sabato 8 ottobre 2011

Sas feminas de maccumere

di Mikkelj Tzoroddu

La instancabile Bellamente, ci ha suggerito di vedere, “nell’ambito della mostra del libro in Sardegna”, la pagina sulla “prima mostra didattica della documentazione scritta della scrittura nuragica, dal Bronzo Medio al Primo Ferro, organizzata da Gruppo Solene e Associazione Melchiorre Murenu e curata da Gigi Sanna”, dove abbiamo trovato la immagine qui proposta, la quale ci regala una parziale veduta dei betili di Tamuli. 
Sappiamo che essi sono definiti femminili a causa di quelle sporgenze nella loro parte superiore, definite da tutti gli studiosi sardi (più per copia e incolla che per un esame approfondito del soggetto sul piano artistico, storico ed etnologico) “rilievi mammillari”. Noi, invece, in questo istante stiamo realizzando che i tre betili siano sì rappresentazioni di altrettante donne, ma non per la banale considerazione che le sporgenze si riferiscano a delle mammelle, bensì per le movenze, che traspaiono chiaramente trasmettersi da tre donne che avanzano con atto femminile tipicamente aggraziato, quasi permeato d’una ieratica solennità.
Un incedere lento, pur se deciso, di tre feminas che si recano a campu, pro tzappittare (?), dialogando fra loro. È da notare come l’occupazione dello tzappittonzu o sarchiatura, era operazione particolarmente delicata, tesa a rendere ottimale la crescita del grano. Tale occupazione era posta in essere dall’arte e sensibilità della donna, la quale curava amorevolmente la pianta, dalla nascita fino alla maturazione e raccolta del grano. Il grano era [nella salda gestione (paleolitica) della domus e in quella fondamentale dell’ager fertilis operata dalla donna] il mezzo attraverso cui si manifestava la sua supremazia nella sfera alimentare. Il frumento, era preso in consegna dalla signora che, all’esterno ed all’interno della casa, attraverso l’uso della madia, del forno e del focolare, ricavava il principale nutrimento, per gli abitanti la “casa”, ovvero la “famiglia”, ossia la “comunità”, indispensabile per raggiungere il futuro. Quindi, ben a ragione le movenze sono aggraziate, ma solenni, nella coscienza di adempiere ad un rito (non un lavoro) ch’era d’importanza vitale.
In particolare, il dialogo si svolge fra le due donne alla destra nella foto: delle due, quella a sinistra (alla parvenza la più anziana delle tre – se ne interpretiamo la postura leggermente curva in avanti - quindi la saggia del gruppo, oseremmo dire la matriarca, per il modo autorevole con cui sopravanza le altre) sembra affermare un concetto di cui si sente molto sicura, infatti, procedendo nel suo cammino, getta lo sguardo in avanti con atteggiamento che non ammette replica. La figura alla sua sinistra (quasi teatrale nel suo porsi) ostenta un movimento del corpo che inclina tutta la figura verso la sua parte sinistra e, quasi alzando il piede destro, lancia uno sguardo sulla compagna di viaggio, a voler mostrare il suo alto stupore per quanto sentito ma, non si azzarda ad andare oltre, non permettendolo l’alto rispetto per l’autorità che le stava a fianco. La signora che cammina alla destra della coppia dialogante, sembra non partecipare allo scambio di parole, ma tuttavia pare attenta al loro contenuto, che mostra, se non condividere, almeno gelosamente memorizzare. 
Così, crediamo sia molto evidente come le sporgenze siano da considerarsi gli occhi della donna. Reputiamo ciò acclarato dalla posizione che esse assumono nella figura, così alta da escludersi che possano trattarsi di mammelle, ma anche perché in assenza degli occhi, oltre ad essere figure prive d’una più solida connotazione antropomorfa, risulterebbero tristemente rigide nel loro mutismo: pietrificate, appunto. Essendo invece, tali rilievi, dei veri e propri occhi, essi, oltre a restituirci delle figure incorrotte nelle loro proporzioni, mettono la voce a quelle feminas in cammino, che ci parlano con fare solenne dall’eternità.

