Statuti Comune di Sassari, emanati sotto il podestà genovese del comune turritano nel 1316 (ben oltre, quindi, il periodo pisano, che aveva visto in città il predominio dei pisani dal 1286(?), grazie ad un intervento militare voluta dal Conte Ugolino della gherardesca, fino alla battaglia della Meloria, dove Genova segnò l'inesorabile declino della Repubblica di Pisa).

sardus filius ha detto...

Riscoperto dal Barone Mannue pubblicato nell''800 dal Tola, il manifesto giuridico turritano, tradotto in italiano dal prof- P-M. Pugioni per Enrico Costa, e gli Statuti sassaresi, potrebbero rappresentare, oggi, un prezioso ausilio non solo linguistico o storico linguistico, politico o a/politico culturale, sebbene (occorre tenerlo ben presente) non fossero conosciuti dal Gemelli, facendo vacillare paurosamente la sua tesi, destinata a crollare da sola.
Bolognesi, mi pare, continui a confondere la linguistica storica con la linguistica strutturale a cui fa continuo rimando. Occorre seriamente che qualcuno glielo spieghi che la via sperimentale della lingua di laboratorio partorita negli oscuri meandri della Regione (leggi LSC) ha arrecato un vero e proprio danno economico e finanziario alla minoranza che parla il sardo e non è assistito dalle politiche e dal finanziamento dell’Unione europea. Se poi dovesse essere provato che la "minoranza linguistica storica che parla il sardo" non ha perfezionato il procedimento costitutivo previsto dalle leggi e, conseguentemente, resta esclusa dal novero delle "minoranze linguistiche storiche", diventano dolori, visto che, oltrettutto, la disciplina nazionale in materia tutela i parlanti, escludendo, per certi versi, gli scriventi. Altro che modernismi linguistici od arzigogoli sperimentali, con pochi assestamenti di colore, io credo, avremo la possibilità di dimostrare che dal nostro genocidio linguistico, politico e culturale, ne possa risentire tutta l'umanità, e le condizioni di grave crisi economica, politica, culturale e sociale, potranno essere superate con il nostro riconoscimento come comunità di minoranze linguistiche storiche che compongono il popoplo della variegata nazione sarda. Roberto continua a svilire l’opera wagneriana sul sardo come retrogada ma, per un linguista che volesse riscoprire il valore e la validità storico-politica di una lingua, consiglierei la lettura, l’analisi e lo studio della prima e della seconda SCIENZA NOVA di G. B. Vico, il quale, dati i riconoscimenti storici a livello nazionale ed internazionale, potrebbe tornargli utile quell’ “ irto ostacolo sperimentale” segnato dal fallimento.

..... si sono come un fiume in piena. Dopo l'arsura e le pene di questa estate, queste prime gocce di pioggia parrebbero arrivate proprio a far traboccare il vaso. Memore degli appusti mossimi da Gianfranco tempo addietro, spero di essere rimasto entro i toni di un dialogo civile e misurato. Mi sto rendendo conto che più si vada avanti e più si faccia solo sparlare. Concordo con Bolognesi comunque sul fatto che ognuno debba fare il proprio mestiere: Un buon ginecologo non sa cavare denti cariati o fare belle dentiere!!!!
- mi scuso per la verbosità ma ..... abbiate pazienza!!! -

Roberto Bolognesi ha detto...

Zulieddu, proite sighis a faeddare de cosa chi non cumprendes?

sardus filius ha detto...

