mercoledì 29 aprile 2009

Giacobini all'assalto di Sa die de sa Sardigna

C’è una livida opposizione, che si rinnova ogni anno, alla celebrazione di Sa die de sa Sardigna. Una vera “costante resistenziale” per intellettuali e giornalisti di cui è difficile dire se sono solo gli ultimi compradores o inconsolabili vedove di un giacobinismo in salsa italiana. Di regola imbrogliano le carte.
C’è chi, come Giorgio Melis, irride alla cacciata dei piemontesi con questa argomentazione: la loro cacciata fu “seguita, pochi anni dopo, dal loro ritorno acclamato dagli stessi ex rivoltosi che trainavano la carrozza reale sostituendosi ai cavalli”. Melis sa benissimo che i rivoltosi non avevano alcun progetto di rovesciare il Regno di Sardegna, ma “solo” il governo della terra che aveva dato il nome allo Stato allora “federale”. E siccome lo sa, non resta se non la malafede a spiegare la sua acredine che si estende alla “ridicola pretesa di dirsi nazione” da parte della Sardegna”.
C’è anche chi, come Eugenia Tognotti, è più raffinatamente sleale. Si inventa un avversario di comodo nel “mito di una presunta autoctonia, di un ethnos incontaminato”. Forse c’è qualcuno che coltiva questo mito, ma francamente non è da una studiosa come la Tognotti mettersi a polemizzare con i frequentatori di un qualche Bar dello Sport che, fra una maledizione e l’altra contro le donne, il tempo e il governo, trovano il tempo di pensare a baggianate del genere. Non resta, anche qui, che la malafede.
Questa è uno strumento utilissimo a rimuovere la sostanza delle cose, soprattutto quando non si ha il coraggio, o semplicemente la voglia, di confrontarsi con i significati più profondi delle cose. Si irride alla “cacciata dei piemontesi” come simbolo nazionale, perché in realtà non si vuol riconoscere l’esistenza della Nazione sarda che è il risultato ovvio non di una purezza etnica (Dio ce ne scampi e liberi), ma di una mescolanza di genti cominciata nel Paleolitico e mai finita.
La controprova di come, quella parte di intellettuali sardi che accede ai giornali, rimuova la parola stessa Nazione riferita alla Sardegna, è nelle cronache di Sa Die de sa Sardigna celebrata ieri in Consiglio regionale. Il presidente della Regione, Cappellacci, ha parlato sei volte di Nazione sarda, i giornali neppure una volta. Non è consueto, è anzi molto raro, che in un suo discorso un presidente della Sardegna parli della sua terra in termini di Nazione “con proprio territorio, propria storia, identità ed aspirazioni distinte da quelle che compongono la Nazione italiana, ed assomma in sé tutte le culture e le civiltà che si sono succedute nell'Isola dal prenuragico ad oggi”.
Altrove, dove la stampa avesse meno retropensieri e pregiudizi ideologici, la rivendicazione della qualità di nazione alla terra governata da chi così la definisce avrebbe avuto risalto. Come si dice, avrebbe fatto notizia. Qui no, anzi qui ci si preoccupa di censurare, di occultare, con la coscienza che in una società dell’informazione sono i giornali a decidere che cosa esista e che cosa no: un fatto non raccontato semplicemente non esiste. La completezza dell’informazione può attendere. Forse solo un équipe di psicologi e sociologi sarebbe in grado di dare una spiegazione.
È anche per questo, oltre che per la qualità del documento, che propongo ai lettori di questo blog il testo integrale del discorso di Cappellacci, che si potrà leggere cliccando qui. La lettura non sposterà di un ette il giudizio politico, contrario, favorevole, neutro, sul nuovo governo regionale. Ma forse aiuterà a capire che la campagna elettorale è inesorabilmente chiusa.

4 commenti:

Anonimo ha detto...

l'omissione giornalistica della parola nazione pronunciata dal presidente (rappresentante del popolo ma anche un istituzione dello stato italico) è preocccupante. La stampa si dimostra ancora una volta vittima di quel "complesso ideologico" verso le parole Patria,Nazione, che a sua volta è retaggio sia del ventesimo secolo, come di una certa ideologia vetero comunista o di sinistra, che confonde il patriottismo con il nazionalismo, ma che quando l'è convenuto, ha cavalcato l'indipendentismo. Non è un caso se il problema tante volte affrontato in questo Blog, quello degli shardana, ancor prima di esser affrontato da un punto di vista culturale e scientifico, viene calunniato come una pulsione nazionalista deprecabile, degna dei peggiori sciovinisti in cerca di una rifondazione mitologica dell'identità sarda, ed è ostracizzato dalle università a parte encomiabili eccezioni.
Per di più i Sardi devono superare un terzo complesso tutto loro, per poter ripronunciare senza paure più o meno inconscie la parola Patria. Dopo tanti anni di sottomissione, credono di non potercela fare più con le loro gambe. Ed inoltre, forse credono che pronunciare l'espressione Nazione sarda, voglia significare un implicita dichiarazione di guerra agli amici dell'Italia. L'esempio Corso spaventa, ma noi siamo sardi. E benchè il nostro nazionalismo abbia spesso ricevuto nuovo impulso dalle prove della guerra (come il P.d.Regione implicitamente ammette), a motivo dell'onore militare di cui spesso ci ricopriamo e della riscoperta delle nostre capacità, noi vogliamo poter parlare di patriottismo sardo, e di riscoperta delle nostre più antiche radici senza la guerra. Attraverso il dibattito culturale, che comunque lo si voglia presentare è molto più vivace che nel resto d'Italia (basti vedere quanto è seguita la nostra archeologia) e attraverso il nostro autogoverno, che si spera sempre maggiore, efficace, e responsabile.

gigi sanna ha detto...