12 commenti:

Franco Laner ha detto...

la parola giusta allora era betili.
Ma quando si parla di betili, o menhir, molti non capiscono.
Ho imparato, osservando la simbologia del nuragico, che non facevano tanti giri di allusione, quello che è,è, e viene rappresentato. Mentre capisco benissimo che la parola sostituita è molto, molto più elegante.
Quando vado in cantiere e ai muratori parlo con il linguaggio UNI (le norme hanno unificato anche il linguaggio tecnico) o non vengo capito, o mi pensano gay.
E allora dico di fraporre un CRISTO (per dire interruttore di luce di un solaio o rompitratta), dico "pignatta" anziché "interposto di laterizio forato" o malta bastarda e sanno che tipo di malta.
E spesso una parola volgare, va detta, per sottolineare che l'altro è volgare, perché fraintendere clamorosamente, questo sì è volgare, perché offende l'intelligenza.

Gigi Sanna ha detto...

'E spesso una parola volgare, va detta, per sottolineare che l'altro è volgare, perché fraintendere clamorosamente, questo sì è volgare, perché offende l'intelligenza'.

Vedi caro Franco, Aba ha fatto bene e male nello stesso tempo a censurarti perchè le sfumature di pensiero, le cosiddette 'sottigliezze', talvolta stilisticamente pregevoli, spesso si ottengono con un linguaggio non ammesso se non allo stadio. Ma entri clamorosamente in contraddizione per ciò che tu hai censurato pochi giorni fa. E bada: qualcuno fraintende, offende l'intelligenza in modo innocuo, senza disastri e paga subito dazio a chi, a torto o a ragione, si sente offeso nell'intelligere (che è sempre opinabile, come sai, persino nella certezza). Qualcuno invece fraintende stupidamente, crea disastri sul piano della comunicazione scientifica planetaria, depista quasi irreparabilmente, ripete stupidamente, perchè 'acriticamente', il disastro e non paga minimamente dazio. Anche perchè fa anche il codardo e puerilmente si nasconde. A me l'hai negata quella sfumatura di pensiero e per una parola molto meno volgare. O forse ritieni che quell'ermeneutica da quattro soldi sulle matrici in 'negativo', sugli alberelli a fusto 'cuneiforme' e con le lettere consonantiche ugaritiche e protosinaitiche capovolte nella presunta 'matrice', meriti un approccio critico con lessico da salotto? Io non credo, perchè sono -diciamo così, dietro tua espressione - di antico pensiero 'nuragico'. Spesso, credimi, stento a capirti e, per motivi che puoi ben intendere, lascio perdere. Ho lasciato perdere anche quando hai insistito, non tenendo minimamente in conto la mia 'difesa'. Quella che ora è la tua.
La Mostra di Macomer sulla scrittura io (Aba lo sa) avrei voluto che venisse pubblicizzata senza fretta, solo dopo l'annuncio ufficiale (chiamiamolo così). In concomitanza con l'annuncio del Convegno della Facoltà di Medicina della Università di Sassari (Secondo Convegno sul tema della genetica, ovvero sugli archetipi e i simboli della scrittura e la memoria). La mostra, tra gli altri fini (non pochi come si vedrà) ha il compito di far vedere meglio agli scienziati riuniti in Sassari e poi in Macomer, dove, come e quando sono stati realizzati certi segni in periodo nuragico, veri archetipi o non che essi siano. Tra qualche giorno se ne riparlerà.

Franco Laner ha detto...