saludu Robè..., hat a esser' chi tenze bisonzu chi mi lu neras tue su chi isco o no isco, o foltzis dat fastidiu chi pota narrer' su chi penso in meritu de s'interpretazione e de s'applicazione de una legge?
Deo dia a esser' prontu a ponner' in campu no una bibliografia ma una vera e propria biblioteca in limba sarda, finas ai como hapo 'idu solu regulas tiradas cun tropu sufficienza po imparare sos sardos .... a iscrier'. Mi paret chi ti presentes (comente ateras bortas has' fattu) comente su oe chi narat corrudu a s'ainu e, essende prestigiosu su rolu chi t'han' dadu, pensas chi finas s'ainu ti depat creer' chi est corrudu. Bos hapo postadu duos cummentos (ca unu solu no b'istaiat) e bos hapo confutadu argumentos chi dian' a meritare pius tempus, attenzione e cura in sa disamina, ma, ite cheres chi ti nerza, mustras chi so' ignorante faghindedi passare comente intelletuale de prim'ordine, sende chi totu su fallimentu de sa politica linguistica regionale de custos annos ti ruet in palas. Rientra, ti nde prego, in sos canones de su caminu disignadu da sa disciplina giuridica. Devet esser' beru chi faeddo de cosas chi no isco, naranos (po cussu) it'est una minoranzia linguistica istorica chi faeddat, ispieganos cal'est sa differenzia chi la distinghet da su populu de una nazione?
Poto finas esser' faddinde, ca est in su bagagliu de ogni homine a ilbagliare, ma, po chi pota cumprender' sos errores toccat chi caligunu mi nerzat inue est s'ilbagliu, si però sighis a mi liquidare cun pagas rigas comente has' fattu como, ses' offendinde finas sa sensibilidade de chie hat potidu legger' siat su post de prof. Casula che sos cummentos nostros. Si cherimus discuter', de istoria, de geografia, de limba, cultura e tradiziones sardas, discutimos, si però (faghindedi forte de sa fama (?) chi t'has' fattu in custos annos) pensas de isminuire su tribagliu chi hat fattu s'ateru chentz'abba in brocca e chentza pane in busciaca (ca l'han' serradu totu sas giannas), beh, ti lasso comente ti cheres, ma no nerzas a s'ateru chi no cumprendet, ca foltzis risultat a cumprender' finas cosas chi a tie (provas a sa manu) paren' negadas. Est tropu facile sa posizione chi has' assuntu (ca est gratis e no b'hat daziu de pagare) ma si prof. Casula, Giuanne frantziscu o chie po issos nos dian' a dare possibilidade de cunfrontu in pubblica riunione (inue si poden' bogare sas proas a carrigu e a disculpa), so' siguru chi ti dias' a poder' finas abrigonzire ca so' bonu a ti mustrare de chie siat su "no ischire". Ancora una chedda 'e meses, Robè..., m'hat arrivadu notizia chi si siat preparende calchi cosa de 'onu (si Deus cheret e su tempus mantenet), b'est sa possibilidade de si ricreer', de si ricunverter' e de torrar' a fagher' su giaganeddu; si però sighis cun custa boria de sufficienza e sa prosopopea de chie cheret cuare, mascherare, deviare su cursu 'e s'istoria ..... beh, mezus chi arriven' sos extraterrestres a ti che leare ca inoghe no ti che restat logu!!!

Anonimo ha detto...
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Roberto Bolognesi ha detto...

Per chi non conoscesse Giulio Pala di Tresnuraghes, faccio presente che le critiche che lui mi muove mi sono già state mosse da altre persone, a volte anche più o meno negli stessi termini.
Chi le trovasse condivisibili può andare a cercarsi le mie risposte, per esempio, nell'archivio di "L'altra voce".
In ora bona Zulie'!

sardus filius ha detto...

ciao Robè..., a passare bonas festas!!!

Anonimo ha detto...

Se non ho capito male l'intervento del Casula come il titolo indicherebbe, voleva Egli dirci in filigrana che come siamo stati per secoli (e non ne siamo morti) senza la pressante oppressione culturale dell'italiano, in qualche modo potremmo tornare a farne a meno. Mah, ho qualche dubbio, anche se proibito l'uso dell'italiano, gli intellettuali di Sardegna continuavano a bazzicare le università di Italia tra '500 e '700, e bisognebbe fare una verifica documentaria (qualcosa fece tempo addietro Cadoni) su quale fosse il patrimonio bibliotecario degli intellettuali di allora (attraverso i lasciti testamentari), per scoprire che forse forse l'Italia era più amata, anche in quel periodo, della Spagna. Sta di fatto che la Sardegna e per la sua condizione di isolamento, e perché sostanziale sinecura di Scolopi e Gesuiti, da allora non ha mai germogliato una letteratura che non fosse quella arcadica, grossolana e paesanotta; invocare i soliti condaghes, CDS ecc, come indicatori della esistenza di una lingua nostrana, sarebbe come invocare a lingua il codice di procedura penale italiano: un testo normativo non ci dice quale lingua reale si parlasse in certi contesti. La divisione linguistica non va vista poi come un male, ma come un fatto naturale che c'è in tutte le realtà geograficamente estese. Ma è tra Ottocento e Novecento, quando la cultura inizia a diffondersi, che invece che riuscire a guardare a Cagliari, e investire risorse su un centro produttivo che potesse diventare centro d'elaborazione intellettuale della Sardegna, si è preferito guardare da parte dei maitre-a-penser nostrani, alla genuina identità dei centri interni (pensiamo all' autocoscienza primitivista riflessa, che ha prodotto l'aver avuto una scrittrice come la Deledda), ora continuando a favoleggiare della stratosferica bontà del logudorese illustre (in realtà sottoprodotto delle curie vescovili e dei gesuiti) ora, ultimamente, a seguito della metabolizzazione del Wagner, dei ritrovati linguistici del genuino nuorese (un cui sottoprodotto è il "corrainese", benché Bolognesi non se ne sia accorto). Alla Sardegna, caro Casula, mancò e manca una capitale, manca un centro di gravità che dia il movimento all'orologio sardo che è ben fermo al Medioevo. Per quanto riguarda il Wagner, che Bolognesi viene a citare a sproposito, fu uomo del suo tempo, quando di linguistica generativa neanche se ne sentiva l'odore: attaccarlo su questo versante, è come accusare Napoleone per non aver attaccato l'Inghilterra cogli aeroplani.