Ho letto l'intervento del Governatore a proposito de Sa Die. Che posso dire? Non credevo ai miei occhi, almeno per alcuni passi. Segno questo che il sardismo è oggi veramente 'diffuso'(e mica quello timido, confusionario e piagnucolone che albergava in certi partiti che si opponevano al P.S.d'Az ).A meno che io non debba pensare che tra i membri dell'attuale maggioranza il livello di ipocrisia abbia toccato i limiti del tollerabile e che la concessione sia solo verbale e strumentale per istupidire certi compagni di viaggio. Aggiungerò dunque, provvisoriamente, una penna azzurra alle altre mie penne multicolori, invitando altre penne a me sentimentalmente più vicine ad usare, con decisione, lo stesso linguaggio. Non c'è, è vero, la voce 'indipendentismo' ma siamo là. In un bel discorso ( che, suppongo, gli ha preparato o suggerito qualche 'sardista') c'è però la nota stonata (ma per lui istituzionalmente obbligatoria)della rievocazione de Sa Die con la grottesca cacciata dei Piemontesi. Qui devo dirti, Caro Gianfranco, che è inutile in fondo prendersela con Melis, perchè siamo noi e solo noi che abbiamo consentito ad alcuni 'intellettuali' avversari, notoriamente con la puzza al naso sulle questioni nazionalitarie e identitarie, di dire quello che della circostanza storica si 'deve' putroppo dire.
Quando ci fu la decisione assembleare di scegliere il giorno, la data e l'avvenimento che meglio potesse far celebrare a tutti i Sardi una giornata d'orgoglio nazionale, si scelse quella peggiore perchè sapevamo che qualche storico, come puntualmente è avvenuto, avrebbe ironizzato sulla 'debolezza' della rivolta. Io, nel mio piccolo, raccomandai allora tramite l'onorevole Ortu, agli amici oristanesi di dare battaglia in Consiglio Regionale perchè solo due potevano essere gli eventi che avrebbero trovato consenzienti tutti i Sardi:la data - approssimativa - della battaglia nei pressi di Cornus dove Amsicora si oppose eroicamente alla conquista dell'isola da parte dei Romani e la data della grande battaglia di Sant'Anna dove le truppe di Mariano IV e di Ugone III affrontarono e sconfissero gli Aragonesi. Due battaglie che, con la presenza di Padri e Figli assieme 'resistenti', si caricava ancor più di simboli libertari. Non vinsero però, come ben sai, il buon senso e la verità storica, ma un calcolo in fondo meschino per non lasciarsi sfuggire un evento che gratificasse Cagliari capitale e non la Oristano e l'Arborea davvero insuperabili, popolarmente, per riferimenti di fierezza nazionale sarda.
Per questo dico che il 'sardismo critico', che deve sempre e comunque respingere quello arruffone, a mio parere non può che ripudiare la celebrazione di un avvenimento che, si voglia o non si voglia, a nessuno riesce a gonfiare il petto.

Anonimo ha detto...

Bellissimo discorso. Brevemente, forse troppo brevemente per abbracciare la questione, mi chiedo: non perde forse di credibilità un Presidente della Regione sponsorizzato dal "colonizzatore" d.o.c della Sardegna? Fu proprio lui, il nano di Arcore, a proporre che si costruissero più campi da golf e centri benessere per il rilancio dell'economia isolana. Il prof. Gigi Sanna (encomiabile il suo impegno affinché venga svelata "scientificamente" la realtà dei ritrovamente nuragici e l'enfasi posta sullo studio di questi ultimi, e tante, tantissime cose ancora) secondo me ha ragione di sentirsi scettico a proposito di questo discorso quando afferma "A meno che io non debba pensare che tra i membri dell'attuale maggioranza il livello di ipocrisia abbia toccato i limiti del tollerabile e che la concessione sia solo verbale e strumentale per istupidire certi compagni di viaggio". Ne ha ben donde, e io credo proprio che si tratti di questo.
Aspetterò che i fatti smentiscano il mio pessimismo e la mia diffidenza. A campagna elettorale chiusa da un pezzo.
Con immensa stima,
Gavinu

zfrantziscu ha detto...

Carissimi Gavinu e Gigi,
la diffidenza è il sale della terra, almeno di quella nostra. Ma la cultura politica in Sardegna, ha oggi un documento in più, e non banale, su cui riflettere. Sapete perché non credo alla ipocrisia, almeno fino a prova contraria? Perché tutto fila con le parole e i concetti al posto giusto.
Gavi', bisogna che anche tu ti renda conto di una cosa importante: un conto è lo Stato e la sua amministrazione, che risponde a logiche centralistiche; un altro è la Regione.
Puoi dire che la Generalitat catalana non ha badato agli interessi nazionali dei catalani solo perché a Madrid appoggiava la destra di Aznar o la sinistra di Zapatero?
Fino a prova contraria, Cappellacci ha fatto un discorso sardista quale mai è stato fatto in precedenza. Ed è una buona cosa. Il che non toglie che la sua azione di governo non ti convinca o ti trovi avversario.