Confesso di aver difficoltà a muovermi con questo nuovo tipo di confronto blog, post, anonimi,silenzi, attacchi...sia nel bene, sia nel male.
Leggi una cosa, vuoi dire la tua e fai danni, perché non ti risponde solo l'interlocutore, ma chi lo difende o viceversa chi gli è contro. Spesso agisco d'impeto. Poi ripensandoci, come nel caso di ieri per il post di Mikkelj Tzoroddu (ma come si fa a scegliersi un nome così??), mi pento. Dapprima ho letto la visione delle zappatrici con gli occhi fuori di testa e l'ho preso sul serio. Poi, molto poi, ho pensato che volesse fare della poesia. Di che tipo non so, ma forse era solo un modo per giustificare il suo nome (tzoroddu = pasticcio, delirio, casino??) e mi sono pentito. Parlava appunto poeticamente. O no?, visto che poi Aba disquisisce sull'altezza delle tette, ma è indecisa. Da ragione a Mikkelj e però alla fine concorda sull'interpretazione androgina.
Insomma basta poco per mettermi in crisi. Ad esempio il consiglio, già che sono a Macomer, di andare a vedere le cose importanti, che Aba mi suggeriva, mi ha fatto pensare molto, anche male, perché nulla sapevo della mostra. E tu, in questo sommo casino che il blog instaura nella mia mente, pretendi che mi ricordi la sfumatura di pensiero che ti ho negata? Per me la questione nuragica è importante, purtroppo viene dopo, molto dopo altre questioni, sia di ricerca del mio settore, sia di doveri, di professione. Spesso per voi è questione esistenziale, di massimo impegno, anche perché ora la posta in gioco è altissima. State molto più attenti ai rapporti, alle parole, alle sfumature...Se ci si potesse parlare, per qualche ora, penso che sarebbe più facile capirci. A volte nemmeno io rispondo o dico la mia, perché capisco di mettere in crisi cose assai più importanti, ad esempio la stima che si prova, al di là delle idee, per una persona. Altre volte si assecondano le umane debolezze, l'invidia, la gelosia, l'ambizione, l'antipatia e si calca la mano solo su di un sospetto, un pensiero frainteso, scatenando un crescendo di fratture stupide.
Quando le cose prendono una brutta piega, mi vien voglia di scappare, mandare nuraghi e i loro studiosi in quel posto e dedicarmi all'orto, che, sole e pioggia permettendo, restituisce con gli interessi il tempo ed il lavoro che gli hai dedicato. Ma -mi viene in mente Catullo e la sua Lesbia- non posso non tornare all'amore travagliato e tradito. Forse sono, anzi lo sono, masochista. E soprattutto non preoccuparti se non mi capisci. Non mi capisco nemmeno io!
Resta una cosa sacrosanta. Anche se alcune cose che affermi -v. brassard e i suoi buchi- non le capirò mai, ho per te e per la maggior parte di voi, anzi per tutti, quella stima che è doverosa per chi si impegna, con i suoi mezzi, a soddisfare la curiosità intellettuale. Per te poi, che mi hai insegnato cose preziose, la stima è doppia, però lasciati dire, magari rozzamente, quando non sono d'accordo!
Ciao
Franco

Gigi Sanna ha detto...

Caro Franco, ho fatto casino con la posta è mi trovo ora (incazzato) con lo spazio bianco. Peccato perchè ho cercato di spiegarti divertendomi e cercando di farti divertire proprio quei 'buchi' che non digerisci perchè ti fa velo la razionalità.Non ce la faccio a ripetere tutto il procedimento verbale messo in atto. A questo pomeriggio o a questa sera. Grazie comunque per la... 'stima doppia'. Non credo di averti insegnato granché.

francu ha detto...

Certo, caro Micheli, che faresti ben altra figura se ti facessi chiamare Michele Arc, con l'angelo sottinteso.
Quanto al tuo racconto, mi pare che colga appieno l'atmosfera delle statuette di Tamuli.
Hai dimenticato di dire che, al confronto con quelle di Laconi, queste sono molto basse e dunque hai ragione da vendere nel vederle smanettare a sarchiare il grano come giornaliere di campagna. Per chiunque le abbia viste da vicino, credo che la prima impressione sia quella di vedere delle donne, e anche molto basse. Donne di questa taglia difficilmente avrebbero partorito i "giangallonis" signori-giudici nuragici.
Evidentemente le statue raffiguranti le loro madri si suppone siano state scolpite in atteggiamenti più regali.
Quanto al discorso che intercorre fre le zappatrici, hai dimenticato un fattore ben importante: sul pianoro di Tamuli soffia perennemente il vento e, nella stragrande maggioranza dei giorni dell'anno, viene da dietro le spalle delle statuette.
Ecco perché quella più a destra per chi guarda, che è anche l'ultima, si sporge a carpire la voce che viene portata via dal vento. Effettivamente mi pare che resti un poco tagliata fuori dal discorso.
Di che cosa parlino, io non so dire.
A stare all'atteggiamento delle prime due, però, il fatto che tengano il capo un poco reclinato come a ridere di nascosto, la dice lunga sull'argomento. Potrei azzardare che commentano la fiacchezza di quella che non sta al passo con la notte "agitata" che ha trascorso.
L'argomento delle battute delle due donne in effetti giustifica il fatto che i rilievi siano così vistosi, sia che li si prenda per occhi, sia che passino per seni.
Spero che tu non sia d'accordo con me, che mi rimetta in carreggiata con discorsi ben più scientifici di quelli che io amo adoperare nella mia pochezza.