a.areddu

Roberto Bolognesi ha detto...

Caro Areddu, è sempre pericoloso dare degli ignoranti agli altri!
Nel mio post parlo di De Sassure-fondatore delle "strutturalismo" e non del "generativismo" (quello è Chomsky!).
Se non lo sapessi, ti faccio presente che il "Corso di Linguistica Generale" è stato pubblicato nel 1916.
Wagner perciò ha avuto tutto il tempo per ignorarlo.

Anonimo ha detto...

Sarà anche così, ma si era ancora sotto altri influssi culturali, e anche Saussure per essere ben apprezzato ha dovuto esser riscoperto post mortem.

a.areddu

Roberto Bolognesi ha detto...

De Sassure riscoperto post mortem? Appunto! Il suo Course è stato pubblicato postumo nel 1916: Wagner aveva allora la tenera età di 36 anni. Si merita allora la definizione di retrogrado? Certamente, soprattutto se con questo si intende che non ha voluto/saputo/potuto comprendere la lezione Sassuriana, che per quanto riguarda la linguistica storica è molto semplice: non si può fare la storia di una lingua, se non si sa cosa sia lingua.
È evidente che Wagner non avesse la più pallida idea di quali sono i meccanismi che operano sincronicamente nella lingua e che, poi, sono gli stessi che portano al mutamento linguistico. Uno scienziato olandese ha detto in proposito: `Chi ha solo un martello vede chiodi dappertutto´
Il ´martello´ di Wagner era la sua conoscenza(limitata) della storia sarda e ha cercato di spiegare tutto con il contatto linguistico tra il sardo e le lingue degli stati che hanno dominato la Sardegna. Purtroppo, però, Wagner non sapeva neppure cosa sia il contatto linguistico, dato che lo studio sistematico di questo fenomeno è cominciato una trentina di anni fa.
Va condannato per questo? NO, ovviamente, ma neppure idolatrato e soprattutto non va seguito!

Anonimo ha detto...

Credo che intanto occorra ringraziare il prof. Casula per il contributo democratico di conoscenza cha ha offerto in questo blog.
Poi mi ponevo delle domande. Per esempio: fra qualche anno si ricorderanno opere di Wagner come "La lingua sarda", il "Dizionario etimologico sardo", la "Fonetica storica del sardo", "La stratificazione del lessico sardo" etc., oppure opere di Bolognesi come "Sardegna fra tante lingue"?
Un'altra domanda che mi facevo: se Wagner era così retrogrado, com'è che se apro una qualsiasi storia della linguistica, un volume di linguistica romanza o altro si dice sempre che era uno studioso eminente e nessuno dice le cose che pensa Bolognesi? O mi è sfuggito qualcosa (in questo caso sarei assetato di sapere e chiederei bibliografia)?
Senza idolatrare nessuno, si intende...
Domande, maledette domande.
Giorgino Puddu

Roberto Bolognesi ha detto...

Il modo migliore per rispondere alle domande (pseudo)intelligenti è quello di porre altre domande±
sa spiegare il signor Giorgino come mai l´autore più citato del secolo scorso è Josip Stalin?
E sa anche spiegare come i Pisani-che, come ha mostrato il prof. Casula nel suo libro-hanno dominato il regno di Cagliari per 64 anni-possono aver influenzato il sardo meridionale, così come sostenuto da Wagner?
Galileo, per le sue idee, è stato quasi bruciato sul rogo.
io sono molto più fortunato: devo soltanto interloquire con gente che, prima di parlare, dovrebbe informarsi.
Esiste anche Google!

Anonimo ha detto...

Penso di poterle rispondere: se apre un libro di storia della linguistica, Stalin è ormai sistemato nella sua casella e nessuno si sognerebbe di seguire o apprezzare posizioni tipo quelle espresse in articoli quali "Il Marxismo nella linguistica"; di Wagner il giudizio rimane sempre molto positivo (guardi lei su books.google e, soprattutto, mi citi qualcosa oltre a sé stesso e alla sua presunta autorevolezza). Il paragone fra Stalin e Wagner, perciò, fa acqua da tutte le parti.
Il discorso dei Pisani: ne "La lingua sarda" Wagner dà conto di una serie di vocaboli toscani presenti già nel sardo antico (nei condaghes, per capirci). Quei vocaboli ci sono, non solo nel sardo meridionale ma anche in quello settentrionale: visto che non li ha portati lo Spirito Santo...
Quanto a Galileo Galilei, beh, non si dia troppa importanza...
Vede, io nelle mia ignoranza almeno ho provato a darle una risposta, senza dire che le sue domande sono (pseudo)intelligenti. Lei invece ha svicolato.
Io penso che le sue idee sono, appunto, solo sue e non siano condivise da nessuno studioso, almeno per ora.
Saluti, Giorgino

Roberto Bolognesi ha detto...

discussione inutile, comunque: se il progresso scientifico dipendesse dal successo sociologico di un autore, Stalin-ripeto-sarebbe un grandissimo scienziato.
La discussione scientifica degli errori di Wagner richiede lo spazio di un libro: il libro esiste e non lo riassumo qui.
Non tema, non mi sento grande come Galileo: mi piacciono le iperboli!
Saluti

Anonimo ha detto...

alberto areddu scrive:

A 36 anni un uomo ha già maturato nella maggior parte dei casi, il suo punto di vista, e quello del Wagner si era formato sull'approccio neogrammaticale (anche il Saussure venne visto come un subdolo neogrammaticale), che gli offriva il Meyer-Lubke, condito dalla lettura dell'eretico Schuchardt e dalle riviste tedesche allora diffuse, gli approcci della geografia linguistica e del metodo Worter und Sachen. Ad ogni modo solo una persona, che tu conosci bene, saprebbe dirci se il Wagner ha almeno letto Saussure (perché se non l'ha letto è un altro paio di maniche). Perché non glielo chiedi? Ti faccio un'osservazione con due domande; non ti sembra che sia contraddittorio il fatto che tu sia nel contempo un linguista sincronico e allo stesso un sostenitore di una possibile lingua astratta (nata parte sui dati offerti dal computer e parte a tavolino): non dovrebbe un linguista sincronico fermarsi al dato di fatto senza doversi interessare a fasi future della lingua? Secondariamente: conosci molte indagini di tipo sincronico condotte tra gli anni trenta e quaranta del passato secolo?

saluti, areddu

Roberto Bolognesi ha detto...

Areddu, quanta acqua è passata sotto i ponti: un tempo-ah, i eai tempi andati!-eravamo nemici per la pelle e oggi ci trattiamo come due gentiluomini di campagna. Si vede che stiamo invecchiando...
La scuola di Praga, carissimo! La grande, fondamentale scuola di Praga, nasce negli anni '30.
E poi i Russi, con Jacobson che emigra in America e fonda lo stutturalismo americano negli anni '40.Quello che dici tu su Wagner, non è nent'altro che la formulazione in termini positivi di quello che dico io: a me sta bene!
Tu dici: "[sei un] sostenitore di una possibile lingua astratta (nata parte sui dati offerti dal computer e parte a tavolino): non dovrebbe un linguista sincronico fermarsi al dato di fatto senza doversi interessare a fasi future della lingua?"
Di quali dati offerti dal computer stai parlando? Di quelle 200 parole scelte in modo casuale dalla macchina per evitare di farsi guidare dalle proprie-inevitabili!-preferenze?
Ma quei dati (270.000 parole)sono stati prodotti da scrittori sardi, non dal computer e poi tradotti e pronunciati da parlanti di dialetti sardi.
E di quale lingua astratta? La LSC?
La LSC corrisponde per oltre il 90% con il sardo di Abbasanta!
Quanto corrispondeva l'italiano di Manzoni al fiorentino? E, oggi, l'italiano "standard", che non parla quasi nessuno, ai vari italiani regionali?
Il "fermarsi al dato di fatto", poi, non è del linguista sincronico, ma del linguista strutturalista: non potendo studiare la Langue-troppo astrattamente definita da Sassure-si limita a descrivere la Parole. Ho appena completato un articolo in cui propongo una definizione concreta di Langue: uscirà a mesi.
In questi anni forse di sei dimenticato di come la penso sul sardo "standard": solo lo scritto (artificiale per definizione) va standardizzato; il parlato non si tocca!

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