Franco Laner ha detto...

Un giorno di tre o quattro anni fa, Sciola di S. Sperate, colui che fa suonare le pietre, venne a Mestre ed espose in uno spazio al Candiani, centro sociale appena inaugurato, alcune sue opere. Fra queste c'erano delle statue di "prinzipales", 15-20 cm di altezza, messe in circolo, chi con le mani dietro la schiena, altri sulla loro bella pancetta o col pollice infilato nella cintura. Curioso, ma anche attratto -quanto mi piacerebbe avere un presepio di Sciola!- chiesi quando costava una statuetta.
Allora lui mi disse: "Avvicinati, di più, di più, metti l'orecchio qui... in mezzo. E ascolta. Li senti che parlano? Non te ne posso vendere uno solo! Con chi parlerebbe"?
Ovvio che li avrei presi tutti. Solo la risposta valeva la cifra!
Ecco, come ho scritto più sopra, rinnovo le mie scuse a Mikkely per non aver capito la complessità allusiva e la rarefazione archetipica.
Nessuno come i sardi sa far parlare le pietre, farle camminare e zappettare, ammetto!
Ma se guardo i tre betili ancora un pò, intensamente, mi verrebbe da dir loro. "Oh che begli occhi avete" come quando, lo sguardo inchiodato più sotto, si fa un complimento ad una donna.
E bravo Francu! Anche tu sei nato quando non c'era un "franco" (nel senso di soldo)in casa?
evviva!
Franco

Franco Laner ha detto...

Mikkelj..Mikkelj..! perché, visto che ha posto una sua interpretazione e che molti le hanno risposto, perché non ci dice cosa abbiamo capito?
Non si può buttare il sasso e nascondere la mano! Ci dica almeno se vede occhi o seni...
Devo venire a Macomer il 23 ott. pomeriggio e potrei appunto parlare di Tamuli..Inizierò facendo vedere Venere ermafrodita..
Cosa ne dice?
con simpatia
Laner

Gigi Sanna ha detto...

Caro Franco, tu forse non ci badi ma provo 'dolore' proprio sul quel tuo insistere sui buchi che sarebbero 'buchi' e basta'. Non lo sopporto proprio e replico, chiedendo umilmente scusa per l'egocentrismo imperdonabile che mi fa velo e mi fa mi saltare a piè pari un tema così nobile e scientificamente intrigante come quello degli 'occhi' o delle 'poppe' a vantaggio di quello dei volgari 'buchi'.
Certo sono buchi buchissimi, ma nella fattispecie sono due buchi particolari perché si trovano ai lati del supporto ovvero dell' oggetto bipenne. Non servivano per legare parabracci, fatti di ben altro materiale (o non crederai anche tu che quel manufatto sia davvero un brassard?), ma per appendere al collo (come nel caso, documentato, che il foro sia uno solo) un oggetto apotropaico, sa 'seguredda 'e lampu' la piccola scure del fulmine solare che i pastori di Samugheo e di altre zone della Sardegna portavano sempre con sé legati alla cintura o in tasca (ne ha parlato con tanto di documentazione Dolores Turchi).
Detti buchi si trovano al primo e all'ultimo posto di una sequenza fonetica che non può essere messa in dubbio perché data da segni pittografici ma 'anche' da precisi e ben conosciuti segni di scrittura protosinaitico -protocananaica (dalet, nun, taw, zayn, he, 'aleph). Ora, nella scrittura a rebus (vedrai tra non molto un mio articolo che forse potrà chiarire ancora meglio ciò che vado argomentando) qualsiasi allusione, comprensibile per metonimia o per traslato o metafora, è consentita. Mi spiego. Se io ti proponessi in un cruciverba il segno 'toro' moderno' rovesciato ovvero una A seguita da due buchi (orizzontali, verticali, obliqui: non importa, vedi tu) seguiti a loro volta da un secondo toro moderno ovvero una A e ti chiedessi che cosa ci vedi scritto, io credo che non faresti fatica a dirmi che c'è scritto ABA. Perché sai bene che la mente, nel gioco criptico e nella proposta di soluzione del rebus, capisce che quei 'due' buchi non sono 'due buchi e basta'; aspirano a fregarti e non vogliono significare per niente quello che dicono tramite gli occhi ma alludere al 'due' dell'alfabeto, ovvero alla lettera B. Nel gioco enigmistico insomma ti si chiede quale è la 'lettera due', di capire cosa nasconde nella catena consonantico- vocalica dei tre segni il segno centrale. Ti si chiede di capire la vera essenza del messaggio e non l'apparenza. Tieni presente poi che in ' nuragico' il due veniva notato da due punti o da due barrette , indifferentemente. Due buchi o due punti o due cerchi fanno differenza grafica ma non certo concettuale numerica. Ora, ho spiegato in SaGra ( e non so quante volte ancora in altre circostanze), naturalmente con documenti e prove alla mano, che i nuragici preferivano (dico preferivano) scrivere la lettera B in maniera pittografica (con il doppio) e questo spiega - tu non ci crederai - la presenza insistente di talismani quali le faretrine con i 'due' occhielli, dei bronzetti con 'due' scudi dei bronzetti, di quelli con 'quattro' occhi , dei 'due' punti sopra il toro in Tzricotu, dei due pomi sopra le corna di certi tripodi, ecc. ecc.

Gigi Sanna ha detto...

Quindi dalla catena segnica, incomprensibile sulle prime A2A (TORO /DUE/ TORO), si passa alla sequenza alfabetica e tutto si capisce. Si scioglie il piccolo 'rebus'. Il lusus ovviamente può essere fatto a piacimento, inserendo ad es. al posto di due buchi due gemelli. Tu vedendoli al centro dello spazio segnico -grafico, con i soliti nostri tori moderni rovesciati, resti perplesso e magari esclami 'che possono essere? Due gemelli disegnati sono sempre due gemelli!'. E resti al palo frastornato perché TORO + GEMELLI + TORO non ti danno senso alcuno. A meno che tu non interpreti legittimamente quella sequenza pittografica sostenendo (ma con contesto documentario che ti possa dare ragione) che lì c'è 'scritto' (in sardo, in italiano o in inglese: non importa con la pittografia) 'toro dei gemelli toro' (cioè di due persone gemelle con il cognome o il soprannome di 'Toro'). Quella strana 'scrittura' dunque lì per lì non ti dà senso. Perché certo 'gemelli' lo sono agli occhi ma non alla mente capace di andare 'oltre' e di capire le metafore. Nel rebus (è stato, come sappiamo, da sempre il motivo del suo fascino) ciò che si vede è solo apparente e quello che conta è ciò che invece abilmente è nascosto. La sfida tra chi crea il rebus o l'enigma e chi intende scioglierlo sta nella capacità del primo di nascondere e del secondo di 'scoprire'. Pertanto è il 'nascosto' che sta dietro 'gemelli' che devi capire e cioè ancora una volta il due, la lettera B nella catena fonetica.
Stesso gioco i nuragici lo fanno in Tzricotu e nel sigillo in olivina di Sardara alludendo con il punto (ma volendo anche con la barretta verticale fallica o taurina) alla lettera 'aleph- toro perchè lettera 'uno' o prima lettera dell'alfabeto.
La scrittura a rebus, mio caro, non tollera la razionalità, si prende gioco simpaticamente di essa, perchè 'gioca' e si diverte a farla dannare il più possibile. Credo di non essere lontano dal vero quando penso che nelle scuole scribali (naturalmente non solo sarde) uno degli esercizi maggiori fosse quello che gli apprendisti scribi facevano 'leggendo' e 'sciogliendo' certi strani testi del maestro). E il rebus ( del tutto organico con il pensiero magico - scientifico di allora ), era naturale come disciplina nella scrittura perché, se è vero che il mondo per noi è ancora tutto un rebus, compresi i neutrini più veloci... della luce , figuriamoci cosa esso era per un uomo dell'età del bronzo che capiva e non capiva nello stesso tempo il mistero della fusione dei metalli a certe temperature.
Chiudo, però dicendoti ancora che nel cosiddetto brassard di Is Locci Santus le cose sono molto più facili dei nostri 'gemelli' perchè i due buchi una volta precedono, senza dubbio alcuno, la voce DNT (dente: parola indoeuropea) una volta seguono la consonante 'aleph (aspirata laringale) preceduta dal logogramma toro (il toro intero). Risolvendo il (non difficile) rebus e mettendo le cose a posto si ha BDNT (BIDENTE) da una parte e 'AB (PADRE) dall'altra. Si capisce così dall'intera espressione che quell'oggetto non è un misero 'brassard' ( un oggetto per la caccia o militaresco) con buchi (che mai potrebbero tenerlo ben stretto al polso!) ma ben altra cosa. E' un oggetto apotropaico, ovvero la Bipenne del Dio Toro Sole, la BI -DENTE appunto. La BIPENNE del 'Toro della Luce' (NURAC), di quel toro luminoso e fallico, manifestazione del dio o 'ierofania' (meglio forse teofania) di cui tanto si parla in questi giorni. Anche se quel toro simbolico in verità non è solo toro ma anche uccello e serpente. Simboli che io mi auguro possano essere scientificamente confermati dall' archeoastronomia come è stato confermato il NUR- 'AK, il simbolo taurino del dio celeste. Il nuraghe (nurac) e quel 'toro della luce' sono la stessa cosa. Ci vuole così tanto a capirlo? E a dirlo?

Gigi Sanna ha detto...

Vedi tu!

Franco Laner ha detto...

Mediterò, e come mediterò. Anche perché non capisco -nonostante la tua spiegazione- la necessità di incasinare la comprensione, quando è già difficile capire l'ordinario, la normalità. Tu stesso nel momento in cui ricorri al rebus, hai necessità di spiegare perché ricorrevano al rebus. Per di più il rebus si presta ad interpretazioni non univoche. Diventano univoche se ricostruiamo un codice. Ma così facendo operariamo una doppia "falsificazione". Ovvero, il rebus è risolto in modo univoco perché c'è un codice che lo legittima. Ma chi legittima il codice? Ovvio, il senso compiuto conferito al rebus. I risultati di queste acrobazie mentali, acrobazie che si servono di diversi elementi e codici di altre protoscritture, alla fine però portano a dare senso ai segni, ai luoghi, alle cose. Mi verrebbe da dire che alla fine contano i risultati, importantissimi per legittimare il nuragico. Come ho scritto in "Sa 'ena" a proposito della pietra del nuraghe Losa, accanto alla decifrazione del prof. Luigi Sanna, che "nulla come la scrittura sarebbe in grado di legittimare la destinazione del nuraghe e più in generale, la civiltà nuragica"
Sarei portato a dire: -per la stima che provo, perché, per convincermi devo capire il percorso e non basta semplicemente un atto di fede?
Per le mie strutture, uso il legno, ma credimi ne so assai poco della sua caratterizzazione, mi prendo alcune catatteristiche, ma non mi sono mai sognato di diventare botanico.
E poi perché il pittogramma svelato deve necessariamente essere definito scrittura e non semplicemente pittogramma?
Grazie comunque per il tempo, doppio anche questo, per lo sforzo didattico per quel testone di Laner (so però di essere in buona compagnia) e cercherò, come ho detto all'inizio di meditare e sarà dura, perché come hai ben capito, per me le prove della validità di una teoria sono sperimentali, non posso ricorrere ad un'altra teoria, ché un metodo del genere mi pari si chiami paradosso. Ma ti prego non farmi ripetere anche la storia della filosofia!
A presto!
Franco

Gigi Sanna ha detto...

A Franco. Non c'è solo quello che ti affascina e cioè la bellissima (e trascuratissima) pietra del Nuraghe Losa. Ci sono ottanta e più documenti. Vieni alla mostra, dato che sei a Macomer, e lo vedrai. Ne ammirerai di scrittura a rebus! Perchè tutta la scrittura dei nuragici è a rebus. Tutta tutta. Ma resta in linea perchè forse il 'Toro della luce' ci fornirà un ennesimo esempio empirico di rebus che non ammetterà discussioni.Oppure...mediterai. Ma spero che non lo faccia all'infinito. Perchè con i numeri non si scherza.